2005

J. Raz, Value, Respect, and Attachment, Cambridge University Press, Cambridge-New York 2001, pp. 178, ISBN 0-521-00022-X, trad. it. I valori fra attaccamento e rispetto, a cura di Francesco Belvisi, Diabasis, Reggio Emilia 2003, pp. 157, ISBN 88-8103-271-6

Value, Respect, and Attachment costituisce la trascrizione delle Seeley lectures che Joseph Raz fu invitato a tenere nell'anno 2000. Si tratta di un breve testo, diviso in quattro parti, ciascuna corrispondente a una lezione, che ruota intorno a un tema cardine della riflessione morale: l'universalità dei valori. Non c'è dubbio che la tentazione di pensare ai propri valori come a valori universali sia largamente diffusa; tuttavia, bisogna comprendere se questa tentazione sia conciliabile con l'esistenza di sistemi di valori diversi e talvolta incompatibili. L'obiettivo di Raz è di dimostrare che l'universalità dei valori non è in contrasto con il pluralismo assiologico. Per sostenere questa tesi, Raz discute alcune questioni tradizionali della teoria etica: il ruolo dell'unicità e dell'attaccamento personale nei valori, il valore della vita umana, il rispetto dovuto alle persone. Trattandosi di un testo scritto espressamente per un'audience non filosofica l'esposizione si mantiene assai scorrevole con una piacevole ricchezza di esemplificazioni.

Un primo problema per la tesi dell'universalità dei valori è rappresentato dalla critica secondo la quale la tesi universalista non darebbe adeguatamente conto della natura dei nostri legami più profondi. Secondo questa accusa ricorrente i legami fondamentali che arricchiscono la vita delle persone, l'amore, l'amicizia, l'attaccamento ai figli e ai genitori, sarebbero segnati dall'unicità; dunque, se alcuni dei valori più profondi che incontriamo nella nostra esistenza sono legati a oggetti univocamente individuati, la tesi dell'universalità dei valori deve essere falsa. La risposta di Raz si basa su una distinzione: è opportuno distinguere, sostiene Raz, fra il valore impersonale che certi beni o persone posseggono e che li rende idonei a diventare oggetti di attaccamento e il significato personale che viene aggiunto dal fatto dell'individuazione, ovvero dalla circostanza di diventare oggetti del nostro attaccamento e, di conseguenza, iniziare a condividere una parte della nostra storia individuale. Mentre il valore che rende certi enti suscettibili di diventare oggetti di attaccamento è universale, il valore aggiunto che deriva dall'inserimento in una storia personale e che identifica in maniera irrevocabile un certo oggetto distinguendolo da tutti gli altri che posseggono le stesse caratteristiche non lo è, e spiega la percezione dell'unicità dei valori.

Nella seconda lettura Raz affronta quello che probabilmente è il problema più grande per la tesi dell'universalità dei valori. Si tratta della sfida posta dal pluralismo, dall'esistenza di differenze profonde tra ciò che individui diversi considerano valore. Secondo Raz «tutti i valori sono universali oppure sono sussumibili sotto valori universali» (p. 46) - dove valore sta per proprietà valutativa, ovvero qualsiasi proprietà tale da rendere ciò che la possiede buono. Il principale argomento a sostegno di questa tesi consiste nell'affermazione che l'universalità dei valori è un aspetto della loro intelligibilità: quando attribuiamo un valore a un certo bene, persona o comportamento parliamo di esso come avente una certa proprietà - la proprietà di essere buono, bello, ecc. Nel nostro modo di parlare la presenza o meno di certe proprietà valutative è qualcosa che connota oggettivamente il modo di essere di un certo oggetto, allo stesso modo in cui lo connota oggettivamente il suo aspetto fisico. Da ciò Raz conclude che abbiamo bisogno di pensare i valori come universali, nel tempo e nello spazio: se attribuisco un certo valore a un certo oggetto qui ed ora non posso negare che quel certo oggetto possegga quel determinato valore in un altro momento e in un altro luogo, a meno che non sia intervenuto un cambiamento che spiega la perdita di valore, vale a dire a meno che non sia in grado di spiegare cosa mi ha portato a rivedere il mio giudizio. Ma la tesi dell'oggettività dei valori si scontra con il fatto del pluralismo: la circostanza che i valori accettati variano radicalmente da comunità a comunità e, in certi casi, anche da individuo a individuo. Questa circostanza non porta necessariamente all'abbandono della tesi dell'oggettività dei valori. Al contrario, Raz assume l'oggettività dei valori per dedurre, dall'esistenza di un pluralismo assiologico, che i valori sono condizionati dalle pratiche sociali - ad esempio il valore annesso all'opera lirica non esisteva prima che l'opera lirica fosse inventata e non esiste tuttora presso quelle comunità cui l'opera è sconosciuta.

