2011

Alla scoperta del femminismo islamico

Anna Vanzan

Le femministe islamiche stanno reinterpretando le fonti della loro religione, che costituiscono pure le radici della loro giurisprudenza, al fine di affermare i propri diritti senza uscire dalla cornice dell'islam. Secondo questa visione, tali diritti sarebbero già sanciti dall'etica ugualitaria predicata dall'islam fin dalle origini, ma perlopiù soffocati dalla produzione giurisprudenziale dei patriarchi lungo i secoli. Detta "democratizzazione dell'ijtihad"(ovvero, la metodologia interpretativa), com'è stata definita da alcune studiose, (1) così come propugnata dalle nuove pensatrici, per quanto possa essere rivoluzionaria e incisiva, da sola non basta di certo a sovvertire l'ordine costituito. E' necessario, infatti, che teologhe e attiviste ispirate dai principi dei "femminismi islamici" arrivino ad influenzare le autorità religiose e politiche, uscendo dalla periferia della discussione teorica per raggiungere i centri di potere, dove si decidono le azioni che determinano la vita anche delle donne. Un siffatto obiettivo può essere raggiunto, a giudizio di chi scrive, solo coagulando le energie delle varie anime del movimento femminista, ovvero quelle più propriamente "laiche" insieme a quelle di ispirazione "islamica". Simile esperimento è già in corso in Iran, paese che da questo punto di vista si rivela un vero e proprio laboratorio di strategie femministe. Infatti, il femminismo iraniano, dopo essere nato agli albori del XX secolo sotto il segno della secolarizzazione e della modernizzazione (secondo modelli familiari anche all'occidente), passando poi per il "femminismo di stato" durante la dittatura laico-militare dei sovrani Pahlavi, ha assunto due nuances principali, riassumibili tramite le etichette di "femminismo islamico" e "femminismo laico". Premesso che all'interno di queste due grandi compagini si muovono gruppi di donne molto spesso profondamente diversi tra loro per ideologia e azione, è interessante notare come le predette concezioni registrino periodiche convergenze destinate al beneficio delle donne tutte.

In seguito a vari tentativi di dialogo fra le donne maggiormente legate al regime, o perlomeno, alla sua ideologia, e le laiche, è stata varata una grande coalizione nella primavera del 2009, allorché attiviste d'ambo i gruppi si sono riunite per preparare una piattaforma comune di richieste al futuro Presidente della repubblica, fra le quali, spicca l'adesione dell'Iran al CEDAW al pari della revisione di alcuni articoli della Costituzione che sanciscono ancora l'inferiorità giuridica delle iraniane. A quest'opera hanno lavorato sia le "islamiche" (Zahra Rahnavard, Farideh Mashini, Minu Mortazi, ecc.), sia le laiche solitamente facenti capo a "Madrase ye feministi", ossia la Scuola Femminista nelle cui fila militano attiviste radicali quali Nushin Ahmadi Khorasani.

Sebbene l'esito elettorale non sia stato positivo, la piattaforma non è stata sciolta, ma anzi si è addirittura arricchita di nuovi apporti, come quello di Faezeh Hashemi Rafsanjani, un'"islamica" che combatte perché le musulmane di tutto il mondo possano gareggiare negli eventi sportivi mantenendo l'hejab, ma che, al contempo, si esprime in modo netto contro la poligamia ed altre istituzioni misogine che le autorità iraniane non cessano di proporre. In tal modo, le ideologie femministe si stanno radicando nel Paese, perché anche le donne per le quali la dimensione religiosa è fondamentale trovano uno strumento di lotta che consente loro di battersi per i propri diritti senza tradire la propria identità di fedeli.

Ciò non significa che l'armonia regni fra "laiche" e "islamiche", così come si registrano discordanze anche profonde tra i movimenti femministi internazionali, ma sarebbe errato cadere nella trappola di un rifiuto dei "femminismi islamici" tout court bollandoli quali "ossimoro", o "sottoprodotto del femminismo", come affermato da alcuni. (2) Certamente, ci sono attiviste che in un contesto più democratico sceglierebbero una veste femminista maggiormente laica, ma che si trovano giocoforza costrette ad una scelta religiosa, vale a dire più conveniente in relazione alla situazione socio-politica dove vivono e operano. Ma, a ben vedere, una scelta siffatta non fa che sottolineare la forza dei "femminismi islamici", anche quale strategia di lotta. Peraltro, ciò che importa veramente, è non creare inutili e dannose divisioni all'interno dei movimenti delle donne, già di per sé abbastanza divisi, bensì rafforzare il concetto che le donne, non importa se laiche o religiose, lottano per il comune obiettivo di migliorare la propria vita.

In ogni caso, i progressi ottenuti in ambito islamico grazie alla rilettura delle scritture sacre in chiave di genere sono innegabili, se non altro perché le donne hanno confermato come sia possibile sfidare le autorità degli 'ulama, ponendo la questione femminile nell'agenda tanto dei "depositari" maschili del sapere religioso quanto dei policy makers dei paesi in cui vivono.


Note

1. Y. Haddad e B. Stowasser nell' introduzione al volume da loro edito, Islamic Law and the Challanges of Modernity, Walnut Creek, AltaMira Press, 2004, p.7.

2. Su questo punto, vedi il capitolo finale del mio Le donne di Allah, viaggio nei femminismi islamici, Milano, B. Mondadori, 2010.