2005

Sui rapporti tra la globalizzazione e lo sviluppo della rete (*)

Luciano Gallino

Della globalizzazione sono state formulate finora decine di definizioni, spesso contrastanti. Ciononostante nemmeno le definizioni più articolate pervengono a coglierne tutti gli aspetti, o anche solo la maggior parte di essi. Converrà quindi iniziare con una definizione sommaria. Propongo di chiamare "globalizzazione" l'accelerazione e l'intensificazione, particolarmente evidenti a partire dagli anni '80 del Novecento, del processo di formazione d'una economia mondiale - un'economia-mondo - che si sta configurando come un unico sistema funzionante in tempo reale. Al presente tale sistema non copre affatto tutto il globo. Esso appare concentrato in tre macro-regioni del mondo - America del Nord, Europa Occidentale e Giappone - e in ristrette regioni di paesi come la Cina (le "zone speciali" della costa), dell'India (6 stati su 24 che assorbono la quasi totalità degli investimenti diretti all'estero), dell'America Latina. L'intero continente africano è praticamente escluso dai processi di globalizzazione: la sua quota del commercio mondiale risulta infatti scesa negli anni '90 all'1,5%, dal 4,5 degli anni '70. Inoltre è assai dubbio che la globalizzazione pervenga ad essere effettivamente globale, ovvero ad estendersi a tutto il pianeta, entro il futuro prevedibile - anche 50 o 100 anni (Held e McGrew 2000).

La globalizzazione così intesa e periodizzata non è un fenomeno della natura, bensì il prodotto di una determinata politica economica, affermatasi in gran parte del mondo. I suoi criteri ispiratori sono: gli aggiustamenti strutturali dei bilanci pubblici; la liberalizzazione dei movimenti di capitale; la de-regolamentazione del mercato del lavoro; le privatizzazioni; la riduzione in tutti i campi (sanità, previdenza, istruzione) dell'intervento e delle dimensioni dell'apparato pubblico. Una politica economica differente avrebbe presumibilmente generato, o concorso a generare, un diverso processo di globalizzazione.

Gli stessi criteri hanno orientato sin dagli inizi lo sviluppo della Rete (come conviene chiamare il sistema formato da Internet, ch'è fondamentalmente una infrastruttura tecnologica, e dal Web, la massa planetaria di documenti che in essa circola). Di fatto la "messa in rete del mondo" è stata condotta sin dagli inizi, ossia dagli anni '70, per mezzo di leggi e regolamenti che avevano una duplice funzione: favorire lo sviluppo dell'industria privata delle telecomunicazioni e dell'informatica statunitensi, e migliorare i flussi di informazione tra le unità produttive delle imprese transnazionali. In tal modo la Rete è diventata il principale strumento della globalizzazione. Lo sviluppo di reti pubbliche, comprese le reti con finalità educative, è stato largamente subordinato a tali interessi. Al fine di sottolineare la connessione intrinseca che si è stabilita tra la presente fase di crescita dell'economia capitalistica e lo sviluppo mondiale della Rete, sono state coniate espressioni quali "economia informazionale" (Castells 1998) e "capitalismo digitale" (Schiller 1999).

Al pari della globalizzazione, anche la diffusione della Rete appare essere un processo implosivo, nel senso di una sua crescente concentrazione in poche aree. Lo dimostrano i dati relativi all'utenza. I centri specializzati in statistiche della Rete calcolano che nei primi mesi del 2002 gli utenti di Internet abbiano superato nel mondo i 550 milioni. Questa popolazione di internauti appare distribuita tra i diversi paesi, ed entro ciascun paese, in modo fortemente disuguale. Basti qualche dato. Nei 30 paesi dell'OCSE, che hanno meno d'un quinto della popolazione mondiale, cioè 1,2 miliardi di persone su oltre 6, risultano collocati il 95 % degli hosts (computers connessi a Internet con un proprio indirizzo stabile) esistenti al mondo.L'America del Nord (Usa e Canada) che registra 310 milioni di abitanti, conta oltre 200 milioni di utenti; mentre nell'America centrale e meridionale, che ha 200 milioni di abitanti in più, gli internauti son quasi 10 volte di meno, in quanto superano di poco i 21 milioni.

