2005

Il Muro: un recinto, un ghetto (*)

Raya Cohen

Lo Stato di Israele non ha confini ufficiali e riconosciuti, e quindi la linea di cessate il fuoco del 1949, chiamata "linea verde", cambia significato con il tempo. Senza risalire alle origini del conflitto israelo-palestinese, si può dire che per la società israeliana la "linea verde", ha riacquistato il suo significato di linea di separazione fra Israeliani e Palestinesi con la prima intifada (1987). La ribellione contro l'occupazione israeliana ha reso pericolosi i territori al di là di questa linea e li ha messi fuori dell'orizzonte della maggior parte degli Israeliani. Per alcuni, gli "accordi di Oslo" traducevano questa alienazione in un'autonomia parziale dei Palestinesi, che avrebbe forse condotto in futuro a farne un confine con uno Stato Palestinese sovrano, mentre per altri il ritorno della "linea verde" nella coscienza israeliana doveva essere annullato. Anche nella società palestinese c'era un'opposizione agli accordi, fra cui una frazione usava il terrore per sabotarli. Di fronte al moltiplicarsi degli attentati, il governo di Izhak Rabin decretò (nel marzo 1993) la prima "chiusura" continua (seger) della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, impedendo l'ingresso dei Palestinesi che lavoravano in Israele. In questo contesto la "linea verde" acquistò anche il significato di punizione collettiva, poiché portava i capi di famiglia alla disoccupazione e le loro famiglie alla miseria.

Si stima che circa 200,000 Palestinesi, cioè un terzo della forza lavoro palestinese effettiva, lavorassero in Israele fino al 1999.Con la nuova intifada (Settembre 2000), i permessi di ingresso per i lavoratori palestinesi sono stati molto ridotti, e oggi, secondo l'ONU, il 63% dei Palestinesi vive sotto la soglia di povertà. Ma questi stessi dati, e la crisi economica che traversa la società israeliana stessa, spiegano anche perché i datori di lavoro israeliani e i lavoratori palestinesi si trovino sempre d'accordo per aggirare le regole, e perché i Palestinesi continuino a infiltrarsi, nonostante gli elevati rischi che corrono se sono scoperti dalla polizia. Pare che dal 2002, visto che solo 15000 ricevono il permesso, si trovino in Israele altri 30000 Palestinesi senza permesso. Fra questi si trovano anche i terroristi palestinesi, che si infiltrano illegalmente all'interno di Israele.

Con l'accrescersi della violenza della nuova intifada, il Gabinetto della Difesa giunse, nel Giugno 2002, alla decisione di costruire un "ostacolo" continuo. Questo "ostacolo", secondo il sito ufficiale del Ministero della Difesa israeliano intitolato Israel's Security Fence, non deve avere nessun significato politico: "Il solo scopo del 'recinto di sicurezza' è di fornire sicurezza". Il recinto, sottolinea il sito, è in accordo con la convenzione dell'Aia del 1907 (art. 23 g), come progetto di difesa contro il terrore palestinese, che è riconosciuto come crimine contro l'umanità. Il sito dà poi la concezione dell'"ostacolo", le diverse minacce, l'adattamento del progetto a queste minacce - come anche a considerazioni umane e ambientali - e il suo tracciato che si estende su 225 Km. (In realtà questa è la parte operativa: sono stati approvati più di 550 Km, forse 600 Km, il che include un recinto all'est delle città palestinesi, lungo la valle del Giordano, ma questa altra parte non è menzionata nel sito.) In passato, viene spiegato, il progetto era posto sotto la responsabilità della polizia, ma da aprile 2002 la responsabilità del progetto è stata trasferita al Ministero della Difesa, modificando la sua concezione in quella di un "ostacolo continuo". Esso dovrebbe essere impenetrabile: 50 metri di larghezza, che includono un fossato, un recinto elettronico, una strada per le pattuglie militari e altro filo spinato, e - nelle zone abitate che non permettono una struttura larga - un muro di cemento alto 8 metri. In ebraico, invece, il sito del ministero spiega il progetto in termini un po' diversi. Tanto per cominciare, non si tratta di un progetto di "recinto di sicurezza" (Gader Bitachon), ma di una "zona di sutura" (Merchav kav Hatefer).

