2005

B.R. Ambedkar e la costruzione di un'India democratica ed egalitaria (*)

Mario Prayer

La conquista dei massimi onori accademici internazionali e la parallela ascesa alle più alte cariche dello stato da parte di un fuori-casta originario di un piccolo villaggio dell'entroterra, armato della sola fiducia nelle proprie capacità, rappresenta senza dubbio un'impresa straordinaria. La vicenda del "Babasaheb" B.R. Ambedkar (1891-1956), economista, sociologo, riformatore sociale, uomo politico, nonché principale architetto della Costituzione indiana, e insignito post mortem del titolo di Bharat Ratna (gioiello dell'India), la più alta onorificenza ufficiale, riflette pienamente la complessa realtà sociale e culturale propria del suo Paese in un periodo di profonde trasformazioni.

L'ambiente familiare e gli anni di studio

Bhimrao Ramji Ambedkar nacque a Mhow (Madhya Pradesh), in una povera ma dignitosa famiglia Mahar, ultimo di quattordici figli. Trascorse un'infanzia relativamente serena. I genitori Ramji Maloji e Bhimbai furono esempi viventi di quieta disposizione al lavoro rafforzata dagli insegnamenti morali tratti dalle storie del Ramayana e del Mahabharata. Il padre, in particolare, seguace del grande devoto e poeta Kabir, comunicò a Bhimrao lo spirito dell'uguaglianza degli uomini di fronte a Dio e un'ideale di religiosità ecumenica. Ma al di fuori delle rassicuranti pareti domestiche, la società osservava regole e comportamenti sanciti da una lunga tradizione, e Bhimrao fece ben presto l'amara scoperta di appartenere a una comunità considerata permanentemente impura, e quindi intoccabile. L'aneddotica fiorita attorno a questi primi anni ci mostra il piccolo Bhimrao alle prese con inaspettate forme di ostracismo. Una volta, mentre osservava incuriosito un uomo che rimodellava la frangetta a un bufalo, ebbe l'idea di chiedere lo stesso trattamento: il barbiere rifiutò, spiegando che era uso tagliare i capelli solo a uomini di casta superiore. A scuola sedeva in disparte, e non poteva sottoporre i compiti alla correzione del maestro perché in tal modo, gli era stato detto, lo avrebbe contaminato. Persino l'accesso al tempio gli era interdetto: dalle immagini divine, simbolo di valori religiosi ed etici tanto elogiati dagli esaltatori della civiltà indiana, veniva dunque esclusa una parte degli indiani stessi, e persino la preghiera del cuore diventava esclusivo appannaggio delle alte caste. Mancava inoltre la possibilità di una stabile interazione con le altre famiglie della propria comunità, giacché il padre, sottufficiale dell'esercito, era sovente trasferito in diversi centri del Maharastra, fin quando, arrivato alla pensione, non si stabilì con la famiglia a Satara, e quindi a Bombay.

Il contrasto fra i nobili insegnamenti dei genitori e la ingiustificabile realtà dei rapporti sociali alimentò in Bhimrao uno spirito inquisitivo e una mentalità indipendente. Lo studio divenne la sua arma di riscatto, mediante la quale tentò di rispondere agli interrogativi che lo agitavano intimamente. Nonostante le difficoltà economiche familiari, frequentò regolarmente le scuole e divenne uno studente modello. Intanto, all'età di 14 anni, secondo tradizione, fu unito in matrimonio con una giovinetta Mahar di 9 anni, Ramabai, con la quale avrebbe vissuto fino alla morte di lei, nel 1938. (Nel 1948, ormai protagonista della vita istituzionale indiana, Ambedkar avrebbe sposato in seconde nozze, con rito civile, Sharda Kabir, una colta e sensibile bramana di Bombay, sancendo così il suo distacco da costumanze nelle quali ormai non si riconosceva più.)

