Chi è "l'umano"dei diritti? (*)

Costas Douzinas

Alcune risposte a questo interrogativo hanno sostenuto che i diritti umani sono autoevidenti, che sono espressione della società buona o, in modo ancora più stravagante, che sono delle "proprietà naturali" specifiche della persona come le braccia o le gambe. Tipico di queste argomentazioni è l'affermazione che i diritti appartengono agli esseri umani per il fatto di essere propri dell'umanità e di non essere limitati ai soli componenti di una nazione o di uno Stato. Ciò costituisce una visione confortante. Ma quando la esaminiamo più da vicino ci appare come una di quelle mezze verità paradossali che infangano la nostra comprensione dei diritti umani.

L'idea di "umanità" è moderna. Atene e Roma avevano ateniesi o romani ma non "uomini", nel senso di membri della specie umana. L'espressione humanitas è apparsa per la prima volta nella Repubblica Romana per indicare eruditio et institutio in bonas artes. Il termine umanità non significava una qualità condivisa ma, come indica Cicerone, un criterio di comportamento utilizzato per distinguere gli homines humani (i romani educati) dagli homines barbari (il resto).

È stato il cristianesimo a minare le classiche gerarchie. L'affermazione di San Paolo che non vi è greco o ebreo, uomo o donna, libero o schiavo (Lettera ai Galati 3:28) ha introdotto un universalismo di tipo spirituale. Tutti gli esseri umani hanno un'anima e possono essere salvati all'interno del piano salvifico di Dio, se accettano la fede poiché non vi è posto per i non-cristiani nel piano provvidenziale. Questa profonda divisione è alla base della missione ecumenica e del proselitismo condotti dalla Chiesa e dall'Impero. La legge d'amore di Cristo si è trasformata in un grido di battaglia: conduciamo i pagani nella grazia di Dio, portiamo il messaggio di verità e di amore nel mondo. Nel Sacro romano impero ed in quelli successivi, che dominavano gran parte del mondo allora conosciuto, la linea che distingueva i barbari dagli esseri umani divise il globo diagonalmente tra i credenti ed i pagani.

Il significato cristiano di umanità è stato discusso nel contesto di uno dei dibattiti più importanti della storia. Nel 1550, l'imperatore Carlo V di Spagna convocò una junta a Valladolid per discutere l'atteggiamento dei conquistadores nei confronti degli Indios del Messico. Su fronti opposti intervennero il filosofo aristotelico Juan Gines de Sepúlveda ed il chierico Bartolomé de Las Casas. Sepúlveda sosteneva che "gli spagnoli governano con un diritto perfetto i barbari che, per prudenza, talento, virtù, umanità sono loro inferiori quanto lo sono i bambini nei confronti degli adulti, le donne degli uomini, il selvaggio ed il crudele rispetto al mite ed al gentile, dovrei dire come una scimmia è inferiore all'uomo".

Las Casas non era d'accordo. Egli sosteneva che gli Indios avevano costumi consolidati e modi di vita ben definiti. Essi erano dei cristiani "inconsapevoli", come Adamo prima della Caduta. Il rispetto dei costumi locali non solo rappresenta una buona morale ma anche una buona politica: gli Indios si sarebbero potuti convertire al cristianesimo ed accettare anche l'autorità spagnola se i conquistadores avessero rispettato le loro tradizioni, le loro leggi e la loro cultura. Las Casas univa teologia e utilità politica fornendo un primo esempio di multiculturalismo. Ma questo tipo di universalismo cristiano era, come tutti gli universalismi, esclusivo. Più volte egli condannò "i turchi ed i mori, i veri barbari esclusi dalle nazioni" poiché non potevano essere considerati come dei cristiani inconsapevoli. Las Casas vinse la disputa morale ma la prospettiva di Sepúvelda venne fatta propria da un vasto assortimento di colonizzatori ed imperialisti.

Il passo successivo nella storia della nozione di "umanità" fu compiuto dai primi filosofi politici moderni e dai rivoluzionari del XVIII secolo. La Dichiarazione francese dei diritti dell'uomo e del cittadino, il manifesto politico della modernità, afferma che "Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti" ma continua conferendo questi diritti solo ad (alcuni) francesi. I diritti naturali (oggi umani) appartengono a tutti ma solo i cittadini possono godere realmente dei diritti civili e politici. Da questo punto di vista, la statualità, la sovranità ed il territorio hanno seguito il principio della nazionalità. Il gap tra l'uomo universale ed il cittadino nazionale è riempito dagli stranieri. Gli stranieri non hanno diritti perché non sono cittadini e ne consegue che non sono neppure pienamente umani.

