2005

Interrogativi sull'Europa e la sua Costituzione

Carlo Garbagnati, Danilo Zolo

Carlo Garbagnati. Si parla, con maggiore o minore proprietà, di Costituzione europea. L'oggetto è forse un po' misterioso; è certamente ancora indeterminato, dal momento che l'ultima parola spetta ai governi nazionali e i 'si dice' attribuiscono ad alcuni di essi perplessità, insoddisfazioni, propositi di modifica - o di 'rivincita'. Vorrei chiederti un'opinione che, allo stato delle cose, non si lascia interamente determinare come riflessione su un punto di pur provvisorio approdo o come auspicio circa un approdo possibile. Nell'orizzonte delle sensibilità e degli interessi di Emergency rientrano senz'altro temi come la pace, la politica che con più pudore che verità si definisce 'di difesa' e la politica estera. Rispettando una sequenza derivata dalla logica interna dei temi, piuttosto che dai nostri interessi d'associazione, ti proporrei di parlare in primo luogo della politica estera. In che misura è ragionevole aspettarsi che stia per sorgere un soggetto unico o unitario sullo scenario internazionale? Quanto questo soggetto, se comparisse, potrebbe modificare il paesaggio della politica internazionale, e quanto il correlato venir meno delle politiche differenti e articolate dei singoli stati, determinando una semplificazione, potrebbe costituire un impoverimento?

Danilo Zolo. Non è ragionevole aspettarsi, io penso, che il varo della Costituzione possa offrire un contributo rilevante a favore dell'unificazione europea, almeno nel senso cui tu alludi: quello della creazione di un soggetto politico dotato di una forte coesione e identità collettiva, e pertanto capace di una politica estera unitaria, tale da modificare lo scenario internazionale. È illusorio pensare che la nascita di un 'popolo europeo' possa essere stimolata da più robuste protesi istituzionali e da un surplus di normazione costituzionale. La mia opinione è che sono i popoli a fare le Costituzioni e non, come credono i burocrati di Bruxelles e di Strasburgo, l'inverso. Ed è abbastanza evidente che oggi non esiste un popolo europeo. Non esiste, neppure all'interno della old Europe, una 'società civile europea': e cioè un'opinione pubblica, una lingua, una comunicazione multimediale europea. Mancano editori, emittenti radiofoniche e televisive europee, mancano movimenti, associazioni civili, sindacati, partiti politici su scala europea. Esistono degli Stati che tendono a convergere verso un crescente coordinamento delle proprie politiche monetarie e bancarie, e che solidarizzano in tema di sicurezza (intesa nel senso dell'ordine pubblico interno e della difesa militare contro l'immigrazione clandestina) e poco più. Ci sono inoltre profondi dissensi su temi cruciali come la politica estera (il rapporto con gli Stati Uniti, in particolare), la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini europei e, last but not least, l'alternativa fra un modello intergovernativo e un modello federalistico-comunitario del processo di integrazione regionale. E poi ci sono, in disparte, i 'popoli europei' con le loro identità e storie civili molto differenziate che il processo di unificazione rischia di mortificare ulteriormente, riconoscendo di fatto l'egemonia delle nazionalità - delle lingue, delle culture, delle tradizioni politiche - più forti.

La Costituzione non colmerà il 'distacco' fra l'Europa e gli europei, e tutto sommato non è questo che si vuole. In realtà si è voluto - attraverso una Costituzione scritta, ma non attraverso un'assemblea costituente elettiva - fare un passo avanti nella direzione della centralizzazione sovranazionale, del rafforzamento dei poteri comunitari e di una loro accresciuta razionalità funzionale: il risultato sarà un netto rafforzamento dei poteri esecutivi rispetto a quelli rappresentativi e alle istanze di rivendicazione dei diritti fondamentali, a cominciare dai diritti sociali. La stessa Carta di Nizza - inserita nell'ordito della Costituzione scritta - costituirà un alibi per non fare ciò che invece sarebbe veramente necessario fare: una politica europea dei diritti fondamentali. Anziché moltiplicare gli elenchi cartacei dei diritti o aggiungere nuovi diritti agli elenchi già esistenti, l'Unione avrebbe bisogno, come ha sostenuto Joseph Weiler, di agenzie, di programmi d'azione e di finanziamenti in grado di renderli effettivi.

