2005

Armi batteriologiche, biologiche, etniche (*)

Gian Antonio Danieli

1. Cenni storici

L'evoluzione delle moderne armi biologiche (BW: Biological Warfare) comincia con la storia infame dell'"Unità per la prevenzione delle epidemie e per la purificazione dell'acqua, Armata di Kuantung" installata ad Hairbin, nella Manciuria dalle truppe giapponesi occupanti. Tale unita', successivamente denominata "Kamo", "Togo" e, a partire dal 1941 "Unità 731" fu in realtà la sede delle più sofisticate ricerche su biologiche offensive, sviluppate durante la seconda guerra mondiale. Sotto il comando del Colonnello Ishiro Ishi, a partire dal 1940, vennero prodotti molti ceppi di batteri patogeni e vennero eseguiti esperimenti letali sui prigionieri cinesi e su prigionieri di guerra statunitensi, britannici, australiani e neozelandesi. La deliberata infezione di ampie aree delle province di Heilulgchang e Kirin, utilizzando tali batteri patogeni, causò oltre 20.000 morti. Altre azioni di guerra biologica vennero effetuate a Changte, Chuhsien e Chinhua e nelle provincie di Suiyan e Ninghsia, dove si verificarono gravi epidemie. Nel 1945, alla fine del conflitto, i Giapponesi possedevano 400 Kg di spore di antrace, oltre a ceppi di molti batteri virulenti.

Durante la guerra, in Gran Bretagna, a partire dal 1941, venne avviata la sperimentazione per la produzione di granate contenenti spore di antrace, che furono provate nel poligono dell'isola di Gruinard, in Scozia. Per ragioni precauzionali, temendo una possibile invasione del territorio britannico da parte delle truppe nemiche, la produzione degli ordigni venne spostata negli Stati Uniti a Fort Detrick, dove successivamente, nel 1943, il governo avviò un programma indipendente di ricerca su armi batteriologiche. I laboratori del sito, vicino alla località di Frederick nel Maryland, si interessarono a quel tempo soprattutto di antrace, di brucellosi, di tularemia, di peste e di botulismo.

Alla caduta del Giappone il colonnello Murry Sanders, responsabile del progetto in corso a Fort Detrick, si recò a Tokio. Il colonnello Ishi, insieme ad una ventina di altri tecnici dell'Unità 731 evitarono le conseguenze dei loro atti criminali consegnando tutto il materiale in loro possesso. Vennero trasportati negli Stati Uniti dove, una volta liberati, diventarono collaboratori del progetto di ricerca sulle armi biologiche che si sviluppò dal 1945 al 1969 proprio facendo tesoro della loro documentazione (tra cui i dati di oltre 1000 autopsie di prigionieri deliberatamente infettati).

Nel corso della guerra in Corea vennero effettuati dall'aviazione degli Stati Uniti sporadici esperimenti di dispersione di materiale infettivo. Viceversa, tra il 1951 ed il 1967 vennero effettuati esperimenti di dispersione su larga scala, liberando nell'ambiente quantità elevate di batteri non patogeni (es. Bacillus subtilis e Serratia marcescens). Alcuni esperimenti vennero effettuati in mare, alle Hawai ed a Terranova. In altri esperimenti vennero simulati gli effetti di dispersione attraverso le metropolitane sotterranee di diverse città statunitensi. Nello stesso periodo, esperimenti analoghi vennero effettuati nella metropolitana di Londra da tecnici del laboratorio militare britannico di Porton Down, utilizzando Bacillus globigii, Escherichia coli e Serratia marcescens.

Dalla fine degli anni '40 fino alla fine degli anni '60 si erano succedute molte importantissime scoperte sulla genetica dei batteri e dei virus, che avevano aperto la prospettiva di produrre ceppi con caratteristiche biologiche volute, mediante esperimenti di coniugazione, di trasduzione o, nel caso di virus, mediante infezioni miste. Nel 1969, dopo la scoperta che con opportuni enzimi batterici si poteva tagliare il DNA in punti specifici ed inserire frammenti di DNA di un organismo nel DNA di un organismo si comincia a parlare della possibilità di utilizzare le tecniche della nascente ingegneria genetica, per costruire armi biologiche innovative. In un'audizione dell'House of Representatives, 90th Congress (1st Session, part 6, pag.129, US Gov. Print. Office, 1969) si discusse sulla possibilità di produrre:.. "...a synthetic biological agent, an agent that does not naturally exist and for which no natural immunity could have been acquired...".

