2007

Azioni affermative nell'ordinamento giuridico brasiliano (*)

Larissa Fontes de Carvalho Torres (**)

I - Introduzione

Le cosiddette azioni affermative nascono dal riconoscimento che ormai i procedimenti classici di lotta alla discriminazione basati meramente sulla proibizione e dotati di strumenti giuridici in grado di riparare all'accaduto solo a posteriori si mostrano incapaci di concretizzare l'accesso di determinati gruppi della società nel mondo del lavoro e nelle istituzioni scolastiche superiori.

Tali azioni sono intrinsecamente legate al principio dell'uguaglianza dettato dai modelli in cui fu recepito con la nascita dello Stato Sociale, ovvero, non già come principio di uguaglianza formale, limitata alla negazione giuridica della disuguaglianza, ma come garanzia per i cittadini di un'uguaglianza di condizione nella compensazione delle loro differenze.

Questo saggio intende dimostrare come suddette politiche affermative si siano conformate all'ordinamento costituzionale nazionale, il quale aveva previsto nel suo testo non solo alcune misure di discriminazione positiva ma aveva anche conferito al legislatore la possibilità di istituirne altre nell'ordine infra-costituzionale.

II - Il principio dell'uguaglianza e le azioni affermative

Le politiche di azione affermativa, originariamente create negli Stati Uniti, sono sorte dalla necessità dello Stato di considerare tutti quei fattori che storicamente e culturalmente erano stati produttori d'esclusione, come il colore della pelle, il sesso, la razza, affinché fosse possibile creare i mezzi per provvedere all'accesso dei gruppi esclusi nel mercato del lavoro e nelle istituzioni scolastiche.

L'espressione azione affermativa, utilizzata per la prima volta in una sentenza esecutiva federale nord-americana nel 1965, cominciò d'allora a significare l'esigenza di favorire certe minoranze socialmente subalterne, vale a dire, giuridicamente sfavorite, da preconcetti culturalmente fondati e che bisognava superare affinché si potesse giungere all'efficacia dell'uguaglianza preconizzata e assicurata costituzionalmente nei principi dei diritti fondamentali (ROCHA, 1996, p. 87, corsivo dell'autore).

Con l'obiettivo di rovesciare questo quadro, il Potere Pubblico crea obblighi e incentivi affinché le entità pubbliche e private possano assorbire quelli che sono naturalmente esclusi e discriminati, in modo che tali spazi, principalmente le istituzioni scolastiche e i luoghi di lavoro, possano riflettere il pluralismo esistente nella società. Benché siano comunemente associate alle politiche delle quote, di cui sono l'esempio più completo e radicale, le politiche affermative possono materializzarsi attraverso incentivi fiscali alle imprese che contemplino fra i suoi quadri una determinata percentuale di gruppi sociali minoritari o che diano la possibilità a persone di questi gruppi di accedere a funzioni dirigenziali.

Quanto alle tecniche di implementazione delle azioni affermative, si possono utilizzare, oltre al metodo delle quote, il metodo dell'istituzione di preferenze, il sistema dei bonus e degli incentivi fiscali (come strumento di motivazione per il settore privato). Di importanza cruciale è l'uso del potere fiscale, non come meccanismo di allargamento dell'esclusione, come è proprio della nostra tradizione, quanto piuttosto quale strumento di dissuasione della discriminazione e della emulazione di comportamenti (pubblici e privati) volto allo sradicamento degli effetti della discriminazione di stampo storico (GOMES, 2001, p. 147).

Così, nonostante il grande spazio ottenuto sui media dalle discussioni intorno alle politiche delle quote razziali e al progetto di legge sulla creazione dello Statuto dell'uguaglianza Razziale, le azioni affermative non si limitano all'inclusione delle persone nere nella società, ma si applicano anche a altri gruppi minoritari come le donne, i portatori di necessità speciali, le minoranze etniche, gli anziani, i bambini, e persino a certe persone giuridiche come le associazioni che lavorano per la protezione di certi gruppi o di certe piccole imprese.