Nel 1907 superò l'esame di ammissione all'università. I Mahar festeggiarono questa impresa eccezionale che accendeva nuove speranze all'interno della comunità, e come segno di gratitudine regalarono al giovane studente un libro sulla vita del Buddha. Negli anni seguenti, grazie alla sponsorizzazione di due influenti principi indiani, i Maharaja di Baroda e di Kolhapur, poté recarsi all'estero per gli studi superiori. Presso la Columbia University di New York ottenne nel 1915 il diploma di M.A., e l'anno seguente quello di Ph.D. in Economia, con una tesi intitolata National Dividend for India: A Historical and Analytical Study. Non soddisfatto di questi traguardi, Ambedkar si iscrisse alla London School of Economics e al Gray's Inn di Londra. Dopo una breve e sfortunata esperienza come Ministro delle Finanze a Baroda, Ambedkar tornò nella capitale britannica, ottenne l'abilitazione alla professione di avvocato, e studiò approfonditamente la questione del decentramento delle strutture finanziarie in India. Nel 1923 ottenne una seconda laurea in Economia dall'Università di Bonn, con una dissertazione incentrata sul ruolo della rupia nella finanza internazionale.

All'estero, soprattutto negli Stati Uniti, Ambedkar era cresciuto e maturato in un'atmosfera di libertà, uguaglianza e rispetto del prossimo in quanto individuo; ebbe modo di valorizzare le proprie potenzialità e di sviluppare appieno la propria personalità. Ben diversa la situazione che trovò una volta tornato in patria. Qui titoli illustri e alta competenza professionale non mutavano il dato permanente dell'impurità acquisita per nascita. Si ripeterono così, su un altro livello, le esperienze negative della prima giovinezza. Durante un breve periodo in cui fu Ministro delle Finanze del Maharaja di Baroda, venne ostracizzato a opera dei suoi collaboratori, i quali vivevano in un contesto socioculturale tradizionale. Né le cose cambiavano di molto in ambienti più occidentalizzati. Al Sydhenham College, dove insegnò per alcuni anni, vide che una brocca d'acqua da cui si era dissetato era stata immediatamente gettata nei rifiuti. Esercitando l'avvocatura presso il tribunale di Bombay, Ambedkar si ritrovò sistematicamente escluso dalle cause più importanti, e persino colleghi altamente qualificati lo bollarono come "l'avvocato dei poveri". Gli inservienti del tribunale, poi, si rifiutavano di portargli l'acqua, e per poter accedere a una fontana pubblica, a Bombay, dovette combattere una battaglia legale durata dieci anni. Occorreva dunque affrontare il problema alla radice.

L'impegno sociale e politico

Parallelamente all'attività accademica e scientifica, e anzi anche attraverso di essa, Ambedkar non aveva mai cessato di occuparsi delle questioni più direttamente attinenti alla vita sociale, religiosa e politica dell'India del suo tempo. Negli Stati Uniti aveva incontrato il noto leader nazionalista Lala Lajpat Rai, e a Londra ebbe modo di avvicinare il Segretario di Stato per l'India E.S.Montague, come pure l'altro leader indiano Vitalbhai Patel. Con loro discusse della futura evoluzione del sistema istituzionale indiano, e dell'opportunità di accompagnare all'eventuale concessione dell'autonomia politica un'autentica riforma della vita sociale che garantisse il pieno rispetto dei diritti fondamentali di tutti i cittadini. Come molti rappresentanti di comunità minoritarie o socialmente subordinate, "Babasaheb" Ambedkar concepiva il progresso della comunità per la quale si era impegnato in termini di partecipazione alla vita dello stato. Questo, infatti, col suo carattere laico, egalitario e impersonale, offriva a ciascun singolo o comunità l'opportunità di sottrarsi alla dimensione tradizionale del potere, della legittimazione sacrale e del prestigio sociale, e affermare la propria identità secondo nuove categorie. Nella dialettica politica che ne seguiva, i leader fortemente legati alle minoranze religiose ed etniche (musulmani, anglo-indiani, ecc.) cercavano sovente l'appoggio degli inglesi, i quali da parte loro ne accoglievano prontamente le rivendicazioni, poiché vedevano in loro, e nella loro fondamentale lealtà all'impero, un prezioso alleato nella lotta contro il movimento nazionalista, guidato per lo più da rappresentanti delle nuove élite urbane occidentalizzate. Secondo il principio del divide et impera, i dominatori britannici miravano a moltiplicare il numero dei propri interlocutori al fine di frammentare il fronte nemico e indebolirlo dall'interno.