Quanto all'Europa (includendo in essa l'Europa orientale, nella quale però gli internauti sono poche decine di milioni) essa faceva registrare a inizio 2002 oltre 165 milioni di utenti. Con tale tasso di diffusione dell'utenza Internet l'Europa sorpassa di 41 volte l'Africa, che arriva a malapena a 4 milioni di utenti, pur avendo una popolazione maggiore (oltre 800 milioni contro 730).

In Asia l'India, popolata da 1,1 miliardi di persone, ad onta dei suoi successi internazionali nell'industria del software annoverava alla stessa data soltanto 5,2 milioni di utenti Internet. Questa cifra rappresenta un sesto rispetto al totale degli internauti stimato per la Cina (che ha una popolazione di poco superiore, 1,3 miliardi), e un undicesimo rispetto al Giappone, che di abitanti ne ha solamente 127 milioni.

Pur tenendo conto che un PC in rete viene usato nei paesi meno sviluppati da una maggior numero di persone, e per più tempo, simili disuguaglianze inter-nazionali nella diffusione della Rete appaiono abissali. Esse riflettono da vicino la concentrazione differenziale di capitali e tecnologie che caratterizzano la globalizzazione.

Non minore, in proporzione, è l'entità delle disuguaglianze nazionali. In ciascun paese dove si fanno appropriate rilevazioni, il tasso di diffusione di Internet appare in generale fortemente correlato al livello di reddito, di istruzione, di qualificazione professionale; nonché al gruppo etnico, all'età, e tuttora, in moltissimi paesi, al genere. Nella UE come in Usa il medio utente Internet è bianco, sui 35-40 anni, provvisto di diploma o laurea, e un reddito annuo superiore ai 35.000 euro o altrettanti dollari. UE e Usa, va detto, sono anche le uniche parti del mondo in cui da qualche anno il genere non discrimina più tra utenti e non utenti di Internet. Per contro, in diversi paesi del Centro Africa tra l'85 e il 98% degli utenti sono maschi con un titolo di studio superiore. Nel Medio Oriente le donne costituiscono addirittura meno del 5% degli utenti di Internet. Anche le condizioni psico-fisiche della persona incidono: tra i disabili gli internauti sono mediamente 4 volte di meno che non tra gli abili, a parità di altri fattori socio-economici.

Alle suddette disuguaglianze internazionali e nazionali nella diffusione di Internet ci si riferisce da tempo con l'espressione "frattura digitale" (digital divide). Alla frattura digitale viene portata crescente attenzione sia dai governi, a partire da quelli del G-8, che dalle maggiori organizzazioni internazionali quali l'Onu; nonché da numerose ONG, le organizzazioni non governative, e da molte comunità locali. Nel luglio del 2000, al vertice di Okinawa, il G-8 ha promosso la stesura di un rapporto (Digital Opportunity Initiative) inteso a mettere a punto un insieme di politiche a livello mondiale per superare il digital divide. Il rapporto 2001 del Programma per lo Sviluppo Umano delle Nazioni Unite è incentrato sulla necessità e sui modi di porre le nuove tecnologie al servizio dello sviluppo umano (PNUD 2001).

Codeste iniziative si debbono alla crescente consapevolezza dei benefici che un uso regolare ed efficace della Rete può recare nei più diversi campi, in un mondo dove la Rete costituisce la trama medesima della globalizzazione. In campo educativo la Rete permette infatti a scolari e studenti, che mai ne avrebbero per altre vie la possibilità materiale, di accedere - a costi sopportabili - alle risorse di biblioteche, musei, laboratori, banche dati, iconoteche e fonoteche di tutto il mondo. In campo sanitario un medico, risorsa terribilmente scarsa nei paesi in via di sviluppo e ancor più in quelli definiti "a sviluppo minimo" (che sono i paesi con un Pil pro capite di meno di 900 dollari l'anno), può moltiplicare per dieci o per venti la sua produttività fornendo via Internet, invece di viaggiare, diagnosi e prescrizioni a pazienti lontani. In campo economico si ritiene che la Rete favorisca la crescita dell'economia, e con essa l'aumento dell'occupazione, su diversi piani. Ad esempio allargando l'orizzonte decisionale delle aziende; creando una molteplicità di nuovi lavori qualificati; supportando il commercio elettronico. In sede politico-amministrativa, tramite la Rete i cittadini e le ONG possono partecipare più attivamente alla elaborazione di decisioni collettive. Questa tematica è oggi ampiamente discussa sotto l'etichetta di e-government. Non da ultimo, la Rete consente di raccogliere, elaborare e diffondere, ove occorra in tempo reale, informazioni di rilevanza vitale per la protezione dell'ambiente.