Poco dopo, nel 1972, il Presidente Nixon si pronuncia a favore del bando della produzione di armi biologiche, ma garantisce la continuità delle ricerche per scopo difensivo. Viene firmato il trattato per la messa al bando delle armi biologiche, ma non viene ratificato nessun protocollo per i controlli sul rispetto dei divieti (per la precisione, alla data attuale, Febbraio 2005, gli Stati Uniti non hanno ancora ratificato la firma del trattato). In realtà, qualsiasi ricerca su microrganismi patogeni può essere fatta passare per "difensiva", se si escludono quelle inerenti la produzione di massa di specifici microrganismi patogeni o tossine e quelle inerenti lo sviluppo di munizioni adatte.

La ricerca per scopi "difensivi" continuò dunque dal 1972 in avanti, potendo contare su consistenti finanziamenti e traendo vantaggio dalla sinergia della ricerca di base in settori strategici collegati, come ad esempio l'immunologia, finanziata adeguatamente da enti di ricerca non dipendenti dall'apparato militare.

Nel 1973 il governo sovietico avvia il progetto di ricerca "Biopreparat", guidato dal generale Kalinin, che coinvolge oltre 50.000 tra scienziati e tecnici, con un centro di Virologia a Novosibirsk ed un centro di prova in un isola del Lago di Aral. Non sono disponibili documenti in proposito, se si eccettuano alcuni servizi giornalistici. Sembra che la decisione sia stata presa dal governo sovietico perché riteneva preoccupante la superiorità strategica degli Stati Uniti nel settore della guerra biologica. In effetti, proprio nel 1973 gli Stati Uniti avevano ripreso prove di dispersione di agenti patogeni nel poligono di Dugway, nello Utah.

Negli Stati Uniti crebbero notevolmente negli anni seguenti le ricerche su argomenti attinenti la guerra biologica: nel 1987 un'indagine del Dipartimento della Difesa US rivelò l'esistenza di ben 127 programmi di ricerca CBW, in diverse località degli Stati Uniti, effettuati in laboratori non-militari.

Il 1996 rappresenta una data storica, in quanto in quell'anno DARPA (il Dipartimento per la ricerca tecnologica militare) annunciò ufficialmente di aver sviluppato (in collaborazione con Affymetrics) il primo analizzatore portatile di DNA, basato su tecnologia "DNA microchip". Per la prima volta nella storia diventa possibile delimitare con precisione un territorio contaminato, consentendo così sia un'efficace difesa contro un attacco con armi biologiche. Si tratta chiaramente di uno strumento difensivo, ma il possesso di questa tecnologia rende possibile per la prima volta un eventuale impiego "sicuro" di questi tipo di armi in zona operativa. Infatti in passato non era possibile, dopo aver lanciato un attacco, conoscere quali fossero le zone contaminate e quali quelle non pericolose per le proprie truppe. Grazie ai "DNA microchip", gli Stati Uniti conquistano una posizione di supremazia assoluta nel settore della guerra biologica. Attualmente sono in dotazione alle truppe analizzatori molto più sofisticati e se ne stanno sviluppando altri, basati su nanotecnologie (ad esempio MAGIChip).

2. La situazione attuale

Attualmente, le cosiddette "armi biologiche" si possono distinguere in:

  • Organismi patogeni. In genere si tratta di microorganismi (virus e batteri), ma possono essere utilizzati per scopo offensivo anche organismi più complessi come le muffe (usate soprattutto contro le coltivazioni). E' teoricamente possibile l'impiego di animali transgenici (geneticamente modificati), ad esempio varietà di insetti vettori di malattie infettive dotati di maggiore aggressività nei riguardi della specie umana o di specie di interesse zootecnico.
  • Sostanze derivate del metabolismo di specifici organismi (es. tossine), con effetto letale o incapacitante su altri organismi (vengono indicate con la sigla BDBS: Biologically Derived Bioactive Substances).
  • Prodotti di sintesi in grado di colpire in modo "biologico" il bersaglio, costituito da cellule di specifici organi o da specifici organismi (sono indicate con la sigla ADBMS: Artificially Designed Biological-Mimicking Substances).