Vi propongo, nella prima parte, una breve rassegna sul modo in cui il progetto - il più grande e costoso progetto di infrastruttura mai intrapreso dallo Stato di Israele - viene spiegato agli Israeliani sul sito ufficiale, e perché ha conquistato il consenso degli israeliani; nella seconda parte, vorrei far rilevare qualche paradosso che risulta dal progetto, in particolare a Gerusalemme, e suggerire che esso non si limita soltanto all'applicazione di una difesa legittima, ma costituisce un atto politico che cerca di voltare una pagina nella Storia del conflitto israelo-palestinese.

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Certo, che la "zona di sutura" sia destinata ad evitare gli atti terroristici viene ribadito anche sul sito in ebraico. Un lungo passaggio con diversi dettagli descrive questa minaccia che proviene dai quotidiani ingressi illegali in Israele. Anzi, la prima minaccia, nella versione ebraica, è quella dovuta all'infiltrazione di persone, non solo per compiere diversi atti terroristici, per incitare gli Arabi israeliani a parteciparvi, ma anche per il fatto stesso di volersi integrare con loro. Il concetto del progetto è basato sul principio che - cito - "più difesa significa meno offensiva", e che anche nella Striscia di Gaza il concetto di bloccare l'infiltrazione "dall'estero" e controllare gli ingressi in Israele ha avuto successo.

Dunque, da questo punto di vista, l'ostacolo progettato dal governo israeliano può somigliare a un confine, che permetterebbe di separare i Palestinesi da Israele. Ma il paragrafo successivo rileva come esso non è per niente un confine, almeno non lo è per l'esercito israeliano. Anzi, la "zona di sutura" non è concepita come una difesa passiva, ma come un "ostacolo" militare in cui, su entrambi i lati, ci saranno truppe israeliane, che sarebbero attive perfino in profondità nella "zona A" (cioè quella sotto l'Autorità Palestinese). Mentre sul sito in Inglese l'accento è messo sul fatto che l'ostacolo ha il SOLO scopo di sicurezza, e dunque è temporaneo, il sito ebraico esplicita che la sua efficacia dal punto di vista della difesa è limitata, essendo solo "UN elemento nella lotta contro il terrore palestinese." Il cosiddetto ostacolo invece risulta piuttosto permanente, visto che la "zona di sutura" sarà messa sotto amministrazione giuridica speciale (Minhelet Merchav Hatefer). Questa differenza nel ragionamento fra il sito ebraico e il sito inglese, secondo me, non proviene da una manipolazione fra due pubblici diversi, israeliano e internazionale, da parte del ministero della Difesa, ma riflette piuttosto un problema fondamentale per la società israeliana, quella di non aver raggiunto un consenso sui confini dello Stato.

Senza entrare qui nello sfondo storico e culturale di questo problema, si può dire che i confini dello Stato di Israele sono indeterminati perché ne dipende l'identità della società ebraica stessa. Cioè, non si tratta di cercare una correlazione massima fra una società nazionale e i suoi confini politici (come sarebbe stato in Europa per la maggior parte degli Stati-Nazione), ma all'inverso: i confini politici determinano l'identità israeliana in Palestina (e forgerà anche quella dei Palestinesi). Per i laburisti, la società israeliana deve essere innanzi tutto ebraica e democratica. Essi dunque accettano, se non la spartizione della Palestina in due Stati, almeno l'idea del ritiro dai territori occupati, visto che fra meno di una generazione i Palestinesi saranno la maggioranza. Invece, la destra si definisce a partire della nozione che la Palestina intera, Eretz Israel, appartiene al popolo ebraico, il che implica di colonizzarla, anche con la forza, per alcuni, anche al prezzo di divenire una società di apartheid esplicito. Finché questo dibattito interno non sarà risolto, sarà impossibile determinare i confini, e viceversa: una volta che i confini saranno fissati, anche il carattere della società israeliana sarà determinato.

Dagli anni settante, al fine di non fare allusione alla "linea verde" come a un confine, essa venne chiamata la "linea di sutura", alludendo alla riunione di due territori diversi, piuttosto che alla loro separazione. La "zona di sutura", è molto più larga in sé stessa, ma soprattutto racchiude 845 Kmq a est della "linea verde". Cioè quasi il 17% della Cisgiordania non viene annessa ufficialmente, ma sara comunque separato dal resto dei territori occupati da un regime militare speciale e, per entrarci, tutti i Palestinesi - all'opposto degli Israeliani - avranno bisogno di un permesso, perfino quelli che ci abitano.

