2005

Multilateral, mito di un 'passato immaginario'. Parola di Robert Kagan (*)

Francescomaria Tedesco

Robert Kagan, punta di diamante del pensiero neoconservatore statunitense, nel suo saggio del 2002 dal titolo Power and Weakness ha sostenuto, come è noto, che gli europei provengono da Venere e gli statunitensi da Marte. Quelle idee sono confluite in Of Paradise and Power. Tentando un approccio teorico più 'raffinato', nei suoi saggi ha spiegato la metafora dei pianeti sostenendo che gli europei sono kantiani - il loro modello ideale sarebbe, in sostanza, la cosmopoli del Kant di Zum ewigen Frieden -, mentre gli statunitensi sono hobbesiani, credono cioè che nell'anarchia internazionale le relazioni vadano gestite secondo i criteri della Machtpolitik. In altri termini, secondo Kagan gli statunitensi non si lasciano blandire dalle sirene del soft power europeo: 'scottati' dalla 'lezione di Monaco' (la miopia con la quale i leader delle potenze occidentali spianarono la via a Hitler), essi ritengono che la strategia di appeasement versi i nemici produca disastri. Ora, si potrebbe sostenere che l'Europa non ha prodotto soltanto emuli di Kant: in molti si sono resi conto che la cosmopoli rischierebbe di diventare a sua volta liberticida e imperiale; e quando Norberto Bobbio ha proposto il suo modello di paficismo istituzionale sincreticamente fondato sulla Pace perpetua e sul contrattualismo hobbesiano, gli intellettuali più avveduti gli hanno fatto notare la fallacia metodologica della domestic analogy con la quale egli intendeva trasporre - quasi col pantografo - le dinamiche di costituzione delle società civili (statuali) al contesto internazionale. Ma non è questo il punto: Kagan è un ideologo, produce 'falsa' cultura, narrazioni che servano a legittimare le strategie dell'amministrazione statunitense. E ha continuato a farlo quando, scrivendo la prefazione all'edizione paperback del suo saggio più famoso, ha sostenuto che i popoli di Stati Uniti ed Europa vivono su due pianeti ideologicamente e strategicamente diversi, che essi intendono diversamente il ruolo del diritto e delle istituzioni internazionali e che tali divergenze sono antecedenti alla guerra in Iraq e alla presidenza di George W. Bush. E, naturalmente, che la Carta delle Nazione Unite - che per Kagan non ha mai fondato il comportamento degli Stati Uniti - oggi è un documento superato dalla forza degli avvenimenti e in cui sarebbe vano cercare la fonte di legittimazione delle azioni degli Usa, i quali secondo Kagan possono intervenire "anywhere and everywhere".

Robert W. Tucker e David C. Hendrickson hanno risposto a queste tesi sul numero di novembre/dicembre di Foreign Affairs. I due studiosi, sostenendo - forse troppo benevolmente - che gli Stati Uniti hanno fondato la legittimazione delle loro azioni internazionali dal secondo dopoguerra in poi sul diritto internazionale, in particolar modo nella versione della Carta ONU, hanno sottolineato che la credibilità presente e futura degli Usa agli occhi del mondo (soprattutto dell'Europa) dovrebbe tornare a fondarsi sul diritto internazionale. In altri termini, solo il rispetto dei principi sanciti a San Francisco nel 1945 è in grado di risolvere la grave crisi di legittimità giuridica (ma anche politica) che investe le azioni internazionali degli Stati Uniti: soltanto il combinato disposto degli articoli 2, 51, 39 e 42 della Carta - divieto di uso e di minaccia di uso della forza, eccezion fatta per la legittima difesa ma a patto che in tal caso il Consiglio di Sicurezza si attivi immediatamente - può rimettere in moto la cooperazione internazionale sui temi della sicurezza globale. La risposta del neoconservatore Kagan è apparsa sul primo numero del 2005 della stessa rivista. Kagan ribadisce che la legittimazione degli Stati Uniti "ha poco a che fare con la fedeltà al rule of law internazionale o con l'obbedienza alla Carta ONU o al Consiglio di Sicurezza", ma che essa deriva dal ruolo degli Stati Uniti come leader del mondo libero contro la minaccia del comunismo prima e del terrorismo poi. Egli asserisce - con realismo perfino condivisibile - che la lista delle azioni statunitensi in dispregio del diritto internazionale è lunga e che le eccezioni sono state dettate da considerazioni opportunistiche. Ma proietta questo atteggiamento post-bellico sulle vicende attuali, e trasforma il dato in norma. E critica Tucker e Hendrickson poiché erano stati proprio loro, con 'sano' realismo, ad affermare nei loro numerosi scritti la necessarietà di una politica unilaterale statunitense che prescindesse dai legacci del diritto internazionale. Ora che i due pare abbiano cambiato idea, Kagan li accusa di sposare il mito di un 'passato immaginario' in cui gli Stati Uniti avrebbero aderito alle restrizioni del multilateralismo: "questo errore comune è stato commesso da molti commentatori recenti, recalcitranti a vedere le continuità della politica estera Usa e piuttosto inclini a immaginare un passato nel quale gli Stati Uniti si sono limitati alle restrizioni del diritto internazionale".

Non si capisce come mai la pur condivisibile denuncia di Kagan del mito di un passato immaginario debba necessariamente proiettare la sua ombra sinistra su un futuro certamente desiderabile ai nostri occhi. È per questo che la posizione di Tucker e Hendrickson ci pare un segno di speranza e di buon senso.


*. Da Europa, 20 gennaio 2005.