Secondo la professoressa Carmen Lúcia: "Non deve intendersi l'espressione minoranza nel senso quantitativo, piuttosto in quello di qualifica giuridica dei gruppi contemplati o accettati con un capitale minore di diritti, effettivamente assicurati rispetto a altri che detengono il potere" (ROCHA, 1996, p. 87, corsivo dell'autore).

Le politiche affermative conoscono un'intima relazione con il principio dell'uguaglianza eletto alla categoria di diritto fondamentale dalla Costituzione Federale del 1988. In effetti, il superamento dello Stato Liberale classico ha condotto a una trasformazione del concetto tradizionale di uguaglianza che oltrepassa la concezione di uguaglianza formale (o procedimentale) in nome di un'uguaglianza materiale (o di risultati). La cosiddetta uguaglianza di fronte alla legge non include aspetti importanti che sono precedenti all'entrata degli individui nei processi selettivi. Con l'adozione dell'uguaglianza formale, si assume una posizione di neutralità dello Stato, nella misura in cui innanzi all'affermazione per cui tutti sono uguali davanti alla legge, si garantirebbe a tutti i cittadini tale condizione di uguaglianza. Di certo, l'inclusione del suddetto precetto nelle Costituzioni e la negazione giuridica della disuguaglianza formale non sono sufficienti perché tali diritti siano effettivamente assicurati al cittadino, perché il preconcetto sia sradicato e perché tutti, indipendentemente dal sesso, dal colore e dall'origine vedano garantita l'uguaglianza di condizioni nell'accesso all'educazione, al lavoro e alla partecipazione politica.

Grazie a questa incontestabile constatazione storica, soprattutto da gli anni '60, iniziò a essere chiaro almeno a chi aveva occhi per vedere che il Diritto Costituzionale si restringeva alla sua concezione meramente formale del principio denominato dell'isonomia, privato degli strumenti di promozione dell'uguaglianza giuridica così come fino a allora si era proposto. Si conclude allora che proibire la discriminazione non era sufficiente per realizzare effettivamente il principio dell'uguaglianza giuridica. Ciò che quel modello comportava e comporta è appena il principio di divieto di ogni disuguaglianza o di invalidità di ogni comportamento motivato da preconcetto manifesto o comprovato (o comprovabile), il che non può essere considerato la stessa cosa che garantire l'uguaglianza giuridica (ROCHA, 1996, p. 86).

Così, andò poco a poco consacrandosi l'idea per cui l'isonomia, qui utilizzata come sinonimo di uguaglianza, permetteva, e, invero, determinava il trattamento disuguale di persone considerate in una posizione di disuguaglianza, ed era un dovere dello Stato garantire l'equiparazione di queste persone, attraverso misure di discriminazione positiva. "(...) Il principio di uguaglianza consiste nell'assicurare un trattamento uniforme per le persone che non siano tra di loro differenziabili per ragioni di logica e che non siano sostanzialmente (ovvero, davanti alla Costituzione), accomunati da un eventuale disparità di trattamento" (MELLO, 1993, p. 83).

III - Azioni affermative nell'ordinamento brasiliano

In questo passaggio, la Costituzione Federale del 1988 ha consacrato il principio dell'uguaglianza materiale, riconoscendo nel suo testo i fattori di discriminazione e imponendo allo Stato la creazione di altri meccanismi che in grado di realizzare l'uguaglianza tra i cittadini. L'uguaglianza di condizioni nella compensazione delle carenze socio-economiche è un valore sempre sottointeso nelle dichiarazioni dei diritti fondamentali, tanto che tali condizioni sono definite nelle stesso costituzionale o nella legge.

Vediamo, infatti, che nell'ordine costituzionale inaugurato con la Costituzione cittadina (come si è potuto constatare sin dal suo preambolo), il principio di uguaglianza è il valore guida del sistema stabilito.

