2009

Il diritto dell'India post-coloniale tra imitazione e autonomia
Tutela dell'ambiente e judicial activism (*)

Domenico Francavilla (**)

1. Introduzione

La questione del "sorgere dell'India come grande potenza" e della sua "proiezione sull'esterno", che viene affrontata in questo Convegno di Italindia in prospettiva interdisciplinare, può e deve essere analizzata anche da un punto di vista strettamente giuridico. Nel mio intervento cercherò di indicare le linee di indagine che mi sembrano più promettenti, formulando una prospettiva di ricerca complessiva che mira a studiare il diritto indiano contemporaneo nell'ottica della sua evoluzione e differenziazione rispetto all'eredità coloniale (1). Nel fare questo cercherò di presentare, in modo non ancora sistematico, alcuni risultati che, a mio avviso, emergono con nettezza quando ci si avvicini al diritto indiano di oggi partendo da una posizione di non pregiudiziale omologazione.

Come altri paesi che hanno subito una dominazione coloniale, l'India è stata spesso vista come destinataria di scelte compiute altrove o come imitatrice di soluzioni occidentali in continuità con l'eredità coloniale, almeno sul piano del diritto, mentre ne è stata svalutata la dimensione creativa, vale a dire il contributo di innovazione che può dare sulla scena globale (2). Ora che l'India sta divenendo una grande potenza, dovrebbe divenire sempre più evidente la sua forza culturale, oltre che quella economica e geopolitica. Questa forza culturale non può essere limitata all'innegabile importanza della cultura indiana nella storia della civiltà, ma si manifesta anche nella modernità in una varietà di modi e, in questo quadro, un discorso specifico deve essere fatto per il diritto. Infatti, ci si può chiedere che cosa significhi essere una grande potenza sul piano del diritto. Questa domanda può essere scomposta in due domande collegate. In primo luogo ci si può chiedere che cosa ci si aspetta dal diritto di una grande potenza o, in altri termini, come dovrebbe essere fatto il diritto di una grande potenza. In secondo luogo, ci si può chiedere che cosa significhi essere grandi potenze del diritto. Per quel che riguarda la prima domanda, una risposta immediata può essere che il diritto di una grande potenza deve avere determinati caratteri sul piano istituzionale che permettano a questa potenza di esprimersi, e che quindi vi siano meccanismi di decisione funzionanti. Questo criterio rimane in realtà abbastanza astratto e può conciliarsi con diverse forme di governo. Altri criteri possono essere più o meno rilevanti. Ad esempio, ci si aspetta anche che una grande potenza abbia adeguati sistemi di soluzione delle controversie, che abbia regole privatistiche tali da garantire un certo ordine degli scambi, o anche, ma in modo non molto chiaro, che garantisca alcuni diritti. Più in generale, ci si aspetta che il diritto di una grande potenza nel complesso sia moderno, che non sia un diritto di santoni, o un diritto basato su ordalie. Ma la questione che ci interessa più da vicino è che cosa significhi essere grandi potenze nel diritto. Le grandi potenze non esportano solo beni e tecnologie, non determinano solo gli assetti geopolitici, ma hanno anche la forza culturale per far prevalere alcuni modelli giuridici, alcune regole, alcuni principi. L'Italia medievale è stata in questo senso una grande potenza del diritto. Una grande potenza del diritto sono attualmente gli Stati Uniti. L'India - e lo stesso discorso può farsi per la Cina - potrebbe divenire in futuro una grande potenza del diritto, anche considerando che questo profilo tendenzialmente, ma non necessariamente, va assieme alla forza economica e geopolitica. Questo essere grande potenza dipende in primo luogo dalla capacità di elaborare un proprio modello, non recependo semplicemente i modelli elaborati altrove, e, in secondo luogo, dalla capacità di far affermare il proprio modello anche sulla scena globale, esportando regole, assetti istituzionali e criteri interpretativi.

