2011

Federalismo, cosmopolitismo, complessità

Simone Vannuccini

Introduzione redazionale

Il processo di globalizzazione economica è caratterizzato da una frattura fra lo spazio economico e lo spazio dell'agire politico, con rilevanti fenomeni economici, sociali e ambientali che trascendono i confini degli stati nazionali. Questo fa sì che la riflessione relativa alle concrete possibilità di rafforzamento di un governo sovranazionale sia centrale nell'analisi delle sfide create dalla globalizzazione stessa.

With all my heart I believe that the world's present system of sovereign nations can lead only to barbarism, war and inhumanity
Albert Einstein

1. - I limiti del cosmopolitismo occidentale

La teoria federalista, intesa come "l'ideologia politica del superamento dei limiti dello stato nazionale verso l'unificazione del genere umano" (1) (Rossolillo, 2010), si inscrive (seppure con alcuni distinguo) nell'ambito delle riflessioni sul "pacifismo cosmopolitico" o istituzionale (Zolo, 1995), ovvero in quel filone della filosofia politica che ritiene necessario il superamento dell'attuale sistema internazionale, fondato sui rapporti interstatali e percepito come fortemente anarchico, per l'eliminazione delle possibilità di conflitto e delle asimmetrie di potere che ne sono alla base.

Le radici filosofiche di questa impostazione di pensiero sono il razionalismo illuminista di matrice kantiana e l'interpretazione della storia, dedotta prevalentemente dalle condizioni materiali della produzione, come progresso lineare e continuo; lo strumento concettuale più rilevante è invece quello della domestic analogy, ovvero l'estensione di scala del processo di cessione di sovranità avvenuto secoli addietro con l'affermazione e la strutturazione degli stati nazionali. Il monopolio della violenza, ma anche quello della riscossione e gestione dei proventi della tassazione, deve essere elevato ad un livello superiore rispetto a quello in cui il conflitto si genera, in modo da ricostituire una cornice istituzionale dotata sia di potere coercitivo che della di capacità di governare il conflitto stesso e di ricreare, di conseguenza, le condizioni per l'ordine ed il rule of law.

La tradizione del cosmopolitismo occidentale (d'ora in poi cosmopolitismo) annovera tra i suoi teorici pensatori del calibro di Immanuel Kant, Hans Kelsen, Norberto Bobbio, Ulrich Beck, Jürgen Habermas, ma ciò nonostante la forza esplicativa e la robustezza intellettuale cedono il passo a numerose critiche; il cosmopolitismo tende a suscitare sospetti di eurocentrismo (e infatti i suoi sostenitori vengono definiti western globalist) e a trasformare quelli che secondo alcuni scettici sono solamente valori e istituzioni che rientrano nel campo normativo dell'evoluzione storica dell'Occidente in "tappe obbligate (2)" di natura positiva, soluzioni one-size-fits-all, valide universalmente in ogni tempo e contesto.

L'ipotesi di un governo mondiale democratico ha come contraltare il rischio dell'imposizione totalizzante di un potere imperiale (3), inteso come negazione delle diverse realtà politico-sociali esistenti, così come l'universalismo dei diritti e delle logiche istituzionali, sociali ed economiche (4), se da una parte può spingere il sistema verso un ordine "immaginato" o "pianificato", dall'altra può avere la forza di soffocare ogni contaminazione costruttiva di culture e quel "politeismo dei valori" tanto caro a Max Weber che stimola la creatività, l'innovazione e lo sviluppo competitivo della civiltà umana.

I limiti al cosmopolitismo sopra esposti rappresentano dunque problemi di natura etica e filosofica difficilmente risolvibili, nel senso che è impossibile determinare a priori e con ragionevole certezza se, al momento della creazione di un reale potere sovranazionale, le forze in gioco tenderanno a riproporre la formula dello stato nazionale a scala più grande, con tutti i problemi che questa forma di organizzazione del potere comporta, dal rafforzamento delle identità esclusive alla centralizzazione di funzioni e competenze, oppure se la cosmopolis si reggerà su logiche ed equilibri del tutto inediti e capaci di inaugurare una nuova fase di pacifica convivenza nella storia dell'uomo; l'unica certezza che abbiamo risiede nel fatto che dalla proposta cosmopolitica emergono dei limiti evidenti non appena l'idea di una Pace raggiunta tramite le istituzioni e la progressiva unificazione di tutti i popoli si scontra con la resistenza all'omologazione e all'inclusione sotto una stessa lente interpretativa della realtà. Vedremo come il federalismo possa ovviare a questi limiti, proponendosi come struttura istituzionale adatta a gestire la complessità e la contemporanea intersezione di diversi livello di governo, spesso sovrapposti o concorrenti; ma per fare ciò è prima necessario abbandonare la "veste" dell'ideologia politica cosmopolita ed andare ad analizzare la trasformazione sistemica che coinvolge le logiche dell'economia e della società mondiale.