Anche Ambedkar finì per essere coinvolto nelle manovre strategiche degli inglesi, ad esempio quando fu chiamato, in rappresentanza delle "classi arretrate", a partecipare alla Round Table Conference di Londra (1930-33) indetta per preparare una riforma costituzionale in India: qui si ritrovò in un folto gruppo di portavoce delle più disparate minoranze, sapientemente selezionati dai dominatori coloniali per controbattere la richiesta di swaraj (autogoverno) avanzata dai nazionalisti. Ambedkar riuscì però a sfruttare quell'occasione per accrescere il prestigio della sua leadership, senza per questo porsi in antitesi al movimento anti-britannico: considerava infatti l'indipendenza politica un passaggio necessario verso l'abbattimento di poteri e privilegi consolidati. Libertà e unità andavano di pari passo nel suo progetto politico, il cui obiettivo era avviare un processo di integrazione delle caste inferiori con le altre componenti sociali. "Istruirsi, mobilitarsi e organizzarsi" era il suo triplice motto: da un lato, lo stato doveva prendere misure che favorissero la partecipazione diretta delle classi emarginate al governo e alla vita civile della nazione (sotto il dominio britannico, le "classi depresse" erano sostanzialmente prive del diritto di voto); dall'altro, gli stessi fuori casta dovevano prendere coscienza dei propri diritti, e rivolgersi alle strutture scolastiche dello stato per dotarsi di quei requisiti culturali necessari a meglio rapportarsi al mondo politico-istituzionale.

Per realizzare questi fini, Ambedkar operò attivamente come membro del Consiglio Legislativo di Bombay, nel Consiglio di Difesa durante la seconda guerra mondiale, e come Ministro del Lavoro negli anni immediatamente successivi. Le battaglie che condusse in quegli anni si conclusero, fra l'altro, con l'assegnazione alle caste inferiori del 6% dei posti di lavoro nel governo centrale, la creazione di agenzie di collocamento collegate a centri di addestramento tecnico, l'adozione di misure di sostegno agli studenti fuori casta desiderosi di studiare all'estero, l'introduzione del principio di concertazione nella risoluzione delle controversie industriali, e la fissazione per legge di uno stipendio minimo per i lavoratori dipendenti. Ambedkar fondò inoltre una People's Education Society e il Siddhartha College of Arts and Science a Bombay. Fu egli stesso docente presso il Sydhenham College of Commerce e per alcuni anni diresse il Government Law College, sempre a Bombay.

Ambedkar e Gandhi

La sua campagna per la creazione di elettorati separati fra indù e fuori casta lo pose in aperto contrasto con il "Mahatma" Gandhi. Quest'ultimo infatti concepiva il problema dell'intoccabilità in chiave sociale piuttosto che politica, e riteneva che fosse compito di tutti gli indù, soprattutto di quelli di casta superiore, liberare l'induismo da questa inumana costumanza anzitutto purificando le proprie coscienze. Questa "riforma interiore", a suo avviso, avrebbe ulteriormente unificato e rafforzato la società indiana. Ambedkar, invece, basandosi sulle brucianti esperienze personali, era convinto che l'intoccabilità fosse inestirpabile dalla mentalità indù. L'unica possibilità di redenzione per quelli che il "Mahatma" chiamava Harijan (figli di Dio, un epiteto che Ambedkar trovava offensivo) era perciò l'eliminazione radicale del sistema castale e l'instaurazione di una società egalitaria. A Londra, nel 1932, Ambedkar aveva chiesto e ottenuto la concessione di elettorati separati per i fuori casta a garanzia della loro attiva partecipazione al mondo politico, mediante la quale poter rivendicare in prima persona i propri diritti. Gandhi considerava una simile misura come una catastrofe che avrebbe istituzionalizzato e reso permanente quella divisione interna alla società indiana.