Sia le BDBS che le ADBMS sono assimilabili ad armi chimiche (CW: Chemical Warfare), per le quali esiste una legislazione internazionale ad hoc. Quindi le "armi biologiche" propriamente dette sono costituite da organismi (naturali o geneticamente modificati) che, utilizzati per scopo offensivo, sono in grado di causare danni biologici temporanei o permanenti in altri organismi (bersagli). In uno scenario di guerra tra eserciti, i bersagli sono costituiti da esseri umani e l'attacco è volto a immobilizzare l'avversario ed a ridurne le capacità offensive o difensive. Tuttavia, in tempi recenti ci sono stati casi di armi biologiche utilizzate contro animali di interesse zootecnico o vegetali di interesse agrario, con lo scopo di indurre un rilevante danno economico al Paese aggredito.

Gli organismi più utilizzati come armi biologiche sono i microorganismi (soprattutto batteri e virus), per la semplice ragione che sono invisibili ad occhio nudo e che esistono specie patogene anche in natura.

Perchè un microrganismo possa essere utilizzato come arma biologica deve avere le seguenti caratteristiche: oltre all'elevata infettività e virulenza e la resistenza a trattamenti medici di routine, deve poter resistere relativamente poco nell'ambiente (che altrimenti resterebbe a lungo gravemente contaminato, costringendo i vincitori a non occupare quel territorio, o ad adottare contromisure complesse e sempre molto costose). Inoltre, per quanto riguarda il processo di produzione di munizioni da utilizzare in uno scenario di guerra, è necessario che il microrganismo possa essere ottenuto in grandi quantità attraverso processi di tipo industriale e che rimanga stabile e virulento per tutto il tempo necessario all'immagazzinamento prima dell'impiego operativo e nella fase di dispersione nell'ambiente nel corso dell'attacco.

Per sviluppare un'arma biologica sono quindi necessarie infrastrutture di ricerca di elevata qualità. Quando, una volta scelto il microrganismo patogeno, si passi alla sperimentazione che porta alla produzione di munizioni per l'impiego operativo, sono necessarie:

  • Capacità di produzione di massa, in ambienti ad elevata sicurezza biologica (per evitare accidentali contaminazione degli addetti e delle aree esterne alla zona infetta;
  • Disponibilità di strutture nelle quali sperimentare l'arma biologica. Anche queste devono rispondere a criteri di sicurezza per gli addetti e di confinamento delle zone infette; devono inoltre disporre di attrezzature per provare la dispersione del microrganismo nell'ambiente e di adatti organismi-bersaglio per provare l'efficacia dell'arma;
  • Infrastrutture per la conservazione degli organismi patogeni, in condizioni di massima sicurezza biologica;
  • Disponibilità di vettori adeguati (ad esempio: altri organismi, bombe, proiettili, aerosols etc.) ;
  • Capacità di proteggere le proprie truppe (e la propria popolazione, nel caso di incidente con conseguente contaminazione dell'ambiente); la protezione consiste nella possibilità di disporre rapidamente di un numero elevato di dosi di vaccino o di antibiotici specifici, di disporre di indumenti adeguatamente protettivi per le squadre di pronto intervento e di protocolli di intervento per un'efficace decontaminazione. Per queste operazioni è necessario disporre di personale tecnicamente preparato e bene addestrato.
  • Capacità di individuare il più rapidamente possibile la presenza dei microorganismi patogeni nell'ambiente, mediante monitoraggio ambientale manuale o in automatico; capacità di confermare il più rapidamente possibile il dato preliminare, in modo da poter lanciare l'allarme.
  • Capacità di comando e controllo, in una catena di responsabilità che implica, in ogni livello, un'elevata professionalità e capacità di prendere decisioni rapidamente.

Tutto ciò chiarisce che la ricerca su armi biologiche, ancorché per scopi difensivi, richiede rilevanti investimenti, infrastrutture adeguate, attrezzature molto sofisticate, personale tecnicamente molto preparato e bene addestrato. Essa è quindi possibile soltanto in Paesi tecnologicamente avanzati.

3. Le prospettive

Nuovi organismi patogeni?