Carlo Garbagnati. La cosiddetta 'difesa comune' in che consisterebbe o potrebbe consistere? È pensabile che rappresenterebbe un soggetto in prospettiva comparabile con la potenza militare Usa e, in questo caso, un soggetto autonomo, capace di prospettare un equilibrio, certo non più 'del terrore' ma 'del dominio', o 'dell'influenza'? Con effetti dunque di contenimento del ricorso alla guerra? Questa crescita potrebbe essere almeno relativamente autonoma, in presenza sia della Nato, sia degli orientamenti differenti dei diversi Stati dell'Unione? E trovi plausibile l'ipotesi che gli Usa siano disposti ad accettare il configurarsi e il crescere di un siffatto 'concorrente'? Non si riflette su questo, come sul precedente punto, la questione delle decisioni a maggioranza o all'unanimità delle scelte dell'Unione Europea?

Danilo Zolo. Sullo sfondo resta aperto il grande problema della sovranità dell'Europa unita, della sua autonomia nei confronti degli Stati Uniti, della sua capacità di allentare, se non proprio di recidere, i legami che subordinano in particolare la politica estera e la politica militare europea ai disegni strategici della superpotenza egemone e, quindi, della Nato. Ed è questa, a mio parere, una delle condizioni principali perché i sentimenti di appartenenza e di solidarietà prendano vigore in Europa - forse persino fra i paesi est-europei - attorno ad una identità europea meno 'occidentale', e cioè meno atlantica e anglosassone, e più radicata nella sua storia mediterranea e nella sua tradizionale inclinazione verso l'Oriente. L'alternativa è un'Europa burocratica e tecnocratica, forse più ricca, ma, certo, non maggiormente rispettosa dei diritti dei suoi cittadini e dei suoi ospiti extracomunitari. E certo non in grado di promuovere su scala globale una politica di pace, a cominciare dalla questione palestinese e dalle gravissime turbolenze che l'aggressione anglo-americana all'Iraq ha provocato nell'area mediorientale, oltre che in quelle caucasica, caspica e transcaspica.

Tu sollevi un problema delicatissimo: se è possibile che l'Europa svolga un ruolo internazionale più rilevante senza passare attraverso un significativo riarmo che la emancipi anche militarmente dalla sudditanza nei confronti degli Stati Uniti e della Nato. Le opinioni sono su questo punto molto diversificate anche fra i pacifisti. C'è chi rifiuta, in nome di un pacifismo radicale, una prospettiva che farebbe dell'Europa una brutta copia degli Stati Uniti. Sarebbe la prospettiva di una sorta di secessione o scisma imperiale, come accadde all'Impero romano: avremmo un impero d'Occidente e un Impero d'Oriente in concorrenza, anche militare, fra di loro, ma senza alcuna reale differenziazione e, soprattutto, con un elevatissimo rischio per le prospettive della pace. Secondo altri è pura illusione idealistica ed illuministica pensare ad un'Europa 'prima potenza civile', moralmente e politicamente influente e nello stesso tempo inesistente sul piano militare (nonostante la notevole quantità di risorse che pure investe in armamenti). Secondo altri, ed è questa grosso modo anche la mia posizione, la prospettiva di un mondo più pacifico - meglio: meno spietato e sanguinario - passa anzitutto attraverso la sconfitta dell'egemonia e dell'unilateralismo statunitense. Solo un mondo multipolare, policentrico e macro-regionale (e cioè articolato in grandi aree civili e politiche) potrà essere un mondo più equilibrato dal punto di vista economico, più ricco culturalmente e meno violento, perché non diviso fra il bellicismo imperiale e la replica del global terrorism. In questo quadro sarebbe indispensabile anche una generale redistribuzione del potere globale, incluso quello militare. L'Europa dovrebbe essere in grado, in questo quadro multipolare, di liberarsi dalla dipendenza militare che oggi la rende succube degli Stati Uniti e di darsi una propria struttura militare (rigorosamente difensiva) al di fuori della Nato. Questa prospettiva comporta immensi problemi (a cominciare dalla minaccia che ne deriverebbe per il modello dello 'Stato sociale' europeo e dal sabotaggio che Stati Uniti, e forse anche la Gran Bretagna, porrebbero in atto), ma non richiederebbe affatto che l'Europa tenti di competere da sola - sarebbe tragico e velleitario - con lo strapotere militare (anzitutto nucleare) degli Stati Uniti. Sarebbe pura follia bellicista.