Analizzando il testo costituzionale, abbiamo l'articolo 3, il quale stabilisce gli obiettivi fondamentali della Repubblica Federativa del Brasile, tra i quali vi sono elencati: costruire una società libera, giusta e solidaria; sradicare la povertà e la emarginazione e ridurre le disuguaglianze sociali e regionali e promuovere il bene di tutti, senza preconcetto di origine, razza, sesso, colore, età e qualsiasi altra forma di discriminazione.

Evocando, una volta ancora la lezione del più recente Ministro della Corte Suprema:

Si nota che tutti i verbi utilizzati nell'espressione normativa - costruire, sradicare, ridurre, promuovere - sono verbi d'azione, vale a dire, designano un comportamento attivo. Consta quindi che gli obiettivi fondamentali della Repubblica Federativa del Brasile sono definiti in termini di imposizioni che trasformino il quadro sociale e politico ritrattato dal costituente in fase di elaborazione del testo costituzionale. E tutti gli obiettivi contenuti, specialmente nei tre incisi sopra trascritti dell'articolo 3º, della Legge Fondamentale della Repubblica, traducono esattamente il cambiamento per giungere all'identità (ROCHA, 1996, p. 92, corsivo dell'autore).

Ovvero, la Costituzione del 1988 ha inaugurato un ordine in cui, malgrado il riconoscimento dell'ingiustizia e della disuguaglianza esistente, è dichiarata anche come finalità l'adozione di politiche capaci di attingere gli obiettivi adottati, spettando quindi allo Stato una condotta attiva, positiva e non la mera proibizione di atteggiamenti discriminatori. Per queste ragioni, crediamo che le azioni affermative sviluppate per il raggiungimento degli obiettivi tracciati dalla repubblica Federativa del Brasile non sono solamente autorizzate dall'ordine costituzionale, ma incentivate, desiderate dal costituente.

Più avanti, nell'incipit dell'articolo dedicato ai diritti fondamentali si riafferma il diritto all'uguaglianza, da cui ricaviamo che tutti i diritti esposti negli incisi dello stesso articolo devono essere intesi alla luce dell'isonomia, là dove a risaltare sono proprio gli incisi XLI e XLII, i quali enfatizzano il disprezzo verso ogni pratica discriminatoria, in quanto il razzismo costituisce un reato non risarcibile e non prescrivibile.

Come abbiamo detto prima, nn solo lo stesso testo costituzionale ha previsto alcune misure di discriminazione positiva, ma ha anche fornito al legislatore tutti gli strumenti per istituirle nell'ordine infracostituzionale, come è il caso delle cariche e degli impiegati pubblici riservati ai portatori di handicap, regola disciplinata dalla Legge 8.112/90, dell'art. 170, IX, che ha concesso un trattamento favorevole alle piccole imprese. La Carta Costituzionale prevede anche "la protezione del mercato del lavoro della donna, mediante incentivi specifici" (art. 7º, XX), e oltre a proibire espressamente la discriminazione nell'ambiente del lavoro per motivi di colore, sesso, età o stato civile (XXX e XXXI), prevede un trattamento per i bambini, gli adolescenti e per i portatori di handicap (art. 227), e per gli índios (art. 231). Le recenti Emende Costituzionali hanno anche previsto trattamenti diversi per le persone che si trovano in condizioni di disuguaglianza, come è il caso dei portatori di handicap o di coloro che esercitano attività lavorative in condizioni speciali o che pregiudicano la salute, per i quali la EC nº 47 ha previsto l'adozione di criteri differenziati per la concessione della pensione.

