2011

Il Corano, a cura di A. Ventura, traduzione di I. Zilio-Grandi, commenti di A. Ventura, M. Yahia, I. Zilio-Grandi e M. A. Amir-Moezzi, Mondadori, Milano 2010, ISBN 8804604549

"A stretto rigor di termini, il Corano non può essere tradotto"(LXI). Con una affermazione così netta - e per certi versi inaspettata in una prefazione ad una nuova traduzione del Corano - Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi Islamici dell'Università della Calabria e curatore del lavoro che si recensisce, intende porre l'accento sull'inscindibilità tra il contenuto e la forma linguistica del Libro Sacro di un miliardo di credenti al mondo. Dio, infatti, ha rivelato il Corano lisān 'arabī mubīn, in lingua araba chiara (Cor.16:103; 29:195), scegliendo di incarnare il Verbo nel suo suono e nella sua struttura, al punto che l'inimitabilità dogmatica del Libro Sacro travalica il suo messaggio e si estende fino al modo in cui esso viene espresso. Per quanto, sin dai primi secoli dell'egira, sia stato necessario dover predisporre delle traduzioni, in ragione della crescente presenza nella umma di popolazioni non arabofone, esse non hanno sostituito la lingua araba nei rituali, non sono considerate propriamente parola di Dio, quanto piuttosto elementi sussidiari, mere spiegazioni ragionate.

Ciononostante, una nuova traduzione del Corano appare, oggi, estremamente utile se non addirittura necessaria. Il Libro è, infatti, al centro dei dibattiti contemporanei sull'islam, sul suo significato e il suo rapporto con la modernità, sia nei paesi non musulmani che nei paesi tradizionalmente a maggioranza musulmana. Motivi e temi di tali dibattiti sono ricercati e fondati proprio sul testo sacro, sulla sua interpretazione ed esegesi: che siano letture di stampo conservatore, radicale o modernista, esse si basano sul Corano e sono informate dal principio letteralista, che l'antropologo Geertz individua come propulsore dei movimenti musulmani. Nel contesto europeo, inoltre, i cambiamenti dei percorsi migratori e la conseguente stanzializzazione, hanno portato, con i passaggi generazionali, alla presenza di milioni di musulmani, per i quali spesso l'arabo coranico è lontano e che, nel riappropriarsi delle basi della loro religione, scelgono di farlo nella lingua nazionale: la traduzione del Corano diventa, in tal modo, necessaria alla comprensione dell'islam anche per i credenti, oltre che per i non credenti.

Nel panorama italiano, poi, la pregevole traduzione di Ida Zilio-Grandi, docente di Lingua e Letteratura Araba all'Università di Venezia, assume un valore aggiunto per gli studi sull'islam. Basterà ricordare che sono state pubblicate alcune traduzioni in italiano del Corano tra il XX e il XXI secolo: quella di Luigi Bonelli, del 1929 ristampata nel 1987 per Hoepli, quella di Martino Mario Moreno del 1967 per UTET, e, più recentemente, quella di autori musulmani come Gabriele Mandel del 2004 per UTET e quella del 1996 di Roberto Hamza Piccardo - approvata e promossa dall'UCOII (Unione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche Italiane): la più discussa, ma anche la più diffusa nelle moschee. L'edizione che, però, è rimasta per più di 50 anni il riferimento fondamentale per gli studiosi è quella di Alessandro Bausani, del 1955, per Sansoni (poi in ristampa per Rizzoli-BUR), in continuità con la quale si inscrive esplicitamente il lavoro di Ida Zilio Grandi. Questa nuova traduzione, però, utilizza una lingua più agile e più moderna, in un'ottica che favorisce la diffusione e la comprensione, e si propone, nel rispetto della tradizione musulmana, "ai non arabofoni come una sorta di spiegazione fedele" (LXXI).