Gandhi decise pertanto, nel settembre di quell'anno, mentre si trovava nella prigione di Yeravda in seguito alle agitazioni del movimento di Disobbedienza Civile, di intraprendere un digiuno fino alla morte. Già debole e malato, il "Mahatma" giunse ben presto a un passo dal tracollo; mentre l'intera nazione era in apprensione, attorno al lettino di Gandhi si radunarono leader politici moderati e rappresentanti della cosiddetta ortodossia indù, oltre allo stesso Ambedkar, nel tentativo di trovare un accordo. Ambedkar pareva irremovibile. Al sesto giorno di digiuno, si escogitò una formula secondo la quale gli intoccabili avrebbero scelto i propri candidati attraverso elezioni primarie, e fruito di un consistente numero di seggi riservati nei consigli legislativi. L'elettorato indù, d'altro canto, sarebbe rimasto unito. Attorno a questo schema si riuscì a ottenere il consenso di tutte le parti interessate, venne firmato il cosiddetto Patto di Puna, e infine Gandhi interruppe il digiuno. L'entusiasmo per l'accordo raggiunto e la salvezza del "Mahatma" si tradusse in un'ondata di manifestazioni contro l'intoccabilità: in tutta l'India si organizzarono banchetti comuni, e i cancelli dei templi si aprirono anche ai fuori casta. Fu peraltro un effetto effimero, e presto la situazione tornò alla "normalità". Ambedkar, del resto, era fermamente convinto che dati i caratteri peculiari della società indiana, le "classi depresse" non potevano aspettarsi regali dalle alte caste; avrebbero dovuto invece lottare in prima persona per vedersi riconosciuti i propri diritti, e l'esperienza stessa di questa competizione sarebbe stata garanzia della loro crescita morale e materiale.

Estensore della Costituzione indiana

Uno dei momenti chiave di questa battaglia fu per Ambedkar la partecipazione all'Assemblea Costituente, subito dopo la conquista dell'indipendenza nell'agosto 1947. Ambedkar fu posto alla presidenza del comitato incaricato di redigere il testo della Costituzione indiana (pubblicato in prima stesura nel febbraio 1948, approvato definitivamente nel novembre 1949, ed entrato in vigore nella sua interezza il 26 gennaio 1950). Si trattava di dare al nuovo stato indipendente un quadro di regole, direttive generali e diritti insindacabili che permettessero lo svolgersi ordinato della vita democratica e incrementassero la partecipazione alla vita civile di tutti i settori della popolazione. Gli ideali di democrazia politica, sociale ed economica erano rapportati a quelli di uguaglianza, fratellanza e unità.

Il risultato fu un documento imponente, contenente ben 395 articoli e 8 "schedules" (liste), nei quali si condensavano le maggiori esperienze dell'Occidente in materia costituzionale, adattandole alla speciale realtà sociale e storica indiana. Sostanzialmente veniva adottata una via intermedia fra la sovranità parlamentare all'inglese, dove protagonista è il popolo attraverso i suoi rappresentanti, e il "legalismo" all'americana, il quale comporta la costante vigilanza di una magistratura indipendente sull'azione legislativa del governo. L'India era descritta nell'art.1 come "Unione di stati", volendo con ciò sottolineare il prevalere dell'"indistruttibile" unità dello stato sulla dimensione federale. Si cercava inoltre di raggiungere un equilibrio fra centralismo e stabilità da una parte, e flessibilità e autonomia dall'altra. Si introduceva infatti una magistratura unificata, un corpus di leggi fondamentali in vigore in tutti gli stati federali, e un ruolo panindiano del personale amministrativo. Al contempo si creava un'ampia area di argomenti soggetti a "poteri concorrenti", vale a dire il parlamento centrale, le assemblee locali e la stessa carta costituzionale; quest'ultima poteva essere emendata mediante procedure relativamente semplici, quasi a sollecitare il parlamento ad aggiornarla in base alle esperienze degli anni seguenti. Gli architetti della Costituzione, secondo Ambedkar, dovevano inoltre prefiggersi l'obiettivo di educare il popolo indiano alla democrazia. Ecco come giustificava l'inclusione nella carta costituzionale di indicazioni che potevano essere lasciate all'elaborazione del legislatore, ad esempio a proposito della struttura amministrativa (per lo più ereditata dal dominio britannico):