Quanto alle norme infracostituzionali, abbiamo la Legge delle Licitazioni (Lei 8.666/1993), la quale prevede nel suo articolo 24, XX, la dispensa della licitazione nella contrattazione collettiva dei portatori di handicap fisico, senza alcun fine lucrativo, cosa che, senza nessun margine di dubbio, rappresenta un vantaggio per un determinato gruppo di persone, di norma, socio-culturalmente escluso. Esiste, poi, le leggi 9.100/95 e 9.504/97, che trattano delle elezioni municipali. Suddette norme prevedono l'obbligatorietà delle quote-rosa per cui il 20% del numero dei candidati di ogni partito o alleanza debba essere di donne. Studi hanno dimostrato non solo un incremento del 111% nella partecipazione delle donne nelle elezioni municipali, passando da 3.839 consiglieri donne elette nel 1992 alle 6.536 del 1996, ma anche come la legge abbia contribuito a un'elevazione del dibattito sulla partecipazione delle donne in Politica.

Un altro fattore da prendere in considerazione relativo all'accettazione dell'istituto delle politiche affermative da parte dello ordinamento nazionale ha a che vedere con la sottoscrizione firmata dal Brasile di strumenti internazionali di protezione dei Diritti Umani che mirano alla lotta alla discriminazione e permettono l'adozione di misure positive che servono a mitigare i suoi effetti. Sono la Convenzione sull'Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione Razziale e a Convenzione sull'Eliminazione di Tutte le Forme di Discriminazione delle Donne. Tali convenzioni, ratificate dal Brasile, rispettivamente, nel 1968 e nel 1994, considerano legittima l'adozione di misure affermative che abbiano come obiettivo fornire a certi gruppi razziali o etnici e persone di determinato sesso, il godimento o l'esercizio di diritti umani e di libertà fondamentali.

Ricordiamo inoltre che con la riforma del Potere Giudiziario - Emenda Costituzionale nº 45 - i trattati internazionali sui Diritti Umani, una volta approvati secondo il procedimento adottato per le Emende Costituzionali, saranno equivalenti a esse. Nonostante resti ancora nel ramo del Diritto Internazionale una ampia controversia sull'applicabilità di detto dispositivo, di certo c'è la possibilità che i trattati sopra elencati siano assimilati con lo status di norma costituzionale, il che renderebbe ancor più evidente come le azioni affermative si conformin In questo modo, ricaviamo che dall'analisi dell'ordinamento giuridico nazionale, non è possibile sottoscrivere la conclusione paventata dalla stampa o dagli oppositori di ogni trasformazione che non cambi l'ordine sen non a loro beneficio, secondo cui le politiche affermative sarebbero incostituzionali in quanto andrebbero a intaccare il principio di uguaglianza. Al contrario di questo discorso fallace, troviamo che il costituente originario e riformatore, oltre a prevedere nel suo testo quelle misure che considerano certe differenze tra i cittadini oggetto di determinate misure, a cui si offre un trattamento differente, ha creato molti strumenti affinché il legislatore faccia lo stesso nell'ordine infracostituzionale.

Avviene, come è logico, che misure di questa natura - in quanto recenti nell'ordinamento brasiliano e in quanto volti a modificare un ordine consolidato - toccando, spesso, importanti interessi politici, privilegi consacrati da generazioni, troveranno la resistenza di diversi settori della società, la qual cosa induce a riconoscere come esse rappresentino uno strumento di grande valore per il consolidamento e la radicalizzazione della democrazia brasiliana. Crediamo che misure tali non fanno che innovare il concetto di merito per l'ingresso nei gradi di Istruzione Superiore, nel mondo del lavoro, nella scena politica, allorché creano nuovi criteri di ammissione, tenendo in conto il senso reale, materiale, dell'uguaglianza, che è quello di trattare in modo diseguale i disuguali, valorizzando d'altro canto, la necessità della diversità in tutte le sfere della società, attraverso cui le minoranze possono finalmente contribuire a ampliare la visione del mondo tradizionale, in genere, monoculturale e caratterizzato da una concentrazione di ricchezza contraddittoria per una società plurietnica e multiculturale.

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*. Testo presentato in occasione del III Seminário internacional de direitos humanos, Universidade Federal da Paraíba - Universidade de São Paulo - Universidade Federal do Pará, 4-6 settembre 2006. Traduzione di Vincenzo Russo.

**. Universidade Federal do Rio Grande do Norte.