2010

Rom-Uomo: riconoscimento o negazione di quale cultura?

Federica Zanetti (*)

Le tematiche legate alle popolazioni romanès sono, quasi ciclicamente, molto dibattute. Esse accendono gli animi, portano con sé polemiche e paure. Sollevano conflitti "razziali", in un presente che richiama per molti aspetti un passato nefasto.

I rom, esclusi dalla società, sono esclusi anche dalla storia, una storia che li ha visti perseguitati come delinquenti senza delitto, e proprio per questa condizione, svuotati di ogni capacità di reazione e di ribellione. Un popolo che ha scelto di difendersi scegliendo spesso di rendersi invisibile nel silenzio, di resistere davanti ad una perdita di cultura e di identità che sembra diventata ormai inesorabile.

Rom e sinti non sono riconosciuti come minoranza nazionale e linguistica, sono destinatari di politiche segregazioniste in materia di alloggio, attraverso provvedimenti locali che negano la residenza o che collocano i campi fuori dalle aree popolate; affrontano un difficile inserimento nel sistema scolastico, che presenta alti tassi di abbandono

Molta confusione si verifica anche in merito alle denominazioni che si utilizzano per definirli, spesso sono espressioni generiche, inesatte o molto riduttive, rispetto ad una realtà complessa ed articolata. I membri di queste popolazioni sono spesso stati definiti "Zingari", "Tzigani", "Gitani", "Bohémiens", tutti nomi che veicolano antichi stereotipi. Dal termine Atsinganos, con cui si designava in Grecia una setta eretica proveniente dall'Asia Minore, derivano i nomi "Zingari", in Italia, "Zigeuner", in Germania, "Tsiganes", in Francia. Altri gruppi vennero chiamati Egiziani; alcune regioni della Grecia da loro frequentate erano infatti denominate "Piccolo Egitto", per la fertilità della terra. Da qui "Gitani", "Gypsies", "Gitanos". A queste si aggiungono anche altre espressioni peggiorative e stigmatizzanti, relative allo stato di vagabondi ed erranti, e al loro modo di vita, come per esempio "Vagantes", "Vagabunden", "Nomadi", "Itinérants", spesso usate dalle amministrazioni locali.

I rom e i sinti non sono soliti usare questi termini per definirsi, se non nel caso in cui si rapportino con dei "non-Zingari", da cui li hanno appresi. Essi hanno altri modi per riconoscere la loro appartenenza: Rom, Sinti, Manouche, Kalé, Romanichals, ognuno dei quali fa riferimento solo al proprio gruppo senza riconoscere un insieme comune. Per questo motivo risulta essere molto difficile offrire una visione globale della società romanì che corrisponda a quella che hanno i suoi membri. Ogni gruppo però designa in modo molto preciso i sottogruppi che lo compongono, considerando gli altri come categoria generica; tutti quelli che non appartengono al gruppo, ad esempio, sono chiamati "gagi", l'ampia categoria dei "non- Zingari", gli "stranieri", che determina il primo confine tra il mondo "proprio" e quello esterno (1).

Questi sono solo alcuni esempi della complessa articolazione che forma la società romanì e credo che la consapevolezza di tale complessità possa aiutarci a superare la banalità e la superficialità con cui spesso trattiamo questa cultura e chi si riconosce in essa.

Un discorso a parte merita l'ormai tanto diffusa denominazione di "nomade", che trova posto accanto alle espressioni quali "di colore" o "extracomunitario", che ci vengono in aiuto quando si vuole assumere un atteggiamento meno discriminatorio e più democratico e politically correct nei confronti di una realtà o di alcuni soggetti che non si sa come chiamare.

Viene definito nomade chi da generazioni vive stabilmente in case o appartamenti, come nel caso di molti Rom della ex-Jugoslavia, che nella condizione di profughi sono costretti a vivere per anni in roulotte. Al contrario, molti gruppi di tradizione nomade, come i Sinti Giostrai, hanno una residenza fissa, nelle aree attrezzate per la sosta, che può durare anche tutta la vita.

L'espressione "campo nomadi", dove campo ha una connotazione di stabilità forzata e nomadi quella di libertà di viaggiatori senza fissa dimora, è un esempio delle contraddizioni e della confusione con cui la società affronta le problematiche che coinvolgono le popolazioni dei Rom e dei Sinti.

Parlare di Rom significa anche parlare di diritti, diritti negati, di sicurezza e quindi anche di città, proprio per il loro essere collocati ai margini, fuori, oltre quei luoghi in cui si vivono le relazioni, le decisioni, la vita.

