2010

Hard Code Now?
Prospettive critiche di un codice civile europeo

Serena Manzoli

Si parla da anni, tra giuristi, del progetto di un Codice Civile Europeo: un Codice che, sostituendo quelli nazionali, unifichi d'un colpo solo tutto il diritto privato a livello comunitario (1). Non deve far sospettare disaccordi in seno alla comunità scientifica, il fatto che il discorso sul Codice si trascini da anni: che si debba averlo, un Codice, non sembra esserci dubbio: a dividere i giuristi sono, sia chiaro, solo le usuali disquisizioni sul come. Gli argomenti dei codificatori (2), con varie sfumature, si sintetizzano in due punti, mutuati dall'analisi economica del diritto: il Codice sarebbe l'unico strumento in grado di ridurre i costi di transazione e di eliminare quei particolari costi di transazione che si indicano con esternalità (3). Il costo di transazione è il costo connesso ad ogni contrattazione (4): è il tempo che le parti utilizzano per contrattare. È il costo in denaro che sostengono per l'assistenza legale, quello che debbono sopportare nel caso di mancato rispetto dell'accordo. Sono tutti quei costi che "precludono o riducono la possibilità di transazioni 'piane' [smooth market transactions]" (5): non pare enorme dire che, quando si può, si devono eliminare. Riproposto a livello europeo, poi, il problema suona così: costo di transazione è il costo sostenuto per informarsi sul sistema legale dal quale la transazione sarà regolata.

Un' azienda che voglia esportare o aprire una filiale in uno Stato membro dovrà informarsi sulle norme vigenti in quello Stato: a fornire le informazioni ci pensano gli uffici legali o le law firms; chiaramente però, dietro pagamento di un compenso che ammonta appunto a costo di transazione, insieme alla perdita di tempo che tutto ciò comporta. Ma è pure costo di transazione quello di un contraente, sempre la nostra azienda, che si trovi nella necessità di rinegoziare buona parte delle clausole contrattuali con un altro contraente, perché non è chiaro quale diritto statuale si dovrà applicare.

Se il costo di transazione è alto, vi saranno soggetti che necessariamente verranno tagliati fuori dai commerci intercomunitari:l'abbassamento dei costi di transazione è quindi anche un modo per consentire l'accesso al mercato delle piccole e medie imprese. (6)

L'esternalità è a sua volta un costo: un costo però che dovrebbe essere sostenuto e non viene sostenuto da chi ne ha il dovere. Esemplificando, un'azienda che non garantisca le necessarie misure di sicurezza ai suoi dipendenti, evita di sostenere un costo che però graverà sui lavoratori; oppure, un contraente che sia economicamente forte può scegliere di negoziare clausole inique per l'altro contraente, facendo gravare i costi di tale sopportazione sulla parte debole.

In Europa, lo scenario che si delinea è quello di grandi multinazionali che prevaricano i piccoli fornitori o subfornitori imponendo clausole vessatorie e inique condizioni di contratto; o che sbaragliano la concorrenza di piccole e medie aziende che non possono permettersi di scaricare su altri le loro esternalità e devono quindi sobbarcarsi costi più alti.

Ma può davvero un Codice, oggi, costituire la risposta al problema dei costi di transazione e delle esternalità?

E' scopo di questo articolo dimostrare come l'impressione che il Codice possa costituire il mezzo adeguato per i problemi del mercato europeo sia un' illusione ottica, figlia dei fasti del positivismo giuridico; un'idea che ha il fascino del vintage. Noi però non viviamo nell'Europa di due secoli fa; e un Codice oggi non sarebbe in grado di fare i conti, per il modo in cui è strutturato, con la realtà giuridica attuale.

Difatti, con il Codice ci si propone unificare i tanti diritti statali in un solo diritto europeo - e si vuole farlo, come vedremo, riproponendo una forma che è quella - appunto - codicistica, e quindi peculiarmente astratta. Questo movimento verso l'unificazione è un movimento che, in parte, lo sappiamo, l'Unione Europea ha già posto in atto a suon di regolamenti e direttive. Ma esistono, è questa l'analisi dell'articolo, altri movimenti, opposti o solo parzialmente coincidenti con quello sopra descritto, che di fatto fiaccherebbero la vis unificatrice del Codice Europeo. Che movimenti? Intanto la globalizzazione del diritto privato, una globalizzazione che non avviene per via statale, o comunitaria, ma per mezzo delle law firms, attori cioè privati, ma pur di prim'ordine nel panorama giuridico odierno. Creando ed esportando le proprie soluzioni giuridiche, le law firms creano un diritto transnazionale, quindi globale, con peculiarità anglosassoni, lontano dalla mentalità che ha creato i Codici. Esiste poi un movimento esattamente opposto, stavolta statale, che va verso la frammentazione: le leggi che, a partire dalla seconda metà del '900, ciascun ordinamento europeo - il focus sarà solo su quello italiano - ha emanato in vari ambiti del diritto privato: diritto del consumatore, della proprietà, del lavoro. Una frammentazione, una specificazione, che poco ha a che vedere con i sogni di astrattezza e unità di un Codice Europeo.

E se ci sono quindi, nel diritto attuale, movimenti che spingono all'uniformazione - ma per mezzo di attori "privati" - ed altri che muovono verso la frammentazione, un Codice, in ogni caso, si rivela strumento inadeguato a fronteggiarne le questioni.

1. Astrattezza

Si potrebbe iniziare con la notazione tanto scontata quanto, però, trascurata, che il Codice è un corpo normativo dotato di una caratteristica particolare, l'astrattezza. Esso è composto di proposizioni brevi, con nessun riferimento a circostanze di fatto; è "formulat(o) in modo da prevedere in via ipotetica lo schema astratto di una situazione che può in concreto verificarsi in molteplici casi" (7).

Come è noto, qualora la norma sia troppo astratta, sta al giudice e alla dottrina adattarla al caso concreto e colmare l'astrattezza a mezzo di interpretazione.

Prendiamo l'art. 2043 del Codice Civile italiano, che definisce il fatto illecito come un "...fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto"; qui, si sa, per amor di astrattezza il legislatore ha omesso di dirci molte cose: che cosa sia un danno ingiusto; a che criteri parametrare il grado della colpa; secondo che criteri liquidare il danno. Non è nuovo come il 2043 sia tra i più discussi dalla nostra dottrina e giurisprudenza (8).

