2005

G. Illuminati, L. Stortoni, M. Virgilio (a cura di), Crimini internazionali tra diritto e giustizia. Dai tribunali internazionali alle Commissioni Verità e Riconciliazione, Giappichelli, Torino 2000

Le prime esperienze di giurisdizioni penali internazionali sono state, a seguito del secondo conflitto mondiale, i Tribunali Militari Internazionali di Norimberga e Tokyo. Negli anni '90 sono stati istituiti i Tribunali ad hoc per la ex-Yugoslavia (ICTY 1993) e per il Ruanda (ICTR 1994). I tribunali di Norimberga e Tokyo si sono configurati più come "esercizio congiunto da parte delle potenze vincitrici della giurisdizione su un paese in stato di occupazione" che come vere giurisdizioni internazionali, ed anche i Tribunali ad hoc per la ex-Yugoslavia e per il Ruanda hanno sollevato forti perplessità in riferimento alla loro modalità di istituzione e alle regole processuali adottate. L'istituzione della Corte penale internazionale (ICC), il cui Statuto è stato approvato a Roma nel luglio del 1998, ma che è entrata in vigore solo nel luglio 2002 a seguito della ratifica dello Statuto da parte del sessantesimo Stato, ha riaperto il dibattito sulla possibilità concreta di pervenire ad una giurisdizione penale internazionale che superi le perplessità giuridiche e politiche lasciate dall'esperienza dei tribunali ad hoc.

Crimini internazionali fra diritto e giustizia, frutto della riflessione di vari autori intervenuti nell'aprile del 1999 ad una giornata di studio promossa dall'Associazione Franco Bricola e dall'Istituto di Applicazione forense dell'Università di Bologna, si inserisce a pieno titolo in questo dibattito. Prima di analizzare la Corte penale internazionale, i saggi del testo ripercorrono le esperienze passate, da Norimberga a Tokyo, dal Tribunale per la ex-Yugoslavia a quello per il Ruanda, soffermandosi in particolare sulla giurisprudenza del Tribunale per la ex-Yugoslavia. Il taglio e il riferimento a tali esperienze hanno come finalità un approfondimento giuridico, non storico.

Maria Virgilio propone nel suo saggio Verso i principi generali del diritto criminale internazionale il tentativo di ricostruire una sorta di Parte Generale del diritto penale internazionale. Quest'ultimo è caratterizzato da una "pluralità ed eterogeneità" di fonti che sono: a) le convenzioni internazionali, b) le consuetudini internazionali, c) i principi generali del diritto riconosciuti dalle nazioni civili, d) le decisioni giudiziarie e la dottrina. In questo quadro i Tribunali ad hoc per la ex-Yugoslavia e per il Ruanda, ricostruendo con la loro giurisprudenza varie fattispecie giuridiche di diritto penale internazionale, hanno fornito precedenti giudiziari (fonti del diritto) che finiranno per vincolare anche la futura Corte penale internazionale.

Le peculiarità della Corte penale internazionale possono essere ricavate inoltre con una comparazione a contrario con le esperienze dei tribunali precedenti. In particolare viene sottolineata la differenza circa le modalità di istituzione dei tribunali speciali rispetto alla Corte penale internazionale. I Tribunali ad hoc per la ex-Yugoslavia e per il Ruanda erano stati istituiti dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, mentre la Corte penale internazionale è frutto di un accordo multilaterale che pertanto ha valore solo fra i paesi che sottoscrivono e ratificano tale accordo. L'istituzione di tribunali speciali e per di più post facto da parte del Consiglio di Sicurezza aveva sollevato numerose critiche da parte non solo degli imputati, ma anche di illustri giuristi. Con le due risoluzioni istitutive il Consiglio di Sicurezza affermava di agire in base al Cap. VII della Carta delle Nazioni Unite (da un combinato degli art. 39, 41 e 42). Sul caso è intervenuto lo stesso Tribunale ad hoc per la ex-Yugoslavia nel caso Tadic, riaffermando il rispetto da parte del Consiglio di Sicurezza delle sue competenze nell'istituzione del Tribunale. In particolare l'istituzione del Tribunale ad hoc per la ex-Yugoslavia rientrerebbe nei poteri del Consiglio di Sicurezza ex art. 41 della Carta.