Il sequenziamento dei genomi di molti microorganismi patogeni e di diversi organismi superiori, incluso l'uomo, ha reso molto più facile la ricerca applicata, inclusa quella destinata allo sviluppo di armi biologiche. Due sono le innovazioni sostanziali rispetto alle metodologie impiegate precedentemente per mettere a punto organismi patogeni per uso bellico.

  1. Il sequenziamento del DNA di microorganismi patogeni e non patogeni ha chiarito definitivamente sia la posizione fisica di ciascun gene rispetto agli altri, sia quali geni siano presenti in un dato genoma. E' inoltre possibile alterare o "spegnere" un gene alla volta, per comprendere se il suo prodotto sia realmente indispensabile per la sopravvivenza e la riproduzione di un dato microrganismo. Si è passati quindi dalla conoscenza del genoma di quel microrganismo alla definizione ed identificazione del suo "genoma minimo". Una volta noto il genoma minimo di un microrganismo è teoricamente possibile aggiungere adesso un certo numero di geni estranei (prelevati da altri organismi) per ottenere un microrganismo "nuovo", non prodotto dall'evoluzione biologica, ma da un'operazione di ingegneria genomica. Sempre in linea teorica, è possibile oggi creare per questa via microorganismi patogeni con caratteristiche volute.
  2. Conosciuto il genoma di un microrganismo (ad esempio un virus), è possibile crearne uno simile, mediante sintesi artificiale di DNA. Nel 2002 è stato per la prima volta realizzata in un laboratorio statunitense la sintesi artificiale di un genoma virale, a partire dalle informazioni esistenti sulla sequenza del virus polio. Il dr. E. Wimmer, co-autore dell'articolo, pubblicato sulla rivista Science, con il quale è stato reso noto tale risultato, intervistato dalla BBC ha affermato: "it is possible that viruses like Ebola could be assembled in laboratories, but there are only few people in the world with that skill". Nonostante quest'ultima riserva, è chiaro che per questa via si possono e si potranno produrre nuovi agenti infettivi estremamente pericolosi, in grado di indurre nuove malattie la cui causa sarà estremamente difficile individuare (basti pensare al tempo impiegato dalla comunità scientifica per individuare l'agente patogeno responsabile dell'AIDS).

Le ricadute delle ricerche sul genoma umano

Le ricerche sul genoma umano non solo hanno individuato numerosi geni coinvolti in funzioni e processi fondamentali, ma hanno anche messo in evidenza la notevole variabilità genetica a livello di singoli geni. Una piccola parte di tale variabilità è costituita da varianti patogene (alterazioni della sequenza di DNA corrispondente ad un gene, in grado di determinare l'insorgenza di una specifica malattia ereditaria o la predisposizione a svilupparla nel corso della vita). Una parte considerevole è costituita da varianti "neutre" (la cui presenza non ha alcun effetto sulla funzione del gene o del suo prodotto), ma una piccola parte è costituita da varianti di alcuni geni, che possiamo definire "condizionalmente patogene". Tali varianti risultano innocue per l'individuo che le porta, fintantoché esso non venga esposto ad un determinato composto chimico (un farmaco, un componente della dieta, un prodotto chimico inalato accidentalmente, etc). In questi casi un'alterazione in un dato gene può determinare una risposta anomala ad uno specifico composto, tanto da risultare patogena e talvolta letale.

Attualmente c'è molto interesse per lo studio di tale tipo di variabilità che viene generalmente definita "farmacogenetica" in quanto l'interesse primario è la scoperta delle cause genetiche delle risposte patogene alla somministrazione di determinati farmaci. Poiché tali ricerche si svolgono a livello genomico, la disciplina prende il nome di "Farmacogenomica".

E' d'altra parte noto che esistono differenze di frequenza di varianti farmacogenetiche tra diverse popolazioni umane: ad esempio le popolazioni asiatiche possiedono minore efficienza nel metabolizzare l'alcool, così come nelle popolazioni dell'Europa centrale è poco frequente negli adulti l'intolleranza al lattosio e nella popolazione sarda è relativamente frequente una risposta patogena all'assunzione di fave.

