2005

Uranio impoverito e Iraq

Cristina Giannardi (*), Daniele Dominici (**)

L'Iraq è stato di nuovo bombardato fino a pochi giorni fa: già era accaduto nel 1991. Di fronte ai devastanti effetti immediati della guerra parlare degli effetti possibili a lungo termine dell'uranio impoverito (UI) ci sembra di minore importanza. Quello che segue vuole comunque essere un contributo tecnico per l'analisi di questo problema.

UI in Iraq, informazioni dall'Iraq

La prima difficoltà incontrata nel ricercare notizie sull'UI provenienti direttamente dall'Iraq è la lingua: non abbiamo trovato in rete siti locali che riportino pubblicazioni scientifiche in lingue latine o in inglese. I lavori di cui siamo venuti a conoscenza, pur provenendo in alcuni casi da enti ufficiali, sono il risultato di resoconti e traduzioni che possono averne in parte alterato la chiarezza.

Un resoconto di questo tipo è disponibile per una conferenza tenuta all'hotel Al-Rashid (Bagdad) nel dicembre 1998, della quale vengono riportate alcune presentazioni.

In particolare, in quell'occasione furono presentati i risultati di uno studio epidemiologico caso-controllo eseguito su 5746 militari (1), che rileva un eccesso di rischio significativo tra "esposti a esplosioni sul campo di battaglia" e non esposti per linfomi, leucemia, tumore al cervello, al fegato e osseo - anche se l'incremento di casi sembra, per alcune patologie, avvenire su tempi troppo brevi per essere dovuto solo al fattore di rischio indagato. Che tali esplosioni fossero state provocate da proiettili con UI è un'ipotesi che sembra plausibile all'autore, ma non accertata.

Un'altra relazione di questa conferenza mostra un incremento nell'incidenza di tumori in tre ospedali di Mosul, in cui da 200 casi nel biennio 1989-90 si passa a 894 casi nel biennio 1997-98 (2).

Il peggioramento delle condizioni sanitarie generali del paese, in termini di aumento di diverse patologie, viene documentato anche in un lavoro condotto in alcune aree dell'Iraq (3), in cui risulta che il tasso di incidenza di tumori maligni infantili passa da 3.98 su 100.000 nel 1990 a 10.7 su 100.000 nel 1999. L'autore attribuisce tale aumento alla contaminazione da UI ma, come già in un suo precedente lavoro, tale associazione non appare nel lavoro stesso sufficientemente documentata.

Per quanto riguarda la contaminazione ambientale, abbiamo trovato un solo articolo che riporta dati relativi a misure di radioattività in diverse matrici prelevate in aree meridionali dell'Iraq (4). Viene riportato il contenuto di alcuni elementi radioattivi (235U, 234Th, 226Ra, 214Bi, 214Pb) per 124 campioni di suolo, alcuni dei quali presentano elevate concentrazioni di attività di 234Th (fino a 65 kBq/kg) e di 226Ra (fino a 36 kBq/kg), molto superiori al fondo naturale dell'area, correlate con la distanza dal bersaglio colpito. Nel lavoro citato si precisa che "il rapporto (in peso tra 235U e 238U) è inferiore a 0.7%, cosa che prova l'inquinamento radiologico con proiettili UI" (5). Tale ipotesi, coerente con i valori di attività riportati, non chiarisce però completamente i risultati delle misure: nell'UI infatti l'isotopo 234Th è sempre presente con attività pari a quella di 238U, mentre l'attività di 226Ra è di fatto nulla dal momento che la catena di decadimento dei radionuclidi nell'UI è interrotta dal lungo tempo di dimezzamento dell'isotopo 234U. Nel lavoro si afferma che c'è stato un "aumento della radioattività" nell'area studiata, ma non sono presentati dati relativi alla situazione precedente il 1991.

Riteniamo che le informazioni provenienti dagli ambienti scientifici iracheni confermino un forte deterioramento della situazione sanitaria del paese, riportato dalla stampa in varie occasioni, probabilmente dovuto sia alla esposizione di militari e popolazione ad agenti nocivi durante la guerra del '91 sia al successivo permanente embargo. Attribuire all'UI gli effetti sanitari osservati, come viene fatto in alcuni lavori ci sembra invece, per quanto noto finora, poco plausibile. La diffusione nell'ambiente di UI e quindi la contaminazione di alcune aree ci sembra peraltro confermata, ed è quindi indiscutibile la necessità di eseguire misure accurate e valutazioni di rischio e, ovviamente, di bonificare tali aree.