Ma c'è di più. Attraverso la separazione dell'umanità dalla cittadinanza, la Dichiarazione (ed oggi i trattati dei diritti umani) ha introdotto una teleologia storica, che promette la loro unificazione futura. Si danno quindi due alternative: l'imperialismo, evidente nelle guerre napoleoniche ed oggi in Iraq, secondo cui la nazione rivendica di essere l'espressione dell'umanità e di diffondere la sua influenza civilizzatrice grazie alla conquista. O il cosmopolitismo, secondo cui i valori universali superano le locali idiosincrasie. La rivoluzione francese ha abolito la schiavitù ed ha dato alle popolazioni di colore per un periodo limitato dei diritti politici che ha revocato dopo il terrore. Fu solo la rivoluzione di Haiti, che estese i diritti agli schiavi ed ai colonizzati, a rivolgere l'universalismo contro i suoi stessi inventori.

L'"uomo" dei diritti dell'uomo è privo di qualsiasi caratterizzazione concreta, eccetto che per la libera volontà, la ragione e l'anima, i requisiti minimi dell'umanità. Questi elementi universali secolarizzarono la fede cristiana nella sacralità della vita e fondarono l'umanità sulla dignità e sul rispetto. L'autonomia, la responsabilità e la personalità costituiscono l'eredità del rule of law e dei primi diritti naturali. Allo stesso tempo, questo "uomo" è un'astrazione senza corpo, colore, genere e storia, come Hegel, Burke e Marx hanno convenuto. Eppure l'uomo empirico che godeva realmente dei diritti era un uomo benestante, bianco, cristiano, maschio urbano. Egli condensava la dignità astratta dell'umanità ed i privilegi del potere. In questo modo, la piena umanità è costruita rispetto a una serie di precondizioni (cittadinanza, classe, genere, razza, religione, sessualità) che escludono la maggioranza degli esseri umani. Se i diritti sono universali, i rifugiati, i migranti "illegali" o i detenuti di Guantánamo che non hanno alcun paese che li protegga dovrebbero avere i diritti dell'umanità. Ma non ne hanno alcuno, essi sono solo nude vite non protette. I diritti umani non appartengono agli esseri umani, essi costituiscono una sorta di "umanità" a gradi.

Il movimento per i diritti umani può essere visto come una continua ma infruttuosa battaglia per chiudere il gap tra la visione astratta dell'uomo della Dichiarazione e l'essere umano empirico. Le convenzioni anti-discriminazione per le persone di colore, le donne, i bambini, gli omosessuali e le lesbiche aggiungono carne, sangue e sesso alla pallida descrizione dell'"umano". Ci sono riuscite? Sì e no. Il concetto di una comune umanità ha introdotto l'appello della dignità universale. La storia ci ha insegnato che comunque non vi è nulla di sacro nella definizione di umanità e niente è eterno nei suoi scopi. La virtuosità della nozione di umanità, come l'onnipotenza di Dio, include la capacità di ridefinire chi e che cosa deve essere considerato come umano fino ad arrivare alla distruzione di se stesso. La dialettica dell'Illuminismo ha comportato sia l'emancipazione che il nazismo. Analogamente, i diritti costituiscono un modo per proteggere l'individuo ed uno strumento che i governi utilizzano per disciplinare le società e, più in generale, il mondo.

Ciascuna epoca storica ha usato la propria definizione (filosofica o empirica) dell'umanità per separare i governanti, i governati e gli esclusi. Chi non parla la nostra lingua, non condivide la nostra religione, chi appartiene alla classe, al genere, al colore o alla sessualità sbagliati, è sempre stato lasciato al di fuori dalla nozione di umanità definita localmente. Queste sono le persone sprovviste di qualsiasi proprietà, gli "impropri" esseri umani, i rappresentanti epocali dell'inumanità. Queste categorie di esclusione sono ancora attive. Ad esse si sono aggiunti il "miliardo di diseredati", i "rifiuti umani", i reietti del capitalismo globale neoliberale (1). Al contrario di quanto è rivendicato, l'umanità non può svolgere una funzione normativa ed è muta riguardo la questione delle regole morali e civili.

I diritti sono un'importante istituzione liberale. La filosofia liberale sta continuando a riciclare all'infinito le idee del XVIII secolo - il contratto sociale (Rawls), i diritti naturali (Dworkin) o l'imperativo categorico (Habermas) - fraintendendole. I diritti non appartengono all'essere umano completamente formato come tutela di una natura asociale preesistente o come il risultato di qualche originario accordo o come l'espressione di un'oggettività morale. Al contrario, i diritti sono strumenti attraverso cui le persone costruiscono la propria identità in una continua lotta per il riconoscimento con altre persone ed il "Grande Altro" delle istituzioni sociali. I diritti anti-discriminazione danno alle mie caratteristiche razziali o sessuali un riconoscimento minimo e mi aiutano ad accordare la mia identità pubblica con quella privata. Ma, come ha spiegato Hegel, un diritto formale alla proprietà non accompagnato da mezzi materiali priva la persona dell' (auto) rispetto e divide la sua identità tra un'astratta dignità ed una concreta degradazione. Allo stesso modo, quando il dovere di proteggere i migranti ed rifugiati è violato, l'identità di chi è abbandonato allo sfruttamento dei criminali dei bassifondi e ai filantropi è fatalmente minata.