Si può dunque concludere dai due siti del Ministero della Difesa che l'"ostacolo" ha funzioni di difesa e non ha significato politico nel senso di un confine che delimiti la sovranità dello Stato ebraico. Anzi, il tracciato dell'ostacolo traduce il confine di paura degli Israeliani, l'unico confine comune a tutta la società israeliana, senza differenze di opinione. Esso avrebbe potuto seguire il tracciato della "linea verde", che non solo sarebbe stato in accordo con la risoluzione nº 242 dell'ONU, ma anche più corto e più facile da controllare, come hanno proposto vari ex-generali dell'esercito.Ma appunto il fatto che un tale tracciato avrebbe svolto anche una funzione politica, sul quale la società israeliana non ha ancora trovato un accordo, allontana questa opzione dall'ordine di giorno del governo Sharon. Anzi, la "zona di sutura", che per l'esercito è solo uno dei mezzi nella lotta contro il terrore Palestinese, viene rappresentata alla società israeliana in modo tanto ambiguo da permettere entrambe le interpretazioni politiche, quella dei laburisti, di non annettere i territori, e salvaguardare il carattere democratico della società; quella della destra - come una tattica per continuare a possedere (tuttta) la terra di Israele.

In oltre, l'ostacolo militare permette già oggi agli israeliani di evacuare dal loro orizzonte i Palestinesi come individui, lasciandoli dall'altra parte della barriera, a vivere (o sopravvivere) sotto la tutela dell'esercito di occupazione e dei coloni. L'illusione che l'ostacolo garantirebbe la pace, assicurando perfino il flusso di manodopera palestinese, spiega il largo sostegno di cui gode il progetto nella società israeliana.

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Il progetto, come appare sul sito ufficiale, sembra creare due paradossi dal punto di vista della sicurezza. Il primo paradosso riguarda il numero dei Palestinesi rinchiusi dentro la "zona di sutura", o intrappolati fra l'ostacolo e "la linea verde", o ancora dentro enclave: secondo calcoli effettuati nel marzo 2004 da B'tselem (The Israeli Information Center for Human Rights in the Occupied Territores), a 473000 - cioè a più del 20% della popolazione della Cisgiordania. Insieme ai Palestinesi direttamente danneggiati (le loro proprietà terriere, i pozzi d'acqua, gli oliveti ecc.) all'est dell'ostacolo, il numero di Palestinesi sale a 875000, il 38% dalla popolazione dalla Cisgiordania. Non nasceranno entro questa enorme popolazione, rinchiusa fra muri e recinti, distaccata dalla società nazionale, i nuovi terroristi che si troveranno a ovest del recinto?! e allora la società israeliana come potrebbe difendersi dalla loro aggressione?! Questo paradosso così evidente si spiega per il fatto che il tracciato dell'ostacolo cerca di difendere non solo gli Israeliani che vivono dentro lo Stato di Israele, ma anche altri 320000 Israeliani che vivono nelle colonie nei territori occupati (di cui quasi 180000 a Gerusalemme Est). Difatti, il tracciato permette di far trovare quasi l'80% dei coloni all'ovest del recinto. Per questo esso è così sinuoso (quasi il doppio della lunghezza della "linea verde").

Lo scopo di avere il massimo di coloni ebrei a ovest dell'"ostacolo" è specialmente acuto a Gerusalemme. Gerusalemme odierna è abbastanza lontana dalla sua silhouette storica, definita dal muro ottomano, dalla torre di Davide e dalla Cupola della Roccia, ed è molto diversa perfino dalla città come era fino al 1967. Dal 1967 ad oggi, la sua superficie si è quasi triplicata, essendo stati annessi altri 71 Kmq all'est di Gerusalemme, fra cui le terre di 28 paesini e qualche città palestinese, annesse ad Israele ufficialmente nel 1980. Ma solo il 14% delle terre confiscate ai Palestinesi è stato dedicato all'urbanizzazione palestinese. Tanto è vero che in 37 anni solo 9000 nuovi appartamenti sono stati costruiti per i Palestinesi rispetto a 65000 per gli ebrei. Non possiamo entrare nel ragionamento della politica demografica israeliana, ma bisogna comunque menzionare che per Gerusalemme c'è una politica chiara (formulata nel 1988) che aspira a raggiungere la proporzione di 78% di ebrei e 22% di Palestinesi. Per arrivarci, il municipio persegue una politica di apartheid di fatto: i residenti palestinesi, quasi un terzo dei 700000 abitanti, godono solo del 9%-11% del budget municipale. Sul campo queste cifre si traducono in una infrastruttura trascurata nei quartieri arabi, servizi municipali inadeguati e soprattutto in limitazioni severe sulla costruzione di case e in difficoltà inimmaginabili per mantenere la validità delle carte di residenza.

