2005

Diritti umani: giustizia universale o nichilismo postmoderno?

John Laughland

Gli ultimi tre anni del XX secolo hanno visto una improvvisa istituzionalizzazione della opinione che "la moralità" dovesse ora essere introdotta nel presunto universo nichilista della sovranità dello stato. Avvenimenti-chiave si sono succeduti molto rapidamente. E il trattato che istituiva il Tribunale Penale Internazionale veniva firmato nel luglio 1998. L'ex-presidente cileno, Augusto Pinochet, veniva arrestato a Londra nell'ottobre di quell'anno su mandato di estradizione spiccato dalla Spagna; è stato poi trattenuto in Inghilterra per più di un anno in base ad accuse relative ai presunti crimini commessi contro i cileni dalla polizia in Cile. La Nato ha cominciato ad attaccare la Jugoslavia nel marzo 1999, apparentemente perché lo esigeva il bisogno di proteggere i diritti umani universali; il mese successivo, la Nato formalizzava questa "nuova concetto strategico", rivendicando il diritto legale di muovere guerra contro stati sovrani a motivo delle loro politiche interne, cosa che è specificamente esclusa dalla Carta delle Nazioni Unite. A sua volta, nel maggio 1999 il Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia metteva sotto accusa per crimini contro l'umanità sei membri del governo jugoslavo e serbo in carica, compreso l'allora capo di Stato, Slobodan Milosevic - una mossa che sembrava fornire una base legale agli attacchi della Nato. Nel febbraio 2000, 14 Stati dell'Unione Europea varavano sanzioni diplomatiche contro l'Austria perché il Freedom Party (partito della libertà) era stato incluso nella coalizione di governo: si diceva che la politica interna dell'Austria fosse motivo di comune preoccupazione. Nel giugno 2000, poi, il Tribunale Penale Internazionale dell'Aja conferiva il crisma della legalità al nuovo concetto strategico e ipso fatto, quindi, al bombardamento della Jugoslavia, ma nel contempo liquidava le affermazioni secondo cui la stessa Nato si era macchiata di crimini di guerra, dichiarando di non avere competenza sui crimini contro la pace e in tal modo vanificando forse il maggior singolo progresso nel diritto internazionale registrato a Norimberga. (1) Nell'ottobre 2000, il Regno Unito, l'unico paese del mondo industrializzato ad aver mantenuto un sistema legale di ancien regime senza una carta scritta dei diritti, recepiva nella sua legislazione nazionale la convenzione europea sui diritti umani, in tal modo assoggettando tutte le leggi britanniche ai dettati della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo. Nel dicembre 2000, l'Unione Europea adottava una Carta dei Diritti Fondamentali a Nizza; un altro articolo nello stesso testo consentiva agli stati membri dell'UE di sospendere i diritti di voto di uno Stato membro se essa riteneva che i diritti umani fossero minacciati da quello Stato. Nel dicembre 2000, l'amministrazione Clinton uscente firmava il trattato di Roma che istituiva la Corte Penale Internazionale. Nel maggio 2001, il Belgio annunciava di aver esteso la sua giurisdizione al mondo intero, ovunque venissero in qualche modo toccati i diritti umani, e così metteva sotto processo due suor! e ruandesi per complicità in genocidio. Nel giugno 2001, Slobodan Milosevic veniva prelevato con la forza da Belgrado e consegnato all'Aja, in diretto spregio di una sentenza della corte costituzionale jugoslava che annullava la presunta validità del decreto di estradizione (anche se quel decreto era stato varato a seguito di una sconfitta subita dal governo nel parlamento federale in merito alla questione). Questo atto veniva salutato con entusiasmo dagli attivisti per i diritti umani allo stesso modo in cui essi avevano esultato per l'arresto del generale Pinochet a Londra: essi andavano dicendo che si trattava di una sentenza innovativa ed anche ben fondata sulla legislazione esistente. (2) Nel luglio 2001, un gruppo di danesi chiedeva l'arresto dell'ambasciatore israeliano in Danimarca a motivo del suo proclamato sostegno a favore dell'uso della tortura contro i palestinesi, mentre anche il Belgio annunciava che si stava preparando ad incriminare il primo ministro israeliano in carica, Ariel Sharon, per il suo ruolo nei massacri di Sabra e Chatila del 1982 - eventi che erano già stati oggetto di una inchiesta giudiziaria nello stesso stato di Israele. Tutti questi avvenimenti testimoniano come sia sempre più di moda la dottrina secondo cui i diritti umani internazionali debbano prevalere sui tradizionali privilegi degli stati e dei loro parlamenti.

Gli argomenti in favore di questi avvenimenti sono alimentati dal senso di orrore che provano le persone quando vengono commesse atrocità nei conflitti umani. Esiste un sentimento profondo e del tutto umano per cui le persone che abusano delle loro posizioni di potere politico per commettere tali crimini, debbano essere "assicurate alla giustizia". Questa opinione è in ultima analisi espressione della umana convinzione, giustamente insopprimibile, che esiste un diritto naturale superiore alle ragioni di Stato.

Tuttavia, i difensori di questa posizione non hanno una idea corretta della vera relazione tra il diritto e lo Stato. Essi affermano, ad esempio, che la dottrina della sovranità dello Stato implica che non esista una legge al disopra di quella dello Stato, o che i capi di Stato siano al di sopra della legge. Si tratta di un assunto completamente fallace. Al contrario, è uno dei più vecchi principi di filosofia politica, postulato da Aristotele e perpetuatosi per più di 1000 anni fino a San Tommaso d'Aquino ed oltre, che anche il principe è soggetto al diritto naturale. Nella tradizione cristiana occidentale precedente alla Riforma, è sempre stato più che esplicitamente riconosciuto che governanti sono soggetti alla legge di Dio. Se nell'età moderna (e cioè a partire dal XVII secolo) è emersa la tendenza a privilegiare l'assolutismo di Stato e perciò a dare spazio a quel vuoto morale che sembra affliggere lo Stato moderno, non esiste nessuna giustificazione per smantellare la struttura dello Stato in quanto tale, come invece sembrano decisi a fare gli attivisti per i diritti umani, poiché quelle stesse strutture sono l'unico meccanismo con cui può essere assicurata la responsabilità politica e personale.

Quando si tratta di atrocità, perciò, la giusta risposta non è un inconsulto moto di riprovazione morale, che rischia di portare alla vendetta a qualunque costo. La giusta risposta, invece, è di considerare quali sono le strutture legali e politiche più adatte a disinnescare la naturale propensione umana al male. Soprattutto, è essenziale rimettere in discussione la base filosofica su cui poggia la legittimità dei tribunali internazionali per i diritti umani e chiederci quali meccanismi esistono per subordinare tali tribunali all'assunzione di responsabilità politica. È un po' da presuntuosi affermare da parte degli attivisti per i diritti umani che essi stanno "ponendo fine alla cultura dell'impunità" se, nel corso di questo processo, essi danno vita a istituzioni con dubbie pretese di legittimità, esse stesse evidentemente al di sopra della legge.

1. Un corpo giuridico contro lo Stato

La legislazione sui diritti umani è un corpo giuridico volto a perseguire come reato penale le azioni commesse da persone in posizioni di autorità politica. Differisce dalla normale legislazione in quanto si applica solo nei confronti di una classe sociale: i funzionari dello Stato o di un qualunque altro organismo che rivendichi potere politico. Mentre il diritto amministrativo di uno Stato vale per tutte quelle persone all'interno della sua limitata giurisdizione, i diritti umani universali rivendicano una giurisdizione sopra una specifica classe di persone.

La centralità di questo scopo è riconosciuta esplicitamente e implicitamente da tutti gli esperti nell'ideologia dei diritti umani, tanto nel campo teorico che in quello pratico. Essi insistono, usando argomenti che esamineremo più oltre, che lo scopo di una legislazione sui diritti umani è di assoggettare all'imperio del diritto gli stati sovrani dal presunto comportamento arbitrario. Alcuni dei più chiari pronunciamenti su questo aspetto particolare della legislazione sui diritti umani proviene da un avvocato britannico esperto nel ramo, Geoffrey Robertson QC. "Ciò che evidenzia un crimine contro l'umanità sia per malvagità che per il bisogno di speciali misure deterrenti, è il semplice fatto che esso si configura come un atto di vera e propria brutalità ordinata da un governo - o almeno da una organizzazione che esercita o detiene potere politico. Non è lo spirito del torturatore, ma il fatto che questo individuo faccia parte di un apparato statale a rendere il crimine così orrendo". (3)

In altre parole, quando la polizia scopre la camera di tortura di uno spacciatore di droga, e ce ne sono molte nel Regno Unito in cui gli spacciatori torturano i rivali o i clienti insolventi, le torture ivi commesse non saranno perseguite ai sensi dello Human Rights Act, cioè le leggi di tutela dei diritti umani, ma invece in base al normale diritto penale. Di contro, se la stessa polizia viene accusata di calcare troppo la mano o di praticare la tortura, allora il presunto crimine ricadrà sotto la categoria degli abusi contro i diritti umani. Con lo stesso criterio, lo stupro è stato ora incluso tra i crimini di guerra nella giurisprudenza del Tribunale Penale Internazionale, ma solo quando viene commesso in guerra e nonostante il fatto che esso sia già un crimine nel codice penale della maggior parte degli stati. Lo stesso vale evidentemente per l'omicidio, che è stato anch'esso inserito nella legislazione sui diritti umani sotto l'insolito termine di "violazione del diritto alla vita".