Dunque, più una legge è astratta, maggiore è il potere della giurisprudenza di adattarla, interpretarla, finendo per dare al legislatore solo un "contentino", come diceva impietoso Bernard Rudden (9),. Ora, pare ovvio dire che un solo Codice per tutto il sistema europeo attribuirebbe lo stesso potere in capo ai giudici statali: con la sola differenza che ogni sistema giuridico statale si sentirebbe legittimato, in virtù della sua cultura, ad interpretare la stessa norma in modo diverso, come è successo proprio riguardo il tema della responsabilità civile (10).

Consideriamo invece il concetto, altrettanto astratto, di buona fede: concetto largo, che si presta quindi ad un robusto lavoro di interpretazione e specificazione giurisprudenziale (11). Il comparatista Gunther Teubner lo ha analizzato prendendo in considerazione il legame tra di esso e la situazione economica del paese in cui le corti operano, notando come esista una stretta relazione tra il mondo economico e il modo in cui il concetto di buona fede viene implementato (12). Concentrandosi sul modello tedesco e anglosassone, Teubner nota come, nel primo, i rapporti tra i vari attori sociali - banche, industrie, sindacati - presuppongano relazioni di lunga durata: il concetto di buona fede viene prepotentemente in rilievo; le relazioni che si sviluppano, per durare nel tempo, presuppongono cioè un dovere reciproco di correttezza o buona fede, che le corti hanno imparato a tutelare (13). Un caso venuto all'attenzione della suprema corte tedesca illustra fino a che punto possa arrivare il concetto di buona fede in quell'ordinamento.

Il giocatore di una squadra di calcio (14) si fa corrompere per truccare il risultato di un match; viene ceduto in prestito ad un altro club; successivamente confessa il misfatto, vedendosi interdetta la pratica calcistica. La squadra acquirente, che si trova ad aver pagato un giocatore inutilizzabile, chiede dunque il risarcimento al club d'origine: richiesta che la Corte Suprema tedesca accoglie. Sorprendentemente, perché il club cedente alla data del trasferimento non era a conoscenza della corruzione del giocatore.

Riassumendo, la motivazione si snoda così: il rischio che un giocatore divenga inutilizzabile può gravare sull'acquirente o sull'alienante. Se il giocatore si infortuna dopo il trasferimento, è legittimo che sia l'acquirente a sopportarne il costo; viceversa se l'infortunio avviene prima. La situazione cambia nel caso di un atto infedele del giocatore. L'atto infedele avrebbe potuto compiersi anche dopo la cessione, e la squadra d'origine avrebbe dovuto ancora assumersi il rischio. Eccola la buona fede, nella tentacolare accezione tedesca: si deve garantire della correttezza - soggettiva - dei propri dipendenti per un dovere di correttezza generale. "E' fuori questione che, applicando il principio di buona fede, il rischio [che il giocatore si dimostri infedele] venga sopportato dall'alienante". Qui la "correttezza morale" assurge a "vizio" - anche se il paragone è fuorviante, perché qui il "vizio" dipende da un atto della volontà di un soggetto capace di agire. In altre parole, la squadra d'origine era tenuta a garantire anche l'integrità morale del giocatore.

Questa è una soluzione che lascia sicuramente confusi anche i civil lawyers (15): né in Francia, né in Italia il concetto di buona fede si spinge fino a questo estremo. Ad esempio, nel caso, solo parzialmente analogo, dell'art. 2049, il fatto illecito del dipendente fa sorgere responsabilità per il padrone o il committente: non però quando l'atto del dipendente non persegue "finalità coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli furono affidate", cioè pone in essere "attività privata svolta nell'esercizio della [sua] personale autonomia" (16); come sicuramente accade nel caso del giocatore.

Gli esempi a questo punto potrebbero proseguire (17); ciò che dovrebbe esser chiaro è come un Codice, contenendo in gran parte clausole generali del tipo esaminato supra, si presti ad essere variamente interpretato a seconda del sistema giuridico in cui viene applicato. E se veramente il Codice dev'essere minimale (18), quindi astrattissimo, come può scaturirne un effetto uniformante (19)?

2. Mentalità da codice e mentalità da Case law

Esiste inoltre un sistema in cui il concetto stesso di astrattezza è molto meno di casa: il common law.

Nel common law, com'è risaputo, si dividono la scena due regole antitetiche: quella del precedente vincolante, e quella in base al quale il diritto è creato ex novo dal giudice, induttivamente, estrapolando la regola dal caso concreto.

Quindi il giudice inglese è sostanzialmente vincolato da quanto deciso dai giudici che l'hanno preceduto, tranne in una serie di casi, di cui ci interessa quello che va sotto il nome di distinguishing. (20) Col distinguishing il giudice dichiara di non voler applicare la ratio formulata in un precedente perché i presupposti di fatto sulla base della quale quella ratio è stata formulata non sussistono nel caso in questione; in altre parole, non si può applicare per analogia la norma formulata nella sentenza precedente.

Si può notare qui, senza pretese di completezza, come l'analogia possa esser definita come un metodo di ragionamento che procede dal particolare al particolare (21): mentre è proprio della deduzione procedere dal generale al particolare, e dell'induzione dal particolare al generale. Come insegna Aristotele (22), l'analogia ha sempre lavorato a livelli più bassi senza mai salire al generale.

Il ragionamento analogico inoltre "isola e compara elementi casuali, quali per esempio il colore o altre qualità strutturali che possono trovarsi in due (...) situazioni di fatto. (...) La sua essenza è perciò nella nozione di somiglianza e differenza" (23). Insomma, ragionare per analogia implica "passare dal particolare al particolare" (24) evidenziando le somiglianze e le differenze. Tipico dell'analogia è quindi muoversi in maniera aderente ai fatti e dipendere dai fatti stessi fino a non potersi più applicare ogni qual volta questi fatti varino anche di poco.

Tornando al discorso giuridico, è chiaro come, basandosi sul distinguishing e quindi sull'analogia, il giudice inglese sembri tendenzialmente più incline del civil lawyer a considerare i fatti, dettagli o circostanze concrete ai fini della decisione; essendo il livello di astrazione del common lawyer più basso, cioè come si è detto, più aderente ai fatti, sempre il caso concreto viene ad avere molta più rilevanza.