L'uso militare dell'UI e la percezione del rischio associato

Negli anni '60 negli Stati Uniti vengono eseguite le prime applicazioni militari in cui si fa uso di UI con la realizzazione di proiettili perforanti e incendiari che sfruttano le caratteristiche chimico-fisiche dell'uranio metallico. Utilizzato per l'elevata densità, preferito al tungsteno perchè più economico e più efficace per incendiare il bersaglio, l'UI costituisce l'interno di proiettili progettati per perforare mezzi corazzati, ma di fatto utilizzati anche contro obiettivi diversi (tralicci per telecomunicazioni e depositi di munizioni in Repubblica Federale Yugoslava (RFY)).

Principali sistemi d'arma USA e UK che possono utilizzare proiettili contenenti UI sono gli aerei A-10, (30 mm, 0.3 kg di UI) e i carri M1-USA, Challenger-GB (120 mm, tra 2 e 5 kg di UI). E' stata ipotizzata la presenza di UI nei missili Tomahawk-USA (6), ma misure di contaminazione eseguite in RFY nei crateri prodotti dall'impatto di questi hanno dato risultati positivi solo in due casi (su 14 considerati), peraltro in una località certamente colpita anche con attacchi aerei (7). Recentemente è apparsa una lettera del Dipartimento della Difesa USA in cui si dichiara che i missili Tomahawk usati in combattimento non contengono UI (8).

Già alla fine degli anni '80 vengono condotti studi sperimentali sulle modalità di diffusione dell'UI nell'ambiente dopo l'uso di tali proiettili, per stabilire in particolare:

  1. la percentuale di UI disperso come aerosol e l'estensione dell'area di ricaduta
  2. la velocità di corrosione dei frammenti metallici rimasti nel terreno
  3. la concentrazione di UI nel suolo all'interno delle aree contaminate
  4. la velocità di trasmissione della contaminazione ad una eventuale falda acquifera sottostante.

Gli studi vengono eseguiti nei poligoni militari di prova da ricercatori di prestigiosi enti di ricerca.

Analisi dei possibili scenari di contaminazione da UI, che includono il calcolo delle dosi alla popolazione e gli effetti sanitari ipotizzabili nei diversi scenari, sono state inoltre realizzate, alla fine degli anni '90 (9), dal Dipartimento dell'Energia USA nell'ambito dei piani di sicurezza per i depositi delle enormi quantità di UI residuo del ciclo di produzione di combustibile nucleare.

Che l'UI disperso nell'ambiente potesse avere conseguenze sulla salute della popolazione residente nelle aree contaminate era quindi cosa nota negli ambienti scientifici militari e civili.

E' infatti noto che l'uranio è un elemento tossico e, a causa dell'emissione di radiazioni ionizzanti (RI), presenta aspetti di rischio biologico.

Per il danno di tipo tossicologico, particolarmente rilevante per i composti a maggior solubilità, viene individuato il rene come organo bersaglio, qualunque sia stata la via di assunzione (10). Il rischio da esposizione a radiazioni ionizzanti è proporzionale alla dose (dose efficace, (11)) prodotta dalla ingestione e dalla inalazione di materiale radioattivo, stimata utilizzando opportuni modelli di distribuzione e permanenza del materiale nei diversi organi e tessuti (12).

Nel 1991 l'UI è stato usato per la prima volta durante i bombardamenti sull'Iraq (nella regione del Golfo Persico sono state disperse circa 300 t di UI). Nel settembre dello stesso anno l'UNEP (United Nations Environmental Program) produce un'ampia relazione sugli "effetti ambientali del conflitto Kuwait-Iraq", in cui vengono esaminate accuratamente le già avvenute o possibili future conseguenze dei bombardamenti sull'ambiente, sulla flora e la fauna delle aree colpite; le principali cause di danno considerate sono l'incendio di pozzi petroliferi, raffinerie e impianti chimici, e la sospensione di grandi quantità di sabbia per effetto dei mezzi pesanti che hanno percorso le zone desertiche. In questa relazione l'UI non è considerato tra i possibili agenti dannosi lasciati sul terreno.

A partire dalla metà degli anni '90, viene avanzata l'ipotesi che l'UI sia tra i responsabili dell'insieme di patologie che vengono denunciate dai reduci statunitensi e il Dipartimento della Difesa USA include l'UI tra le possibili cause della cosiddetta sindrome del golfo, che diventa oggetto di studio di una apposita commissione. Il rapporto finale della commissione, costituito da una estesa rassegna bibliografica, esclude nelle considerazioni conclusive che l'esposizione ad UI possa aver prodotto effetti sanitari sui militari, pur sottolineando la necessità di approfondire lo studio del problema e di proseguire la sorveglianza sanitaria sui militari (13).