2. - Dis-accoppiamento globale

Un modo molto intuitivo ed interessante per spiegare quanto la globalizzazione odierna sia diversa dai processi di creazione di spazi economico-politici di ampiezza e interdipendenza mondiale del passato, dalla Venezia di Marco Polo all'impero Britannico (5) (altro esempio di pax quasi-universale ottenuta tramite istituzioni imposte dall'Occidente al resto del mondo), è quello offertoci da Saskia Sassen, che nel suo Territory, Authority, Rights (Sassen, 2006), propone di abbandonare il "nazionalismo metodologico" (Castaldi, 2008) che pervade e caratterizza le scienze sociali contemporanee e di concentrarsi sul risultato, mutevole nel tempo, della combinazione di tre categorie fondamentali: lo spazio geografico "socializzato" (il territorio), il potere politico (l'autorità), i diritti. Le istituzioni, che in questo contributo intendiamo in senso ampio, ovvero come le regole del gioco sociale (Bellanca, 2008), rientrano in tutte e tre le categorie.

Nella prospettiva appena delineata, lo stato nazionale non è altro che un "punto di accumulazione", una forma organizzativa nella quale le tre dimensioni prima descritte si coagulano: alla sovranità nazionale (authority) e all'estensione "statale" del territorio e del mercato (territory), corrispondono i diritti di cittadinanza (rights) e il sentimento di appartenenza esclusiva riassumibile nel nazionalismo.

La particolarità della globalizzazione odierna consiste proprio nella tendenza al dis-accoppiamento di questi elementi, dovuta in primo luogo agli effetti della rivoluzione della telematica e dell'ICT intese come general purpose technologies (Jovanovic, Rousseau, 2005), e alla conseguente transizione verso una "technologia intellettuale di produzione" fondata sull'applicazione e sull'elaborazione algoritmica della conoscenza (6). Il momento attuale rappresenta quindi una fase epocale di transizione verso nuove logiche organizzative, nuovi modelli produttivi, nuove forme di governo, di partecipazione e di conflitto, molte delle quali ancora in formazione (7): la de-territorializzazione dell'attività umana, così come l'acuirsi della gravitá delle sfide politiche di respiro globale (in particolare la questione ambientale, ma anche il terrorismo e la criminalità transnazionale) fanno emergere nuovi attori e nuovi ambiti di relazione e danno forza alla richiesta di nuovi diritti, non necessariamente ancorati e ristretti ai confini della nazione; tra quest'ultimi la cittadinanza europea, garanzia dei diritti di quarto livello (dopo quelli civili e politici, economici e sociali) e modello di appartenenza identitaria multilivello rappresenta una delle conquiste più avanzate (8).

La globalizzazione si connota perciò come un fenomeno complesso e multidimensionale, difficile da inquadrare in un rigido schema teorico proprio a causa della sua natura "fluida"; la stessa definizione di post-nazionalismo data da Habermas si rivela limitativa in quanto capace di evidenziare solamente la direzione "ascendente" del processo di trasformazione della sovranità nazionale, come se quest'ultimo fosse unidirezionale e già definito (su questo punto, vedere le critiche della Sassen, op. cit.). Concentrarsi solo sulla cessione di sovranità verso livelli di governo sovraordinati rispetto agli stati non permette di cogliere appieno ciò che invece avviene orizzontalmente, ovvero le possibilità di azione (le finestre di opportunità) che si aprono per tutti i nuovi soggetti non-statali (tra i quali le ONG, i movimenti alterglobalisti, le multinazionali) ma anche, allo stesso tempo, l'emergere di nuovi campi di intervento per gli stessi stati nazionali (9).