Poiché riguarda specificamente le azioni intraprese dagli stati e dai suoi funzionari, o da persone che rivendicano potere politico, la legislazione di tutela dei diritti umani è ovviamente di grandissima importanza costituzionale. Ripetutamente i sostenitori della legge sui diritti umani affermano di voler eliminare la presunta "immunità" (spesso deliberatamente confusa con "impunità") dei funzionari statali. Se lo scopo dichiarato della legislazione sui diritti umani è quello di inaugurare un nuovo ordine mondiale in cui gli stati non siano più sovrani, (4) allora bisogna porsi degli interrogativi sulle implicazioni costituzionali di questi nuovi indirizzi. Se i capi di Stato e i funzionari statali ora possono essere perseguiti da altri organi che non siano quelli dello Stato (compresi quello del proprio Stato) sul cui territorio essi hanno presumibilmente commesso i loro crimini, allora è imperativo esaminare se i nuovi poteri di cui saranno investiti i tribunali sui diritti umani, specialmente quelli internazionali, portino con sé anche responsabilità politiche. In particolare, si deve scongiurare il pericolo che i funzionari di questi organi possano cominciare a ritenersi in qualche modo al disopra della ordinaria, umana sfera della politica. (5)

Vale la pena notare che, mentre la morale tradizionale continua a crollare, negli ultimi anni la politica estera occidentale è stata informata ad un atteggiamento altamente moralistico. Così come si potrebbe sostenere che la spinta verso l'integrazione europea è una maniera di compensare la disintegrazione dello Stato e della famiglia tradizionale, così si potrebbe affermare che il crescente nichilismo morale delle società occidentali negli ambiti tradizionali viene ora compensato da un atteggiamento marcatamente moralistico in nuovi ambiti. La correttezza politica è forse lo strumento con cui gli individui atomizzati nella società moderna si consolano, quella forma di orientamento di cui altrimenti sarebbe privo? Tale moralismo è una delle principali fonti di legittimità rivendicata dalla nuova legislazione sui diritti umani.

2. I diritti umani e la pretesa di universalità

L'affermazione che i diritti umani possano arrivare a tanto si basa sulla loro pretesa di universalità. Dal momento che alcuni crimini sono così efferati, si sostiene, a nessuno stato può essere mai concesso di commetterli impunemente. Questi atti, si afferma, costituiscono un male universale e perciò a nessun singolo Stato può essere concesso di commetterli. Su quali basi si fonda questa affermazione e quali problemi vi sono collegati? Dovrebbe essere ovvio (per quanto non sembri esserlo agli attivisti per i diritti umani) che i nuovi poteri rivendicati dalle istituzioni per i diritti umani, a loro volta pongono essi stessi nuovi interrogativi. A livello più basso, esiste la questione della competenza: anche se noi conveniamo che ci sono alcuni crimini così efferati da non dover mai restare impuniti, semplicemente non ne consegue che un tribunale internazionale sia necessariamente l'organo giusto per giudicare tali crimini. Il non sequitur, che rivendica la legittimità per gli enti internazionali nel nome della obiettività o dell'universalismo, si basa sulla insulsa opinione che gli enti internazionali in qualche modo, per un misterioso processo di levitazione politica, possano assurgere al di sopra della normale ambito degli affari umani e assumere una speciale saggezza e neutralità semplicemente in virtù del fatto di essere "internazionali". L'assurdità di questa opinione è così patente che neanche meriterebbe una confutazione: per quale motivo gli individui dovrebbero essere considerati come investiti di speciali virtù semplicemente per il fatto di sedere ad una commissione con individui di altre nazioni? Dovrebbe essere ovvio che le organizzazioni internazionali - Nazioni Unite, Unione Europea, e anche l'alto rappresentante in Bosnia e Erzegovina - hanno i loro programmi, che dovrebbero essere considerati politici allo stesso modo di quelli di ogni governo nazionale o di un qualunque ente governativo. Gli attivisti per i diritti i umani non sembrano rendersi conto che il potere esercitato, ad esempio dal Tribunale Penale Internazionale per la ex- Jugoslavia all'Aja, sia esso stesso politico e che deve, in quanto tale, essere assoggettato ai normali controlli che noi generalmente riteniamo tipici dell'ordinamento liberale.

L'opinione che i meccanismi di responsabilità non siano necessari deriva in ultima analisi dalle visioni gnostiche soggiacenti a molta ideologia internazionalista. Invece di domandarsi, "chi controlla gli stessi controllori?", gli attivisti per i diritti umani sembrano sostenere di avere un diritto a governare gli altri a motivo della loro presunta superiore conoscenza delle verità universali. Il povero uomo della strada - per conto del quale gli attivisti per i diritti umani affermano di agire - è, sembrerebbe, troppo preso dalle contingenze della vita giornaliera per mettersi a pensare alle verità universali. Egli perciò ha bisogno di essere governato da elite auto-proclamatesi tali. Un esempio egregio di quest'atteggiamento è la dichiarazione di Aaron Rhodes, direttore esecutivo della International Helsinki Federation:

"il pubblico 'occidentale' (sic) sembra incapace di identificare i principi morali e politici in base ai quali interpretare conflitti molto complessi e, mediante quest'esercizio, accordarsi su una direzione da seguire. Invero, è da romantici pensare che il 'pubblico' debba essere responsabile della individuazione di questi principi. Questo è un lavoro per coloro che si preoccupano più dei principi che delle piccole contingenze, più di quelle cose che sono vere indipendentemente dai contesti storici e dalla vita di routine. In altre parole, è responsabilità degli intellettuali". (6)

È dal tempo della parabola di Platone sulla grotta nel libro settimo de "la Repubblica", (7) che non si registra una pretesa più sfacciata dei diritti dei re-filosofi rispetto al piccino egoismo delle persone ordinarie. Ma tali affermazioni non fanno altro che rendere esplicito ciò che di fatto è alla base di tutto l'impianto ideologico dei diritti umani, e cioè l'opinione che i poteri politici che si dice derivino dai diritti umani (anche se essi non sono riconosciuti dagli attivisti e avvocati per i diritti umani come effettivamente "politici") dipendono per la loro validità dalla universalità di quelle norme che l'elite dei diritti umani afferma di essere la sola a poter percepire. La pretesa di universalità diventa così la pietra angolare della presunta legittimità della ideologia dei diritti umani. Gli attivisti per i diritti umani se ne servono per sostenere che "la legge internazionale sui diritti umani", che essi falsamente fanno coincidere con la giustizia oggettiva ed universale, è superiore alle legislazioni nazionali e al diritto costituzionale nazionale.

3. Come i diritti umani possono cambiare nel corso del tempo

È essenziale, perciò, esaminare molto attentamente questa pretesa di universalità. Molti oppositori della guerra della Nato contro la Jugoslavia nel 1999-sferrata in nome dei diritti umani universali - affermavano che la Nato e l'industria dei diritti umani, che sosteneva quegli attacchi, era colpevole di applicare due pesi e due misure. Perché bombardare la Jugoslavia in nome dei diritti umani, ma tollerare che la Russia potesse attaccare i ribelli in Cecenia? Perché mettere sotto accusa i leader jugoslavi e invece assolvere la Nato e i ribelli albanesi da qualunque accusa di crimini di guerra?

