2005

Il processo a Saddam Hussein tra diritto e vendetta

Carlo Garbagnati, Danilo Zolo

Carlo Garbagnati. Dopo i mediocri fasti del «Saddam Hussein catturato», ci aspetta una saga del «Saddam Hussein processato»?

Danilo Zolo. Nel dicembre scorso, come è noto, il Governo provvisorio iracheno ha varato lo Statuto dell'Iraqi Special Tribunal, il tribunale per Saddam Hussein e per numerosi esponenti del deposto regime (si parla di almeno cento imputati).

Le operazioni di allestimento saranno lunghe e difficili, ma il Tribunale speciale verrà alla fine istituito, probabilmente entro il 2005.

Sarà un Tribunale nazionale, quasi certamente formato soltanto da magistrati iracheni, che potranno tuttavia giovarsi dell'assistenza di esperti stranieri.

Erano possibili soluzioni diverse?

Non è stata presa in considerazione la possibilità che fosse il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a dar vita a un Tribunale penale internazionale ad hoc, sul modello dei Tribunali per la ex Jugoslavia e per il Ruanda.

D'altra parte, il potere del Consiglio di Sicurezza di creare Tribunali internazionali speciali, in base alla dottrina dei suoi «poteri impliciti», è molto controverso.

È stata scartata anche l'ipotesi di istituire, in cooperazione con le Nazioni Unite, una corte mista - con giudici nazionali e giudici internazionali -, secondo il modello praticato in Sierra Leone e a Timor Est.

Quale sarà il destino personale di Saddam? Verrà condannato a morte?

Oltre che negli auspici del Presidente Bush, anche nelle previsioni di Salem Chalabi, uomo di punta e consigliere legale del Governing Council, Saddam Hussein verrà ritenuto colpevole di genocidio, di crimini contro l'umanità e di crimini di guerra; verrà perciò condannato alla pena capitale e giustiziato.

L'incertezza sembra limitata all'alternativa se verrà considerato un criminale civile o capo supremo delle forze armate del suo paese. Il primo caso comporterebbe la forca, il secondo la fucilazione.

È diffusa in Occidente l'opinione che la condanna dell'ex-dittatore iracheno e dei suoi collaboratori da parte del Tribunale speciale - come avvenne con i gerarchi nazisti a Norimberga, a conclusione della seconda guerra mondiale - segnerà un importante successo del diritto e della giustizia, sarà un passo avanti verso la pacificazione dell'Iraq.

Non sono d'accordo, anche se non nego che l'ex dittatore iracheno e i suoi principali collaboratori debbano essere sottoposti a processo.

Lo richiede qualsiasi progetto di costruzione di un nuovo ordine politico che possa essere realizzato con il concorso di tutte le componenti del popolo iracheno.

Il processo di pacificazione e riunificazione del paese - probabilmente nelle forme di una federazione interetnica e interconfessionale - sembra dover passare attraverso modalità giudiziarie di rielaborazione critica e di superamento del passato...

Con un Tribunale speciale? Oltretutto controllato dalle forze di occupazione?

Un processo penale da parte della normale magistratura irachena, rispettoso sia del principio della irretroattività delle legge penale, sia del principio del giudice «naturale», precostituito per legge, sarebbe stato sul piano formale più corretto, ma non la soluzione più efficace sul piano politico.

Si evoca spesso l'esempio del Sud Africa, che nel 1995 diede vita alla celebre «Commissione per la verità e la riconciliazione».

Ma non pare un modello pertinente in un contesto di altissima conflittualità nel quale continuano ad intrecciarsi la guerra civile, la guerra di resistenza e il terrorismo. Altrettanto vale per l'ipotesi, oggi del tutto impraticabile, dell'amnistia politica.

Ogni Tribunale speciale, presenta però gravi limiti, come la compressione dei diritti della difesa e la sostanziale violazione del principio della presunzione d'innocenza.