Per tutti i motivi appena delineati la società mondiale si configura oggi come un grande sistema complesso, fatto di connessioni e relazioni multiple, asimmetrie di potere, non linearitá ed effetti di causazione cumulativa (Myrdal, 1956), feedback positivi e negativi. Il nostro tentativo e la nostra proposta sarà perciò quella di analizzarla attraverso le categorie e gli strumenti messi a disposizione dalle scienze delle complessità, per suggerire come il federalismo, in quanto architettura istituzionale plurilivello e "concorrenziale", rappresenti la forma di governo più desiderabile per sfruttare appieno le possibilità offerte dal mondo globalizzato, anche al di là di un impianto ideologico che, per quanto affascinante, resta vittima della sua stessa proposta universalistica.

3. - Equilibri multipli e proprietà emergenti

Ovviamente non è questo l'ambito privilegiato per una rassegna delle caratteristiche fondamentali delle scienze della complessità (Mitchell, 2009); ciò che più direttamente ci interessa è invece il modo in cui le scienze sociali abbiano recepito alcune categorie innovative, rivelatesi molto utili per spiegare i fenomeni politici ed economici. Forse più che in fisica ed in chimica, infatti, nell'evoluzione del comportamento umano come homo socialis si riscontra la contemporanea presenta di numerose variabili in relazione incrociata, sovrapposta ed interconnessa; già ad una prima analisi parlare di causa ed effetto, dunque di causalitá (Hoover, 2001) appare quantomeno semplicistico, se non riduttivo. In particolare nel contesto di globalizzazione che abbiamo delineato, nella transizione da un regime strutturato ad uno molto più destrutturato (o meglio, strutturato secondo logiche ancora non completamente chiare), la moltiplicazione dei soggetti in gioco e la possibilità di aumentare a dismisura i momenti di contatto e scambio di conoscenza, informazione, beni e servizi (ma anche, volendo, malattie e prodotti dannosi), rende molto difficile prevedere quale possa essere l'esito finale della transizione stessa.

In particolare alcuni studiosi di relazioni internazionali si sono interessati all'applicazione della General System Theory (10) nell'ambito delle teorie internazionaliste, pensando, come abbiamo già detto, la società mondiale come un unico grande sistema, integrato dalla tecnologia, dalla politica e dal mercato (nonché da vincoli esogeni di tipo ambientale e fisico) e indagando le condizioni di possibilità affinché da una situazione di complessità apparente l'ordine possa emergere spontaneamente.

L'ordine spontaneo, inteso come coordinamento involontario di migliaia (se non milioni) di decisioni individuali (11), non sarebbe altro che il risultato di un processo di auto-organizzazione del tutto simile a quelli osservabili in fisica dove, a certe condizioni, l'equilibrio instabile del sistema preso in considerazione si rompe per ripresentarsi ad un nuovo livello e in forma inattesa. La società umana e le sue istituzioni non sarebbero altro che "proprietà emergenti", risultato della contestuale interazione tra tutte le sue componenti, il contesto ambientale e i condizionamenti del percorso storico seguito durante la propria evoluzione nel tempo (la c.d. path dependance).

A sostegno di quanto detto finora viene spesso citato anche Hobbes il quale, nonostante con il suo Leviatano abbia suggerito una delle giustificazioni filosofiche della dottrina della domestic analogy, rilevava la grande differenza concettuale esistente fra uomini e stati: se l'uomo è lupo per gli altri uomini, lo stesso non può essere sostenuto con la medesima certezza per quanto riguarda le nazioni: la condizione status statui lupus non è così stringente come nel caso della natura umana. I rapporti interstatuali, un gioco tra agenti (gli stati) molto strutturati (spesso gerarchicamente) e complessi, non rischierebbero di scivolare nel caos nonostante l'assenza di un chiaro e lineare ordine mondiale.

Il corollario più importante di questa riflessione è che ogni tentativo di pianificazione istituzionale, ogni imposizione o adozione di un ordine pensato e teorizzato "a tavolino", rappresenterebbe soltanto un dannoso caso di hybris del costruttivismo, secondo l'ormai classica formulazione di Hayek (Montani, 2005).