Secondo l'opinione di chi scrive, gli attacchi contro la Jugoslavia non sono stati altro che il culmine di un decennio di terribili applicazioni del suddetto approccio, all'insegna dei due pesi e due misure, praticato dall'industria dei diritti umani e dai suoi sostenitori al governo in Occidente. (8) I pronunciamenti sulle questioni riguardanti i diritti anni, specialmente nell'ex blocco sovietico, hanno avuto molto più a che fare con gli obiettivi della politica occidentale che una qualunque verità oggettiva. Uno dei peggiori esempi di questo sistema dei due pesi e due misure è il contrastante trattamento riservato a Russia e Bielorussia negli anni '90. Quando il presidente russo Eltsin si era trovato a dover affrontare l'opposizione della duma di Stato nel 1993, non esitò a spedire i carri armati per far cannoneggiare il palazzo del parlamento. Nella risultante battaglia furono uccise parecchie centinaia di persone. Grazie a questa brutale vittoria, Eltsin in seguito poté cambiare la costituzione e ridurre il potere della duma di Stato a quello - nelle parole di un commentatore (9) - di una sala di lettura in biblioteca, trasformando la Russia in una dittatura presidenziale. Ma quando il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko si era venuto a trovare con il suo governo sistematicamente alla mercé della opposizione parlamentare nel 1996 e indisse un referendum per introdurre una sistema semi-presidenziale, venne accusato di essere un dittatore. (10)

Analogamente, il primo ministro lungamente al governo della Slovacchia, Vladimir Meciar, veniva costantemente bollato come "autoritario" durante la sua permanenza al potere e accusato di perseguitare i media. In realtà (al pari della Croazia sotto Tudjman), solo il principale canale televisivo di Stato era a favore del governo: tutta la stampa e molti dei media radio-televisivi erano nelle mani dell'opposizione. Quando il nuovo governo è andato al potere, al contrario, ha rilevato anche la televisione di Stato e perciò tutti i media, compresa la stampa e i canali radiofonici e televisivi, sono filogovernativi. L'opposizione sotto Meciar ora non dispone di nessun mezzo di comunicazione. Inoltre, il nuovo governo si è dato da fare per condurre una guerra di logoramento non soltanto contro il precedente esecutivo (nella forma di ricorrenti accuse di corruzione che non hanno mai portato ad alcuna condanna), ma anche contro le autorità giudiziarie del paese. All'inizio del 2001 il ministero della giustizia ha avviato una campagna pubblica contro il presidente della Corte Suprema, dichiarandolo inidoneo a ricoprire tale carica. In Slovacchia l'industria dei diritti umani, che era in ogni caso costituita quasi interamente da oppositori politici di Meciar, si è più o meno defilata, dal momento che senza dubbio i suoi protagonisti sono ormai andati ad ingrossare le fila della nuova amministrazione. Questi attacchi alla Corte Suprema del paese sono così avvenuti nell'assordante silenzio dell'Occidente. Ad un certo punto, lo stesso Meciar ha subito un arresto eccezionalmente brutale, quando in puro stile comunista i poliziotti hanno fatto irruzione in casa alle prime ore dell'alba dopo aver fatto saltare la porta di casa con la dinamite. Preso e portato alla stazione di polizia, veniva però rilasciato due giorni più tardi senza alcun accusa. Niente del genere era mai successo quando lui era primo ministro ma, di nuovo, l'Occidente ha semplicemente ignorato l'avvenimento. (11)

Non c'è dubbio che tali affermazioni sul ricorso al sistema dei due pesi e due misure, possono prestare il fianco alla polemica. Ad ogni modo, i particolari di ogni caso sono troppo numerosi per essere trattati in un solo articolo. Tuttavia, la pretesa all'universalità diventa quasi impossibile da difendere alla luce del fatto che la legge internazionale sui diritti umani cambia nel corso del tempo. Il sistema dei due pesi e due misure praticato dagli attivisti per i diritti umani e dai governi occidentali potrebbe, forse, essere spiegato come l'inevitabile risultato della fragilità umana - per quanto, se questo fosse l'argomento, allora il bisogno di controlli politici contro il l'arrogante potere delle istituzioni internazionali per i diritti umani diventerebbe ancor più evidente. Ma è molto più difficile fugare l'impressione che la stessa teoria di questi diritti umani ritenuti universali abbia di fatto mostrato una tendenza notevole a soffiare di concerto col prevalente vento politico.

Se guardiamo alla storia, in realtà, vediamo che i principi sui diritti umani gabellati come "universali" hanno di fatto subito una drastica evoluzione nel corso del tempo. Il primo tentativo internazionale di formulare leggi contro i crimini di guerra fu la Conferenza di Pace Internazionale che si tenne all'Aja nel 1899. Nel suo atto finale furono inserite tre dichiarazioni, una delle quali impediva ai belligeranti di sganciare bombe dall'alto (dichiarazione 3: "proibire il lancio di proiettili ed esplosivi da palloni o con altri nuovi metodi del genere"). Per quanto varata prima dell'invenzione dell'aeroplano, questo articolo venne formulato esplicitamente alla luce delle congetture secondo cui presto sarebbe stata realizzata una macchina volante. Secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa,

"I tentativi (alla Seconda Conferenza di Pace dell'Aja) di adottare nel 1907 una proibizione permanente dello scarico di proiettili dall'aria portò all'inserimento delle parole "con qualunque mezzo" nell'articolo 25 dei Regolamenti dell'Aja sulla guerra di terra, che proibisce l'attacco o il bombardamento di villaggi e città indifesi ecc., al fine di comprendervi anche il bombardamento dall'alto". (12)

L'articolo 25 dei Regolamenti contenuto in quella convenzione del 1907 in realtà afferma che "l'attacco o il bombardamento, con qualunque mezzo, di città, di villaggi, abitazioni o edifici che siano indifesi è proibito". Ci fu anche una specifica dichiarazione sul lancio di proiettili dall'alto, datata 18 ottobre 1907. Vale la pena notare, per inciso, che questa proibizione del bombardamento aereo non ebbe alcun effetto sul modo in cui le guerre furono poi condotte nei conflitti successivi, e tanto meno per quanto riguarda la seconda guerra mondiale.

Contemporaneamente a questa interdizione circa il bombardamento aereo, alla prima conferenza dell'Aja venne stilata una clausola che in modo specifico metteva fuorilegge le pallottole dum dum, ossia le pallottole espansive. Dal nome del sobborgo di Calcutta dove queste pallottole furono prodotte per la prima volta, venivano descritte in una maniera alquanto goffa come "pallottole che si espandono o si schiacciano facilmente sul corpo umano, con un involucro duro che non ricopre interamente l'anima o è scarnito da incisioni". Questa stessa fraseologia, "pallottole che si espandono ecc.", si è in qualche modo perpetuata per tutto il secolo senza mutamenti ed è riprodotta in maniera letterale nella sezione dello statuto di Roma sulla Corte Penale Internazionale del luglio 1998 che definisce i crimini di guerra [articolo 8, 2 (b) (xix)]. E questo nonostante il fatto che siano passati più di 100 anni da quando per la prima volta questi proiettili espansivi causarono la controversia. Come per i bombardamenti aerei, è dubbio che questa proibizione abbia in realtà avuto qualche effetto: i palestinesi hanno accusato gli israeliani di usare pallottole esplosive per reprimere l'intifada di Al Aqsa. Ma, in stridente contrasto con la clausola su queste pallottole, il bando legale contro i bombardamenti aerei è stata tranquillamente espunto dai testi sul diritto umanitario internazionale. Ad esempio, non figura sul trattato di Roma del 1998.

È ovvio il motivo. La seconda guerra mondiale, la guerra del Vietnam, la guerra del Golfo e la guerra della Nato contro la Jugoslavia sono state tutte combattute dalle grandi potenze facendo ricorso al massiccio uso dei bombardamenti aerei. Con le guerre contro la Jugoslavia e con i voli giornalieri di ricognizione e le regolari missioni aeree sull'Iraq, i bombardamenti sono infatti divenuti parte integrante della politica estera americana. (13) E il suo frequente uso non è meramente dovuto ad una questione di tecnica militare: i bombardamenti aerei hanno anche una importante valenza simbolica del quasi millenaristico moralismo di cui si ammantano la diplomazia americana e i sostenitori dell'intervento "umanitario" internazionale. (14) Il ricorso al bombardamento ha così assunto una importanza quasi mistica che è stata rivelata in modo esplicito durante gli attacchi alla Jugoslavia dal comandante supremo delle forze Nato, il generale Wesley Clark, quando ha detto che per Milosevic "doveva essere come combattere contro Dio" affrontare la massiccia forza aerea mobilitata contro di lui. (15) Sulla stessa falsariga, un noto commentatore britannico esperto di difesa scriveva, in un articolo sull'uso militare della forza aerea, che "La tecnologia e la moralità internazionale ora marciano di pari passo". (16)

In altre parole, in 100 anni, i bombardamenti aerei sono passati dall'essere un crimine di inaudita malvagità ad uno strumento della più alta moralità, o perfino di Dio. Eppure, se i valori che incarnano i documenti sui diritti umani si presume siano oggettivi e universali - un crimine contro l'umanità è "un crimine così nefando da non ammettere umano perdono", secondo Geoffrey Robertson (17) - è estremamente difficile vedere come essi possano evolversi nel corso del tempo. Potrebbe succedere che nuovi crimini vengano aggiunti col passar del tempo: si potrebbe sostenere che i moralisti abbiano "scoperto" nuovi mali e cercato di inserire nei codici una loro messa al bando. Ma nel quadro filosofico propugnato dagli attivisti per i diritti umani, è impossibile che i bombardamenti aerei siano considerati così sbagliati nel 1899, tanto da meritare una speciale conferenza internazionale, e invece non essere nemmeno degni di una menzione 100 anni più tardi.