Condivido le tue perplessità. Di più, penso che lo Statuto del Tribunale approvato dal governo provvisorio vada oltre l'anormalità giuridica propria di qualsiasi tribunale speciale. Presenta tracce evidenti della cultura giuridica occidentale, ma viola alcuni principi fondamentali di rule of law normalmente praticati in occidente.

Ad esempio?

Il Tribunale eserciterà la sua giurisdizione retroattivamente, giudicando comportamenti messi in atto prima della sua istituzione.

Inoltre nessun tribunale nazionale può applicare ai cittadini sottoposti alla sua giurisdizione pene non previste dall'ordinamento penale nel momento in cui i comportamenti sono stati tenuti: nullum crimen, nulla poena sine lege.

Questo principio sarà certamente violato da questo Tribunale iracheno - iracheno, appunto: un tribunale nazionale -: l'articolo 24 dello Statuto che lo istituisce introduce figure di reato assenti dalla legislazione penale irachena, relative ai crimini di genocidio, ai crimini contro l'umanità e ai crimini di guerra, dedotte dagli Statuti delle tre corti penali internazionali oggi operanti.

Obiezioni senz'altro forti, «di principio». Ma forse non le sole ...

Il potere esercitato dal personale civile e militare degli Stati Uniti e degli altri contingenti presenti nel territorio iracheno è da ogni punto di vita un potere illegittimo. È un potere conquistato con la forza delle armi - al prezzo di migliaia di vittime irachene - in una guerra che ha violato sia la Carta delle Nazioni Unite, sia il diritto internazionale generale.

E da un punto di vista strettamente legale - di jus in bello - non si può certo sostenere che le Convenzioni di Ginevra del 1949 attribuiscano ad una potenza occupante il potere di dar vita a tribunali speciali per giudicare gli esponenti di un regime deposto.

Secondo alcuni, però, il Consiglio di Sicurezza dell'Onu il, con la Risoluzione 1511 del 16 ottobre 2003, ha di fatto legalizzato (retroattivamente ...) la presenza delle forze di occupazione in Iraq...

A mio parere a poco vale invocare questa Risoluzione, che non ha cancellato a posteriori - e non avrebbe comunque potuto farlo - la lesione del diritto internazionale di cui si sono resi responsabili gli Stati Uniti e i loro alleati.

La Risoluzione 1511 ha inoltre imposto agli occupanti termini temporali precisi, come condizione di legittimità del potere esercitato in Iraq, entro i quali definire l'agenda per procedere all'approvazione di una Costituzione e alla organizzazione di elezioni democratiche.

Sul piano formale la fonte politica dello Statuto del Tribunale è il Governo provvisorio, istituito dalla Coalition Provisional Authority e cioè, nella sostanza, dal governatore militare statunitense, Paul Bremer.

Nessuno può pensare che il Governo provvisorio, che non ha alcuna autorità legislativa e non dispone di autonome fonti di finanziamento, sia il potere reale che ha voluto e che sosterrà e finanzierà questo Tribunale.

Legittimità decisamente dubbia, dunque, sia della natura del Tribunale speciale, sia del soggetto che lo ha istituito. Credi che questo Tribunale speciale e il processo a Saddam Hussein determineranno reazioni della popolazione irachena? Di che genere?

È naturale che il popolo iracheno percepisca questo Tribunale non come un'espressione della propria sovranità politica, ma come uno strumento del potere degli Stati Uniti. Un potere che, non solo agli occhi dei cittadini iracheni, non si presenta con le carte in regola per erigersi a paladino della causa dei diritti dell'uomo, se si consideri la sua ostinata opposizione alla Corte penale internazionale e il trattamento riservato ai detenuti nella base militare di Guantánamo.

A quale istituzione, nazionale o internazionale, spetterebbe allora il diritto di giudicare Saddam?

Al popolo iracheno - e a nessun altro - spetta il diritto e la competenza a giudicare l'ex dittatore.

Una sicura garanzia di legittimità politica e di indipendenza potrà essere offerta soltanto da un Tribunale che sia espressione della volontà politica del popolo iracheno, che sia cioè l'esito di un compromesso fra le sue tre principali componenti etnico-religiose.