L'applicazione alle scienze sociali di categorie mutuate dalla teoria dei sistemi complessi può rivelarsi molto utile, soprattutto nell'offrire una serie di strumenti concettuali capaci di rappresentare la realtà sociale come risultato di innumerevoli micro-relazioni, ma nonostante ciò l'approccio appena utilizzato presenta una serie di limiti che ne influenzano la portata esplicativa: innanzitutto a) possiamo rilevare come in realtà la storia dell'uomo sia piena di tentativi di pianificazione istituzionale premiati dal successo e capaci di influenzare le scelte organizzative di altri luoghi del mondo o di successivi periodi storici; si pensi alla democrazia ateniese, all'impresa come forma organizzativa scientificamente progettata per la produzione, al processo di integrazione europea (ed in particolare al raggiungimento dell'unione economica e monetaria); inoltre b) la forte spinta all'isomorfismo scientifico tra scienze naturali e sociali rischia di far passare in secondo piano significative differenze fra questi due "mondi", soprattutto quando evidenziamo come nei rapporti umani abbiano un peso molto rilevante le asimmetrie di potere, le disuguaglianze e le vulnerabilità sociali, gli interessi e le identità di gruppo, tutti elementi di disturbo (noise) rispetto alle dinamiche auto-organizzative, che rischiano quindi di essere vanificate o distorte. Al di là dei limiti resta il fatto che il mondo globalizzato è comunque un complex adaptive system (CAS) attraversato da dinamiche sempre meno controllabili e da tentativi spontanei di organizzazione (si pensi all'evoluzione di Internet); se la pianificazione istituzionale a livello globale, rappresentata dalla proposta istituzionale cosmopolita, rischia di costringere la complessità nelle maglie della semplificazione e perciò di rendere più vulnerabile e meno vario il sistema, occorre una forma di governo capace di conservare e promuovere allo stesso tempo pluralità e ordine. Il federalismo rappresenta a nostro avviso la risposta a questa necessità.

4. - Un federalismo per il XXI secolo

Abbiamo visto che la teoria federalista, nella sua formulazione di pensiero politico ideologico, porta con sé una componente cosmopolita suscettibile di critiche; allo stesso tempo, e sulla base dell'analisi del nuovo contesto globalizzato svolta finora, il federalismo possiede un particolare carattere strutturale che può permettergli di superare indenne le forche caudine degli scettici anticosmopoliti, il principio di sussidiarietà. A differenza delle cosmopolis assolute proposte dai vari autori, la proposta federale suggerisce infatti che l'equilibrio istituzionale ottimale si possa raggiungere solamente quando l'ambito delle competenze e dei poteri corrisponde perfettamente alla dimensione del compito da affrontare o della comunità da gestire; in questo senso in un governo federale mondiale possono convivere differenti stratificazioni politiche, ognuna capace di tutelare le proprie caratteristiche e peculiarità culturali e valoriali senza per questo mettere a rischio l'integrità istituzionale generale. La "cornice" più ampia non può né negare le diversità né affermarsi in maniera totalizzante, perché violerebbe il principio di sussidiarietà e contemporaneamente le componenti sub-sistemiche, ovvero le realtà locali, non possono separarsi dall'ambito più generale, pena la perdita della capacità di affrontare al livello di governo più efficace ed efficiente i problemi che travalicano i confini (cross-border) o le dimensioni dello stesso ambito locale.

L'analisi svolta finora apre nuovi interessanti panorami di riflessione e ricerca: l'applicazione del federalismo "classico" é condizione sufficiente per la creazione di un nuovo ordine internazionale? L'intersezione del principio generale di sussidiarietá con la conoscenza e la rappresentazione delle dinamiche dei sistemi complessi rappresenta a nostro avviso un punto di partenza per la pars construens implicita in questo breve saggio: l'elaborazione di un modello di governo multivello e multidimensione (verticale e orizzontale), consapevole della natura adattativa, evolutiva, quasi-scomponibile (Simon, 1962) ma al contempo anche gerarchica e allometrica del "villaggio globale".

Un sistema federale ben disegnato, in questo senso, potrebbe contemperare la necessità di un impianto istituzionale "ordinato" e sovraordinato rispetto al livello statale con il politeismo dei valori citato all'inizio; il governo della complessità non si traduce nell'estensione a tutto il mondo di criteri etico-politici (un nuovo Nomos della Terra, usando l'espressione di Carl Schmitt), ma si riduce all'eliminazione degli effetti incontrollati e dispersivi che la complessità stessa può comportare (conflitti localizzati, tensioni nazionalistiche, lotta per le risorse), riconducendo il sistema su un percorso virtuoso quando questo si allontana dall'equilibrio raggiunto.

Una critica a quanto detto finora può essere sollevata facilmente: eliminare la carica ideologica del federalismo per adottarlo soltanto come "ingegneria" di governo per il mondo intero può apparire un modo di far uscire l'universalismo dalla porta per farlo rientrare dalla finestra; in realtà, proponendo il governo federale come semplice struttura istituzionale, adottabile in funzione del criterio di un miglioramento paretiano delle condizioni della convivenza internazionale nel tempo della globalizzazione, non trattiamo affatto i contenuti valoriali che dentro a quel sistema di governo si vanno a sviluppare, ma solamente i meccanismi necessari per la loro reciproca sopravvivenza e contaminazione positiva. Ancora oggi, per tutto quanto detto finora, vale il motto dell'Unione Europa, in varietate concordia, unità nella diversità.