Esemplificando: nel famoso Rylands v. Fletcher, il proprietario di un fondo costruisce un serbatoio sul suo terreno. Per cause che non avrebbe potuto prevedere, l'acqua penetra nel sottosuolo e inonda una miniera vicina. In appello si stabilisce che la responsabilità sussiste pure in assenza di colpa perché "chi porta sul suo terreno, accumula e mantiene qualsiasi cosa che potrebbe recare danno se si disperde [escapes], deve mantenerlo entro i confini a suo rischio, e se non lo fa, è prima facie responsabile del danno che è naturale conseguenza della fuga" (25).

Ed è una mentalità esercitata a dare rilevanza agli elementi concreti, quella che spinge i commentatori anglosassoni ad avvertire, e ad elencare: la regula iuris di Rylands non vale solo nel caso di fuga di acqua; vale anche per i danni dovuti a fughe di gas (26), elettricità, nonché da quelli derivanti da un'esplosione (27), o dall'immissione continuata di fumi venefici (28), come elencano quasi tutti i manuali di diritto. Ora, per un civil lawyer, tanta pedissequa precisione non avrebbe senso: perché sottolineare che una fuga d'acqua sia analoga a una di gas? Lavorando a livelli d'astrattezza più alti, questo non può essere che ovvio; per un continentale l'ambiente, i materiali, le circostanze concrete sono molto spesso dettagli superflui, mentre la sostanza sta lì, nelle categorie astratte del Codice che si sovrappongono alla realtà: attività rischiosa, danno, responsabilità oggettiva; per un avvocato italiano, il 2050 del Codice Civile.

Non così per il common lawyer; e infatti, ecco di nuovo il distinguishing: nella discussa Read v. J. Lyons & Co., Ms. Read lavora in una fabbrica di munizioni (attività rischiosa); si verifica un' esplosione da cui rimane danneggiata (danno); e tuttavia i Lords rigettano la richiesta di risarcimento sulla base del fatto che il danno non risulta da nessuna fuga o immissione su terreni vicini, ma che l'esplosione ha avuto effetto solo nei confronti di chi si trovava all'interno della fabbrica: la regola di Ryland non si può applicare. A ribadire quanto detto sopra.

Per dirla con Samuel, nel diritto inglese:

"lo sviluppo legale non è un problema di indurre regole (...) da un numero di situazioni di fatto e applicare queste regole (...) a nuove situazioni di fatto. Piuttosto è un problema di muoversi da e verso i fatti. E' questione di spostarsi da una res, per esempio una autostrada pubblica, ad un' altra res come la proprietà privata" (29).

Ci si muove da un fatto a un altro fatto, solo se l'analogia si può cucire su misura (30) sul nuovo caso particolare, altrimenti no: altrimenti si induce. Nel civil law, al contrario, "lo scopo è quello di eliminare rapidamente ogni traccia delle circostanze e stabilire un' idea o un concetto. Così, i fatti sono immediatamente inscritti entro un ordine teoretico preesistente dove subito svaniscono" (31).

Posto dunque che non tanto la metodologia - induttiva piuttosto che deduttiva - o il sistema delle fonti, ma il modo di guardare ai fatti, la griglia epistemologica, del common lawyer è diversa da quello del civil lawyer: quale sarebbe l'impatto di un Codice sul sistema di common law? Un Codice è astratto, concepito da una mentalità astratta dei giuristi continentali: abbiamo appurato fino a che livello quella dei common lawyers non riesca ad esserlo. Come si comporterebbe un giudice inglese davanti al Codice? In che modo leggerebbe i casi alla luce di questa nuova griglia? Il Codice insomma, potrebbe sortire l'effetto uniformante che i codificatori aspettano? A queste domande vale, amplificata, la risposta data nel paragrafo precedente: uniformazione mai; avvicinamento forse, ma parziale, piecemeal, e a prezzo di grandi costi, di tempi lunghi, di tendenze eversive da parte del common law. Rischi, tanti (32).

3. Frammentazione della realtà

L'idea dei codificatori del secolo scorso era quella di rendere il Codice un repertorio se non totale, perlomeno esauriente "di figure e discipline tipiche" (33); di consegnare ai cittadini un'opera compiuta, circolare, e con l'ambizione - mai sopita - di "dare risposta a tutti i problemi della realtà" (34).

Tutto, insomma, avrebbe dovuto stare in un Codice. E se l'idea sembra durare almeno fino ai primi decenni del '900, periodo in cui le leggi speciali sono numericamente poche ed etichettate come "eccezionali", poi la storia ci mostra come l'unicità del Codice si sia trovata inesorabilmente a soccombere davanti al proliferare degli interventi normativi posteriori, a partire dalla seconda metà del 1900. Perché? A leggerlo in un'ottica politica, parrebbe che il Codice, esponenziale degli interessi della borghesia terriera e mercantile, si sia trovato a competere, da un certo punto in poi, con una molteplicità di interessi; non più generici mercanti o latifondisti, ma una congerie differenziata di commercianti grandi e piccoli, fornitori, grandi imprese, salariati. Non più la generica figura del cittadino o contraente, a cui bastava un solo Codice; ma gruppi di "lavoratori subordinati o affittuari di fondi rustici o locatari d'immobili urbani" (35), una molteplicità sociale che vuole tutta vedersi rappresentata, e che, a partire almeno dagli anni '60 - come già Irti notava - comincia ad esserlo, non all'interno del Codice, ma tramite quelle leggi che la dottrina considera integrative o complementari e che Irti invece chiamava "decodificanti". (36)

Prendiamo il nostro Codice Civile: pur rimanendo intatta la forma, la sua portata è stata indubbiamente ridimensionata da tutti gli interventi legislativi successivi. Un esempio. Il contratto di locazione tout court è una figura contrattuale astratta regolata dall'art. 1571 e seguenti, che stabilisce la falsariga delle obbligazioni reciproche di locatore e conduttore, qualsiasi sia l'oggetto del contratto. Il 1571 è formalmente ancora valido. Poi però, fuori e dentro il Codice, ci sono una serie di figure specifiche disciplinate da leggi che si stratificano temporalmente. La locazione di immobili urbani, è coperta dalla l. 392/78 e 431/98; l'affitto di cosa produttiva, che si trova nel Codice dall'art. 1615 al 1627, poi è integrato da discipline specifiche con legge ordinaria; sull'affitto di fondi rustici, si cumulano gli interventi delle leggi 567/67, 11/71, 203/82 e dei decreti legislativi 228/01 e 99/04, tutti rispettivamente additivi e/o parzialmente abrogativi della disciplina precedente; infine la locazione della nave ha la sua fonte nel Codice della navigazione.