Solo nel caso in cui il popolo sia pienamente partecipe di una moralità costituzionale... si può correre il rischio di omettere nella Costituzione dettagli inerenti l'amministrazione e lasciare che sia il potere legislativo a prescriverli. Ora il problema è: possiamo presumere che esista una simile diffusione della moralità costituzionale? Essa non è un sentimento naturale, ma va coltivato. Dobbiamo renderci conto che la nostra gente non l'ha ancora appreso. In India la democrazia è soltanto il rivestimento esteriore di un nucleo indiano, il quale è essenzialmente non-democratico. (Constitutional Assembly Debates, vol.VII, 4.11.1948).

L'impegno nella creazione di un contesto legale per la vita del nuovo stato non si limitò alla stesura della Costituzione. Chiamato da Jawaharlal Nehru a far parte del governo interinale nel 1946, e quindi del primo governo dell'India indipendente in qualità di Ministro della Giustizia, Ambedkar tentò di portare avanti la sua battaglia proponendo fra l'altro una riforma del Codice Civile Indù. Tale misura avrebbe definitivamente messo al sicuro della legge individui e classi tradizionalmente emarginati o svantaggiati, ad esempio riconoscendo la piena titolarità delle donne nella proprietà, nella gestione e nell'eredità del patrimonio. Questa fondamentale riforma della società indù, che naturalmente avrebbe avuto un forte impatto anche sul problema dell'intoccabilità, fu osteggiata da alcuni colleghi di gabinetto, e venne momentaneamente accantonata. Nel 1951 Ambedkar introdusse la legge sulla rappresentanza popolare, che stabiliva i requisiti necessari a esercitare il diritto di voto (universale), e le procedure da seguire nel corso delle elezioni. Fu questo l'ultimo importante contributo di Ambedkar alla vita istituzionale indiana.

Induismo e buddhismo

Negli ultimi anni di vita, Ambedkar si dedicò principalmente alla ridefinizione dell'identità dei fuori casta dal punto di vista sociale e religioso. L'impegno istituzionale aveva segnato alcune vittorie di principio e aperto la strada a futuri sviluppi; rimanevano da raggiungere altri traguardi, soprattutto a livello di rapporti fra le comunità. Ambedkar era ancora convinto che il fenomeno dell'intoccabilità fosse intimamente connesso alle strutture sociali e alla visione religiosa proprie del mondo indù, e per questo giunse a individuare la soluzione di tale problema nella conversione al buddhismo: dopo la politica, la religione era la seconda via per uscire dall'induismo. Per propagare queste idee tenne numerose conferenze, in India e nei paesi limitrofi, diresse alcune riviste e fondò, nel 1955, la Bhartiya Buddha Mahasabha.