Ne consegue che la dimostrata impossibilità di fruire dei suddetti benefici da parte di numerose persone e gruppi, a causa della difficoltà economiche o culturali che incontrano nell'uso di Internet, giunge a configurare forme originali di disuguaglianze globali, quelle tra "info-poveri" e "info-ricchi". Simili disuguaglianze rischiano di essere non meno radicali e foriere di conseguenze negative di quelle tradizionali di reddito e di ricchezza. Da qui deriva l'importanza che viene attribuita, come si è sopra ricordato, da diversi punti di vista e da differenti attori sociali, a politiche internazionali, nazionali e locali intese a ridurre la frattura digitale tra i primi e i secondi.

La rilevanza degli interessi economici che nel corso della globalizzazione hanno orientato e accelerato lo sviluppo della Rete non dovrebbe condurre a sottovalutare la sua importanza come strumento di diffusione della cultura. Bisogna infatti osservare che mano a mano che la infrastruttura hardware e software - la infrastruttura denominata Internet - si espandeva, centri universitari di ricerca, scuole, grandi biblioteche, associazioni culturali, organizzazioni non governative, sono riuscite a utilizzarla per i loro scopi di utilità collettiva. Per tal via sono stati immessi nella "tela grande come il mondo" (Gallino 2000), cioè il Web, ampi contenuti culturali. Di fatto, centinaia di milioni di documenti oggi presenti nel Web, su un totale che potrebbe superare i 500 miliardi, di cui solamente 2 sono indicizzati dai motori di ricerca, hanno un contenuto segnatamente culturale, educativo e civico.

D'altra parte la possibilità per la maggior parte della popolazione di accedere a tali contenuti - compresa quella dei paesi sviluppati - appare via via compromessa dal monopolio di fatto, od oligopolio che sia, che un ristretto numero di grandi operatori esercita sulla Rete. Infatti oltre l'80% degli accessi giornalieri alla Rete sono oggi concentrati su una decina di grandi portali (quasi tutti con versioni nazionali dal contenuto quasi identico - notizie locali a parte). Solo una frazione degli internettiani possiede la capacità, o il desiderio, di aggirare tali "porte del Web" allo scopo di accedere autonomamente a contenuti che non siano decisi dai gestori/controllori di queste in base a preminenti ragioni di mercato. Opportunità eccezionali di formazione dei giovani come degli adulti di tutto il mondo, di diffusione planetaria tramite la Rete d'ogni genere di cultura, di materiali scientifici, di espressioni artistiche, rischiano in tal modo di venire compromesse.

Un altro monopolio in via di accelerata formazione, che tocca da vicino i processi formativi, riguarda le immagini. E' noto che da alcuni anni una società appositamente creata da un gigante dell'informatica sta acquistando gli archivi fotografici di molti paesi, al fine di produrne una versione digitale adatta per alimentare la fame di immagini del Web. Chi vorrà utilizzare a fini didattici o formativi tali immagini, che racchiudono un secolo e mezzo di storia sociale, politica, economica militare di gran parte dei paesi del mondo, dovrà quanto prima adeguarsi alle esigenze economiche e culturali di tale monopolio.

Quali che siano i processi culturali globali collegati alla diffusione della Rete, nel fondo la globalizzazione rimane un processo primariamente economico. Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) diffusesi negli ultimi decenni del XX secolo, convergenti nella Rete con molteplici effetti sinergici, hanno introdotto nei sistemi economici del mondo trasformazioni quantitative e qualitative senza precedenti. Sono soprattutto esse che giustificano il conio e l'impiego generalizzato di un termine come globalizzazione - l'accelerata formazione di un'economia-mondo funzionante in tempo reale. Anzitutto, in più d'un senso le TIC hanno annullato lo spazio; o meglio ne hanno ridotto l'attrito in misura più radicale di quanto non avvenne con la diffusione del telegrafo e del telefono. Laddove per trasmettere laboriosamente a mezzo del telegrafo una cartella di 2.000 battute un esperto impiegava più di 10 minuti, alla posta elettronica basta un clic e un secondo. Ciò significa un tempo 600 volte minore - ovvero una velocità 600 volte maggiore. Nell'insieme è enormemente aumentata la portata dei canali di comunicazione, la semplicità del loro uso, e più ancora la tipologia dei contenuti che in essi è possibile immettere.