Da un lato, la città come polis, come realtà storica, realtà fisica nella quale si abita, polis significava anche "reticolo", "rete", come sistema di relazioni che va oltre il concetto di città come luogo in cui bisogna mantenere l'ordine, necessità che sembra prevalere. Dall'altro una città fatta di luoghi che respingono, che precludono, in cui si escludono costantemente categorie di persone che non trovano una loro collocazione, per quelle minoranze che è come se fossero in più, persone superflue, non collocabili, non impiegabili in alcun tipo di lavoro. (2)

L'emarginazione nei confronti di chi si trova al gradino più basso della scala sociale e del processo produttivo e di chi ha sviluppato valori, relazioni e visioni del mondo che non sono quelli della maggioranza non porta solo alla negazione del diritto all'autonomia e all'autoaffermazione tramite il lavoro, le risorse economiche e l'accesso ai beni comuni, necessari per accedere alla cittadinanza, ma soprattutto alla negazione della possibilità di scelta e alla libertà che occorrono ad ogni individuo per costruire la propria identità, personale e sociale.

Roberto Escobar in Metamorfosi della paura scrive: "In Europa, milioni di donne e di uomini fanno pagare ad altri uomini e altre donne il prezzo di una paura che vive sui confini...L'Europa s'avverte come una Città assediata, violentata da una migrazione epocale, da un'invasione barbarica. Ce ne viene così un innalzamento del pregiudizio, una riemersione inquietante dei meccanismi più arcaici, tra quelli che fondano e nutrono il sentimento d'identità dei gruppi e dei singoli in essi." (3)

E' questo pregiudizio che esercitiamo nei confronti di chi consideriamo e abbiamo collocato fuori da questo confine, che ci dà sicurezza, che limita la nostra precarietà e rinforza il nostro bisogno di ordine. È difficile conoscere e comprendere la cultura romanì, poiché ciò implica che si mettano in discussione stereotipi e pregiudizi che ormai si sono radicati nella mentalità comune.

La paura dell'altro, del "diverso", si trasforma in ordine e sicurezza, che vogliamo ottenere e mantenere attraverso meccanismi crudeli che semplificano l'eccessiva e spesso non gradita complessità del mondo. Ci serviamo infatti di semplificazioni che gettano la nostra paura fuori dai nostri confini (pensiamo a dove sono collocati i cosiddetti "campi nomadi") ai margini, consentendoci di localizzare fuori il nemico, lo straniero che diventa il capro espiatorio,

Forse i cosiddetti zingari sono per noi i nemici principali, per il fatto di non avere patria, di attraversare territori di frontiera, passare attraverso gli Stati. Li percepiamo come invasori anche quando le migrazioni sono dovute non ad un folkloristico e romantico girovagare, ma a persecuzioni, fughe da guerre, etc. Spesso sono i perseguitati che noi scambiamo per invasori, ignorando che i persecutori siamo noi.

Sembra che più tentiamo di erigere muri, più si insinua il pericolo della diversità, e quando ci accorgiamo che l'"altro" ha già varcato la porta ed è tra noi, allora dobbiamo rendere i nostri pensieri più radicali, più duri. Forse, come sostiene Escobar: "Quanto più una civiltà si chiude, quanto più si difende, tanto meno ha da difendere. I barbari veri non vengono da fuori: sono dentro di noi da sempre" (4).

L'altro, lo straniero, il diverso diventa la nostra immagine allo specchio.

La distinzione tra un "dentro" e un "fuori" e la contrapposizione fra "cittadino" e "straniero" ci danno la possibilità di vedere nel "disordine" di quest'ultimo il nostro "ordine", nella sua "disumanità" la nostra "umanità", nella sua "illegalità" la nostra "osservanza delle leggi", il nostro essere tutti d'accordo. Questa semplificazione ci rende più coesi, in un processo di semplificazione che ci rende più uniti, trasferendo i problemi sull'alterità.

Ed è proprio questa alterità che diventa un insieme omogeneo di individui ai quali attribuiamo le stesse caratteristiche: "delinquenti", "sporchi", "violenti", "ladri". In questa omogeneità si nasconde l'invisibilità delle culture e delle diverse identità non riconosciute. Sotto la denominazione di Rom, o nella definizione di "nomade", chi c'è? Ci sono i Rom rumeni, di recente immigrazione, i Rom italiani, quelli che non sono mai stati nomadi, quelli che sono nomadi stagionali per motivi lavorativi, i gruppi provenienti dai Balcani a seguito della guerra in Bosnia, quelli che non hanno mai vissuto in una roulotte, etc.