Questa distanza tra i diritti formali e le precondizioni necessarie per il loro esercizio è la chiave del problema. La Convenzione europea dei Diritti Umani e l'Human Rights Act (1998) non includono alcun riferimento al diritto fondamentale all'eguaglianza. Il Patto per i diritti civili e politici crea diritti giustiziabili mentre il Patto per diritti economici e sociali chiede allo Stato di "fare dei passi" verso una loro implementazione. Queste mancanze ed omissioni riflettono le divergenti traiettorie della tradizione liberale e socialista che conducono a diverse accezioni di diritti.

Questa comprensione storica e filosofica ci aiuta a ri-orientare i diritti umani in diversi modi. I diritti umani internazionali costituiscono un fatto nel mondo e ciò aggiunge un tocco di universalismo. Ma qualsiasi cosa i trattati internazionali, le commissioni e le corti dicano, i diritti sono violati o rispettati dallo Stato e dalle forze militari, dalle corti, dai burocrati e dalla polizia locali. Le libertà civili e politiche, i diritti economici e sociali sono stati conquistati in battaglie politiche contro le autorità nazionali e non nelle conferenze internazionali. Parlare di diritti universali ha un valore retorico ma una debole presa quando i migranti per ragioni economiche sono interrogati dai funzionari dell'immigrazione e gli apparati elettronici, le videocamere a circuito chiuso e ogni sorta di controllo dei dati, il nuovo vis anglais, mappano e registrano ogni aspetto della vita.

Francesca Klug ha recentemente sostenuto che i codici dei diritti non possono essere dei "sostituti della politica" (2). Questo è giusto ma sfortunatamente non è più vero da molto tempo. Durante gli ultimi trenta anni, i diritti sono diventati uno dei modi più importanti di fare politica sia di destra che di sinistra. In questo caso non faccio riferimento alle libertà civili e alle limitate protezioni di cui i non privilegiati, gli oppressi ed i poveri godono. La loro difesa costituisce una delle istanze principali dei diritti umani, l'espressione contemporanea del bisogno di resistere alla dominazione e all'oppressione. Il problema è differente: diventando l'espressione vernacolare di qualsiasi tipo di aspirazione e desiderio individuale ed il linguaggio dominante della politica pubblica, i diritti umani hanno perso il loro significato ed il loro carattere precipuo. Il Mail, il Sun, e i conservatori conducono l'attacco contro gli "immigrati illegali" e i "finti rifugiati", la questione fondamentale dei diritti, e promuovono allo stesso tempo i diritti delle vittime del crimine, dei proprietari e dei banchieri. Per questi difensori dell'individualismo del libero mercato, i diritti sono un giocattolo della classe media.

Jack Straw si è unito al coro dall'altro lato. Rispondendo all'attacco dei Tory, il governo ha promesso un progetto di legge su "diritti e responsabilità" e l'ha paragonato alla Magna Carta e al Bill of Rights del 1688. In accordo con il Ministro della Giustizia Michael Wills (3), la legge non dovrà comprendere solo le libertà tradizionali ma anche "la questione del lavoro, della casa, della assistenza sanitaria e dell'educazione [...] le frustrazione della vita pubblica quotidiana [...] il divieto di caccia e di fumo". Ciò costituisce una lista abbastanza ampia di priorità politiche.

Quando il Labour era ancora un partito di sinistra, aveva capito che la politica esprime, condensa e mira a mediare il conflitto sociale ed economico. L'antagonismo è la vita della politica e la giustizia sociale è il suo obiettivo. Ma dal momento in cui il Labour ed i Tories si sono spostati ideologicamente verso il centro e hanno iniziato a perseguire le medesime politiche, il conflitto è stato dichiarato finito. L'enfasi sui diritti delle vittime del crimine e dei consumatori seguono la stessa agenda. Sembra che il ricco manager e il disoccupato condividano comuni interessi e valori. Ma dal momento titolari ne sono i singoli individui, i diritti non possono affrontare la questione della disuguaglianza né sono sinonimi di giustizia. Quando i diritti diventano il linguaggio predominante della politica, si uniscono all'agenda della "scelta" e divengono un'espressione del neo-liberalismo. Non appena il conflitto ritorna in una nuova intensa forma, la Sinistra ha bisogno di ri-pensare i diritti.


Note

*. "Who counts as 'human'?", The Guardian, 1 aprile 2009 (traduzione di Letizia Lindi).

1. Cfr. C. Douzinas, The End of Human Rights. Critical Legal Thought at the Turn of the Century, Hart, Oxford - Portland 2000.

2. "The rights of the Human Rights Act", The Guardian, 25 marzo 2009.

3. "Hard times call for a new bill of rights", The Sunday Times, 22 marzo 2009.