L'autonomia è la premessa per la proiezione sull'esterno, ma il modo in cui l'India si proietta sulla scena mondiale dipende anche dalla percezione che se ne ha. Ad esempio, in campo economico, si è formata un'immagine dell'India disegnata selettivamente per avvalorarne la modernità e le grandi capacità di sviluppo. Anche se ciò non fosse vero, il fenomeno importante è la creazione di un'immagine attraente per gli investitori stranieri. Ugualmente nella sfera giuridica, l'immagine del diritto indiano influenza la sua capacità di proiezione verso l'esterno. Si tratta di un'immagine in evoluzione, in cui un ruolo è svolto anche dall'autopercezione. Sotto questo aspetto, sono osservabili complessi fenomeni di costruzione culturale. Da una parte, la storia del diritto indiano è stata forzata per renderla il più possibile omogenea alle tradizioni occidentali, ad esempio rimarcando il carattere colto della jurisprudence indiana e l'esistenza di testi scritti, che si è finito erroneamente in alcuni casi con equiparare ai codici. Su questa linea, molti indiani anche oggi guardano con fastidio a qualsiasi discorso che voglia presentare il loro diritto come diverso, considerando i postulati culturali che ne sono alla base. Sul fronte opposto, viene esasperato il carattere backward di alcune parti del diritto indiano al fine di una sua più rapida modernizzazione. In entrambi i casi un'agenda politica più o meno consapevole ispira la costruzione dell'immagine del diritto indiano (3).

In realtà, il diritto indiano non si presta a facili categorizzazioni. Tutti i sistemi giuridici sono complessi, ma il diritto indiano sembra esibire un grado di complessità superiore alla media. Uno degli aspetti più banali ma anche più evidenti di questa complessità è dato dalla coesistenza di un diritto territoriale e di un sistema di leggi personali. Il diritto territoriale è direttamente derivato dal common law inglese. I diritti personali indiani, che si applicano principalmente in materia di diritto di famiglia in base a criteri di appartenenza religiosa e comunitaria, riconoscono invece ancora molto spazio alle regole e alle concezioni indigene. Nei tentativi sistemologici compiuti dalla scienza giuridica comparatistica il diritto indiano ha una collocazione problematica e gli si riconoscono delle peculiarità che impediscono la sua inclusione tout court nella famiglia di common law (4).

Al di fuori del discorso scientifico, dal punto di vista della maggioranza degli operatori del diritto, il diritto indiano territoriale, quello dei contratti, ecc. non presenta punti di particolare originalità. I diritti di famiglia applicati in India su base personale possono essere invece percepiti e rappresentati in modi contrapposti. Molti giuristi indiani non ascoltano volentieri discorsi sulla resistenza delle tradizioni indigene. Dal loro punto di vista, che è quello della black letter law, fenomeni come, ad esempio, i matrimoni di bambini sono vietati per legge, e comunque ce ne sono ancora pochi e in fasce non rappresentative della popolazione. In altri termini, è spesso osservabile una tendenza difensiva, che circoscrive ciò che può apparire all'esterno come ancora legato alla tradizione. Altri giuristi - più attivisti - enfatizzano invece nelle pratiche tradizionali hindu, musulmane o tribali lo "scandalo" che rende queste parti del diritto indiano manifestazioni della tradizione culturalmente determinate e resistenti alla modernità giuridica. Che si riducano o che si accentuino le differenze, il risultato rimane che il diritto indiano difficilmente viene percepito come un diritto capace di influenzare la scena giuridica globale. Ma questa percezione sta cambiando a seguito, da una parte, della crescente importanza globale dell'India, sostenuta da una effettiva ricchezza culturale e, dall'altra, del senso sempre più preciso della propria identità.

La questione dell'autonomia del sistema giuridico indiano si gioca su una pluralità di piani. Sul piano del diritto internazionale, in particolare del diritto internazionale dell'economia, il peso politico di una determinata nazione ha un ruolo nell'affermazione di alcuni principi. La tutela dell'interesse nazionale influenza la produzione del diritto internazionale e transnazionale. Sotto questo aspetto il punto interessante è la capacità che può avere l'India nel favorire o contrastare principi e regole che cercano di emergere su scala mondiale. In secondo luogo, l'autonomia del sistema giuridico indiano si gioca nella dinamica sempre presente di imitazione tra sistemi giuridici, che è di per sé un fenomeno fisiologico (5).

Considerando entrambi i piani, ci si può chiedere, ad esempio, dove va il diritto dell'ambiente, dove va il diritto dei consumatori, dove va il diritto della concorrenza, dove va il diritto della proprietà intellettuale, e cercare di capire se queste evoluzioni nei singoli sistemi giuridici e su scala mondiale, che nel breve termine possono apparire frammentarie, siano o meno influenzate da quel che accade nel diritto indiano. Nella nostra prospettiva, parlare di capacità dell'India di divenire esportatrice di modelli significa porre l'accento sul fatto che, almeno in ipotesi, ciò che accade in India potrebbe essere significativo anche per altre esperienze giuridiche.