Lo stesso si può dire della nozione "crimini contro la pace", che ha fatto registrare uno dei principali progressi nel diritto umanitario internazionale a Norimberga. I crimini contro la pace furono la prima categoria di crimini stabilita a Norimberga: i leader nazisti furono tutti incriminati con l'accusa di aver progettato e realizzato una guerra di aggressione. La supremazia di questo crimine era infatti una conseguenza del fatto che essi non vennero tutti messi sotto accusa per crimini contro l'umanità. Scossi dalla guerra mondiale e disgustati dal tremendo livello dell'aggressione tedesca, i leader del mondo risolsero allora di firmare anche una Carta delle Nazioni Unite che dichiarasse illegale la guerra, ad eccezione dei casi di autodifesa o previa autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. (L'idea che nessuna guerra potesse essere giustificata, eccetto che in caso di difesa, era stata già formulata nel patto Kellog-Briand del 1927, ma per la prima volta a Norimberga furono emesse condanne in base a questa imputazione).

È importante capire che il primato alla sovranità nazionale nella Carta delle Nazioni Unite aveva una finalità politica in chiave antifascista. Quello scopo era di codificare una antitesi alla teoria nazista sulle relazioni internazionali. La sovranità statuale, dopo la Seconda Guerra Mondiale, veniva considerata la risposta alla visione fascista che le relazioni internazionali dovessero essere basate sul concetto di Grossraum o "grande spazio". (18) Secondo questa teoria, il sistema internazionale era (o avrebbe dovuto essere) suddiviso tra i centri di potere. Alcuni stati avevano il diritto di dominare gli altri o di incorporarli nella loro sfera d'influenza entro il Grossraum. Il filosofo nazista del diritto, Carl Schmitt, delineò questa teoria nel suo libro Völkerrechtliche Großraumordnung mit Interventionsverbot für raumfremde Mächte (un ordine costituzionale basato sul concetto di grande-spazio, con una regola contro l'intervento di potenze al di fuori del grande spazio) pubblicato nel 1941. Come suggerisce il titolo, la teoria della ineguaglianza tra la sovranità degli stati accordava alla potenza egemonica il diritto di muovere guerra contro gli altri stati all'interno della sua sfera, naturalmente nel contempo negando il diritto agli altri stati nelle altre Grossraum il diritto a fare loro guerra. Insomma, ogni grande potenza doveva occuparsi del suo orticello. Invero, molti teorici nazisti- così come i marxisti- ritenevano che la sovranità degli stati forse una sovrastruttura artificiale che doveva essere eliminata. (19)

Era questa teoria che le istituzioni postbelliche avevano intenzione di seppellire. Detto in termini legali, ciò che l'ordine postbellico negava era lo ius ad bellum, il diritto a fare guerra. La sovranità degli stati era naturalmente utilizzata come il miglior strumento legale per esprimere questa assoluta proibizione della guerra, eccetto che in caso di autodifesa, una proibizione espressamente negata dalla teoria fascista sulle relazioni internazionali. Di conseguenza, il diritto a fare la guerra come base dell'ordine internazionale era tassativamente e ripetutamente negato in tutti i documenti internazionali nell'immediato periodo post-bellico. Tutte le guerre di aggressione vengono così proibite e si mette in risalto il principio della coesistenza pacifica tra gli stati come motivo trainante del nuovo ordine internazionale. In realtà, nel diritto internazionale postbellico non è soltanto l'uso della forza ad essere illegale, ma persino la minaccia dell'uso della forza (secondo l'articolo 2, paragrafo 4 della carta dell'Onu). Intanto, ogni trattato ottenuto con il ricorso alla forza o alla minaccia della forza è nullo, secondo l'articolo 52 della convenzione di Vienna del 1969. E la proibizione della guerra nel diritto internazionale è invero così radicale che il Patto Internazionale sui Diritti Politici del 1966, il quale d'altronde garantisce la libertà d'espressione, addirittura dichiara illegale la propaganda a favore della guerra. (20)

Si sarebbe potuto pensare, allora, che il "crimine contro la pace" avrebbe continuato a godere di una posizione preminente al "progredire" della legislazione sui diritti umani. In qualunque modo, un crimine di aggressione o contro la pace deve essere considerato un crimine di guerra abbastanza fondamentale. Infatti, è sicuramente la fons et origo da cui provengono tutti gli altri crimini di guerra. Ma la realtà è che si è verificato l'opposto. Il trattato di Roma nel 1998 sulla Corte Penale Internazionale lo menziona, ma in modo tale da lavarsene le mani, demandando ad una successiva commissione di esperti il compito di decidere come debba essere regolamentata questa materia. (21) Lo statuto che aveva istituito il Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia non menziona neanche i "crimini di aggressione" o i "crimini contro la pace". Quando gli è stato richiesto di giudicare se la Nato avesse commesso un crimine di guerra attaccando la Jugoslavia, il procuratore del tribunale ha commissionato un rapporto che concludeva:

"Lo ius ad bellum regola il momento in cui gli stati possono fare uso della forza ed è in gran parte incorporato nella carta dell'Onu. In generale, gli stati possono ricorrere alla forza per autodifesa (individuale o collettiva) e per pochissimi altri scopi. In particolare, viene fortemente dibattuta la presunta base di legittimità per i bombardamenti della Nato, intervento umanitario senza previa autorizzazione del Consiglio di Sicurezza. Detto questo, come si nota più sopra al paragrafo 4, il crimine relativo ad una illegale decisione di usare la forza è quello contro la pace o di aggressione. Mentre una persona condannata per un crimine contro la pace potrebbe, potenzialmente, essere ritenuto penalmente responsabile di tutte quelle attività che hanno causato morte, ferite o distruzione durante un conflitto, il Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia non ha giurisdizione sui crimini contro la pace". (22)

Lo spirito di Ponzio Pilato, a quanto pare, continua a vivere all'Aja. Il fatto che l'organo primario responsabile per la Jugoslavia a livello internazionale decida di lavarsene le mani, cioè di ignorare l'ipotesi che l'aggressione della Nato avrebbe potuto essere illegale - specialmente alla luce dei discorsi molto circostanziati dei leader del mondo che sostenevano la necessità di ribaltare la vecchia proibizione Onu contro la guerra con un nuovo ius ad bellum (23) - significa che, sotto ogni aspetto, il concetto di crimini contro la pace è stato più o meno espunto dalla giurisprudenza umanitaria internazionale. Il punto non è tuttavia quello di gridare all'oltraggio. È invece quello di dimostrare che se la legge che proibisce "i crimini contro la pace"-una delle leggi-cardine in un codice di norme universali - può essere eliminata, allora la pretesa all'universalità sembra piuttosto inconsistente. Se questa legge può essere tranquillamente espunta, perché non dovrebbe valere lo stesso anche per le altre leggi nella giurisprudenza dei diritti umani?

4. La legislazione sui diritti umani e l'agenda politica postmoderna

Lungi dall'incarnare valori universali, l'industria ideologica dei diritti umani lascia veramente perplessi. "Attivista per i diritti umani" è ora semplicemente un eufemismo per "liberal occidentale emancipato". Come la maggior parte dei liberal, gli attivisti per i diritti umani sono sorprendentemente intolleranti nei confronti di quelle posizioni che non siano le loro. La storia dell'attività dei diritti umani negli ex-paesi comunisti dell'Europa orientale, per esempio, ha dimostrato che, a dispetto di tutto il suo parlare su pluralismo e società civile, l'industria dei diritti umani è chiaramente totalitaria quando deve confrontarsi con il dissenso. (24)

Gli attivisti per i diritti umani, inoltre, combattono sempre guerre tardive. La recente storia della legislazione sui diritti umani, specie la carta di Roma sulla Corte Penale Internazionale, riflette semplicemente le più recenti, presunte violazioni commesse in Jugoslavia. (25) Il carattere modaiolo della ideologia dei diritti umani di ispirazione occidentale ha raggiunto il suo apice nel gennaio 2001, quando l'ex presidente del Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia, il giudice Kirk McDonald, ha partecipato allo spettacolo di un finto processo al defunto imperatore giapponese Hirohito. Per quanto il "Tribunale dei Crimini di Guerra sulle Donne" da lei presieduto fosse poco più di una grottesca messinscena, o piuttosto un esercizio di terapia collettiva - non era affatto un tribunale in alcun senso - il giudice McDonald ha solennemente condannato Hirohito - in contumacia, poiché era morto-non per crimini contro la pace o per aver progettato una guerra di aggressione, ma per aver invece tollerato l'uso di donne schiave per il piacere dei soldati giapponesi. (26) Non ci potrebbe essere un esempio migliore per illustrare il modo in cui tali tribunali rispecchiano le temporanee opinioni ed interessi di particolari lobby.