Pertanto occorre notare che lo sviluppo della cyber-economia globale, ovvero del capitalismo digitale o informazionale, sebbene abbia al centro la vanificazione delle distanze, abbraccia vari altri aspetti. Laddove l'oggetto dello scambio sia un prodotto o un servizio suscettibile di venire utilizzato o comunque convertito in forma digitale, ovvero numerica, potrà essere infatti l'oggetto stesso a venire trasmesso da un punto all'altro del mondo, mediante la Rete, non solo le informazioni e i capitali ad esso attinenti. Può trattarsi indifferentemente del disegno di un componente d'auto oppure dei piani di una campagna pubblicitaria, videoclips compresi; del progetto di un edificio; oppure dei risultati di un esame spettrografico di campioni di minerali. Pur nei casi in cui l'oggetto dello scambio è un bene materiale che non è direttamente utilizzabile in forma numerica - per dire, un pezzo di ricambio ormai introvabile per una lontana centrale idroelettrica - la via della Rete può al presente risultare la più conveniente. Fino a ieri il disegno d'una macchina non poteva essere materialmente spedito se non per posta, o per fax; ora anch'esso è suscettibile di venire convertito in bit, e quindi trasmesso per posta elettronica. Per mezzo di questa un disegno tecnico, anche se formato da decine di fogli, può raggiungere il destinatario in pochi minuti. E ciò pure nei casi in cui questo si trovi in un luogo dove il servizio postale non arriva, o impiega giorni per arrivare. Inoltre, grazie alla forma digitale che ha assunto, il disegno di quel pezzo è capace di ridiventare in poche ore, una volta arrivato a destinazione, la parte metallica che ci voleva per mezzo di una macchina a controllo numerico.

In sintesi, mediante le tecnologie della Rete il rapporto costo/benefici di innumerevoli operazioni che hanno alla base un trasferimento di informazioni viene modificato di parecchi ordini di grandezza a favore dei secondi. Poiché tale rapporto è alla base dell'economia, le "grandi trasformazioni" globali (Held e McGrew 2000) che in questa si sono accompagnate alla diffusione della Rete sono state immense, né di esse si scorge ancora la futura portata.

Generalizzando, si può affermare in primo luogo che per mezzo della Rete la trasmissione di informazioni pur lunghe e complesse relative a qualsiasi tipo di bene, sia esso un prodotto o un servizio, comprendenti anche grafici o immagini o suoni, può avvenire - tramite la sua conversione digitale - in tempi brevissimi, compresi tra una frazione di secondo e pochi minuti. In secondo luogo, detti tempi variano in relazione alle dimensioni in bits del messaggio e alla qualità dell'attrezzatura impiegata, ma non sono influenzati se non in misura irrilevante dalla distanza tra mittente e destinatario. In terzo luogo, ugualmente istantaneo è il flusso in direzione inversa dei fondi, diventati moneta elettronica, con cui il bene viene pagato dall'acquirente. Tempo reale non significa sempre "istantaneo", ma in molti casi è questa l'equazione che si stabilisce, grazie alla Rete, nella economia globale.

Ancora sottolineata, ai fini della formazione di una economia-mondo dalle interdipendenze reticolari, dev'essere la riduzione dei costi della trasmissione di informazioni, quale che sia il loro contenuto, ossia il loro significato: un oggetto digitalizzato, un insieme di dati statistici, un servizio, una somma di denaro. Nella maggior parte dei casi, all'uno e all'altro, venditore o acquirente, anche se lontani tra loro migliaia di chilometri, lo scambio di queste informazioni "totipotenti" sarà infatti costato più o meno un decimo di euro o di dollaro: ossia quanto lo scatto alla risposta di una telefonata urbana. E' grazie a tali infrastrutture che si è sviluppato a tassi altissimi, verso la fine del Novecento, il commercio elettronico (e-commerce). Le principali varianti di questo sono le imprese che tramite la Rete vendono beni o servizi ad altre imprese (Business to Business, o B2B), e le imprese che li vendono direttamente ai consumatori (Business to Consumer, o B2C).