Si dovrebbe arrivare piuttosto rapidamente e nel modo più trasparente possibile alla restituzione al popolo iracheno della sua sovranità politica e del suo potere costituente, entrambi negati dalle potenze occupanti non meno che dalla precedente dittatura del partito Ba'ath.

L'ovvia condizione perché questo possa avvenire è la cessazione dell'occupazione militare straniera, e la sostituzione degli occupanti con forze neutrali, sotto l'egida delle Nazioni Unite.

Ma a mio parere le probabilità che tutto questo si realizzi sono molto scarse, vista l'opposizione delle potenze occupanti persino alla formazione di un'assemblea costituente sulla base di elezioni generali.

Per giustificare l'istituzione del Tribunale speciale iracheno molti osservatori occidentali oggi si richiamano a quello che si potrebbe chiamare il "paradigma di Norimberga".

Il processo di Norimberga è invocato come un precedente di diritto internazionale tutte le volte in cui una potenza occidentale intenda «processare il nemico» dopo averlo sconfitto militarmente. Penso che quest'idea sia da respingere.

Secondo Hans Kelsen, il massimo giurista del secolo scorso, la punizione dei criminali di guerra nazisti avrebbe dovuto essere un atto di giustizia e non la prosecuzione delle ostilità in forme apparentemente giudiziarie, in realtà ispirate da un desiderio di vendetta.

A Norimberga solo gli Stati sconfitti sono stati obbligati a sottoporre i propri cittadini alla giurisdizione di una corte penale internazionale: un fatto incompatibile, per Kelsen, con la funzione giudiziaria. Una vera corte internazionale dev'essere un'assise indipendente, imparziale e con una giurisdizione ampia; non un tribunale di occupazione militare con una competenza fortemente selettiva.

Per Kelsen, dunque, il Tribunale di Norimberga non ha avuto la funzione di «fare giustizia»...

«Fare giustizia» dovrebbe significare che si interrompe la sequenza politica della divisione, dell'odio e dello spargimento del sangue; chiudere il conflitto ed esorcizzarlo con mezzi giudiziari.

La giustizia, in questo senso, si oppone alla faziosità della politica e alla violenza della guerra perché è la ricerca di uno spazio di imparzialità, è il ricorso a principi giuridici capaci di dirimere e neutralizzare il conflitto.

Proprio per questo l'istituzione di tribunali speciali a conclusione di una guerra - internazionale o civile - può essere, non diversamente dalla amnistia, il primo passo verso la pacificazione della memoria collettiva e l'inibizione della vendetta generalizzata.

Il processo di Norimberga ha invece stravolto l'idea di giustizia internazionale, annullandone ogni distinzione rispetto alla politica e alla guerra.

E' stato una resa dei conti, il regolamento delle pendenze, la vendetta dei vincitori sui vinti.

Al punto cui si è giunti, che cosa pensi si dovrebbe fare perché il Tribunale speciale iracheno non riproduca Norimberga?

Occorrerebbe anzitutto la consegna di Saddam Hussein e dei suoi collaboratori attualmente prigionieri delle forze occupanti ad una autorità internazionale neutrale, sotto la responsabilità delle Nazioni Unite, e la loro custodia in condizioni di dignitosa detenzione preventiva.

Al momento opportuno dovrebbe essere decisa la loro consegna alle autorità irachene, a condizione, come ho detto, che queste autorità siano sostenute dalla maggioranza della popolazione e rappresentino democraticamente le sue principali componenti etnico-religiose.

E a condizione che a carico dell'ex dittatore (come di ogni altro imputato) sia esclusa la sanzione capitale, una sanzione che i tre Tribunali internazionali penali oggi operanti hanno abolito.

Lo spargimento rituale del sangue di Saddam Hussein offrirebbe, oltretutto, un contributo non alla pacificazione dell'Iraq, ma alla causa dell'odio e del terrore.