2005

Diritti umani: quale universalità?

Baldassare Pastore

La giustificazione e la tutela dei diritti umani si pongono come questioni centrali dell'attuale dibattito filosofico, giuridico e politico. La riflessione teorica, qui, si intreccia con la pratica ed entrambe sono caratterizzate dal "conflitto delle interpretazioni".

Il libro di Michael Ignatieff, Human Rights as Politics and Idolatry (2001), trad. it. Una ragionevole apologia dei diritti umani (Feltrinelli, Milano, 2003), si inserisce in tale ambito di discorso, fornendo un contributo importante per la comprensione del senso di queste idee normative che hanno segnato profondamente l'esperienza giuridico-politica del nostro tempo.

L'argomentazione di Ignatieff procede articolando un percorso volto alla configurazione delle forme dell'intervento a difesa dei diritti umani ed alla rivendicazione della loro universalità, che dell'interventismo rights-oriented costituisce la base concettuale.

Il tema dell'universalità dei diritti umani, così, attraversa l'intera costruzione teorica di Ignatieff. Si tratta di una universalità "minimale" (1) che segue la via di una giustificazione prudenziale e pragmatica, criticando le pretese fondative rinvianti ad assunzioni metafisiche (pp. 56-58). L'attenzione si dirige a ciò che i diritti fanno per gli esseri umani. La protezione della capacità di azione di ogni essere umano rappresenta il loro scopo essenziale (pp. 9, 23).

Fuori di ogni idolatria, i diritti sono "una cassetta degli attrezzi contro l'oppressione" che gli esseri umani devono essere liberi di usare. Conferiscono potere e danno voce a chi potere e voce non ha. Esprimono il linguaggio mediante il quale si difende l'autonomia degli individui. L'universalità dei diritti umani si radica nel riferimento alla berliniana "libertà negativa", intesa come capacità di ogni individuo di perseguire scopi razionali senza ostacoli o intralci (pp. 59, 70, 72). Una siffatta universalità presuppone una concezione "leggera" del bene umano e intende formulare requisiti di vita decente senza violare le identità culturali che popolano il mondo.

Ignatieff assume il "fatto del pluralismo", che contraddistingue la nostra epoca, dando priorità al giusto, in linea con il liberalismo neutralista. Si tratta di mettere al bando "quelle limitazioni ed ingiustizie che rendono ogni vita umana, comunque concepita, impossibile", non prescrivendo alcun modello di vita buona (p. 77).

Sulla capacità che tale concezione ha di rendere pienamente conto oggi della valenza universale dei diritti umani, nutro dei dubbi.

L'universalità è una caratteristica essenziale dei diritti umani. Essa riguarda la titolarità di siffatti diritti, che spettano ad ogni essere umano per il solo fatto di essere tale. Ma ha a che fare anche con la validità dei diritti in quanto criteri assiologici che rinviano ai bisogni vitali ed alle esigenze basilari che definiscono la forma di vita umana. Riguarda, inoltre, la "apertura semantica" dei diritti, la loro potenzialità, che richiede attualizzazioni e declinazioni specifiche. In questa prospettiva l'universalità si intreccia con la particolarità e implica il riconoscimento delle differenze (2), presupponendo comunque l'indivisibilità dei diritti in quanto elementi essenziali per la realizzazione personale.

L'universalismo può essere recepito solo in modo plurale. La sua concretizzazione storica sarà possibile soltanto se l'articolazione dei diritti risulterà da interpretazioni incrociate delle concezioni operanti nei diversi contesti culturali. L'universalità, pertanto, è un obiettivo da raggiungere piuttosto che un principio di partenza e rimanda alla capacità comunicativa tra soggetti e culture. Va riconfigurata come orizzonte d'intesa di più particolari (3).

Nell'odierno scenario multiculturale non si tratta di imporre ideali che finiscono per produrre uniformità. Va invece seguita la via di un universalismo contestuale che emerge "dal basso" e si lega al concreto esistenziale.

Se le spettanze connesse all'esistenza umana si esprimono con modalità diverse, storicamente e culturalmente condizionate, è da qui che bisogna partire. Da questo punto di vista, l'"universalismo minimalista" di Ignatieff non appare adeguato alla sfida del confronto interculturale. L'universalismo, infatti, rischia di perdere la sua caratteristica di processo differenziato, aperto a molteplici interpretazioni "locali", tendente a costruire "codici" relazionali di convivenza possibile.

Ignatieff sottolinea ripetutamente che l'universalità implica la coerenza. Tale coerenza riguarda l'azione volta far valere i diritti umani che può legittimare interventi militari (pp. 41-42, 52-53, 94). L'elemento della coerenza, però, tocca diversi aspetti cruciali connessi alla protezione dei diritti umani, non ultimo il nesso tra riconoscimento del bene da garantire ed eguaglianza delle sue garanzie.

La violazione dei diritti si nutre di violenza, distruzioni, crudeltà, morte, sfruttamento, sopraffazioni, abusi. La risposta a tale violazione richiede la ricerca di mezzi efficaci che devono sottostare ad un vincolo di coerenza connesso proprio al rispetto generalizzato ed eguale dei diritti. Coerenza vuole che l'intervento militare non possa essere considerato uno strumento di riparazione dei diritti violati. Ciò, nella direzione di un ripensamento profondo dell'assetto delle relazioni internazionali nell'età dell'interdipendenza e della corresponsabilità planetaria, rinvia all'impegno ed alla capacità progettuale orientati ad una pratica di condizionamento, di pressione e di intervento non violento.

Se i diritti sono configurabili come condizioni che rendono possibile l'iniziativa umana, attraverso l'eliminazione della sofferenza socialmente generata, che erode le basi della dignità e della reciprocità dei riconoscimenti (4), e la garanzia, per tutti gli esseri umani, dello status di soggetto agente che persegue i propri progetti di vita, allora, per ragioni di coerenza, l'uso della guerra va bandito proprio perché annulla ogni iniziativa umana.

L'universalità può forse essere minimale, ma è sempre, se presa sul serio, esigente.


Note

1. D. Zolo, Fondamentalismo umanitario, in Ignatieff, Una ragionevole apologia dei diritti umani, cit., pp. 148-154.

2. B. Parekh, Non-ethnocentric Universalism, in T. Dunne and N. J. Wheeler(eds.), Human Rights in Global Politics, Cambridge University Press, Cambridge, 1999, pp. 150-158.

3. T. Todorov, Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana (1989), Einaudi, Torino, 1991, pp.17, 93 ss., 98-100.

4. S. Veca, I diritti umani e la priorità del male, in Ignatieff, Una ragionevole apologia dei diritti umani, cit., pp. 109, 120-123, 133.