Si potrebbe obiettare come, nel caso della locazione, gli interventi normativi successivi siano stati sostanzialmente integrativi del Codice: non lo abrogano, né esplicitamente lo snaturano. E' vero però che lo relegano a mero schema, di quasi nessun valore vincolante effettivo. In altre parole, gli articoli relativi alla locazione in generale che si trovano nel Codice finiscono per fornire semplicemente lo scheletro su cui i vari differenti tipi di locazione si vanno a innestare. La "locazione in generale" viene ad essere una figura che nella realtà non esiste: nella realtà esistono i vari tipi di locazione di immobili, d'azienda, di fondi, di nave, ciascuno regolato da una normativa ad hoc. In altre parole, dove c'è la legge integrativa, il Codice mantiene una parziale funzione di default: si applica se e dove la legge lo permette, e se le parti non hanno previsto altro.

Di più, vi sono leggi speciali che non si limitano a integrare, ma che derogano, modificano o abrogano apertamente il dettato codicistico. Parzialmente questo accade con la stessa locazione -per esempio la legge che stabilisce l'equo canone per gli immobili ad uso abitativo deroga alla generale libertà delle parti di stabilire il prezzo del contratto, che è un caposaldo dell'autonomia privata codicistica; ma investe aree sicuramente più vaste con lo Statuto dei Lavoratori, l.300/70, o con la legge sul divorzio, l.898.70, o con le leggi sui contratti agrari raccolte in testo unico nel 1982. Queste sono vere e proprie "leggi decodificanti" nella terminologia dello stesso Irti: quello che dice il Codice non vale più se le parti si trovano in una situazione contemplata dalla legge speciale (37).

Un altro esempio, stavolta suggerito dallo stesso Ugo Mattei, uno dei più veementi - e chiari - supporters del Codice Europeo servirà a ricondurci più specificamente al discorso sul Codice Europeo. Un Codice come lo vuole Mattei, oltre ad essere hard cioè vincolante (38) e minimale, dovrebbe pure essere il medesimo per commercianti e consumatori; sulla falsariga insomma del nostro Codice del 1942, di quello svizzero e del recente Burgerlijk Wetboek olandese. Le ragioni: un doppio binario per consumatore e commerciante porterebbe a difficoltà applicative. Come stabilire con certezza chi è consumatore e chi non lo è? "Sistemi legali differenti hanno utilizzato criteri differenti per stabilire quando le transazioni possono considerarsi commerciali" (39) scrive Mattei.

La sua obiezione è sensata; è vero che non c'è un criterio distintivo - né ontologico, né economico - chiaro per distinguere tra commerciante e consumatore; che le direttive fissano di rado criteri interpretativi, e che soluzioni differenti si sono avute e con ogni probabilità si avranno. Ma è legittimo dedurne che la distinzione consumatore-non consumatore non ci debba essere? La soluzione di Mattei pare essere quella di eliminare il doppio binario, realizzando un diritto di compromesso per consumatori e commercianti. Scontentando tutti: i commercianti perché troppo vincolati; i consumatori perché poco tutelati. Abbiamo detto che Mattei cita l'esempio del nostro Codice Civile: di come questo, a differenza dello Zanardelli, accorpi il diritto dei commercianti col diritto dei non commercianti (40). Vero. Ma a testimoniare il fallimento di un simile compromesso non ci dice di come, dal 1942 in poi, il diritto privato italiano si sia mosso tutto verso la duplicazione, la frammentazione degli ordinamenti, come abbiamo visto poco sopra (41).

Allo stesso modo nell'area della protezione del consumatore, gli interventi normativi, innescati dal legislatore europeo, si sono succeduti a ritmo vertiginoso a partire circa dalla seconda metà degli anni ottanta (42). Interventi che non sono stati eccezionali, e che hanno tutelato una figura che nella realtà esisteva già, il consumatore, creandone la corrispondente figura giuridica:

"Il processo che si è avviato (...) è quello della creazione di regole distinte a seconda che una delle parti sia o non sia un consumatore. E' dunque la qualità del soggetto (o se si vuole il suo status) a determinare la norma applicabile ai rapporti negoziali" (43), notava Zencovich già nel '93, echeggiato dalla dottrina europea" (44).

La società è differenziata, il diritto va differenziato; da una cinquantina d'anni a questa parte, questo si è mosso tutto nella direzione della frammentazione, del riconoscimento di nuovi status. Si seguono dinamiche di specificazione, si eliminano le macrocategorie: già da molto tempo "cittadino" per il diritto privato non significa più nulla. Trent'anni fa, parlando dell'inarrestabile tendenza del Parlamento a emanare leggi speciali per integrare le scarne previsioni del Codice Civile, Irti notava:

"[il movimento delle norme speciali ha carattere] differenziato, perché la specialità significa emersione di note caratteristiche, abbandono della figura astratta del cittadino e rilevanza di posizioni nei gruppi e nelle categorie economiche. (...) Il principio di eguaglianza sospinge non più verso l'uniformità ma verso la differenziazione" (45).

Dal punto di vista della rappresentatività sociale, quindi, l'idea di Codice, volta ad astrarre, a ridurre, a uniformare, oggi non può che essere perdente.

4. Nuovi attori giuridici sulla scena

Infine, i sostenitori di un Codice Europeo sembrano non prendere in considerazione un altro elemento, su cui dobbiamo pure soffermarci. Sperare che un Codice, emanato dalle Istituzioni Comunitarie, abbia la facoltà di unificare l'intero diritto privato europeo significa ignorare che esistono altri centri di creazione di diritto, diversi da quelli istituzionali, che possono contrastare o impedirne un'applicazione uniforme. Introduciamo qui un altro attore: la law firm, ossia l'ufficio legale plasmato sul modello della multinazionale. Freshfields, Clifford Chance, Linklaters, Allen & Overy, per citare le maggiori, hanno sedi sparse per il mondo e raggiungono fatturati da milioni di Euro. (46)

La crescita esponenziale delle law firms è un fenomeno che non può più essere ignorato; con le law firms si afferma un diritto nuovo: un diritto non solo integrativo, ma anche alternativo a quello comunitario, statale, internazionale, con caratteristiche e contenuti suoi propri.

Cosa fanno le law firms?

In sostanza, forniscono assistenza legale al cliente stipulando contratti (47).

Il contratto è innanzitutto strumento naturale di specificazione del diritto codicistico o legislativo. Ma non è solo questo: il contratto non solo integra, ma modifica tutte quelle disposizioni di legge che non sono vincolanti, come lo stesso ordinamento ammette: il contratto è nullo solo se contrario a norme imperative; valido in tutti gli altri casi, che sono la maggioranza (48).