Forse ancora più importante, il trattato di Roma del 1998 riflette l'ambiente degli intellettuali liberal occidentali della fine del ventesimo secolo. È noto che i crimini dell'Olocausto nazista sono una presenza così ingombrante nella mentalità contemporanea da aver fatto quasi scomparire i crimini del comunismo, ben più grandi da un punto di vista numerico. (27) Il diritto umanitario internazionale riflette questa gerarchia: l'omicidio di massa viene indicato solo come "genocidio", cioè l'uccisione di persone in base alla razza o al credo religioso, e mai come omicidio di persone basato sulla loro classe, anche se esso nel ventesimo secolo ha causato un numero di vittime di gran lunga maggiore rispetto agli omicidi di massa su base razziale. Del pari, è specificamente menzionato anche il crimine dell'apartheid; eppure il crimine di privare un'intera cittadinanza dei suoi diritti attraverso un regime a partito unico non lo è, nonostante questa sistematica caratteristica del comunismo sia presumibilmente altrettanto cattiva se non peggiore dell'apartheid.

Comunque, la maggiore preoccupazione ideologica di questa ideologia dei diritti umani è l'ostilità verso lo Stato. E' già stato sottolineato che la caratteristica distintiva della legislazione sui diritti umani è che essa vale soltanto nei confronti dei funzionari dello Stato. Si è detto anche che la popolarità della ideologia dei diritti umani poggia sul naturale senso di ripugnanza morale per le atrocità denunciate e sulla profonda convinzione che i funzionari dello Stato non possono essere al di sopra della legge. Il problema della ideologia dei diritti umani è che essa-forse di proposito-offre un quadro deformato della dottrina della sovranità dello Stato al fine di delegittimare deliberatamente gli stati esistenti, al fine di far subentrare al loro posto istituzioni internazionali e sovranazionali. Il pericolo è che la proliferazione degli enti giuridici internazionali, con la pretesa di sostituirsi alla sovranità nazionale, porti a una "giustizia" politicizzata e ad un governo arbitrario esercitato da poteri senza freni.

È falso affermare che la dottrina della sovranità dello Stato accorda una immunità legale ai funzionari lo Stato. (Lascio da parte per un momento la confusione apparentemente deliberata tra "immunità" e "impunità" che caratterizza molta della retorica sui diritti umani, come se fossero termini intercambiabili.) Questa opinione erronea è chiaramente affermata da Geoffrey Robertson: "C'è voluto mezzo secolo [cioè dalla proclamazione della dichiarazione universale dei diritti umani nel 1948], ma sembra che alla fine siamo riusciti ad trovare il sistema di assicurare i tiranni alla giustizia. Perché tanto tempo? Il problema è che il mondo è sempre stato organizzato sul principio di 'sovranità' dello Stato... Non doveva esserci alcun intervento nei suoi affari interni". (28)

E' preoccupante che alcuni, tra quanti affermano di voler fondare un nuovo sistema giuridico, mostrino una tale ignoranza dei fondamentali principi costituzionali. La sovranità dello Stato non significa che lo Stato possa fare ciò che gli pare. Invece significa semplicemente che una particolare entità politica è costituzionalmente indipendente. Ciò a sua volta significa che il corpo di leggi che governano l'esercizio dell'autorità politica entro uno Stato è indipendente dal corpo di leggi di un qualunque altro Stato. (29) Se il corpo di leggi che governa l'esercizio dell'autorità politica è valido, nel senso che è di fatto operativo in senso politico, e se quelle regole non dipendono da nessun altro ente al di fuori dello Stato, allora si può affermare che lo Stato è sovrano.

Entro questa definizione di fondo, possono essere compresi tutti i vari generi di Stato sovrano. Uno Stato sovrano può essere democratico o dittatoriale; esso può essere potente o debole; ricco o povero. Ci possono anche essere stati la cui sovranità non è del tutto chiara; si potrebbe sostenere che gli stati membri della Unione Europea sono o non sono sovrani. Ciò si deve al fatto che fino ad oggi non c'è stata nessuna decisiva deliberazione o evento politico che renda possibile decidere in un senso o nell'altro. Comunque, il fattore decisivo sarà politico: l'autorità ultima per rendere decisioni legali o politiche poggia sugli stati membri della Unione Europea o sulla stessa UE? Tali questioni sono di fatto politiche.

Il punto è che il concetto di sovranità ci consente di vedere dove si ferma il palleggio di responsabilità in un ordinamento legale e politico. Designa la fonte dell'autorità ultima, nel senso che mostra il ruolo centrale su cui poggiano tutte le altre norme politiche e legali. Come ha scritto Carl Schmitt, "la sovranità è quella che decide in caso d'eccezione". (30) Senza sapere quale corpo di leggi opera in uno Stato, non si può sapere chi è il responsabile e di che cosa. Se la sovranità diventa superflua, allora semplicemente non esiste meccanismo che vincoli alle proprie responsabilità. La responsabilità politica va a collocarsi così in alto, al livello sovranazionale e a quello delle istituzioni globali, da diventare irraggiungibile da parte del comuni cittadini. Insomma, senza il concetto di sovranità diventa senza senso quel corpo di regole che noi associamo al termine "Stato di diritto". (31)

Lungi dall'introdurre un assolutismo senza legge, in altre parole la dottrina della sovranità è l'unico meccanismo legale contro di esso. E questo vale tanto per il diritto amministrativo che per il diritto internazionale. Perché come una sovranità statuale delimita i confini dell'autorità politica entro uno Stato, così costituisce un ancoraggio legale per la interazione dello Stato con gli altri Stati nelle relazioni internazionali. Così la sovranità nel diritto internazionale è l'esatto equivalente della personalità nella codice civile: è il concetto legale di cui ci serviamo per consentire agli stati (o alle persone) di assumersi obblighi e sottoscrivere accordi contrattuali con altri.

Non esiste assolutamente alcuna contraddizione tra la sovranità di uno Stato e la subordinazione del suo principe alla legge. Al contrario, la sovranità dello Stato è requisito indispensabile per tale subordinazione. Il corpo di leggi che governa l'esercizio dell'autorità politica entro un ordine legale includerà ciò che al principe è permesso e non è permesso fare. È perciò quanto mai fuorviante attribuire sovranità a questo o a quell'altro organo di Stato, al parlamento o poniamo ad una Corte suprema. La verità è che la sovranità è proprietà dello Stato nel suo insieme, non di uno dei suoi organi o funzionari. O la costituzione di uno Stato è indipendente, o non lo è. È per questo motivo che i moderni attacchi globalisti al concetto di sovranità dello Stato, nel nome di diritti umani universali, sono così pericolosi. Essi minano l'essenza che è alla stessa base della legge. Essi ritengono che le strutture possano essere create su una base moralistica- altamente discutibile nella fattispecie-senza tenere nel minimo conto i più elementari principi di costituzionalismo.

È il sorgere della secolarismo, della democrazia e specialmente del positivismo a causare il malinteso che gli stati non sono soggetti a nessuna legge più alta. Poiché oggigiorno i governi fanno approvare tante leggi, se ne ricava l'impressione che la legge è nient'altro che uno strumento per amministrare la società e che uno Stato può fare le leggi che vuole. In questa situazione, non è sorprendente se il popolo pensa che gli stati sovrani accordino un potere senza restrizioni ai loro governi, primi ministri o presidenti. Sarebbe invece altamente auspicabile che questo potere fosse controllato. Ma se questo controllo viene fatto da un ente sovranazionale, invece che da uno nazionale, allora l'ordine costituzionale subisce una trasformazione. Se si fa avanti un nuovo organo affermando di voler assorbire la sovranità dello Stato, allora se ne fa carico esso stesso. E se si fa carico della sovranità, allora la domanda deve essere: in base a quale autorità, e soggetto a quali leggi? se un ente mondiale viene creato con gli attributi di una sovranità politica, allora quell'ente diverrà qualcosa di simile ad uno Stato mondiale. A questo punto, si renderebbero necessarie strutture a cui dovrà rispondere - ed è assai dubbio che esse possano mai essere effettivamente poste in essere.

Gli ideologi dei diritti umani hanno ben ragione di distinguere tra il diritto internazionale consuetudinario, basato su accordi contrattuali tra gli stati, e il nuovo diritto internazionale che essi cercano di introdurre, il quale avrà un potere vincolante sugli stati. (32) La differenza di fondo è che, soppiantando la sovranità degli stati, i nuovi enti con il potere di esercitare questa limitazione assumeranno essi stessi poteri sovrani. Non risulta che i fautori di questo processo si siano dati la pena di considerarne le implicazioni costituzionali.

