Bibliografia minima sugli 'Asian values'Introduzione Nota: l'aggiunta di "(fonte)" dopo un titolo indica le opere dei fautori dei valori asiatici. IntroduzioneNessuno nega che la nozione di "valori asiatici" abbia tuttora un ruolo centrale nel discorso accademico e non accademico contemporaneo, nonostante la recente crisi economica asiatica. Tuttavia sorgono vari problemi nel momento di proporre una definizione teorica appropriata di questa nozione. Il più importante sembra essere il fatto che i maggiori esponenti dei valori asiatici sono dei politici che hanno bisogno di elaborare una sorta di "ideologia culturale" per legittimare le loro politiche interne e internazionali. In realtà i valori asiatici hanno origine nel campo politico, anche se il dibattito successivo è (stato) condotto altresì dalla comunità scientifica internazionale allo scopo principale di investigare se tale nozione sia sostenibile a livello teorico e quali siano le sue caratteristiche principali. Proponendo la nozione di valori asiatici i suoi sostenitori sottolineano l'esistenza di una "identità comune" agli abitanti dei diversi paesi della regione asiatica, e così facendo hanno bisogno di un concetto fondamentale di "Asia" contrapposto a quello di "Occidente". In questo senso il discorso sui valori asiatici può essere sicuramente interpretato nel contesto del noto dibattito su orientalismo e occidentalismo che ebbe inizio alla fine degli anni settanta con l'opera pionieristica di Edward Said Orientalism (New York 1978, II ediz. 1995; tr. it. Orientalismo, Milano 2000). Data l'importanza della questione vale la pena citare alcuni altri contributi:
Se l'orientalismo è il particolare modo occidentale di concepire l'"Altro" orientale, a partire dall'assunzione etnocentrica di un'identità occidentale comune, l'occidentalismo è la reazione degli "orientali" a questa concezione dopo la fine del potere coloniale dei paesi occidentali e il rapido sviluppo economico succeduto alla decolonizzazione in almeno alcune ex colonie come Singapore. Perciò la nozione di valori asiatici può essere vista sicuramente come una modalità dell'occidentalismo; tuttavia ci sono abbastanza elementi per ritenere necessaria una ricerca più approfondita. La nozione di valori asiatici ebbe origine a Singapore durante gli anni settanta ma il dibattito acquisì una portata internazionale verso la fine degli anni ottanta, quando fu usata soprattutto dall'ex presidente di Singapore, Lee Kuan Yew, per comunicare con i media occidentali. Singapore è il luogo di nascita dei valori asiatici ma nell'ultimo decennio del ventesimo secolo si è assistito a una crescente partecipazione di altre voci politiche rilevanti, come Mahbubani Kishore (Singapore), Mahathir Mohamad (primo ministro della Malesia), e Ishihara Shintaro (ex ministro giapponese ed esponente di spicco del partito liberaldemocratico). Poiché non è ancora disponibile un'esposizione unitaria della "dottrina", le tesi di queste figure di spicco costituiscono la fonte principale per ricostruire la nozione di valori asiatici. In ogni caso possiamo riassumere nella tabella che segue almeno alcuni dei "valori" risultanti che dovrebbero definire univocamente la "visione asiatica del mondo" in quanto opposta a quella occidentale:
Se questi sono i valori enfatizzati, non dovrebbe sorprendere che i valori asiatici, sebbene pensati come comuni a tutta l'Asia, siano in realtà 'tipici' soltanto di una parte ristretta della regione, comprendente i cosiddetti paesi dell'Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea, Taiwan, Hong Kong, Singapore e infine la Malesia e l'Indonesia). Il filo che unisce questi valori è da ritrovarsi nel confucianesimo e nella sua dottrina morale che dà la priorità alle funzioni svolte dall'individuo entro i diversi 'gruppi' invece di esaltare la centralità dell'individuo stesso. Poiché la pretesa esaltazione occidentale dell''individualismo' è vista come un risultato della tradizione cristiana, e poiché l'immagine dell'Occidente è quella di un blocco poderoso e monolitico, i fautori dei valori asiatici cercano di concepire l'Asia come qualcosa di sostanzialmente analogo a partire da una asserita matrice confuciana. Il problema è che il confucianesimo non è mai stata l'unica 'religione' della regione e ha dovuto adattarsi a convivere pacificamente con il buddismo, il taoismo, lo scintoismo e l'Islam, per citare solo le più importanti religioni asiatiche. La necessità di adattamento ha avuto anche altre conseguenze, la più rilevante