E' qui che l'attività delle law firms si è sbizzarrita, plasmando una sorta di moderna lex mercatoria: dando vita ad un fenomeno molto più rigoglioso di quanto la dottrina, concentrata sulle fonti "canoniche", si sia mai preoccupata di notare (49). Una lex mercatoria che, plasmata sulle esigenze di ciascun cliente, si dimostra flessibile, e risulta lo strumento fondamentale per supportare un' economia in rapidissima espansione che presenta caratteristiche diverse a seconda del prodotto, del servizio, del mercato.

Le modalità di redazione del contratto sono molteplici (50). Innanzitutto, si può fare riferimento alle soluzioni giuridiche offerte dagli stati: cioè si determina che il diritto applicabile sarà quello, ibrido, previsto da due o più ordinamenti statali. Per esempio, nella vendita di un ufficio londinese da parte di una joint venture giapponese ad una società australo-britannica con sede ai Caraibi, si è negoziato un contratto combinando previsioni di diritto inglese, australiano, del Jersey, delle isole Vergini britanniche e giapponese, come ci mostra John Flood (51). In altri casi, se la law firm è grande, se appartiene cioè al magic circle delle law firms multinazionali di stampo anglosassone, allora le soluzioni prescelte saranno quelle di anglosaxon mind: la law firm taglia corto al problema dei costi di transazione imponendo le proprie pratiche e figure giuridiche (52). Un esempio, solo il più macroscopico, è il proliferare di vere e proprie nuove figure contrattuali, come franchising, leasing, factoring, performance bond anche nell'ordinamento europeo.

E a ben vedere, forme ben delineate e affermate come questi contratti di common law ci conducono a parlare di altri due aspetti del lavoro della law firm.

Primo aspetto: si noti come le law firms finiscano per imporre con successo non solo le proprie soluzioni legali, ma pure delle soluzioni legali standard: delle "typified solutions" (53), veri e propri nuovi moduli; nel nostro esempio, figure contrattuali nuove. Lo fanno su scala mondiale: leasing e factoring sono, con lo stesso nome, i moduli usati dal giurista italiano come da quello americano o tedesco. La law firm crea un diritto universale nuovo, con regole generali e astratte: nemmeno un positivista della vecchia scuola, per cui norma è solo quella che sia generale e astratta, potrà più negare che il leasing è diritto appunto perché generale e astratto. Di più, se il diritto ha tra i suoi scopi quello di creare certezze, attraverso le typified solutions la law firm crea un diritto che è certo, perché universalmente riconosciuto, praticato, durevole. Alle law firms, dice Ferrarese,

"spetta mantenere le riserve di fiducia tradizionalmente detenute dal diritto (...). Si è già parlato della cosiddetta lex mercatoria. Qui basterà aggiungere che le law firms devono non solo crearla, ma altresì immetterla nel circuito giuridico facendola apparire il più possibile un prodotto non dissimile da un prodotto giuridico tradizionale, per assicurare un buon funzionamento del traffico economico, sotto le insegne protettive della legalità" (54).

Ora, la fiducia nelle law firms dipende da molti elementi : uno ne è l'innegabile potere, anche economico, che deriva dal potere economico dei clienti che servono; il secondo è la capacità di assicurare un' assistenza legale dettagliata, precisa, affidabile, data anche la disponibilità di uomini e mezzi; il terzo, è il fatto come abbiamo visto, che la law firm è in grado di sviluppare pratiche contrattuali comuni che sono sostenute non solo dal vincolo contrattuale in sé; ma pure dall'opinio iuris seu necessitatis che sostiene gli usi praticati a livello generale. Il che è come dire che il potere della law firm e la fiducia che esso genera, è un potere, alla Weber, sia razionale-legale, sia carismatico (55). La law firm, il suo brand che ispira fiducia, la sua diffusione nel mondo, somigliano molto al potere carismatico descritto da Weber: e le soluzioni giuridiche proposte dalla law firm si affermano anche per effetto di questo carisma. Ma non basta: col passare del tempo i contratti inventati dalla law firm divengono moduli, soluzioni standard, entità che la stessa giurisprudenza recepisce e tutela, come si vedrà tra poco. Si passa quindi ad una legittimità di tipo "legale" molto simile a quella weberiana. (56)

E che questo potere sia forte, si può notare da diversi indizi; nel caso ben noto del lease-back (57), per esempio la law firm non si è limitata a creare un nuovo tipo contrattuale, ma lo ha fatto in velato sprezzo delle norme statali. E' noto come la nostra giurisprudenza abbia a lungo esitato prima di riconoscerlo come contratto valido: si diceva fosse nullo perché ricalcava lo schema del patto commissorio, tipico contratto in frode alla legge (58). Ora invece il lease-back è comunemente accettato dalle nostre corti. Tutto questo potrebbe significare, innanzitutto, che le corti statali abbiano legittimato il lease-back non perché convinte della sua validità, ma perché questo è un contratto praticato comunemente, anche fuori dall'ordinamento statale, e non riconoscerlo sarebbe stato pregiudizievole per l'economia nazionale. Come nel caso del leasing, che pure, come figura giuridica dava da discutere per essere una locazione sui generis, le corti potrebbero aver ceduto ad un argomento non puramente giuridico (59).

C'è però un'altra cosa che questo caso sicuramente ci insegna: che la pratica contrattuale "sospetta" del lease-back sia continuata nonostante le opinioni contrarie della giurisprudenza; e che le law firms l'abbiano praticato a dispetto di queste, massicciamente.

Si deve quindi notare come la law firm non solo crei quando lo Stato permette; ma pure si senta in grado di imporre allo Stato quello che esso ha negato, dove non lo imponga tout court. Essa è un soggetto giuridico autonomo: agisce e colma là dove lo Stato non ha la forza di arrivare; lo piega - o si sente in grado di farlo - là dove lo stato non ha la forza di opporsi. Perché, è chiaro, opporsi alla law firm è opporsi al flusso del commercio, alla sua inarrestabile potenza: opporsi agli interessi degli imprenditori e di quella borghesia che, due secoli addietro, hanno decretato la fortuna dei Codici un po' in tutta Europa ; e che ora, con la stessa lunatica determinazione, determinano la fortuna della nuova lex mercatoria (60).