Da questo momento l'UI diventa nell'opinione pubblica, forse per una particolare sensibilità verso la radioattività come fattore di rischio, il primo, se non il principale sospettato degli effetti sanitari osservati nei reduci. Ad esempio, dopo i bombardamenti sulla Repubblica Federale Yugoslava nel 1999, dove nuovamente fu utilizzato l'UI, in Italia fu denunciato, e verificato da una apposita commissione del ministero della difesa (14), un aumento di incidenza di tumori di Hodgkin tra i militari che avevano compiuto missioni in Kosovo; la commissione, prendendo in considerazione solo l'esposizione a UI, non riesce a individuare le cause di tale aumento e raccomanda di continuare a svolgere ricerche anche su possibili altre cause (15).

Questa accresciuta attenzione generale, provocata dall'interesse per la salute dei militari reduci nei rispettivi paesi, ha contribuito senza dubbio alla decisione di includere, negli ultimi anni, la contaminazione da UI tra gli effetti ambientali dei bombardamenti che l'UNEP cerca di valutare. In alcune delle aree colpite sono state organizzate missioni, condotte da tecnici provenienti da diversi paesi, per documentare la situazione ambientale e stimare i rischi sanitari per la popolazione, eseguendo misure in campo e prelevando campioni di matrici ambientali da analizzare successivamente. Rapporti specifici per l'UI sono stati prodotti in seguito alle indagini svolte in Kosovo (2001) (16), in Serbia e Montenegro (2002) (17), in Bosnia e Erzegovina (2003) (18).

Nessuna missione di questo tipo è stata inviata dall'UNEP in Iraq per verificare la situazione ambientale in relazione all'UI. Se nei primi anni '90 questo poteva essere comprensibile, sorprende che in seguito, con la diffusa attenzione per questo rischio, non sia stata condotta una indagine specifica, del tipo di quelle realizzate negli altri paesi in cui l'uso di UI è stato sospettato o ammesso. E' di pochi giorni fa (19), la raccomandazione dell'UNEP di inviare una missione scientifica per indagare la contaminazione da UI dei siti colpiti.

Missioni per indagare l'andamento della incidenza di tumori e altre patologie sono state inviate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (negli anni 1995, 1998 e 2001), ma nessun rapporto è stato finora pubblicato.

Per quanto riguarda l'Iraq, quindi, non sono ancora disponibili resoconti ufficiali di organismi internazionali sulla contaminazione dell'ambiente da UI, né verifiche sull'assunzione di UI da parte della popolazione, né resoconti sulle incidenze di patologie che potrebbero essere attribuite all'UI.

E' invece disponibile la notizia che l'UI è stato usato anche adesso in Iraq perché "in pratica, se usiamo i carri Abrams, non abbiamo scelta" (20).

Sulla base di misure fatte altrove, cosa si può dire dell'Iraq

Nell'ipotesi che lo scenario di contaminazione in Iraq sia stato analogo a quello prodotto dall'uso dell'UI nelle località europee, si può cercare di estendere all'Iraq le stime preliminari di rischio per la popolazione già eseguite (21). Se tali stime possono essere precisate dai risultati delle indagini sperimentali sui siti colpiti, è necessario tener presente che le diverse condizioni ambientali e climatiche tra regioni europee ed irachene possono determinare un diverso comportamento ambientale dell'uranio, in particolare per la mobilità nel suolo.

Negli ultimi due anni sono state eseguite numerose misure di contaminazione da UI di campioni di suolo, acqua e aria: l'UNEP ha condotto indagini in Kosovo, poi in Serbia e Montenegro e più recentemente in Bosnia e Erzegovina, e nella Repubblica Federale Yugoslava indagini analoghe sono state effettuate da scienziati serbi e riportate negli atti della conferenza ENRY 2001 (22).

I risultati di questo insieme di misure permettono ora di verificare sulle aree colpite le ipotesi avanzate nei vari studi e i risultati delle prove di laboratorio per stimare lo scenario di esposizione e i rischi ad esso associati.

In particolare, possono essere verificati i seguenti aspetti:

  1. numero di proiettili sparati intorno al "bersaglio"
  2. estensione dell'area contaminata ed entità della contaminazione del suolo (valore medio e valore massimo)
  3. profondità della contaminazione, velocità di corrosione dei proiettili interrati e di trasmissione dell'UI agli strati sottostanti, in relazione con l'eventuale contaminazione della falda acquifera.

Occorre comunque segnalare subito che nelle regioni considerate sono stati utilizzati solo i proiettili da 30 mm (300 g di UI) dagli aerei A-10. Diverso potrebbe essere il caso di una battaglia terrestre, come avvenuto in Iraq nel 1991 e probabilmente adesso, con l'intervento dei carri corazzati che possono utilizzare, come detto prima, proiettili da 120 mm (3-4 kg di UI).