Anche il saggio introduttivo di Alberto Ventura approccia il testo cercando di favorire una maggiore comprensione dei suoi elementi cardine, sottolineandone alcuni elementi di indubbia attualità. La centralità del Corano nel discorso sull'islam è subito evidente: esso incarna il Verbo di Dio, ne è parola diretta, inducendo un rapporto tra credenti e Testo similare, per certi versi, a quello dell'ebraismo col Vecchio Testamento, ma che non trova corrispondenze nel cristianesimo, se non con la persona stessa di Gesù Cristo, incarnazione, anch'egli, del Verbo di Dio. Ventura, a tal proposito, accosta la rivelazione della nascita di Gesù a Maria alla rivelazione del libro a Muhammad: la parola di Dio si incarna, infatti, rispettivamente in un corpo vergine ed in una mente analfabeta, incorrotti, quindi, dal mondo e, in quanto tali, "qualificati ad accogliere dentro di sé il peso della rivelazione" (XVI).

Il Corano viene sistematizzato in una vulgata dal terzo Califfo - 'Uthmān - che intendeva, così, dotare i credenti di un unico testo di riferimento, per evitare scontri e contrapposizioni; ciononostante, la sopravvivenza, almeno fino al X secolo, di versioni alternative, nonché l'indeterminatezza propria della lingua araba del tempo, che riportava solo lo scheletro delle consonanti, senza vocalizzazione, punti diacritici o punteggiatura, favorirono l'affermarsi di sette diverse letture, tutte egualmente riconosciute, a riprova della flessibilità e del pluralismo possibile nell'ambito dell'ortodossia islamica. Su tutte, finì per prevalere la lettura 'Āsim, utilizzata nella prima versione a stampa del Corano, promossa nel 1923 dal Re d'Egitto Fu'ād I, su cui si basa anche la traduzione di Ida Zilio Grandi. L'attenzione al testo, alla sua forma orale e scritta, ha originato diverse scienze coraniche (al-'ulūm al-qur'āniyya) alcune tese a meglio renderne la bellezza, la musicalità e l'armonia - come il tajwīd, difficile arte dell'ortoepia e il tartīl, salmodia - altre tese a favorire l'analisi interpretativa: la divisione tra sure meccane e sure medinesi, le prime più metaforiche e teologiche, le seconde più pratiche e sociali; la scienza dell'abrogante e dell'abrogato e le cause della rivelazione, asbāb al nuzūl, cause seconde perché la prima è sempre la volontà di Dio.

Tali scienze ancora oggi supportano le esegesi più moderne, spesso accostate, con alterne fortune, a strumenti filologici, storici e sociologici. Come sottolinea Ventura, l'utilizzo nell'esegesi moderna, conservatrice o rivoluzionaria che sia, di strumenti e paradigmi occidentali ha dato luogo a lavori distanti dalla tradizione e molto spesso anche dalla "coscienza collettiva musulmana"(XLII), effetto paradossale, visto che queste si pongono l'obiettivo di colmare la distanza diacronica tra le interpretazioni classiche e il mondo moderno. Significativamente, l'eccezione è rappresentata dall'esegesi in 30 volumi di Sayyid Qutb, ideologo dei Fratelli Musulmani, fī zilāl al-qur'ān, che ha ancora oggi larga diffusione.

A partire dal Testo, l'autore decostruisce alcune concezioni relative all'islam che hanno trovato larga diffusione negli ultimi decenni, come l'idea che esso sia un'ortoprassi, una religione in cui le opere dominano fortemente la fede intima. Dal punto di vista teologico, però, l'"agire delle membra", l'atto umano, è il compimento, della "recitazione della lingua", a sua volta legata indissolubilmente all'"assenso del cuore" (XLIV); esso è, quindi, un perfezionamento che determina, definisce e verifica l'appartenenza alla comunità musulmana, ma che non ha nessun valore se non legato alla dichiarazione di appartenenza espressa con le parole e alla volontà intima del credente. D'altra parte la dimensione normativa e giuridica, spesso enfatizzata, al centro delle discussioni sulla definizione dell'islamicità di comportamenti individuali e collettivi, non occupa che il 3% dei versetti coranici, che, invece, riguardano in netta prevalenza la spiritualità, le storie dei profeti e la vita nell'aldilà. Come sottolinea Ventura, le interpretazioni giuridiche sono state sicuramente centrali nell'elaborazione della civiltà musulmana, ma non sono che dei mezzi in vista del raggiungimento "della dimensione ultima o altra (ākhira) che viene promessa ai veri credenti" (XLIII).