Si aggiunga che, per quanto innovativi possano essere questi processi di rapidissima conversione di oggetti materiali e servizi in bits, e di bits in oggetti materiali e servizi, essi impallidiscono di fronte alle trasformazioni che la Rete ha indotto nell'uso e nella circolazione del denaro. Da tempo diventato null'altro che una serie di bit nella memoria d'un computer, per mezzo della Rete il denaro può venire trasferito da un punto all'altro del globo, in quantità enormi, alla velocità della luce. Ciò ha dato una forte spinta allo sviluppo di un mercato elettronico dei capitali, del tutto svincolato - ecco la novità - dallo scambio di prodotti o servizi reali. La Rete rende possibile acquistare un milione di euro a Berlino e scambiarlo contro dollari a Taiwan - o viceversa - il tutto in pochi secondi. Ripetendo operazioni simili più volte al giorno su differenti piazze, con differenti monete od obbligazioni o titoli azionari, l'economia funzionante in tempo reale grazie alla Rete permette a migliaia di operatori di conseguire quasi ogni giorno profitti apprezzabili. Ciò contribuisce a spiegare perché nel 2000 il movimento giornaliero dei capitali finanziati fosse salito complessivamente, nel mondo, a circa 2.000 miliardi di dollari. Secondo varie stime, meno di un cinquantesimo di tale cifra si riferiva a scambi dell'economia reale, ossia al pagamento di prodotti e servizi.

Caratteristica della economia digitale è l'altissima velocità e il vastissimo raggio in cui opera. Un istante dopo essere state diffuse da Francoforte, New York od Hong Kong, le medesime informazioni circa le quotazioni dell'alluminio, delle azioni high tech americane od europee, o dell'euro, compaiono simultaneamente sullo schermo dei computers di Milano e di Bombay. Altrettanto rapida deve essere la reazione degli operatori che sulla base di tali informazioni intendono trarre un profitto, o evitare perdite. Di fatto gli operatori che nelle istituzioni finanziarie si occupano di transazioni computerizzate sono spesso obbligati a decidere in quale altra piazza trasferire alcuni milioni di euro o di dollari, avendo a disposizione non più di qualche minuto. Simile velocità delle informazioni economiche circolanti nella Rete stimola la crescita dell'economia. Accade però che trasmetta anche, ed amplifichi, fenomeni negativi. Gli esperti ritengono, ad esempio, che le gravi crisi finanziarie del 1997-98, che hanno investito in rapida successione la Thailandia, l'Indonesia, la Corea del Sud, il Brasile, la Russia, siano state alimentate anche da un eccesso di azioni e reazioni rapidissime da parte di migliaia di investitori operanti in Rete.

La economia globalizzata, fondata sulla Rete, accresce la produttività dei sistemi economici moderni, ed allarga i loro confini a regioni del pianeta finora scarsamente coinvolte in essi. Al tempo stesso essa accresce la vulnerabilità dei sistemi medesimi a vari tipi di shocks. Un difetto di fondo del progetto chiamato globalizzazione è da vedere soprattutto nell'aver puntato a costruire sistemi sociali e tecnologici che debbono essere per forza giganteschi; estesi a ogni parte del pianeta con le stesse identiche modalità; nonché impeccabilmente funzionanti - per mezzo della Rete - 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Si è puntato cioè a fare del mondo una sorta di gigantesco orologio, automatico, superpreciso e, manco a dirlo, "satellite controlled", cioè regolato al secondo dagli impulsi di un satellite geostazionario. Disegnato con un simile proposito, il mondo globalizzato reca in sé i caratteri d'una crescente vulnerabilità. L'orologio si può fermare più o meno a lungo per un attentato o una guerra, ma questi sono, per quanto terribili, solamente alcuni degli incidenti a cui il mondo-orologio è esposto. Le cause di molti altri guasti possibili si trovano dentro il suo meccanismo, non fuori.