Questa analisi del problema dell'universalità dei valori contiene senz'altro spunti stimolanti, tuttavia non mi sembra del tutto convincente. Anche a prescindere dal fatto che la tesi finale, secondo la quale i valori sono socialmente dipendenti, mi sembra scarsamente compatibile con la loro supposta universalità, nonostante Raz sia di contrario avviso, resta il problema se l'argomento centrale, che postula l'universalità dei valori come requisito per la loro intelligibilità, sia valido. Il problema principale, a mio avviso, è dato dal fatto che in molte attribuzioni di valori il riconoscimento che un certo oggetto possiede un certo valore viene implicitamente relativizzato alla persona che opera l'attribuzione. Ad esempio, quando si ha a che fare con attribuzioni di valore estetico è abbastanza naturale intendere un giudizio del tipo: «x è bello» come: «x è bello per me». E infatti non c'è nulla di irrazionale nel dissenso tra due soggetti in merito a un giudizio estetico: al tuo giudizio che x è bello posso sempre replicare: «No, secondo me x è brutto». Nel caso dei giudizi morali nulla vieta che si ripresenti una situazione di questo tipo, anche se nei fatti lo spazio del dissenso tende a essere più contenuto e anche se ci sono margini più ampi per l'argomentazione dei propri giudizi. Certo, una volta che un soggetto riconosce una certa proprietà valutativa a un certo bene o a una certa persona si suppone che la riconosca oggettivamente, vale a dire che sia in grado di fornire una spiegazione delle ragioni che eventualmente lo inducano a rivedere la sua attribuzione; tuttavia, questo non comporta che le attribuzioni di valore debbano essere considerate universali simpliciter. Nel migliore dei casi questo argomento può servire da premessa per la conclusione che le attribuzioni di valore sono universali in relazione alla persona che le ha proferite.

Il tema svolto nella terza conferenza risulta piuttosto eccentrico rispetto al contenuto generale del volume e non è ben chiaro per quale motivo Raz abbia ritenuto di accostarlo ai temi trattati nelle altre lezioni. Per questo motivo dirò soltanto che lo scopo che impegna Raz è quello di difendere la tesi - che l'autore collega al nome di Epicuro - che la vita umana non possiede valore intrinsecamente e incondizionatamente. Al contrario, la vita è una precondizione del bene e normalmente è un bene condizionale ma non è un bene di per sé. Il valore di una vita è determinato da quello delle attività, relazioni ed esperienze che il soggetto della vita è capace di intrattenere e di condurre. La discussione, abbastanza prolissa e non particolarmente innovativa, si svolge toccando ripetutamente le argomentazioni classiche sul valore della vita sviluppate da Thomas Nagel in Mortal Questions (Oxford University Press, Oxford, 1979, trad. it. Questioni mortali, Il Saggiatore, Milano 1986).

L'interrogativo da cui muove l'ultima lezione concerne il rispetto dovuto agli altri. È il caso che questo rispetto discenda da doveri morali fondamentali oppure abbiamo un dovere specifico al rispetto degli altri? La discussione fra queste due alternative viene ricondotta al dualismo, presente in Kant, fra una concezione secondo la quale il dovere al rispetto deriva dal fatto che rispettando gli altri si adempie al fondamentale dovere di obbedienza verso la legge morale, e un'altra concezione secondo la quale il dovere di rispettare gli altri è conseguenza del dovere di trattare gli altri come fini e non come mezzi. Tra queste due possibilità Raz propende per la seconda: il suo argomento in favore di questa opzione si svolge distinguendo tra oggetti dotati di valore strumentale e oggetti che posseggono valore autonomo e dimostrando quindi che le persone appartengono a questa ultima categoria. In effetti, secondo Raz, gli esseri umani, in quanto capaci di cogliere il valore presente negli altri oggetti sono essi stessi dotati di valore non strumentale; come conseguenza esiste un dovere di rispetto nei loro confronti che discende direttamente dal riconoscimento del valore di cui sono portatori.

Nel complesso, Value, Respect, and Attachment costituisce un prodotto sicuramente accattivante, soprattutto per un pubblico non professionale, data la chiarezza e la scorrevolezza con le quali vengono discusse le questioni affrontate. Tuttavia, se l'obbiettivo dell'autore era quello di fornire una base argomentativa per affermare la tesi dell'universalità dei valori, credo sia difficile sostenere che questo obbiettivo sia stato raggiunto. In particolare, resta del tutto irrisolto il nodo della compatibilità tra la tesi dell'oggettività e universalità dei valori e l'esistenza di fatto di molteplici assiologie, spesso largamente incompatibili fra loro. È ragionevole ritenere, come fa Raz, che il fatto del pluralismo costituisce una prova a favore della dipendenza dei valori dai sistemi sociali e culturali. Ma questa tesi, a sua volta, richiede che si chiarisca come i valori possano essere oggettivi e universali e, allo stesso tempo, socialmente dipendenti. E questo è un interrogativo al quale, nel libro, non viene data alcuna risposta.

Leonardo Marchettoni