Spesso confondiamo l'espressione profonda di un disagio o della disperazione, che nasce da una condizione di degrado e di povertà, con l'espressione di una cultura. Gli "Zingari", fantasmi che incarnano ogni brutto sogno delle città impaurite, sempre più spesso si nascondono, quasi per voler resistere ad una lenta agonia "culturale" o per avere anche una minima possibilità di integrazione.

Abbiamo davanti a noi solo due direzioni: la prima è quella di riconoscere la cultura, l'identità che sta dietro alle minoranze. Ciò vuol dire dare loro la possibilità di esprimerla, finanziare e sostenere la loro possibilità di esprimere e di vivere una cultura; la seconda va verso un lento processo di inclusione che passa attraverso l'assimilazione. Purtroppo, si corre il rischio di riaprire anche la strada del razzismo, una trappola sociale, una risposta inadeguata ad una paura che può essere reale, ma che non possiamo ricondurre al concetto, inesistente, di "razza naturale".

L'impressione che si ha, in questo momento è che le minoranze si trovino in una situazione forzatamente stretta tra esclusione e assimilazione: conservare le proprie abitudini di vita e accettare la progressiva ghettizzazione, o rinunciare agli aspetti più significativi della propria cultura. Il conflitto vissuto da molti gruppi rom, così come da altre minoranze, è tra un futuro che è solo un immediato domani e che non offre opportunità, e un passato che è nostalgia ma in cui non ci si può riconoscere.

Tra emergenze e fascino gitano: alcune foto da quotidiani e riviste femminili:

Isabel Fonseca in Seppellitemi in piedi. In viaggio lungo i sentieri del popolo Rom afferma: "il miracolo è che gli Zingari in complesso siano sopravvissuti a un'assimilazione che ha sempre significato resa" (5).

Attualmente l'incontro con il popolo rom, quando avviene, avviene non attraverso il riconoscimento della loro cultura, ma con due modalità, che corrispondono a prendere quello che vogliamo e rifiutare quello che non accettiamo.

Abbiamo la responsabilità di trovare una terza possibilità, maturando la consapevolezza che, come sostiene Maurice Olender: "Rispondendo ai problemi con la paura e alla paura con il razzismo noi però ci precludiamo la possibilità di cambiare la realtà e di risolvere i conflitti reali. Invece la vita è cambiamento, e non ci sarebbe storia altrimenti" (6).

Bibliografia

  • Bauman, Z. Fiducia e paura nelle città, Milano, Bruno Mondadori, 2005
  • Brunello P. (a cura di), L'urbanistica del disprezzo. Campi rom e società italiana, Roma, Manifestolibri, 1996
  • Calabrò, A. R., Zingari. Storia di un'emergenza annunciata, Napoli, Liguori, 2008
  • Escobar, R. Metamorfosi della paura, Bologna, Il Mulino, 1997
  • Fonseca, I., Seppellitemi in piedi. In viaggio lungo i sentieri del popolo rom, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 1999
  • Monasta, L., I pregiudizi contro gli zingari spiegati al mio cane, Pisa, BFS Edizioni, 2008
  • Moresco, A., Zingari di merda, Milano, Effigie, 2008
  • Petruzzelli, P., Non chiamarmi zingaro, Milano, Chiarelettere, 2008
  • Piasere L., I rom d'Europa. Una storia moderna, Bari-Roma, Laterza, 2009
  • Sigona, N., Figli del ghetto. Gli italiani, i campi nomadi e l'invenzione degli zingari, Trento, Nonluoghi Libere Edizioni, 2002
  • Spinelli, A.S., Baro romano drom. La lunga strada di rom, sinti, kale, manouches e romanichals, Roma, Meltemi, 2005
  • Zanetti, F., Educare alla cultura zingara. Itinerari di viaggi attraverso i luoghi dell'incontro, Bergamo, Junior, 2001.

Note

*. Ricercatrice confermata presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna.

1. Cfr. F. Zanetti, Educare alla cultura zingara. Itinerari di viaggi attraverso i luoghi dell'incontro, Bergamo, Junior, 2001; A. S. Spinelli, Baro romano drom. La lunga strada di rom, sinti, kale, manouches e romanichals, Roma, Meltemi, 2005.

2. Cfr. Z. Bauman, Fiducia e paura nelle città, Milano, Bruno Mondadori, 2005.

3. R. Escobar, Metamorfosi della paura, Bologna, il Mulino, 1997, pp. 5-6

4. Ibid.

5. I. Fonseca, Seppellitemi in piedi. In viaggio lungo i sentieri del popolo rom, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 1999, p. 14.

6. M. Olender, intervento al Festival della Filosofia del 2009.