Questa politica risulta in un flusso costante dei Palestinesi fuori della città. Ma, vista la sua importanza politica per entrambe le società nazionali e gli investimenti fatti negli quartiere ebraiche, essa rimane una fonte di lavoro e attira i Palestinesi. In termini urbani, si può parlare di Gerusalemme odierna come di una metropoli di un milione di abitanti, con più o meno metà Israeliani e metà Palestinesi, di cui un terzo ci viene ogni giorno per lavorare e dorme all'intorno della città. Divisa in quartieri separati ebraici e arabi, questa zona si estende su 500 Kmq, una enorme conurbazione, che confina con Ramallah al nord e Betlemme al sud, cresciute anche esse. Il muro di 8 metri, che è già stato eretto, appare come una grande cicatrice nel tessuto vivente della città e dei suoi sobborghi. Questo muro, che stacca la Gerusalemme araba dal suo hinterland palestinese e la isola, è nominato sul sito ebraico ufficiale con il termine, quasi intimo, Otef Yerushalaim (la "copertura di Gerusalemme"). Ma questa copertura destinata a difendere Gerusalemme contro i terroristi lascia comunque 210000 Palestinesi all'interno del muro (il 9% della popolazione della Cisgiordania), e crea delle assurdità inimmaginabili per chi non le ha viste con i propri occhi.

Mi accontento di raccontare un caso minore.

Qualche tempo fa sono passata nei dintorni di sud-est di Gerusalemme, e ho visto accanto alla strada un anziano vestito in modo elegante che saliva dalla valle; era seguito da altri, poi anche da una sposa... un po' più avanti ho visto il resto: dall'altra parte della strada, in un campo, si incontravano con il futuro marito per celebrare il modesto matrimonio.

Solo più tardi, quando ho studiato il progetto dell'ostacolo, ho capito la scena.

Si trattava del paesino che si chiama Sheikh Sa'ed, con circa 2000 abitanti, che è in contatto urbano con Gebel Mukkaber, un quartiere orientale di Gerusalemme. Per la maggior parte esso si estende in una zona sotto controllo palestinese (zona B), e solo 15 case fanno parte della zona di Gerusalemme, cioè annessa ad Israele, mentre altre 7 sono spaccate in due, metà di qua metà di là. Situato su una collina di 650 metri e circondato da una valle molto ripida, l'unica via che la collega è quella che passa per Gebel Mukkaber, cioè da Gerusalemme. Un'altra via, che la collega alla Cisgiordania, attraverso la discesa e la salita della ripida valle, non è adatta per le automobili, e richiede circa 45 minuti a piedi. Per lavoro, scuola, servizi di salute e rifornimenti Sheikh Sa'ed è legata da 23 anni a Gerusalemme. Nel Settembre 2002 l'esercito ha bloccato la strada che collega il paesino a Gebel Mukkaber (finché sarà costruito il muro) e da allora non si può arrivare a Sheikh Sa'ed né uscirne con la macchina. Per recarsi a Gerusalemme bisogna non solo scavalcare il blocco (sia le merci sia i malati passano da schiena a schiena) ma anche pregare di non essere controllato. Al fine di avere il permesso di entrare in Gerusalemme senza rischi, bisogna percorrere la lunga via a piedi attraversando la valle e poi prendere un pulmino e andare all'amministrazione civile dell'occupazione per chiedere un permesso per entrare a Gerusalemme. Nell'occasione del matrimonio della ragazza isolata a Sheikh Sa'ed, i festeggiati hanno preferito incontrarsi sull'altra collina, a piedi, ma senza la umiliante procedura di chiedere i permessi per percorrere la loro vecchia strada.