I pericoli per lo Stato di diritto sono già evidenti. Nel suo zelo teso a punire presunti crimini, il Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia ha infranto quasi ogni regola dei codici. Invece, appronta nuove regole man mano che procede: Louise Arbour ha detto una volta, "per me la legge dovrebbe essere creativa e usata per mettere le cose a posto". (33) Le carenze procedurali del Tribunale Penale Internazionale stanno diventando proverbiali per la loro ingiustizia, poiché il Tribunale, per giustificare il suo operato, pilucca qua e là dai sistemi legali di tutto il mondo. In un caso, il procuratore si è difeso dalle accuse di essersi illegalmente impadronito di documenti del governo bosniaco dicendo di aver agito in conformità con la legge vigente in Paraguay. Perfino la stessa legittimità dell'Aja è discutibile, poiché non è stata stabilita dalla legge ma da una delibera del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che non è stata ratificata da alcun ente dotato di prerogative legislative. Invece, il Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia è stato creato e finanziato dai governi occidentali o organizzazioni private con legami molto stretti con questi governi. Questo può spiegare perché il Tribunale Penale Internazionale si sia rifiutato di aprire un'inchiesta sui crimini di guerra della Nato: lo ha detto il portavoce della Nato Jamie Shea il 17 maggio 1999, quando gli è stato chiesto se il tribunale poteva condurre una inchiesta sui crimini di guerra della Nato. "Come lei sa", affermava il portavoce, "senza i paesi della Nato non vi sarebbe la Corte Internazionale di Giustizia, né avremmo alcun Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia, poiché i paesi della Nato sono in prima linea tra quelli che hanno creato questi tribunali, che finanziano questi tribunali e che ne sostengono le attività giorno per giorno".

Queste differenze sono la inevitabile conseguenza della filosofia su cui si basa la stessa nozione di giustizia internazionale. Questa filosofia è quella di Emanuele Kant. Il concetto chiave nella filosofia morale e giuridica di Kant è quello di universalità-la stessa questione trattata in apertura di questo articolo. Kant sosteneva che le verità morali (ed invero tutte le verità ultime) sono presenti solo nell'ambito delle astrazioni universali e non nell'ambito del reale o particolare. L'"imperativo categorico" -la pietra angolare della filosofia morale e giuridica di Kant- va postulato indipendentemente da ogni riferimento ad una collocazione nel tempo e nello spazio. Poiché Kant credeva che il mondo reale fosse il mondo della causalità è perciò del determinismo, egli sosteneva che la vera libertà esistesse solo nell'obbedienza alla legge morale, cioè solo nell'ambito cosiddetto noumenico della verità universale.

Secondo la visione aristotelica e tomistica, invece, la verità oggettiva va individuata nel mondo reale, non soltanto in qualche insondabile ambito astratto. Nella filosofia del diritto, si mette in risalto che lo sviluppo giuridico e la morale sono due ambiti separati, una distinzione che la visione esclusivamente moralistica di Kant tende ad ignorare. Poiché i tomisti ritengono che la realtà sia di suo intelligibile e che il mondo creato sia fondamentalmente ordinato e logico (in quanto il disordine è solo un portato della rivolta dell'uomo contro Dio), essi tendono a pensare che lo scopo della legge sia quello di conservare nella società un certo ordine, un ordine che dovrebbe imitare quello cosmico. Questo ordine consiste in una equa distribuzione dei beni tra gli aventi diritto, in altre parole nel mantenimento di una giusta proporzione tra le pretese in conflitto degli individui nella società. Lo stesso riferimento alla proporzionalità dimostra che per l'aristotelico la legge regola il rapporto tra le cose reali. Ecco perché la legge e la morale sono due distinte questioni. Cicerone, che come Aristotele e San Tommaso era un difensore dell'ordine naturale e riteneva che il crimini fossero crimini anche se la legislazione dello Stato non li qualificava come tali, scrisse che lo scopo del diritto civile era "La conservazione di una equilibrio giusto e familiare nella distribuzione dei beni e nei processi a carico dei cittadini". (34)

Quindi la giustizia è fondamentalmente una questione di ordine. L'ordine è una delle nozioni più centrali di tutte le concezioni del diritto indoeuropeo. La radice etimologica rta o arta - quando indica "ordine" e "arte" - è uno dei concetti-cardine nell'universo morale della civiltà occidentale. (35) Abbraccia l'ordine del cosmo, i corpi celesti, le stagioni, e le relazioni tra gli uomini e Dio. La parola "rito" (come rito religioso) esprime, perciò, la nozione dell'ordine religioso e sociale, mentre parole come recht e droit, e perfino l'uso da parte del falegname della parola true (per indicare "dritto"), riflette questo legame etimologico tra la giusta proporzione, la verità e la giustizia. Tutte queste nozioni sono state minate dal sorgere del nominalismo, specialmente nella filosofia del diritto di Hobbes,, che sosteneva che non ci fosse alcun ordine naturale nel cosmo e che invece l'ordine dovesse essere creato ex-nihilo dall'arbitrario diktat del sovrano. In Kant, il cui idealismo era mera immagine speculare del nominalismo, l'ordine era semplicemente un costrutto della mente, mentre il mondo vero (il cosiddetto mondo noumenico) era inconoscibile.

Nella tradizione tomistica e aristotelica, il cosmo è conoscibile e ordinato. Le leggi civili sono uno strumento per consentire alla società di imitarlo. Un diritto è un diritto ad una cosa e la legge è la giusta proporzione nella distribuzione delle cose. La giustizia è reale, non ideale. La legge perciò non dovrebbe essere confusa con la moralità: la moralità è un bene personale mentre l'ordine legale è un bene sociale. Di conseguenza, il diritto non può che essere sempre politico, perché si tratta di vagliare le contrapposte rivendicazioni dei cittadini, al fine di preservare l'ordine sociale all'interno di specifici confini politici e territoriali. Non spetta ad un giurista fare gli uomini morali, ma invece promuovere la giusta ripartizione di diritti in conflitto tra i cittadini. (36)

Questi concetti sono chiaramente presenti nei grandi scrittori classici in materia di legge naturale. Per Cicerone, così come per Edmund Burke e San Tommaso D'Aquino, la legge ovviamente esiste prima che sia promulgata dagli uomini. Come scrive Cicerone, "è stata opinione degli uomini più saggi che il Diritto non fosse il prodotto del pensiero umano, né della promulgazione da parte dei popoli, ma qualcosa di eterno che governa l'intero universo con la sua saggezza nel comandare e nel proibire". (37) I crimini infrangono il diritto eterno ancor prima che le leggi siano scritte dagli uomini. (38) Questo non significa - e non potrà mai significare - che lo Stato sia superfluo o che gli enti internazionali siano necessariamente legittimi, perché ovviamente sarà sempre una questione di politica e di prudenza le modalità in cui tali principi eterni trovano applicazione nella realtà.

È precisamente perché il diritto civile si occupa di discernere la maniera in cui i casi individuali rispecchiano un principio generale, che giuridicamente non ha senso parlare di diritti umani. Poiché un diritto è una rivendicazione ad una cosa, è ovvio che il diritti umani sono in conflitto l'uno con l'altro. Tutta la questione di avere un sistema giuridico è di giudicare tra queste rivendicazioni in conflitto e di giudicare ogni caso individuale in base ai suoi meriti. È precisamente perché la ideologia dei diritti umani è volutamente svincolata dallo specifico che la sua applicazione oscilla irrimediabilmente come una banderuola, sballottata qua e là dai capricci del momento o dai conati d'indignazione più alla moda.

In ultima analisi, perciò, la ideologia dei diritti umani è la ideologia dell'anti-stato. Essa si basa sulla visione che si possa godere di diritti al di fuori di una cornice politica, così come sull'implicita premessa che l'ordinamento statale sia sempre almeno potenzialmente, se non realmente, uno strumento di oppressione. Non è quindi senza collegamento al vecchio sogno marxista e leninista del superamento dello Stato.