Mentre in tutto il mondo occidentale si torna a parlare di Sante Alleanze e Leghe delle Democrazie (Kagan, 2008), provare ad uscire dal vicolo cieco dello scontro tra ideologie cosmopolite e non e pensare al federalismo come all'architettura dei sistemi politici del XXI secolo, può permetterci di immaginare con ancora più realismo un mondo di Pace veramente perpetua.

5. - Riferimenti bibliografici

  • Arrighi, G. (1994) - Il Lungo XX Secolo: denaro, potere e le origini del nostro tempo, Il Saggiatore, Milano.
  • Bellanca, N. (2008) - L'economia del Noi. Dall'azione collettiva alla partecipazione politica, Università Bocconi Editore.
  • Castaldi, R. (2008) - Federalism and material interdependence, Centro Studi sul Federalismo, Giuffrè.
  • Hardt, M., Negri, T. (2002) - Impero: il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli, Milano.
  • Hardt, M., Negri, T. (2009) - Commonwealth, Harvard University Press.
  • Hoover, K. D. (2001) - Causality in Macroeconomics, Cambridge University Press.
  • Jovanovic, B., Rousseau, P. L. (2005) - General Purpose Technologies, in Aghion P., Durlauf S. N. (eds.), Handbook of Economic Growth, Ch. 18. North Holland.
  • Kagan R. (2008) - McCain e la lega delle Democrazie, Corriere della Sera, 18 maggio.
  • Marc A. (1996) - Europa e Federalismo Globale, Il Ventilabro, Firenze.
  • Mitchell, M. (2009) - Complexity: A Guided Tour, Oxford University Press.
  • Montani G. (2005) - Ecologia e Federalismo, Istituto di Studi Federalisti Altiero Spinelli.
  • Myrdal, G. (1968) - Asian Drama. An Inquiry into the Poverty of Nations.
  • Rossolillo F. (2010) - Senso della Storia e Azione Politica, Il Mulino, Bologna.
  • Rostow W. W. (1960) - The Stages of Economic Growth: A Non-communist Manifesto, Cambridge University Press.
  • Sassen, S. (2006) - Territory, Authority, Rights: From Medieval to Global Assemblages, Princeton University Press.
  • Simon, H. A. (1962) - The Architecture of Complexity, Proceedings of the American Philosophical Society, Vol. 106, No. 6, pp 467-482.
  • Vannuccini, S., Visone, T. (2007) - Integrale o Ideologico? Il Pensiero federalista nel tempo della globalizzazione, contributo all'Ufficio del Dibattito del Movimento Federalista Europeo, Rimini, mimeo.
  • Zolo D. (1995) - Cosmopolis: la prospettiva del governo mondiale, Feltrinelli, Milano.

Note

1. In questo contributo non prendiamo in analisi altre declinazioni della teoria federalista, si veda ad esempio il Federalismo Integrale o Globale (Marc, 1996), in quanto quest'ultima in particolare si fonda su della basi filosofiche diverse (piú precisamente il riferimento è Proudhon e la filosofia personalista francese) e propone una prospettiva di analisi radicalmente differente rispetto al Federalismo Istituzionale (che in questo contributo viene inserito nell'ambito delle teorie del pacifismo cosmopolita o istituzionale). Quanto detto non implica necessariamente un conflitto inconciliabile fra i due versanti della teoria federalista, soprattutto se specifichiamo e approfondiamo due diverse "direzioni" d'analisi, una globale (macro) e l'altra locale (micro). Per una breve riflessione sul tema, si veda Vannuccini, Visone (2007).

2. In un altro contesto, quello dello sviluppo economico, possiamo fare riferimento alla stessa tendenza nel famoso The stages of economic growth di W.W. Rostow (1960), che vedeva nella società di consumi di massa il punto di arrivo dell'evoluzione positiva della civiltà umana (questo non senza uno strumentale obiettivo anti-comunista, dato il sottotitolo dell'opera: a non communist-manifesto).