Carlo Garbagnati. La pace. Se ho ben capito, siamo in un contesto simile al 'dolore dell'organo mancante' che gli amputati provano anche a lungo dopo gli incidenti o gli interventi. Qualcosa di equivalente all'articolo 11 della Costituzione italiana non figura né nell'attuale progetto di 'Costituzione europea' né nei propositi di chi ancora potrà metterci mano. Oltre a chiederti una valutazione di questa circostanza, vorrei sapere se esistono, 'in dottrina' o nella prassi, criteri 'di prevalenza'. Uso questo lessico probabilissimamente improprio per chiederti: se la Costituzione italiana resta come è (se addirittura la legislazione italiana si arricchisse - come vorremmo - di normative che specifichino più dettagliatamente il contenuto dell'articolo 11), quanto sarebbero vincolanti decisioni dell'Unione che risultassero con essa contrastanti?

Danilo Zolo. Nonostante che nel progetto di Costituzione ci siano qua e là accenni al valore della pace, il documento si ispira a un generico internazionalismo che non si impegna minimamente contro la guerra. Nel frattempo i maggiori paesi europei, metabolizzato il dissenso sulla guerra in Iraq, si stanno allineando con gli Stati Uniti in sede Nato: basti pensare all'apprestamento della Nato Response Force, voluta dagli Stati Uniti, per la guerra preventiva al terrorismo e all''asse del male'. Le due Costituzioni più pacifiste del mondo - quella tedesca e quella giapponese - stanno per essere riformate entrambe proprio per legittimare la guerra preventiva contro il terrorismo. E forse si tenterà di riformare - cancellare e riscrivere - anche la Carta delle Nazioni Unite per dare spazio alla guerra preventiva. Anche l'Italia sarà coinvolta in questa linea.

Quanto al possibile rapporto fra la Costituzione europea e la Costituzione italiana che, all'art. 11, ripudia nettamente la guerra come ricorso all'uso della forza che non sia rigorosamente difensivo, è facilmente prevedibile che prevarrà, grazie alla sua preminenza normativa, il dettato europeo rispetto a quello nazionale. Ci sono, come è noto, opinioni diverse in dottrina e in giurisprudenza circa il primato normativo del diritto primario europeo rispetto alle Costituzioni nazionali. Nel lontano 1973 la nostra Corte costituzionale ha escluso che un Trattato internazionale possa prevalere rispetto ai "principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale italiano" o possa "attentare ai diritti inalienabili della persona umana". Ma è facile prevedere che queste nobili enunciazioni sarebbero agevolmente smentite da provvedimenti amministrativi e persino da atti normativi che fossero coperti dal potere di legittimazione della Costituzione europea e dalla volontà degli organi politici centrali dell'Unione. Lo Stato italiano potrebbe percorrere indisturbato - almeno sul terreno giuridico formale - la via della guerra preventiva e della guerra umanitaria, come in questi ultimi anni hanno fatto tutti i suoi governi, di destra e di sinistra. Qui i movimenti pacifisti sarebbero chiamati a una energica battaglia, giuridica oltre che politica.