E' significativo che nonostante la tesi della legittimità dell'istituzione dei tribunali ad hoc da parte del Consiglio di Sicurezza sia ormai prevalente in dottrina (la legittimità deriverebbe sia dalla teoria dei poteri impliciti del Consiglio sia da motivazioni non riconducibili alla Carta delle Nazioni Unite ma al diritto internazionale umanitario), si sia scelto per la costituzione della Corte penale internazionale un procedimento diverso. E' stata preferita una procedura lenta e complessa come quella di un accordo multilaterale più adatta ad una materia tanto delicata come la giurisdizione penale internazionale che inevitabilmente limita parte della sovranità nazionale dei paesi contraenti.

Lo Statuto della Corte, sebbene articolato in 128 articoli, fornisce solo le linee generali di quello che sarà il procedimento adottato dalla Corte. Le norme di procedura saranno di origine pattizia e dovranno essere approvate dagli Stati contraenti (mentre nel caso dei tribunali ad hoc erano stati deliberati dai tribunali medesimi). Dallo Statuto emerge un'ampia discrezionalità del Prosecutor sia nell'iniziare una indagine e nel formulare l'accusa, che nell'omettere di formulare l'atto di accusa nel caso in cui vi siano "motivi gravi di ritenere che una inchiesta non favorirebbe gli interessi della giustizia". L'infelice formula dell'art. 53 dello Statuto della Corte mostra come l'elaborazione del diritto penale internazionale nella definizione di molte fattispecie giuridiche sia ancora allo stato embrionale. Vi sono carenze anche relativamente ai principi garantistici a favore degli imputati, carenze che Michele Caianello nel saggio Il processo penale nella giustizia internazionale: casi giurisprudenziali dall'esperienza dei tribunali ad hoc individua nella scarsa chiarezza dei capi di accusa (multiple charges), nel carente rispetto del principio del contraddittorio e dell'attuazione della cross examination, nella eccessiva discrezionalità dell'azione penale.

Secondo Giulio Illuminati l'intenzione è di costruire con la Corte penale internazionale "un processo fortemente garantito, che funga da modello anche etico per la comunità internazionale, proprio nel momento in cui assolve la sua funzione di ripristino della legalità violata". Tuttavia per lo stesso autore "si debbono riscontrare diverse lacune anche dal punto di vista delle garanzie riconosciute, nonché, più in generale, una insufficiente precisione nella definizione degli istituti". Le perplessità sul futuro funzionamento della Corte penale internazionale restano, con "il rischio di piegare il processo penale a scopi che non gli appartengono, di trasformarlo in una sorta di ibrido, in una macchina che vuole produrre allo stesso tempo una verità politica, sociale e processuale".

Da queste perplessità prende lo spunto l'ultima sezione del libro: L'esperienza delle Commissioni per la Verità e la Riconciliazione: il caso Sudafricano in una prospettiva giuridico-politica. Dopo avere analizzato la genesi (sudamericana) delle Commissioni per la verità (Truth Commissions), le loro peculiarità (per esempio le differenze rispetto alle semplici commissioni di inchiesta) e il loro funzionamento, il saggio si concentra sul più importante esperimento di Truth Commissions, il caso sudafricano. Le autrici Anna Maria Gentilini e Andrea Lollini suggeriscono l'esperienza delle Commissioni per la Verità e la Riconciliazione come una possibile 'terza via' fra gli ideali tipo della retributive justice da una parte (esemplificata dal processo di Norimberga) e l'amnistia generalizzata dall'altra (esemplificata dalla amnistia verso i sostenitori della dittatura dei Trenta Tiranni nell'Atene del V secolo a.C).

Enrico Tirati