Il muro di cemento previsto per 20 Km all'intorno di Gerusalemme separa, dunque, più di 200000 di Palestinesi dagli altri, a volte separa famiglie e vicini e mette un altro quarto di milione intorno a Gerusalemme sotto controllo stretto, come nel piccolo esempio di Sheikh Sa'ed; ma, soprattutto, riduce Gerusalemme Est da metropoli nazionale Palestinese a un quartiere sfavorito nella città ebraica.

Il secondo paradosso è legato al fatto che il recinto non sarà sufficiente per la lotta contro i terroristi, come è spiegato nello stesso sito ufficiale. Anzi, l'esercito dovrebbe continuare a fare incursioni militari all'est dell'ostacolo nei centri popolati e nelle città controllate dall'Autorità Palestinese per fermare i terroristi. Ma dopo quatro anni di repressioni collettive, sappiamo già che il metodo dei coprifuoco prolungati nelle città e dei diversi blocchi è fallito in quanto mezzo contro il terrore. Perfino il capo dei servizi segreti dell'esercito ha dichiarato (Haaretz, 4.8.04) che - cito - "non si può fermare il terrore palestinese con i soli mezzi militari", neanche il ritiro della striscia di Gaza senza un accordo politico la fermerà.

Dunque questo secondo paradosso si manifesta nel fatto che malgrado la crisi economica dello Stato, il programmato ostacolo, che rappresenta uno sforzo economico enorme, riuscirebbe a dare solo una soluzione parziale alla paura degli Israeliani. Saranno 30000 Palestinesi che si infiltrano senza permesso dentro Israele la ragione per questo investimento - si parla di 1% del PIL, di 1.9 miliardi di dollari (le cifre cambiano)? È dubbio.

Il dubbio cresce quando si considerano le implicazioni politiche sul campo. L'"ostacolo" come previsto lascerebbe i Palestinesi a vivere su circa 50% della Cisgiordania, lascerebbe la Cisgiordania staccata dalla regione di Gerusalemme, e il resto spezzato in diversi "cantoni" - insomma senza nessuna continuità territoriale, sotto il controllo israeliano quasi assoluto della circolazione. In altre parole, questo cosiddetto "ostacolo" vanificherebbe ogni concetto di uno Stato palestinese - perfino quello contenuto nella "road map", che prevedeva la creazione, in tre fasi, di uno Stato palestinese entro il 2005. L'assurdo diviene ancora più grave considerando che già oggi ci sono 700 km di strade riservate agli ebrei che garantiscono la continuità territoriale per gli ebrei nella stessa Cisgiordania.

Sarebbero questi risultati il vero scopo dell'"ostacolo"? Un programma (il "programma Dagan"), scritto dal consigliere per la sicurezza di Sharon alla vigilia delle sue elezioni (2001), precisa che Yasser Arafat secondo Ariel Sharon è un assassino e con gli assassini non si tratta, e che appunto bisognerebbe vanificare gli accordi di Oslo. Secondo il quotidiano israeliano Yediot Aharonot (14.12.01) il programma stipula che "Bisognerebbe prima rendere Arafat irrilevante, staccandolo dal popolo palestinese, [e] parallelamente, disgregare l'Autorità Palestinese in cantoni: territori spezzati e isolati l'uno dall'altro, e staccati da un centro di potere, sotto la tutela individuale di Israele." É forse casuale la somiglianza fra questo programma e le implicazioni che ha il progetto sul campo?

La pressione da parte della società israeliana per separarsi dai Palestinesi sullo sfondo del terrore, sarebbero stati sfruttati per realizzare un programma cui l"ostacolo" sarebbe un mezzo di controllo militare della Cisgiordania piuttosto che reazione al terrore?

Il 30 giugno 2004 la Corte Suprema israeliana si è coraggiosamente pronunciata contro gli abusi umani ed economici che conseguono per i Palestinesi dalla costruzione dell"ostacolo", e ha decretato che essa, benché giustificata, deve prenderli in considerazione. Ma il problema dell'"ostacolo" non è solo di ordine di diritti umani. Anzi, il discorso umanitario nasconde quello politico, su cui il tribunale israeliano non si permette di pronunciarsi, che è in quale misura la Quarta Convenzione di Ginevra, che lo Stato di Israele ha sottoscritto ma il parlamento non ha ratificato, deve essere applicata nei territori occupati. In assenza di questa legge, la Corte Suprema si pronuncia su tutti le questioni nei territori occupati - sulle espropriazioni di terre, sulle colonie ebraiche ecc. - come se fossero questioni legali, contribuendo in questa maniera all'illusione che i problemi nei territori occupati siano di ordine di diritti umani e non di ordine di (il)legalità internazionale.In questa maniera anche la Corte Suprema sfuma "la linea verde" che separa il territorio dello Stato di Israele delle territori occupati.