L'identificazione di eventuali differenze genetiche nella risposta alla somministrazione di "farmaci", esistenti tra popolazioni diverse, in teoria potrebbe essere utile per scopi bellici, in quanto potrebbe aiutare a scoprire popolazioni particolarmente suscettibili all'azione di alcuni prodotti chimici, per esempio alcuni neurotossici. Questa prospettiva potrebbe sembrare allarmistica se non fosse che nel 1999 l'autorevole British Medical Association mise in guardia proprio contro il pericolo che vengano sviluppare armi biologiche indirizzate verso specifiche popolazioni ("Science for Evil: the Scientist's Dilemma" editoriale BMJ 319: 448-449, 1999)

Armi biologiche contro organismi di interesse agrario e zootecnico

L'interesse per lo sviluppo di armi biologiche "anti-crop" (letteralmente "anti-raccolto") è nato in Germania alla fine della guerra, ma ha trovato ulteriore sviluppo nel dopoguerra e si è concretato in programmi di collaborazione scientifica tra Stati Uniti e Gran Bretagna, basati soprattutto sull'impiego di batteri e funghi patogeni contro coltivazioni di interesse alimentare. Nonostante siano molto scarse le informazioni sui progressi di tali ricerche, è noto che nel 1998 è iniziato in Uzbekistan, guidato da personale statunitense e britannico, un progetto per la produzione di un fungo mutante destinato a distruggere le coltivazioni di papavero da oppio. Questo progetto coinvolgeva anche ricercatori locali, un tempo impiegati nelle ricerche su armi biologiche condotte nell'URSS. Se ne può quindi dedurre che la collaborazione tra Stati uniti e Gran Bretagna in questo campo è verosimilmente ancora attiva.

Le armi biologiche "anti-crop" rivestono un'importanza strategica spaventosa. Basti pensare da un lato all'estrema vulnerabilità delle coltivazioni di riso in territorio cinese e dall'altro alla dipendenza dell'intera popolazione cinese da queste coltivazioni.

E' abbastanza allarmante ciò che si può leggere nel manuale BATTLEFIELD OF THE FUTURE. 21 st Century Warfare Issues edito dall'Aviazione militare degli Stati Uniti. Al Capitolo 10, "Biological Weapons for Waging Economic Warfare", vengono presentati alcuni scenari, tra i quali un attacco terroristico alle colture di granoturco (Corn Terrorism), un'azione di sabotaggio delle piantagioni di cotone del Pakistan (Sabotaging Pakistan's Cotton Crop) ed un attacco di vignaiuoli francesi alle vigne californiane (That's a "Lousy" Wine). Vale la pena di leggere qualche riga di questo testo: "...A hypothetical scenario consists of a group of disgruntled European winemakers who are jealous at the superior quality of Northern Californian wines and desiderous of recapturing the wine market. Travelling as tourists they slip into the United States with tins of paté which conceal millions of offending louse. Travelling through the California wine county, they disperse their deadly cargo..."

E' evidente che lo stesso scenario potrebbe avere diversi attori: vignaioli californiani scontenti in giro come turisti nella valle della Loira....sempre che qualcuno li abbia forniti delle opportune scatolette di paté !

Il problema è conoscere chi oggi sia in possesso di tali armi biologiche o quanto meno abbia la capacità di produrre in quantità adeguate specifici microorganismi patogeni, verosimilmente resi geneticamente resistenti ai trattamenti.

Il problema delle armi biologiche contro animali di interesse zootecnico è ancora più grave, perché un'epidemia diffusa tra gli animali può estendersi alla specie umana con conseguenze difficilmente prevedibili. Infatti il microrganismo patogeno, nel passaggio da una specie all'altra può aumentare la sua virulenza e pericolosità; ciò è avvenuto recentemente per infezioni virali passate dai polli agli esseri umani.

Nuove armi contro popolazioni umane

Nel corso di un'audizione di fronte all'House Committee on Government Reform (US) il 21 Novembre 2001 sul tema "Preparing a Medical Response to Bioterrorism" la Dr.ssa Meryl Nass così si esprimeva riguardo alle prospettive di sviluppo di armi biologiche di nuovo tipo: si riferiva in particolare a "...microorganisms, which could be developed now or in the foreseeable future. These might, for example, apply advances in knowledge of the human genome, and genetic variability among different populations, to create organisms specifically tailored to certain groups or military needs. Examples might be a bacterium that secretes cytokines causing autoimmune diseases, but would only affect those of Scandinavian descent, or a gastrointestinal infection that produces sterility. In each case, autoimmune destruction of tissue would be irreversible".