La tesi della progressiva scomparsa dello Stato ha sempre occupato un posto centrale nella dottrina marxista. Come hanno detto chiaramente Marx e Lenin, la democrazia era utile come strumento nella lotta contro il capitalismo, ma avrebbe dovuto essere accantonata una volta esaurita la sua funzione. Lenin pensava che la democrazia stessa, come lo Stato, fosse semplicemente "L'uso organizzato, sistematico della violenza contro le persone". Ma la meta finale restava sempre la eliminazione di "ogni forma di Stato". (39) Lenin scriveva che "solo nella società comunista, quando la resistenza dei capitalisti sarà stata del tutto schiacciata, quando i capitalisti saranno scomparsi, allora non resteranno più classi... Solo allora 'lo Stato...cesserà di esistere' e 'diventerà possibile parlare di libertà'. Solo allora diventerà possibile una democrazia veramente completa, una democrazia senza restrizioni di alcun genere. E solo allora la democrazia comincerà a scomparire...". (40) Lenin capì perfettamente che l'ordinamento statale e la democrazia erano antitetici al comunismo e che il comunismo li avrebbe superati. Egli voleva che l'uomo se ne affrancasse. Nel suo saggio, "A United States of the World", Lenin scriveva che "la completa vittoria avrebbe favorito la totale scomparsa dello Stato, compreso lo Stato democratico". (41)

In ultima analisi, naturalmente, le strutture dello Stato non scompariranno con i diritti umani universali più di quanto non sia già avvenuto sotto il comunismo. Al contrario, uno degli aspetti più sinistri della polemica contro la sovranità è che la lotta contro di essa servirà ad abbattere proprio quelle barriere che veramente proteggono gli individui dall'oppressione: un'opera fondamentale sui diritti umani fa un appassionato riferimento sia all'evidente fatto che "l'intera nozione di egoismo individuale è stata messa in questione", (42) sia a un futuro dal sapore totalitario in cui la libertà non sarà libertà "dallo Stato" ma attraverso di esso. (43) Gli attacchi della Nato alla Jugoslavia, dimostrando quanto sia brutale il nuovo ordine mondiale, sembrano confermare la predizione di Alexandre Kojève che l'ordine universale sarà una tirannia universale:

"Per quanto lo Stato nella sua fase finale incarni le speranze e i sogni più profondi dell'umanità, Kojève non pensava che ognuno sarebbe stato sufficientemente saggio da sottomettersi volutamente ai principi di uno stato universale ed omogeneo. Egli ipotizzava che ci sarebbero state persone recalcitranti, ostinate e sufficientemente irrazionali da scagliarsi contro l'ordine universale. Il tiranno universale si trova nella necessità di ricorrere alla coercizione o imprigionare coloro che frappongono impedimenti all'ordine razionale dello Stato nella sua fase finale. Nondimeno, è importante tenere in mente che non si tratta di un tiranno normale. Il tiranno universale non è niente altro che un "dente dell'ingranaggio", una incarnazione della razionalità nell'ordine finale delle cose... la descrizione di Kojève della tirannia della ragione è impressionante. La fine della storia è l'apoteosi del Gulag spacciata per vittoria della ragione". (44)


Note

1. Una delle migliori analisi sul rapporto fra la sovranità nazionale e i processi di Norimberga è quella di Jeremy Rabkin, "Nuremberg Misremembered", SAIS Review, Summer-Fall 1999, pp. 81-96.

2. Si vedano le contraddittorie dichiarazioni della Human Rights Watch: "Milosevic Arrest Breaks Ground on International Justice", (28th June 2001) e "Transfer of Milosevic Founded in International Law", (2nd July 2001). In questa ultima occasione, il direttore del programma di giustizia internazionale in seno alla HRW, Richard Dicker, ha cercato di far quadrare il cerchio dicendo senza coerenza che il trasferimento di Milosevic era "un precedente storico con una solida base nel diritto internazionale".

3. Geoffrey Robertson, Crimes against Humanity: the Struggle for Global Justice, Penguin Books, 2000, p.338.

4. Molti commentatori sostengono che la fine della sovranità dello Stato sia un inevitabile sviluppo storico, il risultato di forze storiche anonime e inarrestabili, così come molti sostenevano che l'avvento del comunismo fosse inevitabile. V. per esempio Robert Cooper, "The Post-Moden State and the World Order", Demos, London, 2000.

5. Se n'è avuto un divertente esempio il 26 luglio 2001 quando Florence Hartmann, il portavoce del Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia ed ex-corrispondente di Le Monde, ha criticato una dichiarazione della conferenza dei vescovi della Croazia del 24 luglio in quanto "politica". Come nel caso dell'ufficio dell'Alto Rappresentante in Bosnia e Erzegovina, il cui il portavoce aveva parimenti attaccato il vescovo di Mostar per "essere più un politico che un prete", sembra che a queste persone che lavorano per il Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia non vengano mai sfiorati dall'idea che le loro presunte attività giudiziarie possano anche essere suscettibili della medesima accusa.

6. Aaron Rhodes, "Human Rights in the 'New Europe': Some Problems", intervento alla Accademia Croata delle Arti e delle Scienze nel corso della conferenza su "pace, diritti umani e la responsabilità degli intellettuali". Vedere "The Politics of Human Rights", ed. The Belgrade Circle, Verso, London 1999, p. 193.

7. Nel libro settimo, 'On Shadows and Realities in Education', Socrate afferma: "Non ci si deve meravigliare che coloro che arrivano a questa visione beatifica non siano disposti a calarsi nelle vicende umane; poiché le loro anime tendono sempre più verso il mondo superiore dove essi desiderano risiedere; il loro desiderio è molto naturale, se possiamo fidarci della nostra allegoria. È molto naturale. Ed esiste qualcosa di sorprendente in colui che passa dalle divine contemplazioni allo stato di malvagità umana, malcomportandosi in maniera ridicola; se mentre sbatte gli occhi e prima di abituarsi all'oscurità che lo circonda, è costretto a combattere nei tribunali o in altri luoghi sulle immagini delle ombre o della giustizia, e tenta di uniformarsi alle concezioni di coloro che tuttavia non hanno mai visto una giustizia assoluta?".

8. Si suppone comunemente che le "organizzazioni non governative", che fanno propaganda in favore dei diritti umani, siano appunto non governative. Tuttavia non è così. C'è spesso una intreccio molto profondo tra il personale delle grandi, cosiddette ONG e i governi. Anche i governi spesso finanziano queste organizzazioni. Spesso questi collegamenti-specialmente i finanziamenti-sono ammessi apertamente nei loro siti Web. In altre occasioni, il legame è più discreto. Un interessante ammissione sul modo in cui le ONG operano fianco a fianco con la politica dei governi occidentali, specialmente quello americano, è stata fornita da Thomas Carothers, un funzionario della Carnegie Endowment for International Peace, in "Promoting Democracy Abroad Makes Good Sense", The Washington Post, 30 gennaio 2001.

9. Anne Williamson, The rape of Russia, libro in parte pubblicato da Sanders Research Associates.

10. V. i rapporti sulla Bielorussia del British Helsinki Human Rights Group, di cui chi scrive è un amministratore fiduciario. V. specialmente il rapporto 1997 pubblicato dopo il molto criticato referendum del 1996. Gli anatemi piovuti su questa costituzione e il referendum che la ratificò a suo tempo erano basati ampiamente su un rapporto redatto dalla Commissione di Venezia della UE, a sua volta basato su una precedente bozza di costituzione che poi alla fine non fu adottata.

11. È interessante notare che il nuovo governo in Slovacchia, come quello della Croazia, è formata ampiamente da vecchi comunisti del vecchio regime. Così come il nuovo governo "democratico" e filo-occidentale in Croazia è guidato da Ivica Racan, membro della presidenza del comitato centrale del partito comunista croato (allora jugoslavo) dal 1974 al 1989, così il nuovo presidente filo-occidentale della Slovacchia, Rudolf Schuster, come pure il presidente del parlamento, il ministro della difesa e il presidente della commissione affari esteri sono tutti ex-membri del comitato centrale del partito comunista slovacco. Due di loro erano anche membri del centro di ricerca marxista- leninista (uno ne era presidente). Quest'ultimo particolare fa pensare all'ex-primo ministro "democratico" della Bulgaria, Ivan Kostov, un altro beniamino dell'Occidente e anche ex-docente di marxismo leninismo. Senza dubbio a questo si riferiva Bill Clinton quando disse alla CNN, "all'ultimo nostro pranzo con tutti i membri del Consiglio della Partnership for Peace qualcuno scherzò dicendo 'guarda in questa stanza, abbiamo parecchi membri dell'ultimo Politburo dell'Unione Sovietica'. Allora altri replicarono, noi, non eravamo nel Politburo, ma avremmo dovuto esservi!' e si misero a ridere" (Conferenza stampa dopo il summit in occasione dei 50 anni della Nato, CNN, ore 9:30, 25 aprile 1999).

12. Il sito Web del Comitato Internazionale della Croce Rossa è una straordinaria fonte di informazioni sulla storia del diritto umanitario. Per ogni trattato e accordo, il CICR fornisce il testo assieme ad una breve introduzione allo stesso. Questa citazione si può trovare cliccando su "IHL Database", poi su "trattati e documenti-Introduzione" e poi su "dichiarazione (XIV) che proibisce lo scarico di proiettili e esplosivi dai palloni. L'Aja, 18 ottobre 1907".

