2010

Le imprese a finalità sociale secondo Yunus

Nicolò Bellanca

Abstract

Yunus propone un nuovo modello di capitalismo, nel quale imprese senza perdite e senza dividendi perseguano finalità sociali operando accanto alle imprese tradizionali. Come si colloca quest'idea, rispetto all'ampio dibattito sulla responsabilità sociale d'impresa e sul terzo settore? È realizzabile? È auspicabile?

Muhammad Yunus, il creatore della microfinanza moderna, ha vinto nel 2006 il Nobel per la Pace ed è stato inserito da Business Week tra i 30 imprenditori più importanti di tutti i tempi. Nel periodo 1998-2006 il settore della microfinanza è cresciuto di oltre dieci volte. Nel 2006 circa 3.000 istituzioni di microfinanza avevano 133 milioni di clienti attivi (ossia con un debito acceso), di cui 92 milioni appartenenti ai "più poveri". Tra i clienti poorest, l'85% erano donne. L'istituzione più grande era la Grameen Bank, con quasi 7 milioni di clienti attivi, fondata da Yunus in Bangladesh nel 1976 (1).

L'ultimo libro di Yunus è apparso nel 2008 in francese col titolo Vers un nouveau capitalisme, ed è stato tradotto quest'anno da Feltrinelli col titolo Un mondo senza povertà. Esso si dedica solo in parte al tema della microfinanza; nutre un proposito più vasto e ambizioso: delineare un modello di economia in cui, accanto alla tradizionale impresa che punta alla massimizzazione del profitto, si radichi e diffonda un'impresa a finalità sociale (IFS). Questa sarebbe un'impresa senza perdite e senza dividendi: dovrebbe recuperare tutti i costi e, se ottenesse profitti, li reinvestirebbe nell'impresa medesima, mentre i finanziatori recupererebbero, al termine di un tempo stabilito, soltanto il capitale versato. I manager delle IFS ricercherebbero soddisfazioni di natura psicologica, emozionale e spirituale. I finanziatori, spesso individuati tra chi è già disposto a donare in beneficienza, investirebbero in un mercato azionario nel cui listino figurerebbero unicamente IFS. Vendendo beni o servizi in concorrenza sia con le imprese usuali, sia con altre IFS, le nuove imprese realizzerebbero obiettivi di natura sociale: riduzione della povertà (ad esempio, beni alimentari di qualità a prezzo ridotto per un mercato di bambini malnutriti), assistenza sanitaria per i disagiati (polizze di assicurazione sanitaria a prezzi contenuti), giustizia sociale (procurare energia elettrica a zone rurali non allacciate alla rete nazionale), sostenibilità ambientale (riciclo di rifiuti che altrimenti inquinerebbero le baraccopoli).

Gli stessi agenti economici potrebbero, in parallelo, impegnarsi in imprese volte al guadagno e in IFS. Ciò in quanto ognuno di noi ha in sé tanti "colori" e soffre a restare schiacciato nell'unidimensionalità di un mondo basato sul profitto. Ciò inoltre, secondo Yunus, avverrebbe senza che mai i due tipi d'intrapresa si miscelino tra loro, per non riproporre l'illusione di "addomesticare" o di "svuotare" dall'interno l'impresa capitalistica. In effetti, alle imprese variamente denominate "socialmente responsabili", "solidali", "civili", "cooperative", "autogestite", "no profit", "del terzo settore", e via elencando, Yunus dedica pagine assai corrosive. Tutte hanno fallito presumendo una possibile convivenza tra moventi ideali e di guadagno, oppure espungendo questi ultimi: ma nella convivenza vince il più forte, mentre l'espunzione comporta di solito un recupero parziale dei costi e quindi una scarsa robustezza evolutiva.

Mi limito qui a tre annotazioni critiche.

1] Yunus immagina due popolazioni di imprese che vivano nel medesimo ecosistema e che siano identiche nella costituzione organizzativa interna, nei criteri gestionali, nelle linee strategiche, nel funzionamento sui mercati, nel rapporto con le altre imprese e con i soggetti esterni all'economia. Ciò che unicamente le differenzia è che mentre una popolazione risponde all'imperativo di far aumentare il valore del capitale, l'altra asseconda un obiettivo di "vantaggio sociale". Ma, come argomenta tra gli altri Samuel Bowles, una peculiarità del capitalismo consiste nel fronteggiare la necessaria incompletezza contrattuale eleggendo a forma prevalente di organizzazione economica l'impresa; il potere nell'impresa si manifesta a misura che qualcuno decide l'impiego di un'attività, nei casi non espressamente indicati da un contratto. Modificare lo scopo dell'impresa non basta a cambiarne questa caratteristica di fondo; tantomeno basta per creare un "nuovo capitalismo".