In effetti, esiste una malattia autoimmune che colpisce l'ovario: "Primary (o Premature) Ovarian Failure"; bacilli del colera geneticamente modificati per secernere specifiche citochine contro l'ovario, anziché per "vaccinare", corrisponderebbero esattamente alla definizione sia di "bacterium that secretes cytokines causing autoimmune diseases" che di "gastrointestinal infection that produces sterility". Poiché tali batteri, somministrabili eventualmente mediante contaminazione dell'acqua, non produrrebbero una malattia evidente, potrebbe venire sterminata in modo "silenzioso" ed incruento un'intera popolazione nel corso di una generazione.

La campagna mediatica riguardo al pericolo di essere aggrediti con armi biologiche

Dopo che più volte, sotto l'amministrazione Clinton, era stato sollevato da personaggi autorevoli il problema di possibili atti terroristici con l'impiego di armi biologiche, nell'ottobre 2001, subito dopo lo spaventoso attentato alle Twin Towers si diffuse negli Stati Uniti una piccola epidemia di antrace polmonare, causata dall'invio di lettere contenenti spore di Bacillus antracis.

Dopo alcuni mesi di indagini l'FBI accertò che il patogeno apparteneva ad un ceppo di Bacillus antracis isolato negli Stati Uniti negli anni '50 e che i batteri utilizzati dallo sconosciuto attentatore provenivano dai laboratori di Fort Detrick. A questo punto le indagini si arrestarono.

Purtroppo pochi sono coloro che cocciutamente hanno seguito lo sviluppo delle indagini ed hanno potuto farsi un'idea indipendente; la maggior parte del pubblico televisivo, sia negli Stati Uniti che in Europa, ritiene che si sia trattato di un attacco terroristico analogo a quello delle Twin Towers.

L'antrace è stato anche il protagonista della grande menzogna mediatica sulle armi di sterminio di massa presenti in Iraq. Chi può dimenticare l'immagine del Segretario di Stato degli Stati Uniti Colin Powel che nel corso del suo discorso alle Nazioni Unite agitava una provetta contenente una sinistra polverina? Tutto falso, dimostreranno le ispezioni dei tecnici dell'ONU, ma la guerra venne portata egualmente sul territorio Iracheno, con conseguenze disastrose per la popolazione civile.

E' stato relativamente facile convincere il pubblico che l'Iraq era in possesso di armi biologiche pericolosissime perché è opinione comune che la tecnologia per le armi biologiche sia molto più semplice di quella necessaria per le armi atomiche e per i loro vettori. Ciò in parte è vero, ma sia la ricerca su armi biologiche, sia la produzione di quantità limitate di tali armi, richiedono comunque tecnologie sofisticate, laboratori adeguati e personale specializzato, condizioni in genere inesistenti nei paesi in via di sviluppo. Bisogna inoltre notare che è relativamente facile per le reti di controllo e di spionaggio dei Paesi della NATO venire a conoscenza di eventuali acquisti di apparecchiature necessarie per la ricerca e per la produzione di massa di microorganismi patogeni.

A dispetto di queste considerazioni di fondo, che indurrebbero a concentrare l'attenzione ed ad attuare controlli sulle ricerche e le attività in corso nei Paesi in possesso di tecnologie sofisticate, oggi non si parla quasi più di "Biological Warfare" ma di "Bioterrorism", quasi che l'unico pericolo per l'umanità fosse costituito da armi biologiche prodotte da terroristi o nelle loro disponibilità.

Senza con questo escludere del tutto la possibilità che un gruppo terrorista possa ricorrere ad armi biologiche, credo tuttavia sia opportuno ricordare che è molto difficile:

  • proteggere gli operatori nel corso della sperimentazione, produzione, trasporto e disseminazione;
  • conservare gli organismi prima dell'uso offensivo;
  • mantenere elevati standards qualitativi di sicurezza biologica nelle diverse fasi dell'operazione, prima di arrivare sul bersaglio;
  • realizzare una efficace dispersione degli organismi patogeni nell'ambiente, una volta raggiunto il bersaglio.

Bisogna inoltre ricordare che il rapporto tra costi ed effetti, nel caso delle armi biologiche, risulta comunque molto sfavorevole per i terroristi, i quali sembrano invece prediligere mezzi molto economici per realizzare eventi disastrosi.