Ma intatno, di fronte alla reazione internazionale e alla decisione della Corte Suprema Israeliana, l'esercito ha proposto al governo israeliano diversi tracciati alternativi per l'ostacolo. Per di più, è stato chiesto alla Corte Suprema di dare la sua opinione sulla rilevanza della Quarta Convenzione di Ginevra nei territori occupati. Avrà essa il coraggio di ammettere che Israele, approfittando della congiuntura fornita dalla lotta contro il terrore, persegue una politica di fatti compiuti, contrari alle leggi internazionali?

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Per concludere, secondo il sito del Ministero della Difesa il numero delle vittime del terrore palestinese è una prova dell'efficacia dell'ostacolo: da 73 atti terroristici, in tre anni, il numero di attentati è sceso nella regione dove è stato costruito il recinto a solo 3 in 11 mesi (dall'agosto 2003 fino al giugno 2004). Questi dati convincono gli israeliani che si tratta innanzi tutto di un legittimo mezzo di difesa, solo un recinto, che di fatti, per loro è attraversabile; per i Palestinesi invece, esso è una punizione collettiva, che rende paesi e città intere isolate dietro muri impenetrabili, togliendo al 38% della popolazione della Cisgiordania la libertà di movimento: insomma è un ghetto. Più probabilmente - né difesa né punizione - l'"ostacolo" è destinato a smantellare le infrastrutture sociali e politiche del popolo Palestinese, a rendere i territori occupati un bantustan, insomma - a seppellire ogni possibile indipendenza palestinese...

Al fine di raggiungere questo scopo, il governo Sharon non ha bisogno di avere sostegno dalla maggioranza israeliana. Basta che il muro non delinei i confini futuri dello Stato ebraico; basta coltivare il concetto che nel presente non c'è un'alternativa politica alla presenza militare nelle città palestinesi perché "non c'è nessuno con cui parlare"; basta convincere l'opinione pubblica che Arafat, l'unico rappresentante legittimo del popolo palestinese, è la fonte del terrore palestinese odierno. Il resto la fa la paura e l'illusione di poter dimenticare i Palestinesi relegati dietro al muro.

Radicata nella memoria dell'Olocausto, nel conflitto prolungato con il mondo arabo e con i Palestinesi, la paura degli Israeliani è sfruttata dal loro governo per ridisegnare i confini di fatto dello Stato di Israele. Manipolando il passato degli ebrei come minoranza perseguitata, ogni critica politica dall'estero viene denunciata come un'aggressione tendenzialmente nemica, se non antisemita. Così si crea un circolo vizioso entro una visione di vittime contro un mondo eternamente ostile, di pochi e giusti contro i molti e cattivi. Ma questa visione, chiusa su se stessa, che ignora le convenzioni internazionali e allo stesso tempo vede una minaccia in ogni critica, non è proprio essa il vero ghetto che lo Stato di Israele sta costruendo intorno a sé stesso? L'Europa potrebbe smantellare questo muro mentale creato fra la società israeliana e il resto del mondo?

Stufi di guerre e del conflitto, Israeliani e Palestinesi vivono insieme già da 37 anni - male ma insieme - su una terra piccola come la Sicilia. Il muro non li separa né li difenderà. Essendo israeliana, nata in Palestina, concludo con qualche parola che ho preso in prestito dal libro di Elias Khuri "la Porta del Sole" (Einaudi 2004, p.23):

"Questa terra resterà. Non è questione di chi la governerà, tanto governare la terra è un'illusione. Nessuno governerà la terra, visto e considerato che ognuno finirà per esserci sepolto. La terra domina tutti e li riporta a sé."

Fonti pincipali:


*. Pubblicato in: Nel Suo Nome, conflitti, riconoscimento, convivenza delle religioni, Centro editoriale dehoniano, Bologna 2005, pp. 133-140.