2005

Prospettive attuali del pluralismo normativo (*)

Alessandra Facchi

La prospettiva del pluralismo giuridico ha le proprie origini nella scienza giuridica antiformalistica, si è radicata nella sociologia del diritto per diventare un paradigma costitutivo dell'antropologia giuridica. Il suo presupposto, più o meno manifesto, è evidentemente una nozione di diritto che va oltre la sfera dell'ordinamento statale, identificandone determinati caratteri che sono osservabili anche in ordinamenti sociali differenti. Nozioni di questo genere erano necessarie per affrontare norme e strutture regolative nella società senza scrittura e senza stato, in cui il diritto non era concettualizzato e formalizzato come ambito autonomo. Alcuni antropologi del diritto come Hoebel e Pospisil hanno formulato definizioni autonome di diritto, altri hanno fatto riferimento alla distinzione hartiana tra norme primarie e secondarie, con il principale obiettivo di fornire dei criteri per separare le norme giuridiche dal complesso delle norme sociali. Questa operazione di isolamento e focalizzazione del diritto ha costituito d'altronde una legittimazione dell'antropologia giuridica come disciplina autonoma all'interno della scienza antropologica.

Una volta affermatosi lo stato, la scrittura e con essi ordinamenti positivi che hanno preteso di autonominarsi 'diritto', in altri termini con la quasi totale sparizione delle società tradizionali e il loro inglobamento in stati nazionali, le situazioni di intreccio di norme con differenti fonti sono diventate la normalità. Gli antropologi del diritto hanno allora adottato il paradigma del pluralismo giuridico per studiare realtà di convivenza di norme, sanzioni e organi di giustizia, solo in parte ufficialmente riconosciute dalle istituzioni governative. Quest'approccio è stato però applicato anche allo studio di norme interne a gruppi sociali nei paesi occidentali, rivolgendosi non solo a minoranze e alle sacche di sopravvivenza di diritti folkorici, ma anche ad organizzazioni religiose, associazioni di vario genere, grandi industrie, ordini professionali, ecc. I più significativi contributi alla letteratura sul pluralismo giuridico vengono da antropologi del diritto e consistono sia in ricerche su casi specifici, sia in analisi che hanno ripetutamente periodizzato, discusso e riformulato il concetto stesso di pluralismo giuridico.

Negli ultimi decenni gli studi sul pluralismo giuridico hanno ricevuto un nuovo impulso da molti di quei fenomeni che sono stati ricondotti alla crisi dello Stato nazione, alle migrazioni e alla globalizzazione: da un lato all'emergere di vecchie e nuove identità collettive e richieste di riconoscimento, dall'altro all'imporsi di modelli economici, che a loro volta generano modelli culturali, che non conoscono le frontiere tradizionali.

In questo quadro si manifestano una pluralità di fenomeni normativi, infra, supra e transnazionali, che non sono riconducibili all'ordinamento giuridico statale. Dunque anche i paradigmi classici del pluralismo giuridico, si sono dovuti e continuano a modificarsi così da poter rispecchiare e servire come strumento di analisi di questi nuovi fenomeni. Proprio le mutate caratteristiche delle società occidentali e l'imporsi di nuovi centri di produzione normativa hanno attratto sul pluralismo giuridico l'attenzione di prospettive differenti da quella della ricerca antropologica, dando luogo ad alcuni tentativi di ricollocarlo all'interno di teorie più ampie sulla società e sul diritto.

Non solo il pluralismo giuridico è stato posto come un riferimento essenziale in una visione post-moderna del diritto (De Sousa Santos 1987) ma è stato anche analizzato e inserito all'interno di teorie neo-sistemiche del diritto (Teubner 1992) originando degli aggiustamenti nella concezione di chiusura sistemica dell'ordinamento giuridico statale. Il pluralismo giuridico è tornato ad attrarre anche l'attenzione della scienza giuridica. Alcuni giuristi hanno ritrovato in questa nozione, variamente riformulata, un paradigma utilizzabile per trattare di nuovi fenomeni normativi e dei loro complessi rapporti. Il riferimento ad una pluralità di fonti del diritto, non tutte riconosciute e assorbite dall'ordinamento giuridico statuale, non è più un'esclusiva degli antropologi o dei sociologi del diritto.