Se poi ci chiediamo se sia possibile lo sviluppo di potenziale aggressivo da parte di "Stati canaglia", la risposta è che ogni sviluppo in questa direzione oggi non può avvenire senza la collaborazione di Paesi in possesso delle necessarie tecnologie, sia in termini di attrezzature che di esperti.

4. Da bioterrorism a biodefense a ....

Negli Stati Uniti gli investimenti nella ricerca biologica per scopi militari sono sempre più consistenti e riguardano settori diversi, che spesso non sembrano ad una prima analisi funzionali a tali fini. Il carattere strategico di tali investimenti traspare dalla crescente segretezza imposta alle informazioni rilevanti, che non ha risparmiato neppure le pubblicazioni scientifiche. Poco sappiamo di ciò che sta avvenendo in Paesi come Cina, India ed Israele, che certamente hanno le tecnologie ed i tecnici per svolgere ricerche, quanto meno difensive, su armi biologiche.

Indagini di gruppi pacifisti hanno segnalato che anche in Francia e Germania alcuni laboratori lavorano in questo campo. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, sappiamo che ha una solida tradizione di ricerca, a fianco degli Stati Uniti.

Oggi nel mondo occidentale la parola "Bioterrorism" è ormai frequente nei quotidiani e nei notiziari televisivi; accanto ad essa spesso è associata la parola "Biodefense" con la quale si intende sia l'insieme dell'organizzazione che l'insieme di strumenti e di ritrovati per provvedere alla difesa contro tale tipo di terrorismo. E' possibile, e forse anche probabile, che la notevole enfasi sul pericolo del bioterrorismo sia funzionale alla necessità di giustificare enormi investimenti in ricerche di guerra biologica con il pretesto che è necessario essere pronti a difendersi. In fin dei conti è una vecchia storia, ripetuta senza varianti negli anni della corsa agli armamenti nucleari.

L'importanza delle armi biologiche nello scenario internazionale risulta da queste poche frasi, contenute nel documento "Rebuilding America's Defenses" del Settembre 2000, che costituisce l'indirizzo politico dei neo-conservatori statunitensi, oggi al governo dell'unica superpotenza a livello planetario:

"...munitions themselves will become increasingly accurate, while new methods of attack - electronic, "non-lethal", biological - will be more widely available..."

"...combat likely will take place in new dimensions: in space, cyber-space and perhaps the world of microbes...."

"...Advanced forms of biological warfare that can target specific genotypes may transform biological warfare from the realm of terror to a politically useful tool ...".

Il carattere grassetto é stato aggiunto per sottolineare il fatto che non solo ormai viene quasi ammesso che queste armi esistano (anche se non sono più quelle degli anni '50), ma che il possederle ed il far sapere agli altri di poterle usare è oggi un potente strumento politico, come lo erano le cannoniere dei tempi passati o i missili nucleari puntati sulle città più popolose negli anni '60 e '70

A fronte di questa situazione, i trattati internazionali in materia (Geneva Protocol, 1925; Genocidi Convention, 1948; Biological Weapons Convention, 1972) mostrano i loro limiti; a parte che gli Stati Uniti non hanno ancora ratificato il trattato del 1972, il problema delle ispezioni e dei controlli risulta molto complesso, sia tecnicamente che giuridicamente. In più, come ho cercato di dimostrare, le innovazioni tecnologiche intervenute hanno modificato sostanzialmente il bersaglio dell'attacco, sviluppando armi biologiche non tanto per lo scontro tra eserciti sul campo di battaglia, ma per orrendi stermini per fame di popolazioni innocenti, per mortifere epidemie o per silenziosi genocidi.

Poiché le armi una volta prodotte vengono usate, dobbiamo purtroppo aspettarci di essere testimoni, se non vittime di tanto orrore.

Bibliografia

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  • Strauss H., King J. The fallacy of defense biological weapon programmes. In: Zilinskas R.A., Zimmerman B.K. (Eds) The Gene-Splicing Wars. Reflections on the Recombinant DNA Controversy. McMillan Publ.Co., New York (USA) 1986 ISBN 0-02-948560-6, pag.66-73
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*. Relazione presentata al convegno Controllo degli armamenti e lotta al terrorismo tra Nato, Nazioni Unite ed Unione Europea, Venezia, 6-7 Dicembre 2004.