2] L'operazione intellettuale compiuta da Yunus è una trasposizione indebita. Egli prende le mosse dai (pur controversi) successi della microfinanza (2), per un'apparente estensione di quella "ricetta" al nuovo tipo dell'IFS. Ma la sua tesi - secondo cui nulla distingue l'IFS da quella capitalistica usuale tranne lo scopo - sorvola su una circostanza decisiva: tanto l'impresa che eroga microcredito, quanto quelle che, nell'ambito dello sviluppo integrato di un territorio del Sud del pianeta, offrono servizi alle persone o alle imprese (3), sono prive di competitors. Se è dunque vero che tali iniziative imprenditoriali possono rivelare implicazioni di "vantaggio sociale", esse si innestano tuttavia in contesti nei quali le imprese tradizionali (creditizie, di servizi o produttive) non riescono ad attecchire per molteplici ragioni, tra cui spiccano gli elevati costi di informazione e di transazione. Siamo insomma davanti a fallimenti dei mercati formali a cui pongono rimedio forme di mercato informalizzate (4). Si tratta di casi di estrema importanza per la vita di milioni di persone in condizioni di vulnerabilità, ed è in tal senso che il contributo di Yunus, a prescindere da qualsivoglia cautela critica, merita ammirazione. Nulla suggerisce però che quelle circostanze possano valere in mercati strutturati. Yunus non avanza alcun argomento a sostegno dell'idea che IFS possano emergere spontaneamente, in modi non eterodiretti dalla politica o da altre istituzioni extraeconomiche, in industrie e/o in territori (specialmente del Nord del pianeta) in cui già operano imprese capitalistiche non di rado di grandi risorse/dimensioni.

3] Può essere utile confrontare la proposta dell'IFS con quella dell'impresa pubblica competitiva (IPC) (5). Quest'ultima sarebbe un'impresa di proprietà pubblica che opererebbe in competizione con imprese private, per costringerle a praticare prezzi concorrenziali e per stimolarle nella ricerca e nell'innovazione. Inoltre talvolta lo Stato, minacciando credibilmente di entrare con le IPC nei settori in cui proliferano comportamenti collusivi, potrebbe aumentare la contendibilità di quei mercati, la quale è bassa a misura che sono elevati i costi irrecuperabili. L'IPC interverrebbe effettivamente nelle industrie connotate da una relativa omogeneità dei beni e delle tecnologie, ove la competizione di prezzo sarebbe più efficace, avrebbe l'obbligo del bilancio in pareggio nel medio periodo e includerebbe nei suoi costi un profitto normale che non verrebbe distribuito, bensì reinvestito nell'impresa stessa. Infine, per evitare la tentazione di pratiche collusive con gli oligopoli privati, nell'IPC si imporrebbe la presenza di rappresentanti degli utenti nei consigli di amministrazione. La proposta dell'IPC appare più convincente di quella dell'IFS, in quanto non si affida agli slanci spontanei degli imprenditori, bensì a decisioni politiche vincolanti. L'IPC è una possibilità che scaturisce, tramite il potere pubblico, dall'azione collettiva organizzata; l'IFS è una possibilità che affiora dall'impegno sociale di singoli manager e finanziatori. L'una nasce dalla lotta politica, l'altra dalla sympathy alla Smith o dalla human obligation alla Sen.

Pur col grande rispetto che Yunus merita, viene da concludere che, per il suo libro, vale un antico perfido adagio: quel che è nuovo, non è buono; e quel che è buono, non è nuovo.


Note

1. Queste notizie sono riprese da A. Andreoni e V. Pelligra, Microfinanza. Dare credito alle relazioni, Il Mulino, Bologna, 2009, p.215.

2. Si veda per tutti M. Bateman e H Chang, The micro finance illusion, mimeo, 2009.

3. Il passaggio dal microcredito alla microfinanza, è proprio l'adozione di una prospettiva di sviluppo locale integrato, in cui l'impresa di microcredito viene affiancata dalle altre iniziative imprenditoriali.

4. I meccanismi di peer selection, peer monitoring, peer pressure e peer enforcement, che sono stati invocati da buona parte della letteratura quale spiegazione del funzionamento delle imprese della microfinanza, sono in effetti anzitutto meccanismi informali.

5. E. Screpanti, L'impresa pubblica competitiva. Una proposta, Economia e Politica, 27 marzo 2009.