Vi sono stati anche alcuni tentativi di riformulare la nozione di pluralismo giuridico in forme più rispondenti alle esigenze della pratica del diritto. Un esempio è il concetto di "legal polycentricity" consolidatosi nella scienza giuridica scandinava, ma poi allargatosi ad autori di altri paesi europei. Questo concetto "indicates an understanding of 'law' as being engendered in many centres - non only within a hierarchical structure - and consequently also as having many forms. If one should distinguish between a legal pluralist and a legal polycentric approach to law the difference lies perphaps mainly in the perspective". E cioè mentre il primo, è tradizionalmente un approccio descrittivo che si propone di osservare e capire "the legal landscape from outside, legal polycentricity approaches legal science from within and tries to reach another understanding - and practice - of law to influence and interact with the landscape [...] Legal policentricity attempts to reform the understanding of law form inside, it may even influence the approaches taken by legal doctrine" (Petersen and Zahle 1995, p.8).

A fronte di questa apertura verso il pluralismo giuridico varie voci hanno riproposto l'obiezione fondamentale al paradigma del pluralismo giuridico: e cioè la difficoltà, o comunque l'inopportunità, di parlare di diritto al di fuori dell'ordinamento statuale e la necessità di individuare dei criteri per selezionare tra l'insieme delle norme sociali, norme da chiamarsi giuridiche (cfr. Tamanaha 1993). Perplessità sull'uso del termine giuridico e sulla difficoltà di tracciare un confine tra norme giuridiche e non giuridiche, individuando un diritto non statuale, erano emerse anche in alcuni importanti contributi di antropologi del diritto, in modo esplicito come in Merry (1988) o implicito come in Falk Moore (1973) che parla di campi normativi e non di diritto.

Non mi addentrerò in questo argomento, anche perché gran parte degli antropologi del diritto che riconducono le proprie ricerche sotto l'etichetta del pluralismo giuridico sono arrivati a considerare irrilevante una definizione netta e generale di ciò che è o non è diritto, assumendone il carattere stipulativo e limitandosi a cercare nozioni con capacità operativa nei singoli ambiti di ricerca.

Personalmente preferisco parlare di pluralismo normativo, perché evita ambiguità, non propone un significato di 'diritto' troppo lontano dall'uso comune e dall'uso diffuso dei giuristi e permette di allargarsi ad un complesso di norme, che è sinceramente difficile considerare "giuridiche" ma che possono entrare in relazione con norme di diritto positivo o con norme istituzionali, si pensi al caso delle norme interne di una tifoseria calcistica o a varie prescrizioni rituali islamiche.

E' evidente che in questo senso pluralismo come monismo sono modelli in partenza prescrittivi nel senso che presuppongono definizioni di ciò che deve essere considerato diritto, ma ciò non implica necessariamente una preferenza per una situazione di pluralità di ordinamenti. E' vero però che di fatto il pluralismo giuridico ha avuto la funzione di richiamare l'attenzione sui legami sociali del diritto e sulla complessità delle reti di norme estranee al diritto statuale e dunque di problematizzare una visione del diritto come sistema e della legge come fonte primaria.

Uno dei fenomeni per i quali il pluralismo giuridico costituisce un approccio privilegiato è quello delle società multiculturali. Senza dimenticare la presenza storica delle minoranze nazionali, il carattere multiculturale delle società europee attuali è da ricondursi principalmente ai flussi migratori da paesi africani, asiatici, sudamericani e più recentemente anche dell'est europeo, iniziati nella seconda metà del secolo, ma che hanno registrato nell'ultimo ventennio una decisa accelerazione.

In quest'intervento vorrei segnalare tre tendenze riscontrabili nella letteratura contemporanea sul pluralismo giuridico e le particolari implicazioni che esse assumono nell'ambito delle società multiculturali.

1. Alain Touraine, in un recente libro (1997), per fronteggiare la dissociazione tra economia globalizzata e identità culturali chiuse e "coniugare ragione strumentale e identità culturali, l'unità dell'universo tecnologico e mercantile con la diversità delle culture e delle personalità", propone di porre in primo piano il Soggetto. Secondo Touraine il Soggetto va posto al centro dell'analisi come strategia per combattere "da un lato contro le ideologie e le politiche comunitariste e dall'altro contro l'ideologia neo-liberista" che governa i processi di globalizzazione.

La focalizzazione sul soggetto, sull'individuo (anche se per Touraine non sono sinonimi), caratterizza attualmente varie prospettive di pensiero (tra le più interessanti l'approccio delle capacità, cfr. Sen 1986). Ciò sembrerebbe a prima vista in contrasto con l'emergere di identità collettive, vecchie e nuove, che chiedono riconoscimento e diritti, eppure proprio la moltiplicazione delle appartenenze di gruppo, porta ad una rivalutazione dell'individuo come punto di riferimento finale nel quale cercare una composizione delle differenti identità normative e dei loro potenziali conflitti.