Va inoltre notato che le stime di rischio per l'uso bellico di UI eseguite considerano scenari di esposizione in cui l'area contaminata è ad uso prevalentemente agricolo mentre, almeno nella recente guerra in Iraq, non viene esclusa la possibilità che proiettili con UI siano usati anche in ambiente urbano (23).

In generale le aree visitate dall'UNEP (10 in Kosovo, 6 in Serbia, Montenegro e 15 in Bosnia) e dagli scienziati serbi (qualche decina) che per lo più coincidono con luoghi in cui la NATO aveva dichiarato di aver utilizzato proiettili all'UI, non hanno evidenziato, con la strumentazione portatile utilizzata per le misure, una contaminazione diffusa dell'area, ma piuttosto punti localizzati di contaminazione. E' quindi confermata l'ipotesi che una lista dei siti colpiti sia indispensabile per poter accertare le conseguenze ambientali dell'uso di UI e, prima ancora, per dare avvisi di comportamento alla popolazione e poter poi bonificare le aree.

  1. Il numero totale di proiettili da 30 mm sparati, secondo fonti NATO, è di circa 10000 in Bosnia Erzegovina, 31000 in Kosovo e un numero maggiore di 2000 in Serbia. Il numero di siti colpiti dichiarati è di 12, 112 e 11 rispettivamente. Il numero di proiettili sparati per bersaglio varia quindi da circa 100 (3 kg di UI) a più di 2000 (600 kg) mentre il valore considerato dall'UNEP era di poche decine di proiettili.
    Una caratteristica comune ai diversi siti è il ritrovamento di soli pochi proiettili rispetto alla quantità usata dichiarata: per esempio in Kosovo, nei siti visitati dall'UNEP, sono state recuperate poche decine di penetratori rispetto a circa 8000 dichiarati dalla NATO: l'ipotesi che i rimanenti proiettili si siano aerosolizzati è in contrasto con i risultati delle misure di contaminazione, se non invocando condizioni di vento molto forte che avrebbe disperso lontano l'aerosol, considerate poco probabili nei rapporti UNEP. L'ipotesi più plausibile è che una frazione sostanziale dei proiettili sia penetrata in profondità nel terreno. Una conferma di questa ipotesi viene dall'unico sito sottoposto a decontaminazione, Cape Arza (Montenegro), dove una ricerca sistematica è stata eseguita su un'area di 37000 m2. Grazie alla rivelazione in superficie dei residui di UI, si sono localizzati proiettili fino a 90 cm di profondità, recuperando così 174 proiettili sul totale dichiarato di 480.
  2. Le aree bersaglio (colpite con proiettili UI) risultano avere una estensione compresa tra 4000 e 40000 m2, in accordo con un valore medio di 10000 m2 utilizzato nelle stime (24) di contaminazione. Nelle aree la contaminazione media superficiale del suolo misurata (25) è bassa e quasi sempre inferiore al limite di sensibilità della strumentazione da campo utilizzata, pari a 0.1 gUI/m2: la contaminazione media risulta quindi molto inferiore a quella ipotizzata nelle stime, dell'ordine di 12 gUI/m2.
    L'aerosol prodotto nell'impatto può provocare contaminazione superficiale nel suolo fino a 200 m dal bersaglio, ma, come ipotizzato, in modo molto disomogeneo: in ogni area sono rivelati dagli strumenti portatili pochi punti ad elevata concentrazione di attività e, su 95 punti di campionamento dell'UNEP in cui è stato rilevato l'UI, solo 40 mostrano una concentrazione di UI superiore a 0.01 g/kg di suolo.
    La concentrazione massima misurata risulta pari a circa 100 gUI/kg di suolo (26) (10% in peso rispetto al 12% misurato nei poligoni di tiro (27)), e quindi dello stesso ordine di grandezza di quanto considerato nei nostri precedenti lavori (28).
  3. In prossimità dei proiettili rimasti intatti la maggior parte della contaminazione si trova in uno strato di 10-20 cm sottostante.
    Le misure in Bosnia, eseguite a distanza di 8 anni, hanno anche mostrato una notevole rapidità di corrosione dei proiettili conficcati, che fa stimare in circa 30 anni il tempo di corrosione totale. Per quanto riguarda la possibile contaminazione delle falde acquifere, ipotizzata in tutte le stime di rischio, è da notare che, tra i vari campioni di acque analizzati, uno proveniente da Hadzici (Bosnia) è risultato contaminato da UI (29); nonostante la concentrazione di UI sia bassa (rispetto ai livelli di riferimento sia tossicologici che radiologici) questo mostra la necessità di tenere sotto controllo l'acqua potabile nelle zone dove l'UI è stato utilizzato, come sempre raccomandato in tutte le valutazioni di rischio (30).