3. Negli ultimi tempi la nozione di "Impero" viene utilizzata con sempre maggiore frequenza dagli scienziati politici e delle relazioni internazionali; questo chiaro sintomo e indizio rispetto all'evoluzione della politica internazionale ha però due accezioni distinte: la prima è quella tradizionale e che viene presa in considerazione anche nel presente contributo, ovvero l'Impero come estensione della comunità politica (la polis) assoluta ed esclusiva a livello sovranazionale; l'altra, più innovativa ma anche meno definita, é la nozione di Impero nel senso di Hardt-Negri (2002), ovvero di una trasformazione della sovranità in senso globale ma sempre più de-territorializzata (non esiste più una corrispondenza biunivoca tra l'iperpotenza di turno e l'Impero; quest'ultimo scavalcherebbe la prima, connotandosi come forma organizzativa peculiare e caratteristica della corrente fase di globalizzazione). La nozione di impero di Hardt-Negri richiama con maggiore forza evocativa il processo di trasformazione strutturale globale, e si completa con le categorie (proposte dagli stessi autori) di Moltitudine, Commonwealth, Comune (2009).

4. É opinione di molti studiosi che l'istituzione di organizzazioni internazionali sia solamente lo strumento per traslare a livello internazionale la volontà di imperio delle grandi potenze occidentali.

5. L'ascesa ed il declino di grandi potenze imperiali (in ultima istanza gli Stati Uniti) sono state sempre accompagnate dalla creazione di sistemi di interscambio economico-politico di ampiezza mondiale, rafforzati in ogni periodo storico da innovazioni tecnologiche o da scoperte geografiche; ciascuno di questi spazi "globalizzati" rappresentava un'"economia-mondo", nel senso di Fernand Braudel, Immanuel Wallerstein, Giovanni Arrighi (1994) ed era strutturato sulla base della logica centro-periferia.

6. Tralasciamo per brevitá le riflessione sui nuovi digital divide e sull'esclusione sociale di coloro (individui o intere comunitá) che non riescono ad inserirsi nei flussi di informazione e conoscenza globale.

7. L'incertezza e l'accelerazione generata dal mutamento ha portato il sociologo Zygmunt Bauman a parlare non di post-modernità, bensì di "modernità liquida", fortunata espressione per caratterizzare la destrutturazione del paradigma nazionale e dei modelli organizzativi dominanti nel periodo pre-globalizzazione.

8. Si pensi anche alla pressioni verso una sempre più intensa regolazione internazionale, sia dei commerci (in ambito WTO, ad esempio) che dei trasporti, dell'inquinamento atmosferico o delle attività economiche e sociali in rete. Soprattutto quest'ultima dimensione, attraverso lo sviluppo di mondi virtuali e di innovativi meccanismi di comunicazione e di circolazione dei dati, impone la creazione di nuove regole condivise, trasparenti e democratiche.

9. In particolare, per quanto riguarda la gestione finanziaria dei proventi della vendita di risorse energetiche gli stati possono ritagliarsi ancora spazi importanti di intervento nell'economia globalizzata: si pensi al successo dei fondi sovrani (sovereign wealth fund), capaci di muovere risorse più ingenti dei criticati hedge fund speculativi. Queste considerazioni possono facilmente diventare argomenti di critica alle tesi di un'altra scuola di pensiero riguardo l'evoluzione della frammentazione del potere politico e degli ambiti territoriali, in particolare in Europa. Ci riferiamo qui alle tesi dei sostenitori dell'"Europa delle Regioni" che, per quanto maggiormente strutturate, aderenti alla realtà ed in linea con le spinte secessioniste o regionaliste sempre più forti, soprattutto nei paesi avanzati, tendono anch'esse a dimenticare la capacità degli stati nazionali di "re-inventarsi", individuando nuovi ambiti di azioni e nuovi percorsi di affermazione; proprio perché gli stati tendono a trovare nuove "nicchie" di competenze, le due visioni possono non essere in disaccordo ma al contrario possono raggiungere insieme una maggiore compiutezza esplicativa.

10. La teoria generale dei sistemi, introdotta per la prima volta da Von Bertalanffy negli anni '60 nel tentativo di proporre una chiave di lettura, quella del sistema, valida per ogni fenomeno scientifico (il c.d. isomorfismo scientifico), si poi è diffusa anche nelle scienze sociali, nonostante critiche e resistenze. Per quanto concerne la teoria delle relazioni internazionali, facciamo riferimento a Niklas Luhmann e alla sua teoria generale dei sistemi sociali.

11. Ci riferiamo in questo contesto alle teorie di F. Von Hayek.