Questa centralità dell'individuo si risente anche nelle trasformazioni del paradigma del pluralismo giuridico, che nato e sviluppatosi con riferimento ad una visione incentrata sui sistemi giuridici, ha progressivamente affinato una visione incentrata sui soggetti. Alcuni studiosi già da tempo hanno cominciato a formulare una nozione soggettivistica di pluralismo giuridico (Vanderlinden 1989), che facesse riferimento non ad una pluralità di sistemi giuridici ma all'individuo soggetto di norme con fonti differenti. Questa tendenza si è accentuata in recenti saggi, (Chiba 1998; Petersen e Zahle 1995) che ribadiscono l'importanza di focalizzarsi sul soggetto e sulle scelte che esso opera tra norme con fonti e contenuti differenti, talora conflittuali o, in altri termini, di adottare una "actor perspective", come strumento per fronteggiare la policentricità e la frammentazione dei sistemi giuridici.

E' ormai da tempo sottolineato come l'individuo nelle società contemporanee appartenga a più gruppi di riferimento, come la sua identità sia frammentata e come dunque sia soggetto a modelli e norme non sempre compatibili talvolta anche conflittuali. Ogni individuo condensa in sé una scelta di norme derivanti dalle sue molteplici appartenenze, la sua scelta diventa dunque un momento essenziale per la comprensione sociologica, ma direi anche, passando ad un altro piano, per la scelte politiche e giuridiche. Ciò è particolarmente significativo per gli stranieri immigrati in Europa, che fanno riferimento a una pluralità di norme, norme con fonti molteplici e eterogenee, non solo diritti positivi degli stati di provenienza, ma religiose, etniche, tradizionali, norme transanazionali o infranazionali, spesso con validità personale o etnica e non territoriale, non necessariamente riconosciute dagli ordinamenti statuali, ma non per questo meno efficaci. Buona parte dei rapporti interni alla comunità sono regolati autonomamente, e, anche se di rilevanza giuridica, sfuggono al controllo delle istituzioni del paese di immigrazione.

Per analizzare empiricamente queste situazioni mi sembra necessaria una concezione che non parta dal presupposto dell'esistenza di più sistemi normativi, che spesso sono nozioni astratte, ma che cerchi di ricostruire le norme che orientano i comportamenti e le credenze degli individui. E' particolarmente vero in questo contesto che la nozione di pluralismo giuridico non implica necessariamente la compresenza di sistemi, ma anche soltanto di singole regole o meccanismi. In particolare le concezioni istituzionali o sistemiche del pluralismo, a partire da quella di Santi Romano fino a quella di Sally Falk Moore sono inadatte. Eccetto che nei casi di comunità numerose e stabilizzate da tempo, nelle società multietniche attuali siamo raramente di fronte a sistemi normativi, a "enti sociali" o a "campi sociali semi-autonomi", cioè a gruppi in grado di creare e applicare una propria normativa autonoma. Più facilmente siamo in presenza di individui che seguono norme aventi origini in ordinamenti differenti. Per i migranti i sistemi si sono disintegrati, la situazione in cui si trovano ha dato vita a nuove interrelazioni tra le norme spesso estranee al sistema originario e contingenti. Anche in questo senso la locuzione 'pluralismo normativo' mi pare più corretta.

Sul piano delle teoria politica e dei modelli multiculturalisti la centralità dell'individuo viene sostenuta da coloro che, come Habermas (1995), mettono in guardia contro i rischi che per l'individuo può comportare l'attribuzione di diritti al gruppo cui è considerato appartenere o che comunque propendono per una politica che subordini i diritti collettivi a quelli individuali (Comanducci 1994). Una serie di fattori consigliano prudenza nel prendere le organizzazioni di immigrati come punto di riferimento per l'attribuzione di diritti o per la determinazione di scelte normative. Le popolazioni immigrate sono infatti molto eterogenee, non si può dire che costituiscano delle "minoranze", ma piuttosto delle comunità, dei gruppi l'appartenenza ai quali è difficile da definire in base a criteri tradizionali (cfr. Furiani 1994) Agli organismi istituzionali fa riferimento una parte molto limitata delle comunità, le loro formulazioni e richieste non possono dunque spesso essere considerate sufficientemente rappresentative. Si rischia dunque di creare una cultura facendo riferimento solo alle istanze più visibili, organizzate e potenti e imponendo implicitamente degli obblighi anche per chi non vi si riconosce o per i loro componenti con meno potere interno.