Rispetto alla scenario di contaminazione ipotizzato nelle stime precedenti alle verifiche sperimentali nelle aree colpite con proiettili UI, le principali differenze riguardano il numero di proiettili per sito e la destinazione dei proiettili: le informazioni fornite dalla NATO indicano che il numero di proiettili per sito è molto superiore a quanto stimato, tuttavia sembra che molti proiettili, invece che colpire il bersaglio e disperdersi come aerosol di UI, colpiscano il suolo nel quale penetrano per diversi metri (nelle stime invece si supponeva che circa il 50-70% dell'UI contenuto nei proiettili si disperdesse come aerosol). L'effetto combinato delle due cose sembra ridurre la contaminazione media che ci si può aspettare nell'area colpita, e quindi la stima della dose media alla popolazione che dopo il bombardamento torni a vivere nell'area stessa.

Se la dose media stimata risultava dell'ordine di 0.004 mSv/anno (nell'ipotesi di acqua potabile non contaminata), si può ritenere che la dose media sia inferiore a tale valore, e quindi trascurabile rispetto al valore limite per la popolazione, pari a 1 mSv/anno. Non ci sono rischi di danni tossicologici diffusi.

La concentrazione massima misurata di UI nel suolo nelle aree colpite è in accordo coi valori noti in precedenza, e quindi si ritiene corretta la stima della dose individuale massima eseguita (31), dell'ordine di 1 mSv per inalazione di suolo con la massima concentrazione, che è da ritenersi rilevante. A tale assunzione massima possono essere associati anche effetti tossicologici.

Per quanto riguarda l'acqua potabile, l'ipotesi che possa essere contaminata una falda superficiale, avanzata nelle stime, è resa più probabile dall'interramento della maggior parte dei proiettili.

Conclusioni

Le misure ora disponibili, eseguite in alcune zone colpite con grandi quantità di proiettili UI, consentono di precisare le stime di rischio eseguite in precedenza, anche se è da ritenersi solo indicativa l'estensione di queste stime ad una situazione ambientale e climatica del tutto diversa, come può essere quella dell'Iraq rispetto all'Europa.

Per riferimento quantitativo, è utile confrontare le stime di rischio con il limite di dose per la popolazione previsto dalla normativa (1 mSv/anno); riteniamo però che sia importante ribadire l'assenza di giustificazione per l'esposizione della popolazione prodotta dalla diffusione di sostanze radioattive in un conflitto. Viene sostanzialmente confermato il rischio associato alla assunzione accidentale di suolo altamente contaminato: l'entità della dose efficace massima individuale dell'ordine di 1 mSv per inalazione di suolo con la massima concentrazione è rilevante e può essere associata anche ad effetti tossicologici. Viene ridotta la stima del rischio medio per le persone che tornino a vivere nell'area colpita: la dispersione in forma di aerosol dell'UI nei proiettili sembra minore di quanto previsto, e pertanto minori la contaminazione media del suolo e la dose media che si ritiene quindi trascurabile rispetto al valore limite per la popolazione.

Ancora probabile - e ora anche confermata sperimentalmente - è da considerarsi l'ipotesi di trasmissione alla falda della contaminazione. A questo proposito va notato che, avvalorata l'ipotesi che a raggiungere la falda sia l'UI dei proiettili interrati piuttosto che della contaminazione superficiale diffusa, tale contaminazione può avvenire in tempi molto più brevi di quanto previsto in alcune stime, cioè nell'arco pochi anni e non di alcune centinaia.

Il controllo della contaminazione dell'acqua potabile rimane senz'altro di fondamentale importanza per la tutela della salute della popolazione.

Sulla base del principio di precauzione si ritiene che sia corretto condannare l'uso delle armi con l'UI, e il lavoro che abbiamo presentato, come detto, voleva portare alcuni elementi tecnici per valutarne il rischio sanitario associato. Il principio di precauzione è un metodo per affrontare l'analisi dei rischi sanitari, in assenza di effetti documentati con certezza: alcune delle armi usate in guerra (o sostanze dannose disperse nell'ambiente durante la guerra) possono produrre nella popolazione e nei militari effetti successivi.

Quando si parla dei danni prodotti dall'UI si tratta di quest'ultimo aspetto, dei possibili effetti futuri.

E' necessario valutare questi rischi e darne una stima quantitativa, per essere consapevoli del male complessivo prodotto dalla guerra, ma anche per dare un peso relativo al problema dell'UI, rispetto ad altri danni e/o rischi di danno.

Per usare il principio di precauzione, d'altra parte, non c'è bisogno di ingigantire gli effetti sanitari prevedibili, come a volte viene fatto. E per essere contro la guerra non c'è bisogno di attribuire ad essa effetti terribili nuovi, non conosciuti. Per noi il ripudio della guerra è una scelta contro un orrore che qualcuno considera ancora giustificato, per ottenere risultati di vario tipo; la condanna dell'uso militare dell'UI è una conseguenza di valutazioni tecniche, quindi una considerazione successiva.