Si tratti di sistemi di trasporto di merci e persone, oppure di sistemi di comunicazione, o di sistemi produttivi, con le loro componenti sociali e tecnologiche, la legge cui soggiacciono è una sola: più si globalizzano, più tendono a diventare vulnerabili. Una prima causa di vulnerabilità è identificabile nel fatto che qualsiasi sistema socio-tecnico è formato necessariamente da tanti pezzi, ovvero da una molteplicità di sottosistemi. A mano a mano che i sottosistemi diventano più numerosi, perché si vuole che il sistema che li comprende arrivi a coprire tutto il globo, aumenta la probabilità che tra di essi ve ne sia qualcuno che funziona male, o si rompe. Oppure che saltino i collegamenti tra l'uno e l'altro. In ambedue i casi l'intero sistema può andare in crisi, e mandarne subito in crisi altri. Si veda il caso istruttivo della new economy, di cui si diceva che fosse il dominio del clic, dell'immateriale, del virtuale. Salvo scoprire che se per qualche motivo si inceppa, o dovesse incepparsi - per dire - il materialissimo sistema di 653 aeroplani, 43.500 veicoli, e 148.000 operai e impiegati di un'impresa di trasporti tipo la Federal Express (dati di inizio 2000), nessuna merce e nessun servizio, per quanto si clicchi, entra o esce da alcuna unità produttiva.

Una seconda causa di vulnerabilità dei sistemi globali è la perdita della capacità di adattamento ai mutamenti locali, di qualsivoglia natura: sociali, economici, ambientali. Essa consegue sia dalla riduzione della varietà della natura e dei comportamenti che i costruttori di sistemi globali tenacemente perseguono, sia dalla perdita di autonomia decisionale che i soggetti locali subiscono perché i centri di decisione sono stati trasferiti altrove. In ampie regioni del globo, Europa compresa, i sistemi economici locali sono stati de-costruiti e poi ricostruiti in un modo tale che le decisioni attinenti i modi di produrre beni d'uso o alimenti, l'occupazione, i consumi, la distribuzione della popolazione sul territorio, che un tempo erano prese sul luogo da artigiani, piccoli imprenditori, coltivatori, amministratori locali, sono ora prese da qualcuno che sta a migliaia di chilometri di distanza. Un decisore lontano non è necessariamente un decisore malvagio o stupido. E' però un decisore al quale della lontana regione su cui le sue decisioni ricadranno importa probabilmente poco, non foss'altro perché nel suo ordine di priorità globali quella regione occupa magari il decimo posto. Nel migliore dei casi finirà per prendere decisioni tardive o inadeguate.

Si incontra qui un paradosso nella economia contemporanea in corso di globalizzazione: i principali sistemi tecnologici su cui si fonda sono stati sviluppati con il preciso scopo di ridurre la vulnerabilità nei confronti di interventi esterni. Esemplare è proprio il caso di Internet, divenuta oggi il principale sistema di comunicazione a fini economici e scientifici, per vari aspetti modello e infrastruttura di tutti i sistemi globali. La sua antenata, Arpanet, fu creata nel 1969 precisamente al fine di evitare che la comunicazione tra elaboratori elettronici potesse essere interrotta da atti di sabotaggio, o da un attacco nucleare. L'idea era semplice quanto geniale. Se il computer A è collegato con una sola linea al computer B, un colpo di forbici alla linea, reale o figurato, gli impedirà di comunicare con B. Ma se A e B sono collegati in rete con C, D, ecc., un dato messaggio troverà sempre la strada per arrivare da A a B. La rete rendeva così invulnerabile la comunicazione.

All'inizio Arpanet constava di quattro soli computer, diventati faticosamente una trentina nel 1971. Oggi i computer collegati tramite Internet sono diventati, come s'è detto, centinaia di milioni. Ci si può chiedere se la comunicazione tra di loro continui ad essere invulnerabile. Al riguardo c'è qualche motivo per dubitarne. Infatti l'enorme aumento planetario del traffico di dati ha reso necessaria la posa di cavi transoceanici in fibra ottica, tra Europa, Americhe ed Estremo Oriente, attraverso i quali passa la maggior parte dei dati di rilevanza scientifica ed economica. Questi cavi sono pochi, meno di una dozzina per stare ai più importanti; quindi i sistemi di comunicazione che ne dipendono sono intrinsecamente vulnerabili. Inoltre i PC collegati a Internet funzionano in forza di tre soli sistemi operativi (Windows, Mac Os e Linux), il primo dei quali è presente in circa il 90% dei PC. Quando i PC se ne stavano da soli, una tale omogeneità poteva risultare molto comoda, perché facilitava - ad esempio - lo sviluppo e la diffusione di pacchetti applicativi standard. Ma ora che i PC sono quasi tutti in rete, il ridottissimo numero di sistemi operativi facilita grandemente lo sviluppo e la diffusione di virus informatici.