In alcuni casi, poi, la riconduzione delle persone a soggetti collettivi può far sorgere contrapposizioni artificiose ed esasperare conflitti che possono invece essere meglio affrontati attraverso un approccio incentrato sulle specificità, sui bisogni del singolo, che eviti nell'identificazione dei suoi diritti sia le rigidità di una concezione occidentale, sia quelle trasmesse da una visione superficiale della cultura d'origine. Penso in particolare alle donne e al rischio che corrono di essere soffocate dalle opposizioni tra multiculturalismo e femminismo (Okin 1998, Facchi 1998).

Se far riferimento alle istituzioni ufficiali e alle norme da esse espresse è riduttivo rispetto all'immigrazione nel suo complesso, lo è ancora di più per la componente femminile. Il problema si sposta soprattutto sui meccanismi di partecipazione e di potere interni alle comunità: sia la garanzia di margini d'autonomia, sia l'attribuzione di beni e diritti ai gruppi senza una verifica di come saranno utilizzati al loro interno comporta una buona probabilità di discriminazione degli individui con meno potere, tra cui in primo luogo le donne. La loro partecipazione nel determinare la linea, le richieste, i rappresentanti delle comunità è infatti generalmente molto limitata.

Quindi sia in una prospettiva di analisi del pluralismo esistente sia in una prospettiva di politica del diritto mi sembra fondamentale porre in primo piano l'individuo e la sua autonomia di scelta. Il che non significa che dal punto di vista metodologico la comprensione sociologica possa far riferimento ad un individuo astratto dai suoi legami culturali e sociali, né che dal punto di vista politico si possa prescindere dal riferimento ad associazioni e soggetti collettivi.

2. Il secondo punto al quale vorrei accennare è l'importanza che assume un approccio conflittualista nella considerazione di fenomeni contemporanei di pluralismo normativo. Già da tempo la letteratura antropologica ha sottolineato i rapporti di potere nell'interazione tra diritti ufficiali e diritti informali, e come dunque il paradigma del pluralismo giuridico debba tenerne conto (Cfr. Starr e Collier 1989), sottraendosi alla connotazione di uguaglianza a cui la locuzione stessa potrebbe implicitamente far pensare.

Come è stato più volte sottolineato, l'attenzione per il pluralismo ha avuto anche l'effetto di attrarre l'attenzione verso i gruppi sociali con minor potere, le loro istituzioni e i loro discorsi, nascosti dalle rappresentazioni ufficiali di un diritto unitario, espressione artificiale di un'identità nazionale.

E infatti alcune esponenti della teoria giuridica femminista si sono richiamate esplicitamente ai modelli del pluralismo giuridico (Cfr. Petersen 1993) come quadro concettuale che permette di comprendere un'ampia produzione di norme informali che regolano la vita delle donne. Queste norme sono prodotte dalle interazioni femminili nei luoghi delle loro attività, ma non sono riconducibili al diritto formale dello Stato, pur entrando in rapporto con esso, e non sono dunque riconoscibili con gli strumenti della scienza giuridica ufficiale. Si tratta di norme informali che da un lato costituiscono una componente essenziale della loro vita giuridica, dall'altro possono diventare la base per la costruzione di un diritto formale delle donne.

Nelle più recenti definizioni di pluralismo giuridico la dimensione del conflitto è considerata essenziale (per una discussione della definizione che comprenda i casi di conflitto cfr. Chiba 1998), anche nel pluralismo derivante dall'immigrazione norme con differenti origini possono convivere, integrarsi, modificarsi, o essere in conflitto tra loro. Conflitto che può essere manifesto, immediatamente identificabile nelle prescrizioni, o latente, rivelantesi cioè in determinate situazioni di applicazione delle norme.

D'altro lato nelle società multiculturali non bisogna trascurare che i conflitti non sono soltanto culturali, ma sono anche, e forse soprattutto, conflitti economico e sociali. La riemersione della prospettiva conflittualista è caratterizzata dal coniugarsi dell'attenzione alle differenze culturali con quella alle differenze socio-economiche. In linea con questa prospettiva è l'idea che ciò che costituisce il titolo alla tutela e alla promozione delle caratteristiche di un gruppo minoritario, non sia la sua diversità e specificità, ma la discriminazione, l'oppressione che subisce in conseguenza di esse. Una volta eliminate queste e cioè una volta raggiunta una società composta non da minoranze e maggioranza, ma da gruppi paritari, qualunque legislazione di sostegno non avrebbe più ragione di esistere.