A monte di questa attività stava un lungo processo di riflessione che vide Ambedkar impegnato a interrogarsi sulla realtà sociale indiana, particolarmente in relazione alle caste e all'origine del fenomeno dell'intoccabilità. Già durante il periodo degli studi in America aveva affrontato questo argomento in una prospettiva squisitamente sociologica, ma nel corso degli anni era tornato a occuparsene, infondendo sempre più alle sue dotte analisi la passione del riformatore sociale, e giungendo a una matura formulazione del suo pensiero sociale nel 1948 con il saggio The Untouchables. Qui Ambedkar individuava l'origine dell'intoccabilità nell'attribuzione di una impurità sacrale permanente alle genti dei confini del villaggio (antyaja) da parte delle popolazioni stanziali. Gli antyaja erano, secondo Ambedkar, originariamente "Broken Men", popolazioni sparse economicamente dipendenti dai villaggi, ai quali assicuravano protezione militare contro incursioni esterne. Si cibavano di carne bovina e lavoravano le pelli e altri materiali scartati dalla società stanziale. Nella ricostruzione proposta da Ambedkar, per certi aspetti abbastanza fantasiosa, a un certo punto della loro storia (verso il V secolo d.C.) queste popolazioni si erano convertite al buddhismo. Perciò, per poterle meglio controllare e assoggettare, i bramani attribuirono loro una impurità rituale permanente, obbligandole a svolgere funzioni quali la concia delle pelli o la rimozione degli escrementi, e isolandole socialmente così da preservare la purità delle alte caste. Questo collegamento, secondo Ambedkar arbitrario e sconosciuto all'induismo originario, fra nascita, occupazione, rango gerarchico e grado di purità rituale aveva irrigidito il sistema delle caste e determinato un arresto dello sviluppo culturale e materiale. Se ne vedevano gli effetti fin nell'epoca attuale: frammentazione sociale, arretratezza economica, involuzione intellettuale, isolamento internazionale e mancato sviluppo di un senso civico e della coscienza di superiori interessi comuni. La casta, nelle parole di Ambedkar, diventava la causa prima e ultima di tutti i mali dell'India contemporanea:

Il sistema castale non è soltanto una divisione dei compiti, ma anche una divisione dei lavoratori... (Ciò non accade) in nessuna società evoluta... La casta non favorisce l'efficienza economica. La casta non può essere e non è stata in grado di migliorare la razza. Ha invece fatto un'altra cosa: ha completamente disorganizzato e svilito gli indù... La società indù è un mito, persino il nome "indù" è di origine straniera. (Gli indiani) non sentivano la necessità di una definizione comune perché non concepivano il fatto di costituire un'unica comunità. La società indù in quanto tale non esiste, è solo un insieme di caste, e ciascuna casta si preoccupa solo della propria esistenza...

E ancora:

L'influsso della casta sull'etica degli indù è semplicemente deplorevole. La casta ha ucciso lo spirito della vita pubblica, ha distrutto il senso della solidarietà, ha reso impossibile il sorgere di un'opinione pubblica... La virtù e la moralità sono state casteizzate. Non c'è generosità per chi la merita, non c'è rispetto per chi è capace, non c'è carità per i bisognosi, ... e quando c'è, essa non travalica mai i confini della casta... Non c'è alcun dubbio, a mio parere, che se non trasformiamo il nostro ordine sociale otterremo ben poco in termini di progresso... Sulla casta non si può costruire alcunché: non una nazione, non una moralità. Qualunque cosa si poggi su tali fondamenta è destinata a crollare, e non conserverà mai la sua interezza. (Annihilation of Caste, Bombay, 1936)

L'esistenza delle caste era pertanto incompatibile con l'ideale di una nazione moderna, efficiente, egalitaria, guidata da un robusto senso civico, e culturalmente dinamica.

Poiché, secondo Ambedkar, la contrapposizione puro-impuro era uno dei pilastri del Sanatana dharma (dharma eterno), l'asservimento dei fuori casta al resto della società indù sarebbe anch'esso durato in eterno. Di qui l'impossibilità di una vera riforma, e la condanna senza appello: "La civiltà indù è un'infamia". Soltanto al di fuori di quell'alveo socioculturale, consolidatosi attraverso i secoli in un variegato insieme di costumi, riti e tradizioni, i "Broken Men" avrebbero potuto recuperare la propria identità e la propria indipendenza. In precedenza, Ambedkar stesso aveva abbracciato per breve tempo il sikhismo, ma questa scelta non aveva dato frutti duraturi. Nel buddhismo vedeva ora la possibilità di tornare alla fede "originaria", e di riprendere il sentiero interrotto dell'egalitarismo, dell'umanesimo e del razionalismo che egli ricollegava a quella tradizione in chiave culturale prima che religiosa. In un voluminoso saggio intitolato The Buddha and His Dhamma, pubblicato postumo nel 1957, Ambedkar esponeva compiutamente la sua visione del buddhismo; ma già in diverse occasioni si era soffermato su quegli elementi che considerava alla base di una cultura fondamentalmente democratica. La dottrina del Buddha e la vita della comunità da lui fondata, il sangha, riflettevano a suo dire un periodo storico di grande progresso e giustizia sociale:

Non è vero che l'India non ha mai conosciuto la democrazia..., i parlamenti o la procedura parlamentare. Uno studio dei Sangha dei monaci buddhisti rivela che non solo esistevano i parlamenti - poiché i Sangha non erano altro che parlamenti, - ma al loro interno si osservavano tutte le regole della procedura parlamentare in uso nei tempi moderni... Queste regole, che il Buddha applicava durante le riunioni dei Sangha, deve averle desunte dalle assemblee politiche funzionanti a quei tempi. (Constitutional Assembly Debates, vol.XI, 25 novembre 1949)

Il recupero del buddhismo non poteva prescindere, per Ambedkar, dalla riaffermazione dell'identità nazionale indiana, in particolare attraverso quella componente che storicamente aveva concesso maggiore autonomia alla sfera politica rispetto all'induismo, e per questo meglio si prestava a una reinterpretazione in chiave modernista. Questo spiega anche la facilità con cui Ambedkar, nonostante la formazione scientifica, integrava i dati storiografici disponibili all'epoca con deduzioni o ipotesi del tutto personali, ad esempio, come si è visto, a proposito dell'esistenza di un parlamentarismo ante litteram. In questo senso il pensiero di Ambedkar rientrava pienamente nella congerie culturale nazionalista, e orientalista in senso inverso, che aveva permeato nella quasi totalità la vita intellettuale delle élite indiane occidentalizzate fin dalla metà dell'Ottocento, supportando idealmente e ideologicamente il movimento anti-britannico nelle sue varie manifestazioni. Il richiamo a un antecedente, reale o immaginario, era comunque necessario. Se la costruzione di una sfera "nazionale" dell'autorità, laica e di matrice occidentale, poteva soddisfare la ricerca di un riequilibrio delle relazioni sociali e la nascita di una nuova identità a livello sia comunitario che individuale, il riferimento al sistema di origine, o almeno a una sua parte, rimaneva per Ambedkar il punto nodale dell'articolazione di una più profonda esigenza di legittimazione della soggettività.

In questo senso l'opera di Ambedkar può essere interpretata come la ricerca di una mediazione fra un'istanza egalitaria e libertaria, e la rivalutazione di un'essenza culturale indiana ritenuta più adeguata alle particolari esigenze di un mondo in trasformazione. Nell'ottobre 1956, a due mesi dalla morte, Ambedkar organizzò una cerimonia di conversione di massa a Nagpur, durante la quale pronunciò la celebre frase: "Io non morirò da indù", e impartì la diksha (iniziazione) a centinaia di suoi seguaci. Ciò che si sforzò di impersonare fu invece un nuovo modello di indianità apprezzato e condiviso, ai suoi tempi, forse più dalle élite modernizzate che non dalle stesse caste inferiori, ancora impreparate culturalmente. Il suo esempio, del resto, ha senza dubbioz ispirato e guidato le generazioni venute dopo di lui, soprattutto in relazione al contributo dei singoli alla vita dello stato. Inoltre, molti dei movimenti sociali e di rivendicazione politica avviati dalle caste inferiori negli ultimi anni si richiamano apertamente ad Ambedkar, e sembrano indicare che l'eredità del "Babasaheb" comincia a produrre frutti su larga scala. D'altra parte, la frattura dell'antica coesione sociale sotto l'influsso di una dialettica politica competitiva rende necessario avviare un parallelo processo di armonizzazione delle componenti sociali. Con le nuove dinamiche di sviluppo e le tensioni a esse legate dovrà perciò confrontarsi il sistema istituzionale costituitosi cinquant'anni fa: quel sistema che Ambedkar, uno dei suoi massimi artefici, cercò di rendere "funzionale, flessibile e forte abbastanza da garantire al paese l'unità".


*. Ringraziamo il prof. Mario Prayer e la redazione del periodico «India», organo dell'ambasciata indiana in Italia, per aver concesso la ripubblicazione del presente scritto.