Peraltro abbiamo un'ultima osservazione che conforta quanto detto: le law firms sono così potenti da servirsi a piacimento degli stessi strumenti che lo Stato prevede. Notazione disincantata quella di Flood, per cui le law firms di Bruxelles hanno scelto Bruxelles non solo perché da lì scaturisce il flusso imponente della legislazione europea: ma perché trovarsi in loco, a pochi passi dai centri del potere, politicamente inteso, è il modo migliore per influenzarlo, secondo ormai comuni pratiche di lobbying (61).

Se il cliente vuole una soluzione giuridica che necessita di norme dall'alto, il lawyer influente le negozia direttamente alla fonte. Come ci conferma il senior partner di uno studio di Bruxelles:

"Bisogna ottenere delle modifiche alle procedure, e così è più facile. Se si va davanti alla Corte, ci sono meno probabilità, costa di più e ci si impiega più tempo. Però bisogna conoscere la Commissione molto bene, sapere a che Commissario parlare, e poi portarlo a pranzo fuori, a bere qualcosa." (62).

Tutto questo ci può dire, è vero, che si ha ancora bisogno della Commissione o del Consiglio per ottenere la soluzione giuridica desiderata. Ma è pure vero, da un lato, che si tratta di norme mandatory, quelle che si vanno a negoziare: cioè di quelle norme che il nostro Codice chiama imperative, inderogabili perché dovrebbero assicurare che l'autonomia privata delle parti non vada a pregiudicare l'ordine pubblico del mercato. E queste norme, invece, vengono "negoziate" tra Commissione e law firms come due contraenti privati negozierebbero le loro clausole contrattuali. Il che fa riflettere: "[la] legge (...) ha forza di contratto tra le parti" (63) come notava Irti.

5. Conclusioni

Dobbiamo concluderne che il problema dei costi di transazione è un problema che un Codice non sarebbe in grado di risolvere. Astratto, finirebbe per subire difformità di interpretazione che ne limiterebbero la vis uniformante; per risultare poco rappresentativo degli interessi frammentati del corpo sociale; e per subire la forza di soggetti creatori di diritto come le law firms, ormai potenti attori nel panorama giuridico globale.

Il problema dei costi di transazione insomma rimane; ma non si vuole con questo dire che debba rimanere, come pare concluderne parte di quella dottrina che finisce per sostenere i masochistici argomenti della "differenza come ricchezza" (64). Necessitano però soluzioni giuridiche nuove, flessibili, al passo con i tempi. Necessitano nuovi centri di creazione del diritto. E' in questa direzione, credo, che la ricerca debba muoversi, senza perdersi in rievocazioni dei tempi andati.

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Casi citati

  • BGH, 13/11/75; NJW 1976.565
  • Cass. 11 febbraio 1969, n.471, in Resp. Civ. Prev., 1970, p. 267
  • Cass. 24 luglio 1976, n. 2961, in Mass. Foro. It., 1976.
  • Cass. 22 luglio 1999, n. 500
  • Gray v. Barr (1971, 2 Q.B. 554, C.A.)
  • Fletcher v. Rylands (1866) LR 1 Ex.
  • Halsey v. Esso Petroleum Co. Ltd., (1961) 2 All ER 145
  • Northwestern Utilities Ltd. v. London Guarantee and Accident Co., (1936) AC 108
  • Rainham Chemical Works Ltd. v. Belvedere Fish Guano Co., (1921) 2 AC 465
  • Trib.Milano, 19 giugno 1986, in Foro Pad., 1987, I, p. 408

Note

1. Tutto comincia da due risoluzioni del Parlamento Europeo, la Resolution OJ 1989, C 158/400 e la Resolution OJ EC 1994, C 205/518, a cui è seguita una mole di pubblicazioni, tra cui si segnalano: Vogenauer -Weatherhill (eds.), The Harmonization of European Contract Law. Implications for European Private Laws, Business and Legal Practice, Oxford-Portland, 2006; Hartkamp et al. (eds.) Towards a European Civil Code, Njimegen, 2004. Il network Study Group on a European Civil Code riunisce invece una serie di Università Europee che partecipano al progetto.

2. Tra le varie posizioni, più o meno sfumate, dei neo-codificatori, vedi anche, tra gli altri: G. Alpa, 'European Community Resolutions and the Codification of 'Private Law', in ERPL, 2 (2000), 1, p.3 21,; O. Lando, "Some Features of the Law of Contract in the Third Millennium", in Scandinavian Studies in Law, 40 (2000), 1, p. 343; G. Gandolfi, "Per la Redazione di un 'Codice Europeo dei Contratti'", in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 6 (1995), 1, p. 1073. Per una visione complessiva e riassuntiva di tutte le posizioni, S. Càmara Lapuente, "The Hypothetical 'European Civil Code': Why, How, When?", in Era Forum, 2 (2002), 1, p.89.

3. Questa è in particolare la posizione di Ugo Mattei, "Hard Code Now!", in Global Jurist Frontiers, 1 (2002), 2, p. 1.

4. L. Franzoni, Introduzione all' Economia del Diritto, Bologna, 2003

5. U. Mattei, "A Transaction Costs Approach to the European Code", in ERPL, 5 (1997), 1 p. 537.

6. In questo senso vedi Ole Lando: "Smes are afraid of trading, notably selling their goods and services abroad. The unknown laws of foreign EU countries are a trade barrier" in "The Future Development of European Contract Law", in Era Forum, 2 (2002), 1, p. 99

7. G. De Vergottini, Diritto Costituzionale, Bologna, 2001, p. 137.

8. Inizialmente la Corte di Cassazione aveva riconosciuto la risarcibilità per lesione dei soli diritti soggettivi assoluti, vale a dire diritti della personalità o diritti reali. Più avanti, con spartiacque la nota sentenza Meroni, "clamoroso revirement", riconobbe la -qui solo astratta - risarcibilità anche dei diritti di credito. Infine dopo ulteriori aperture, la Cassazione è arrivata al riconoscimento della risarcibilità anche di situazioni diverse dal diritto, gli interessi legittimi, che hanno trovato tutela a partire dalla sentenza 500/99.