Le cinque facce del concetto di oppressione individuate da Young, sfruttamento, marginalizzazione, mancanza di potere, imperialismo culturale, violenza, sono tutte, in varia misura naturalmente, applicabili ai gruppi di immigrati (Young 1996, pp.51 sgg) Tuttavia quelle attualmente più sentite sono le prime tre: la maggioranza delle popolazioni immigrate rivela di soffrire più per difficoltà economiche e di emarginazione sociale, che per conflitti culturali.

Il miglioramento delle condizioni economiche è riconosciuto anche come una componente essenziale per la conservazione dell'identità culturale delle persone. D'altra parte "soltanto l'eliminazione o la riduzione sostanziale delle diseguaglianze di classe tra la maggioranza e le minoranze culturali può far diventare l'educazione multiculturale un obiettivo realizzabile" (Blau 1995, p.59).

3. Accanto alla comunicazione e all'educazione che si propongono sempre più come strategie preferenziali del multiculturalismo, si assiste, a mio parere, anche alla rivalutazione del ruolo del diritto come agente di mutamento, tutela e promozione delle differenze, tendenza già in atto nella letteratura femminista. Il diritto positivo, nonostante la sua perdita di aderenza alla società, mantiene un ruolo significativo anche perché ci pone di fronte a scelte precise e obbliga a dare un contenuto pratico a principi che altrimenti mantengono spesso una dimensione di vaghezza e ambiguità.

Dal punto di vista dei soggetti i conflitti tra differenti identità, non possono certo essere risolti dal diritto, che può solo semplificarli, trasformarli, cercando delle soluzioni di compatibilità e mediazione o diminuendo la sofferenza della semplificazione imposta. Ma proprio perché alcune valenze identitarie sono di fondo inconciliabili che la strada può essere quella di prestare il massimo ascolto ai tentativi di conciliazione individuale. E anche in questa ricerca e tutela delle scelte dell'individuo, siano esse in linea o meno con quelle comunitarie, il diritto può fare molto.

In che modo gli ordinamenti positivi europei possono affrontare il pluralismo normativo legato alla presenza di immigrati? Si tratta di un argomento molto vasto che non posso qui trattare. Mi limito a ricordare due direttive di intervento politico-giuridico: la prima che partendo dalla constatazione dell'esistenza di norme e comportamenti legati all'appartenenza comunitaria ne regoli l'attuazione, nel rispetto dei principi fondamentali delle Costituzioni e delle Dichiarazioni internazionali, la seconda che realizzi la tutela dei diritti individuali a partire da una visione non assimilazionista ma pluralista.

In particolare l'accesso ai diritti sociali e la loro applicazione in forme compatibili con le prescrizioni culturali e religiose costituisce un obiettivo fondamentale. Ciò sia nella prospettiva di ridurre le differenze economiche e sociali tra le popolazioni immigrate e quelle autoctone, sia in quella di tutela della libertà e dell'autonomia individuale nei confronti della comunità o della famiglia di appartenenza.

Le implicazioni prescrittive dell'attenzione per il pluralismo normativo sono evidenti: prendere atto delle differenze e tentare di comprenderle è il primo passo per riconoscerle e trattarle giuridicamente. Non è un caso che anche la scienza giuridica mostri di estendere il proprio interesse a fenomeni normativi esterni al diritto statuale, che fino a poco tempo fa erano lasciati ai sociologi del diritto, alla ricerca di soluzioni concrete per fronteggiare l'attuale eterogeneità. Né che la filosofia politica e giuridica mostri un evidente bisogno di contestualizzazione dei modelli teorici e dunque di legami più stretti sia con l'osservazione sociologica, sia con gli interventi giuridici e i loro effetti. L'approccio del pluralismo normativo nel quadro attuale, nazionale e transnazionale, può costituire un terreno fecondo di comunicazione tra prospettive di ricerca differenti: giuridiche, socio-antropologiche, etico-politiche.

Riferimenti bibliografici

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*. Questo testo costituisce una rielaborazione dell'intervento pubblicato in Conflitti e diritti nella società transnazionale, a cura di V. Ferrari, P.Ronfani, S. Stabile, F. Angeli, Milano 2001, pp. 405-12.