Note

*. Fisica Ambientale, Dipartimento di Firenze ARPAT, c.giannardi@arpat.toscana.it

**. Dipartimento di Fisica dell'Università di Firenze, dominici@fi.infn.it

1. N.A. Al-Ani, Health Consequences of DU Used by US and British Forces, contributo presentato alla conferenza tenuta all'Hotel Al-Rashid, Bagdad, 1998.

2. M.M. Al-Jebouri et al., The Effect of War of the American and the Affiliated Forces against Iraq on the Distribution and Elevation of Cancer Diseases in Mosul, presentato alla conferenza tenuta all'Hotel Al-Rashid, Bagdad, 1998.

3. A. A-H. Yacoub et al., Further Evidence on the Relation between Depleted Uranium and the Incidence of Malignancies (with specific reference to leukaemias) among Children in Basrah, Southern Iraq, Medical Journal Of Basrah University, vol.18/2000.

4. S. Al-Azzawi et al., Environmental Pollution resulting from the Use of Depleted Uranium Weaponry against Iraq during 1991, presentato alla conferenza tenuta all'Hotel Al-Rashid, Bagdad, 1998.

5. L'uranio naturale è una miscela dei tre isotopi radioattivi 238U (circa 99.275%), 235U (circa 0.72%), 234U (circa 0.005%), che decadono in una serie di elementi a loro volta radioattivi, emettendo particelle alfa di energia compresa tra 4 e 5 MeV. A causa dei diversi tempi di dimezzamento (rispettivamente pari a 4.5*109, 7.0*108 e 2.5*105 anni) l'attività specifica dell'uranio naturale (pari a 25.4 Bq/mg) è dovuta per il 49% a 238U, per il 49% a 234U e per il rimanente 2% a 235U. Quando viene separato dalla roccia per uso industriale, l'uranio è associato ad una catena ridotta di isotopi radioattivi, in cui sono presenti, oltre a 238U, 235U e 234U, solo i prodotti di decadimento di 238U e di 235U che hanno un tempo di dimezzamento più breve: 234Th (24 giorni), 234Pa (6.7 ore) e 231Th (25.5 ore). Per la presenza di questi elementi si ha anche emissione di radiazione beta e gamma. L'uranio impoverito è un residuo del processo di arricchimento dell'uranio naturale per la produzione di combustibile nucleare o per applicazioni militari. Quello utilizzato attualmente dal Dipartimento della Difesa USA contiene circa lo 0.2% di 235U; l'attività specifica (pari a 14.8 Bq/mg) è dovuta per lo 84% a 238U, per il 15% a 234U e per il rimanente 1% a 235U.

6. T.E. Liolios, Assessing the Risk from the Depleted Uranium Weapons used in Operation Allied Force, Science and Global Security, vol.8, p.162, 1999.

7. B. Biocanin et al., Uranium Content in Soil after Bombing FRY, ENRY 2001, ed. by D.P. Antic and J.L. Vujic, Vinca Institute of Nuclear Studies, Belgrade 2002.

8. M.E. Kilpatrick, No Depleted Uranium in Cruise Missiles or Apache Helicopter Munitions-Comment on an Article by Durante and Pugliese, Health Physics, 82 (2002) 904.

9. Final Programmatic Environmental Impact Statement for Alternative Strategies for the Long-term Management and Use of Depleted Uranium Hexafluoride, DOE/EIS-0269, April 1999.

10. BeirV, Health Effects of Exposure to Low Levels of Ionizing Radiation, National Research Council, National Academy Press, Washington, DC, 1990.

11. International Commission on Radiological Protection, 1990 Recommendations of the ICRP, ICRP Publication 60, Pergamon Press, Oxford and New York (1991).

12. Gli effetti di tipo tossicologico prodotti dall'assunzione di uranio si manifestano quando la concentrazione di uranio nel rene supera una certa soglia (stimata tra 1 e 3 microg/g), e la protezione da tali effetti consiste quindi nel definire limiti di inalazione e di ingestione, per intossicazione acuta e cronica, al di sotto dei quali non ci sono effetti nocivi per l'organismo. La tossicità chimica determina apparentemente limiti di introduzione più stringenti di quelli stabiliti in base alla emissione di radiazioni ionizzanti: l'Environmental Protection Agency (EPA) fissa per l'esposizione a lungo termine un limite di tolleranza di 3 microg/kg di peso corporeo, ovvero 0.2 mg/giorno, per l'assunzione cronica di uranio da ingestione di acqua e cibo (Agency for Toxic Substances and Disease Registry Public Health Statement, 1990). Per la concentrazione di uranio nelle acque, nella normativa italiana ed europea non sono attualmente fissati limiti; come livello di riferimento internazionale citiamo 2 microg/l (0.05 Bq/l), valore provvisorio nelle linee guida WHO per le acque potabili (World Health Organization: Guidelines for Drinking-water Quality, Second edition, Addendum to Volume 2: Health Criteria and Other Supporting Information, WHO/EOS/98.1, Geneva 1998).