Allo stesso modo, la convinzione che l'islam sia una religione senza dogmi, indotta dalla mancanza di una struttura dottrinale paragonabile a quella cristiana, ed in particolare cattolica, viene sfatata dall'autore, che descrive ampiamente i principi della fede musulmana, i suoi fondamenti teologici e la sua dottrina, che emergono più volte nel testo coranico: fede in Dio e nel suo messaggero Muhammad, nei Suoi angeli, nei Suoi libri, nei Suoi inviati e nell'ultimo giorno.

Riconoscendo le rivelazioni e l'opera dei profeti precedenti, rispetto ai quali Muhammad è sigillo della profezia, l'islam è posto nel solco tracciato dalle religioni rivelate senza che questo, avverte Ventura, presupponga una continuità diretta o una sovrapposizione teologica. L'enfasi su questo punto fornisce un interessante contributo al dibattito sul dialogo interreligioso, che deve necessariamente tener conto delle difformità concettuali alla base delle tre religioni: laddove è effettivamente riconoscibile in esse una simile "intuizione essenziale" (LI) su alcuni punti, l'aspetto che esse scelgono di rimarcare diventa il nucleo della differenza. Un esempio è il già citato diverso rapporto con il testo sacro, soprattutto tra islam e cristianesimo, ma anche il diverso approccio al nome di Dio: qui l'intuizione essenziale comune consiste nel considerare il nome di Dio non come qualcosa che Lo definisce, ma come un modo per invocarLo; rispetto al suo utilizzo - assente nell'ebraismo, cauto nel cristianesimo, esteso nell'islam - le tre religioni si differenziano, ingenerando posizioni autonome sul piano socio-teologico.

Il rapporto tra il Corano e i libri sacri che lo precedono è, significativamente, espresso in termini di tasdīq e tafsīl (LVI), conferma e dettaglio, che seguono l'alterazione, tahrīf, operata da ebrei e cristiani, mai in termini di soppressione o cancellazione: il messaggio coranico, quindi, riconosce la continuità rispetto alle rivelazioni precedenti, mentre rivendica la sua autenticità e peculiarità.

Tali elaborazioni trovano riscontro, infine, nel prezioso commento ai versetti che completa il volume, la cui redazione ha coinvolto, oltre ad Alberto Ventura ed Ida Zilio-Grandi, Mohammad Ali Amir-Moezzi, docente di Teologia Islamica e Direttore di Studi all'Ecole Pratique des Hautes Etudes (Sorbonne) e Mohyddin Yahia, docente di Islamologia all'Università di Rabat. Il commento costituisce uno dei più ampi che siano mai stati redatti in lingua occidentale (p.423) e, seguendo il principio ispiratore di tutta l'opera, intende chiarire i riferimenti storici e non, le implicazioni teologiche, le ambiguità linguistiche, in modo da rendere più accessibile il Testo al lettore.

Non solo di una nuova, e di per sé già rilevante, traduzione del Corano si deve parlare, ma piuttosto di un lavoro completo, moderno nello stile, attuale nei contenuti, che favorisce la conoscenza e la comprensione dell'islam a partire dal suo centro teologico e colma un vuoto nel panorama, spesso intasato da opere strumentali o improvvisate, del sapere nazionale sull'islam.

Valentina Fedele