Al di là delle sue origini, dove si ritrovano interessi militari, e della sua natura di strumento essenziale del "capitalismo digitale", la Rete - grazie ad una sorta di eterogenesi dei fini - può venire e viene oggi usata efficacemente a fini di partecipazione politica, di formazione, di crescita culturale. Per poter perseguire detti fini, il suo sviluppo e la sua utilizzazione da parte del maggior numero di persone dovrebbero essere liberi. Questa condizione, in molti paesi del mondo, è lungi dall'essere realizzata. Il Rapporto 2001 di "Reporter senza frontiere" sui nemici di Internet ha confermato, con l'aiuto della descrizione analitica di 59 casi nazionali, quel che gli osservatori del ramo, al pari di molti utenti, dai giornalisti agli internauti che vanno regolarmente in Rete al fine specifico di cercarvi risorse culturali, da tempo sapevano: al potere politico, e anzi allo stato in generale, Internet è poco gradita. Perfino gli stati democratici non sono alieni da questo atteggiamento, che pure si riterrebbe caratteristica esclusiva degli stati autoritari e delle dittature. Ciò che cambia da uno stato all'altro è la portata della reazione che il potere manifesta quando Internet desta la sua attenzione. In Cina, ad esempio, i dissidenti che utilizzano Internet - si legge nel testo originale del Rapporto - sono considerati dei criminali, i quali rischiano anni di prigione se non la morte. Invece nel Regno Unito ci si limita a prevedere la derivazione di tutto il traffico Internet verso i servizi di informazione britannici, ed a comminare la prigione se uno si rifiuta di decrittare un proprio file cifrato. In Francia è stata necessaria un'aspra lotta politica affinché fosse tolto dalla legge intesa a regolare Internet un emendamento che rendeva penalmente responsabili i gestori di server i quali non avessero provveduto "con appropriata diligenza" a purgare i contenuti di quegli elementi che un qualsiasi terzo, a suo esclusivo giudizio, avesse considerato illecito o pregiudizievole.

S'intende che la libertà di usare la Rete è maggiore in Francia che non, poniamo, in Tunisia, dove oltre 400 agenti, dice il citato Rapporto, sarebbero impegnati nel sorvegliare la posta elettronica ed i siti visitati dai tunisini. Oppure in Russia, dove l'organismo succeduto al KGB, lo FSB, obbliga i fornitori di accesso a installare un apparato specifico che consente di intercettare qualsiasi messaggio o movimento che un internauta compie nella Rete. Per quanto riguarda l'Italia, la Alcei (Associazione per la libertà nella comunicazione elettronica interattiva) ha espresso motivati dubbi sul tasso di libertà internettiana consentito dal progetto di legge approvato all'inizio del 2001 in Commissione dal Senato.

Da questi dati sulla libertà culturale della Rete, sembra chiaro che nella maggior parte degli stati il pubblico potere oscilla tra il giudicare Internet ed il Web dei mali assoluti da circoscrivere, e il considerarli dei mali necessari che anche in una democrazia occorre tenere attentamente d'occhio. Ciò viene dichiaratamente fatto a fin di bene, ossia con l'intento legittimo di contrastare la mafia informatica, i pedofili, i net-truffatori, i riciclatori di denaro sporco. Si dà il caso che il confine tra il contrasto legittimo degli illeciti on-line e la repressione culturale sia molto sottile. Anche di queste ambiguità sono intessuti i complessi rapporti tra la globalizzazione e la Rete.

Bibliografia

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*. Atti del Convegno 'Mappe del Novecento' (Rimini, 22-24 novembre 2001), in 'Erodoto', supplemento al numero 43/44, anno XIV, pp. 125-32.