Gli effetti delle radiazioni ionizzanti emesse dall'UI possono essere quantificati mediante la dose efficace assunta che moltiplicata per il coefficiente 0.05 Sv-1 fornisce, per un individuo della popolazione, la probabilità di morte per tumore dovuta alla esposizione. Note la quantità e le caratteristiche chimico-fisiche del materiale radioattivo ingerito e inalato, si può calcolare la dose per la popolazione (dose efficace impegnata fino a 70 anni), per unità di attività assunta (ICRP, Age-dependent doses to members of the public from intake of radionuclides: part V compilation of ingestion and inhalation dose coefficients, ICRP Publication 72, 1996, Elsevier, Oxford and New York (1996)):

  • il coefficiente di dose per ingestione è pari a 4.5*10-8 Sv/Bq;
  • il coefficiente di dose per inalazione, per un aerosol di composizione non nota con precisione, con AMAD (activity median aerodynamic diameter) di 1 microm, è pari a 2.9*10-6 Sv/Bq.

Se la via di ingresso è l'inalazione l'uranio a seconda del diametro medio delle particelle dell'aerosol può depositarsi nella regione extratoracica, dalla quale viene in parte rimosso e espirato, oppure nella zona toracica ed essere in seguito assorbito dal sangue. Se la via di ingresso è l'ingestione, il 98% dell'uranio viene eliminato entro pochi giorni; la frazione assorbita viene in parte fissata, in parte rimossa su tempi relativamente lunghi (diversi anni). Gli effetti dovuti alla emissione di RI sono effetti non a soglia, ovvero che si possono manifestare per qualsiasi valore di assunzione di uranio, con probabilità proporzionale alla dose efficace assunta dalla persona. Per questo motivo le raccomandazioni internazionali, e con esse la normativa italiana, prescrivono che la radioprotezione venga attuata rispettando alcuni principi generali, il primo dei quali richiede che le attività che comportano esposizione a RI siano giustificate (alla luce dei benefici che da esse derivano); vengono fissati comunque limiti di dose, corrispondenti ad un livello di rischio ritenuto socialmente accettabile. E' molto importante tener presente questa filosofia di protezione. In particolare, per l'esposizione della popolazione prodotta dalla diffusione di sostanze radioattive in un conflitto, riteniamo che nessun tipo di giustificazione sia ipotizzabile. Premesso questo, il confronto con i limiti di dose previsti dalla normativa risulta utile per dare un riferimento quantitativo alle stime di rischio.

13. N. H. Harley, E. C. Foulkes, L. H. Hilborne, A. Hudson and C. R. Anthony, A Review of the Scientific Literature As it Pertains to Gulf War Illness, Rand Report, vol. 7, Depleted Uranium, RAND, 1999.

14. Relazione finale della Commissione istituita dal Ministro della Difesa sull'incidenza di neoplasie maligne tra i militari impiegati in Bosnia e Kosovo, 11 Giugno 2002.

15. La commissione di indagine, insediata con decreto ministeriale della difesa del 22/12/00, presieduta dal prof. Franco Mandelli, ha presentato una relazione preliminare e una seconda relazione nel corso del 2001 e la relazione finale sul lavoro svolto l'11/6/02. L'obiettivo dell'indagine è stato quello di valutare se esista una correlazione tra esposizione a UI e patologie tumorali osservate in militari che hanno compiuto missioni in Bosnia e Kosovo, o se sia possibile identificare per tali patologie cause diverse. Riportiamo i risultati dell'ultima relazione, che modifica in parte i risultati preliminari. Viene calcolata l'incidenza osservata di neoplasie maligne nell'insieme dei militari che hanno compiuto almeno una missione in Bosnia o Kosovo; tale incidenza è confrontata con quella attesa, calcolata dai 12 registri tumori italiani per cui sono disponibili dati aggiornati, per linfoma di Hodgkin (LH), linfoma non Hodgkin (LNH), leucemia linfatica acuta (LLA), tumori solidi e per tutte le neoplasie. Il confronto è eseguito mediante il rapporto tra casi osservati e casi attesi nella popolazione considerata, che fornisce il rapporto di incidenza standardizzato (SIR), parametro di cui viene stimato l'intervallo di confidenza al 95% di probabilità. I risultati principali di tale analisi sono i seguenti:

  • per i LH si osserva un eccesso di casi statisticamente significativo: i casi osservati sono 8, quelli attesi sono 3.26 (SIR pari a 2.45, con intervallo 1.06-4.84), peraltro con una possibile sottostima dei casi osservati dovuta al carattere spontaneo delle denunce;
  • per le neoplasie maligne nel loro complesso (ematologiche e non) il numero di casi risulta significativamente inferiore a quello atteso (SIR pari a 0.51, con intervallo 0.35-0.73), effetto probabilmente attribuibile al fatto che i registri tumori provengono soprattutto dal nord Italia, dove l'incidenza di tumori è più elevata che nel sud Italia, area da cui proviene il 65% della popolazione studiata;
  • le analisi eseguite su un campione di militari impiegati in Bosnia e Kosovo (presenza di UI nelle urine e livello di contaminazione interna mediante tecnica Whole Body Counter) non hanno rilevato contaminazione da UI;
  • si afferma che, sulla base delle informazioni disponibili, non è stato possibile individuare le cause dell'eccesso di LH evidenziato dall'analisi epidemiologica.

Sulla base dei risultati raggiunti la Commissione raccomanda di proseguire le indagini ambientali e sanitarie nelle aree in cui sono stati utilizzati proiettili con UI e le indagini epidemiologiche sui militari. Viene inoltre sostenuta la necessità di un approfondimento per stabilire la causa dell'eccesso di LH osservato.

16. UNEP, Final Report: Depleted Uranium in Kosovo - Post-Conflict Environmental Assessment, 2001.

17. UNEP, Final Report: Depleted Uranium in Serbia and Montenegro - Post-Conflict Environmental Assessment in the Federal Republic of Yugoslavia, 2002.

18. UNEP, Depleted Uranium in Bosnia and Herzegovina. Post-Conflict Environmental Assessment, 2003.

19. UNEP, [document] 6/4/03.

20. Col. James Naughton, Briefing on Depleted Uranium, U.S. Army Materiel Command, March 14, 2003.

21. C. Giannardi e D. Dominici, Danni collaterali dell'uranio impoverito: una stima per la guerra del Kosovo, Il Ponte, novembre-dicembre 1999, 118, e Esposizione della popolazione da uso militare di uranio impoverito, contributo in Contro le Nuove Guerre, p. 122, Odradek, a cura di Massimo Zucchetti, 2000; UNEP/UNCHS, Balkan Task Force, The Potential Effects on Human Health and Environment Arising from Possible Use of Depleted Uranium During the 1999 Kosovo Conflict. A preliminary Assessment, 1999; M. Durante and M. Pugliese, Estimates of Radiological Risk from Depleted Uranium in War Scenarios, Health Physics 82 (2002) 14; C. Giannardi and D. Dominici, Military Use of Depleted Uranium: Assessment of Prolonged Population Exposure, Journal of Environmental Radioactivity 64 (2003) 227.

22. Environmental Recovery of Yugoslavia, ed. by D.P. Antic and J.L. Vujic, Vinca Institute of Nuclear Studies, Belgrade 2002.

23. Cfr. J. Naughton, dichiar. cit. in nota 20.

24. Cfr. UNEP, rapporto cit. in nota 21.

25. Cfr. UNEP, rapporti cit. in note 16, 17 e 18.

26. Cfr. UNEP, rapporto cit. in nota 18.

27. M.H. Ebinger et al., Long Term Fate of Depleted Uranium at Aberdeen and Yuma Proving Grounds, Phase I: Geochemical Transport and Modeling, LA-11790-MS, June 1990.

28. Cfr. C. Giannardi e D. Dominici, art. cit. in nota 21.

29. Cfr. UNEP, rapporto cit. in nota 18.

30. In uno studio preliminare (N.D. Priest and M. Thirlwell, Early Results of Studies on the Levels of Depleted Uranium Excreted by Balkan Residents, ENRY 2001, ed. D.P. Antic and J.L. Vujic, Vinca Institute of Nuclear Studies, Belgrade 2002) su tre campioni di popolazione di Bosnia e Kosovo è stata rivelata la presenza nelle urine di piccole quantità di UI. Questo potrebbe essere interpretato come il residuo di una intossicazione acuta avvenuta per inalazione durante o subito dopo i bombardamenti. L'osservazione di UI anche in un bambino nato alcuni anni dopo il conflitto e in un membro della BBC suggerisce inoltre che l'UI possa essere entrato nella catena alimentare. Questa ipotesi sembra essere confermata dalla presenza di UI in un campione di acque proveniente da Hadzici, analizzato dall'UNEP nel lav. cit. in nota 18.

31. Cfr. C. Giannardi e D. Dominici, art. cit. in nota 21.