9. B. Rudden, "Courts and Codes in England, France and Soviet Russia", in Tul. L. Rev., 48 (1973-74), 1, p. 1027. (traduzione mia)

10. Si è citato l'art.2043, il fatto illecito: ora il fatto illecito, delict o tort, ha ricevuto la stessa attenzione in altri paesi europei, e forse anche di più; ma, per quanto ci interessa, il risultato non è stato lo stesso in tutti gli ordinamenti. Le corti francesi, ad esempio, hanno seguito un iter sostanzialmente analogo a quello italiano, al termine del quale hanno riconosciuto la risarcibilità del danno nei confronti di una serie di soggetti: parenti, compagno di fatto, concubina, datore di lavoro. Il che è come dire che, per i francesi, fatto ingiusto è quello che lede sia il diritto al mantenimento - del coniuge superstite -, sia "una situazione di fatto meritevole di protezione" - come quella del convivente - ma anche diritti di credito - vedi il caso del datore che ha perduto il dipendente. Non sono però ancora arrivate a riconoscere la risarcibilità dell'interesse legittimo nei confronti dello Stato.
Viceversa vi sono sistemi che negano a priori la risarcibilità di queste situazioni giuridiche, come quello tedesco, austriaco, greco: anche se qui è il Codice stesso a impedire l'attività integrativa della giurisprudenza. E però è sintomo di una mentalità giuridica che tende a negare la risarcibilità di tali situazioni.

11. Vedi F. Galgano, Diritto civile e Commerciale, vol. 2, tomo I, p. 631 e ss.

12. G. Teubner, "Legal Irritants: Good Faith in British Law or How Unifying Law Ends Up in New Divergences", in Mod. L.R, 61 (1998), 1, p. 13.

13. G. Teubner, ibid. p. 27.

14. BGH, 13/11/75; NJW 1976.565.

15. Difatti, in un caso che può considerarsi simile, la Corte di Cassazione italiana finisce per far soccombere il dovere di buona fede davanti al principio di riservatezza. Un dirigente si fa assumere da una società presentando un curriculum in cui omette di indicare che il suo ultimo rapporto di lavoro si è concluso con un licenziamento, "motivato dalla infamante ragione che il dirigente si era fatto corrompere da un fornitore d' impresa ed era stato perciò denunciato all'autorità giudiziaria" come riassume Galgano, Diritto Civile e Commerciale, Vol. 2, tomo I, 2005, p. 400. In questo caso la Corte ritiene che non vi sia dolo omissivo; "la semplice reticenza può integrare il dolo incidente a meno che non si provi che la controparte avrebbe potuto conoscere la circostanza taciuta usando l'ordinaria diligenza". Quindi il dovere di buona fede non si spinge fino al limite di indicare informazioni per sé pregiudizievoli, se l'altra parte può rilevarle da sola. Cass. 24 luglio 1976, n. 2961, in Mass. Foro. It., 1976.

16. Cass, 11 febbraio 1969, n.471, in Resp. Civ. Prev., 1970, p. 267, in relazione ad un custode di auto che, appropriandosi illecitamente del mezzo in custodia, aveva causato danni a terzi.

17. Sulla stessa linea si muovono le Corti tedesche quando considerano illegittima la pratica bancaria di sfruttare le relazioni affettive figli-genitori, inducendo i primi a stipulare, mossi da affetto filiale, fideiussioni a favore di questi ultimi, ma a condizioni più che onerose. Qui, è l'ordre public - inteso come ordine del mercato, del corretto svolgimento delle transazioni - che vieta questa "commercializzazione di amore e gratitudine" e muove le corti a sanzionare il comportamento scorretto delle banche. A ben vedere però, come ha ben rilevato Teubner, il concetto di ordine del mercato va a braccetto con quello di buona fede; questi contratti sono nulli non solo perché eccessivamente onerosi, ma anche perché moralmente riprovevoli. Nemmeno il nostro concetto di rescissione per lesione, che interviene nei casi di contratti iniqui negoziati in "stato di bisogno" coprirebbe l'estensione che ha assunto in questi casi il principio di buona fede nell'ordinamento tedesco. Sotto questo profilo, non sembra essere un caso che la direttiva che stabilisce la nullità delle clausole vessatorie nei contratti col consumatore quando sono contrarie a buona fede, lo faccia indicando una serie di casi in cui la mala fede è presunta. Essa colma con l'elencazione di tali clausole quel gap che le corti potrebbero avere nell'interpretazione.

18. U. Mattei, "Hard Code Now!", in Global Jurist Frontiers, 1 (2002), 1, p. 1.

19. Arriva alle stesse conclusioni J. Smits, "A European Private Law as a Mixed Legal System", in Maastricht Journal of European and Comparative Law, 5 (1998), 1, p. 328.

20. Vedi F. Moretti, Il Precedente Giuziario nel Sistema Inglese, in F. Galgano et al. Atlante di Diritto Privato Comparato, 2006; nonché G. Ajani, Sistemi Giuridici Comparati. Lezioni e Materiali, Torino, 2006.

21. R. Blanchè, Le Raisonnement, p. 19-23, Paris, 1973.

22. R. Blanchè, ibid. p. 161.

23. G. Samuel, "Taking Methods Seriously", in Journal of Comparative Law Part 1, 2 (2007), 1, p. 1.

24. G. Samuel, ibid.

25. Fletcher v. Rylands (1866), LR 1 Ex.

26. Northwestern Utilities Ltd. v. London Guarantee and Accident Co., (1936), AC 108.

27. Rainham Chemical Works Ltd. v. Belvedere Fish Guano Co., (1921), 2 AC 465.

28. Halsey v. Esso Petroleum Co. Ltd., (1961), 2 All ER 145.

29. G. Samuel, The Foundation of Legal Reasoning, Maklu, 1995, p.195. (traduzione mia)

30. "Tailored to the facts", Lord Diplock in Roberts Petroleum Ltd. vs. Bernard Kenny Ltd.

31. P. Legrand, "European Legal Systems Are Not Converging", in International and Comparative Law Quarterly 45 (1996), 1, p. 52.

32. E' questa, in sintesi, la visione di Samuel e Legrand, i quali si soffermano rispettivamente sui concetti di framework e mentalità come distintivi del sistema di common law rispetto a quello di civil law.
Vedi G. Samuel, "Comparative Law and Jurisprudence", in International and Comparative Law Quarterly, 47 (1998), 1, p.817; "Can the Common Law Be Mapped?", in University of Toronto Law Journal 55 (2005), 1, p. 271, e P. Legrand, "European Legal Systems Are Not Converging", cit; "Against a European Civil Code", in Modern Law Review 60 (1997), p. 44; "Are Civilians Educable?", in Legal Studies 18 (1998), 1, p. 216.