delle quali è la presenza di forme ibride di confucianesimo dovute alla sua reinterpretazione all'interno dei vari paesi asiatici per adattarlo al contesto locale. Per citare un solo esempio, il confucianesimo cinese è molto diverso da quello giapponese e non possono essere ricondotti a una "forma pura" di confucianesimo assunta come comune ai due paesi. Naturalmente si potrebbe dire qualcosa di simile a proposito della cristianità, anche se in questo caso le differenze derivano da una differente interpretazione della stessa struttura religiosa. Nonostante questi argomenti, i fautori dei valori asiatici li indicano come un concetto unitario rilevante per spiegare il 'miracolo' economico di alcuni paesi asiatici, poiché essi ritengono correttamente che il successo economico non possa essere inteso semplicemente come il risultato di un'applicazione scrupolosa di modelli culturali importati dall'Occidente. La rapida crescita economica postcoloniale, come pure il successo nel mantenere la stabilità politica, sono radicati in un nocciolo preesistente di "valori culturali" che hanno aiutato i paesi asiatici a sviluppare un proprio modello di capitalismo e di sistema politico dall'interno, cosicché sarebbe più corretto parlare di un "modo asiatico di sviluppo". In una prospettiva metodologica questa tesi può essere assimilata al cosiddetto "relativismo culturale", di cui una delle versioni più recenti è rappresentata dalle tesi di Samuel P. Huntington sullo "scontro delle civiltà" (cfr. The Clash of Civilizations and the Remaking of World Order, New York 1996). Secondo queste tesi il mondo postcomunista dovrebbe essere concepito come articolato in un insieme fisso di "civiltà" i cui membri condividono un sistema definito di valori essenziali con cui si identificano e che permette di distinguere chiaramente fra "noi" e "loro". Ogni civiltà ha la sua via allo sviluppo e non si può dire nulla su quale civiltà abbia il sistema di valori "migliore", perché possiamo percepire le differenze fra due o più culture ma non abbiamo criteri per stabilire una gerarchia convincente in base a cui valutare tali differenze. In effetti la comunicazione transculturale e interculturale è impossibile data l'impossibilità di comunicare i valori essenziali ai non membri. In questo senso i valori asiatici sono chiaramente espressione di un atteggiamento conflittuale verso l'Occidente i cui valori essenziali sono ritenuti responsabili di aver condotto ad "aberrazioni" dovute all'enfasi sul ruolo centrale degli individui. Per questo motivo si può dire che il discorso sui valori asiatici rovesci la logica orientalistica e si trasformi in un occidentalismo secondo cui l'"altro" occidentale si trova in una fase di sviluppo inferiore. Oltre a ciò, il "miracolo economico asiatico" è riuscito a convincere i politici asiatici della rilevanza dell'Asia nell'arena internazionale, inducendo anche a credere che il futuro prossimo vedrà l'ascesa dell'Oriente e infine il tramonto dell'Occidente. Secondo i fautori dei valori asiatici ci sono molte prove di questo fatto, in particolare se si considerano i gravi problemi a cui ha portato l'enfasi occidentale sull'individuo nelle società contemporanee, al punto che si potrebbe dire che l'Occidente oggi ha molto da imparare dall'Oriente, in termini sia economici che politici. Certo, queste conclusioni mostrano un pesante pregiudizio ideologico e tendono facilmente a trascurare le differenze all'interno della regione asiatica, ma il discorso sui valori asiatici di per sé ha il merito inestimabile di mettere in luce che i valori culturali non solo esistono ma hanno un ruolo molto importante nel plasmare la configurazione concreta dei contesti locali. Il dibattito sui valori asiatici mostra chiaramente che questi contesti continueranno a rimanere "locali" anche nell'era della cosiddetta "globalizzazione", nonostante le voci di una pretesa "fine della storia" (annunciata fra gli altri da F. Fukuyama, The End of History and the Last Man, New York 1992) e della trasformazione del mondo in una comunità globale i cui valori essenziali dovrebbero essere "ragionevolmente" tratti dalla tradizione liberale e democratica occidentale e riassumersi nella nozione culturalmente pregiudicata e ambigua di "diritti umani" (si veda per tutti la recente proposta di J. Rawls, The Law of Peoples, Cambridge, MA - London 2000). Opere di riferimento (libri, articoli)
*. Dip. di Scienza della Politica, Università di Pisa |
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