13. Clausewitz avrebbe istantaneamente riconosciuto i sentimenti espressi dal generale dell'aviazione Usa John P. Jumper quando, di fronte alla commissione forze armate del Senato nell'udienza di conferma della sua nomina a capo di stato maggiore dell'aeronautica, ha detto che è imperativo che sviluppiamo una nostra forza di intervento rapido per un attacco globale, una forza dirompente che ci garantisca l'accesso e dominio dello spazio aereo per tutte le nostre forze congiunte", in quanto la sua richiesta di risorse per le forze aeree è basato sull'assunto che saranno la spina dorsale della politica estera globale e aggressiva dell'America. V. "Jumper confirmed as next Air Force Chief" by Matser Sgt. Rick Burnham, 3rd August 2001, Air Force Link News.

14. Per una storia del millenarismo americano, v. Redeemer Nation: The Idea of America's Millennial Role by Ernest Lee Tuveson, University of Chicago 1968. Per un buon esempio delle pecche strutturali di questo pensiero, v. l'articolo di John Rawls, The Law of Peoples, in Stephen Shute and Susan Hurley, eds., On Human Rights, New York, Basic Books, pp. 41 - 68. Rawls divide il mondo in società "ordinate" e "disordinate" e permette alle prime di intervenire nelle seconde in nome del diritto dei popoli. Il suo articolo è una precoce articolazione del concetto che è poi stato reso più tardi popolare dal termine "rogue states" (stati canaglia). La divisione tra società ordinate e disordinate-non è mai ipotizzato che la stessa società possa essere sia ordinata che disordinata, o che possa evolversi da ordinata in disordinata-ricorda la divisione manichea dell'umanità tra "gli eletti" e "i dannati". Sembra prendere in scarsa considerazione il fatto che tutti gli uomini sono peccatori e che tutte le società, come tutti gli individui, hanno una propensione a commettere sia il bene che il male.

15. The Times, 12 maggio 1999.

16. "West claimed moral high ground with air power", John Keegan, Daily Telegraph, 16 gennaio 2001.

17. Geoffrey Robertson, Crimes Against Humanity, op. cit., p. 374.

18. Questa ragion d'essere in funzione antifascista della carta dell'Onu e del diritto internazionale postbellico è ben argomentata dal professor dr. Martin Bennhold in Thesen zum Völkerrecht, relazione presentata a Bonn il 27 maggio 1999.

19. Ho trattato lungamente della ostilità del fascismo al concetto di sovranità nazionale nel mio libro, The Tainted Source: the Undemocratic Origins of the European Idea, Little Brown, 1998, specialmente ai capitoli 2 e 3.

20. Come molti articoli del diritto internazionale, questo si è dimostrato vano. La guerra del Kosovo è stata caratterizzata da una propaganda molto sfacciata a favore della guerra, specialmente riguardo alle presunte atrocità commesse ai danni di civili albanesi. V. il mio articolo al riguardo su The Spectator del 30 ottobre 1999 e 20 novembre 1999. Vedi anche il classico di Philip Knightley, The First Casualty: the War Correspondent as Hero and Myth-maker from the Crimea to Kosovo, edizione riveduta, Prion Press, 2000. V. anche Degraded Capability: the Media and the Kosovo Crisis ed., Philip Hammond and Edward S. Herman, Pluto Press, 2000.

21. L'articolo 5 prevede che il crimine di aggressione ricada infatti sotto la giurisdizione della Corte, ma aggiunge, "la Corte eserciterà la giurisdizione sul crimine di aggressione una volta che venga adottato un provvedimento in conformità agli articoli 121 e 123 che definisca il crimine e delinei le condizioni in base a cui la Corte sarà chiamata ad esercitare giurisdizione riguardo al crimine. Questo provvedimento sarà coerente con i relativi provvedimenti della Carta delle Nazioni Unite". A differenza di tutti gli altri crimini di guerra, il termine "aggressione" poi non viene menzionato in nessuna parte del trattato.

22. Rapporto finale al procuratore del Comitato Incaricato di Rivedere la Campagna di Bombardamento della Nato contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, 13 giugno 2000.

23. "Dottrina della comunità internazionale", discorso pronunciato da Tony Blair all'hotel Hilton, Chicago, Illinois, 22 aprile 1999. Il discorso di Blair è un tentativo mirato di riscrivere l'esistente diritto internazionale. Egli ha detto, "adesso siamo tutti internazionalisti... Non possiamo rifiutare di partecipare ai mercati globali se vogliamo prosperare. Non possiamo ignorare le nuove idee politiche negli altri paesi se vogliamo innovare. Non possiamo voltare le spalle ai conflitti e alle violazioni dei diritti umani all'interno dei paesi terzi se vogliamo continuare a stare al sicuro. Alla vigilia del millennio ora ci troviamo in un nuovo mondo. Abbiamo bisogno di nuove regole per la cooperazione internazionale e nuovi sistemi di organizzazione per le nostre istituzioni internazionali".

24. V. la sezione "Hate Speech" (discorsi di incitamento all'odio) nell'annuario 1997-1998 del British Helsinki Human Rights Group. Il BHHRG prende regolarmente posizioni differenti da quelle dell'industria dei diritti umani e per questo è oggetto di violente campagne di calunnia.

25. È stata anche una caratteristica della propaganda di guerra della Nato durante gli attacchi sulla Jugoslavia la denuncia di "campi dello stupro" allestiti in Kosovo. Si tratta di un deprimente esempio della natura pornografica di molta propaganda sulle atrocità. Invero, per stessa ammissione della Nato, la ricognizione è proprio sfociata letteralmente in pornografia: si era detto nel maggio 1999 che per i campi degli stupri in Kosovo c'era il "riscontro dei satelliti". In molti casi, ciò ha portato ad una vera forma di molestie estremamente sgradevoli sui rifugiati da parte di giornalisti decisi a raccontare storie di stupri (v. Audrey Gillan, "What's the story?", London Review of Books, 27 maggio 1999). Nel marzo 2000, la Human Rights Watch ha scoperto 96 casi denunciati di violenza sessuale in Kosovo tra il marzo e il giugno 1999.

26. "Final Preliminary Statement of the War Crimes Tribunal", di Maria Suarez Toro, Feminist International Radio Endeavour, gennaio 2001.

27. V. Le livre noir du communisme, ed. Stéphane Courtois et. al., Robert Laffont, Paris, 1997; cf. The Holocaust in American Life di Peter Novick, Houghton Mifflin, New York, 1999.

28. "A Question of Sovereignty" in Newsweek International, 7 dicembre 1998.

29. V. Noel Malcolm, Sense on sovereignty, Centre for Policy Studies, London, 1991.

30. Carl Schmitt, Politische Theologie: Vier Kapitel zur Lehre von der Souveränität, pubblicato la prima volta nel 1922, edizione rivista del 1934 pubblicata da Duncker & Humblot Berlin, 1990, p.11.

31. V. il mio libro, The Tainted Source: the Undemocratic Origins of the European Idea, Little Brown, London, 1997, specialmente il capitolo quarto, "l'ideologia europea".

32. La differenza venne una volta efficacemente esposta dal procuratore capo del Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia, Louise Arbour, che ebbe a dichiarare, "siamo passati dall'era della cooperazione tra stati ad un'era in cui gli stati possono essere sottoposti a costrizioni" (Le Monde, 6 agosto 1999).

33. V. il mio articolo al riguardo su The Times del 17 giugno 1999.

34. Cicerone, De Oratore, I, 188: "Sit ergo in iure civili finis hic: legitimae atque usitatae in rebus causisque civium aequabilitatis conservatio".

35. Émile Benveniste, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, Les Editions de Minuit, Tome 2, Pouvoir, Droit, Religion, 1969, p. 100.

36. V. Michel Villey, Le droit et les droits de l'homme, Presses Universitaires de France, Paris, 1983.

37. Cicerone, De Legibus, II, iv, 8.

38. Ibid., II iv 10.

39. V.I. Lenin, "The State and Revolution", "Marx, Engels, Marxism", Progress Publishers, Moscow, p. 341.

40. Ibid., p. 329.

41. V.I. Lenin, "On the Slogan for a United States of Europe", in "Marx, Engels, Marxism", op. cit., p. 270.

42. Terry Eagleton, prefazione a The Politics of Human Rights, ed. Belgrade Circle ed introduzione a cura di Obrad Savi, p.v.

43. Savi in The Politics of Human Rights, p. 5.

44. V. Alexandre Kojève: The Roots of Postmodern Politics by Shadia B. Drury, St. Martin's Press, New York, 1994, p. 45.