33. N. Irti, L'Età della Decodificazione, 4ª edizione, Milano, 1999, p. 25.

34. N. Irti, ibid. p. 25.

35. N. Irti, ibid. p. 40.

36. N. Irti, ibid.

37. Le leggi speciali, che siano decodificanti o meramente specificanti, sono entrambe testimoni di un'età di cambiamento inarrestabile: del "dramma storico [di un] Codice civile che, immobile nel tempo, (1942: quasi la metà di un secolo), tenta di ridurre il significato delle leggi speciali, e suscita nostalgie e ricordi ed emozioni; [e di] leggi speciali, che, agili e flessibili, si rannodano alla Costituzione, disciplinano istituti della società industriale, introducono ed applicano nuovi principi" N. Irti, L'Età della Decodificazione, cit. p.196.

38. Non meramente"opzionale" - ossia applicabile solo se le parti lo vogliono - come pure alcuni fautori della "soft" codification vorrebbero. Ugo Mattei, "Hard Code Now!", cit.

39. U. Mattei, "Efficiency and Equal Protection in New European Contract Law", in Virg. Jour. Int. Law, (1999), 1, p. 545.

40. U. Mattei, "Efficiency and Equal Protection in New European Contract Law" cit.

41. Come vedremo nei prossimi capitoli; di frammentazione ha parlato prima di tutto Irti, L'Età della Decodificazione, cit. ma ormai il termine è pressoché diffuso nel linguaggio giuridico.

42. Prima il d.p.r. 224/1988 che implementa la già citata direttiva 85/374 sulla responsabilità da prodotti difettosi; poi il D.Lgs. 50/92 che deriva dalla 85/577 sui contratti negoziati fuori dai locali commerciali; gli art. 18-24 della l. 142/92 sul credito al consumo; la l. 52/96 sulle clausole vessatorie, confluita negli artt. 1469 bis-sexies; i nuovi articoli 1519 bis-novies sulle garanzie nella vendita dei beni di consumo; il D.Lgs. 185/99 sui contratti a distanza.

43. Z. Zencovich, "Il Diritto Europeo dei Contratti (verso la distinzione fra 'contratti commerciali' e 'contratti dei consumatori')", Giurisp. Ital., 145 (1993), 1, p. 57.

44. "Nel corso degli anni '80 e '90 in molti paesi europei il diritto del consumatore si è sviluppato in una branca importante del diritto (...) con un grande ambito di autonomia vis-à-vis col diritto privato generale M. Hesselink, The Structure of New European Private Law, in M. Hesselink et al. The New European Private Law, 2002.

45. N. Irti, L'Età della Decodificazione, cit. p. 95.

46. Secondo una statistica pubblicata sul settimanale britannico The Lawyer, 2010, relativa alle sole Law Firms britanniche.

47. Non solo: ma non ci occuperemo qui dell'attività arbitrale o di risoluzione delle controversie, nè della consulenza giuridica ulteriore a quella contrattuale che pure le law firms forniscono.

48. F. Galgano, Diritto Civile e Commerciale, Vol. 2, tomo 1, p. 347.

49. Con l'eccezione di alcuni, tra cui Flood, il cui lavoro si concentra quasi esclusivamente sull'attività delle law firms, e a cui faremo spesso riferimento.

50. "One can take three broad views on the transnactional practice of business law: first, to export one's domestic law; second to adopt the local law of the jurisdiction one is in; and third, to create or to deploy norms not connected to any particular state" J. Flood, "Megalawyering in the Global Order: the Cultural, Social and Economic Transformation of Global Legal Practice", in International Journal of the Legal Profession, 3 (1996), 1-2, p. 176.

51. J. Flood-F. Sosa, "Lawyers, Law Firms and the Stabilization of International Business", di prossima pubblicazione su Northwestern Journal of International Law and Business.

52. J. R. Faulconbridge et al. "Global Law Firms: Globalization and Organizational Spaces of Cross-Border Legal Work", cit. p.6

53. J. Flood-F. Sosa, "Lawyers, Law Firms and the Stabilization of International Business", cit. p.2

54. M. R. Ferrarese, Le Istituzioni della Globalizzazione, Diritto e Diritti nella Società Transnazionale, Bologna, 2000, p. 107.

55. M. Weber, Economia e società, Milano, 1961.

56. While most of the current literature still supports Max Weber's thesis that the state legal system provides the central support structure in modern economies, the stabilization of behavioral expectations on the basis of general legal provisions (programs) is possible only if adequate legal structures exist, which is questionable in the international context. Consequently, the stabilization of normative expectations will be integrated at a lower level of abstraction; professional roles will have a particular significance, even when general programs seem to be at play. J. Flood-F. Sosa, "Lawyers, Law Firms and the Stabilization of International Business", cit., p.3

57. Nella pratica tradizionale del lease-back un soggetto, in genere un imprenditore, vende un proprio bene all'impresa di leasing, per poi riottenerlo in leasing dalla stessa impresa.

58. Cfr. Trib.Milano, 19 giugno 1986, in Foro Pad., I, (1987), p. 408: "nel contratto di sale and lease back, la natura del contratto di leasing e la funzione oggettivamente di garanzia della vendita, sono indici insuperabili della frode alla legge che vieta il patto commissorio (...) Il sale and lease back configura un mezzo per eludere il patto commissorio ed è quindi nullo sia il contratto di vendita che il successivo e collegato contratto di locazione finanziaria".

59. Il che non deve scandalizzare: vi sono corti tendenzialmente più aperte ad argomenti di questo tipo; quasi banale citare la Corte Europea di Giustizia o le corti di common law. Peraltro sul punto si può discutere: potendosi affermare come, a ben vedere, patto commissorio e lease-back siano figure funzionalmente differenti, e che la legittimità del secondo si ricavi comunque dal Codice, cioè quindi da ragioni squisitamente giuridiche. Pare essere l'opinione di Galgano in Diritto Civile e Commerciale, Vol. 2, tomo 2.

60. Il che non è che ci faccia gioire, esattamente come non fa gioire Mattei. E' però un elemento da prendere in considerazione.

61. "For some lawyers (...) an office in Brussels is merely a listening post to pick up information on draft directives; (...) others, believe 'it is clear that the concept of the Brussels office acting just as a 'listening post' is outdated" in J. Flood, "Megalawyering in the Global Order: the Cultural, Social and Economic Transformation of Global Legal Practice", cit., p. 193.

62. J. Flood, ibid. p. 193, traduzione mia.

63. N. Irti, L'Età della Decodificazione, p. 37.

64. Tra questi vedi ad esempio P. Legrand, cit.