Bisogna inoltre osservare che la questione imitazione/autonomia non va posta in termini assoluti. Nel corso della redazione della Costituzione indiana sono state assunte come modello diverse costituzioni, e a questo proposito Ambedkar rilevò che quando si parla di diritti fondamentali e di assetti istituzionali non si può pretendere di inventare qualcosa di completamente nuovo ma bisogna cercare di valutare i diversi modelli, scegliendo quelli che appaiono migliori non solo in linea di principio ma anche sulla base della loro verifica storica (6). In questo senso, la creatività nel diritto può manifestarsi anche nelle scelte compiute tra soluzioni date. Un'indagine sull'autonomia del diritto indiano non può cercare solo differenze eclatanti. Differenze significative derivano anche dagli innesti di alcune linee di sviluppo autonome e dalla combinazione originale di alcuni elementi.

Tutti i settori del sistema giuridico indiano potrebbero essere studiati in questa chiave. Lo stesso controverso sistema di leggi personali in materia di diritto di famiglia sta evolvendo in una direzione che lo fa apparire un modello adeguato di gestione del pluralismo tipicamente, anche se non esclusivamente, indiano. Secondo alcune opinioni minoritarie ma autorevoli, il sistema pluralista indiano potrebbe essere anche un modello per i paesi occidentali che si confrontano con il multiculturalismo (7). Un altro esempio può essere tratto dal diritto della proprietà intellettuale. In materia brevettuale la tensione tra i diritti che vengono attribuiti ai titolari di brevetto e gli interessi della società nel suo complesso sta conducendo a una crisi della dottrina classica della proprietà intellettuale, che è stata funzionale a una determinata epoca dello sviluppo industriale ma sotto molti aspetti non funziona più, come risulta in modo chiaro dal dibattito sui brevetti farmaceutici e sull'accesso ai farmaci e alle cure fondamentali, Questo tipo di problemi emerge nettamente proprio in paesi come l'India, che dopo l'Indipendenza si è distaccata consapevolmente dall'eredita coloniale per poi riallinearsi agli standard internazionali dell'accordo TRIPs dopo un processo di riforma lungo e controverso (8). Di questa oscillazione rimane ancora una traccia in una tendenza a ricavare spazi di autonomia per conciliare le regole internazionali con le necessità della società indiana. In altri termini, anche se è ancora presto per dirlo, proprio nell'esperienza indiana si presentano condizioni favorevoli per l'elaborazione di nuovi principi sulla proprietà intellettuale che potrebbero proporsi come innovazioni significative sulla scena globale.

I campi possibili per un'indagine sulle tendenze evolutive del diritto indiano sono quindi molti. La mia analisi del problema dell'autonomia del diritto indiano si concentrerà sul diritto dell'ambiente. Cercherò di mettere in luce alcuni aspetti della nascita e dello sviluppo del diritto ambientale indiano, per adesione e contrasto rispetto ad altri modelli. L'elaborazione di meccanismi efficaci di tutela giuridica dell'ambiente è uno dei grandi problemi che i sistemi giuridici devono affrontare. Come nel caso della proprietà intellettuale, le scelte di politica del diritto compiute dai singoli Stati in materia di tutela ambientale sono un indicatore importante della posizione assunta nella comunità internazionale. L'India ha potenzialmente un ruolo di primo piano in questo quadro. Infatti, l'enorme ricchezza di risorse naturali e la rapidità dello sviluppo economico, spesso con costi gravissimi sul piano ambientale e umano, possono rendere il sistema giuridico indiano uno dei protagonisti dell'evoluzione del diritto dell'ambiente su scala globale. Ciò dipenderà dalla capacità di elaborare una propria via alla tutela dell'ambiente, che risponda alle esigenze specifiche del paese, senza complessi d'inferiorità nei confronti degli ordinamenti dei paesi maggiormente sviluppati o rapporti di sudditanza rispetto ai grandi poteri economici mondiali (9).

2. Le origini del diritto dell'ambiente in India: da Bhopal al judicial activism

La storia del diritto dell'ambiente in India - ma non solo in India - è una storia recente. Nel Dicembre del 1984 una nube tossica diffusasi dagli stabilimenti della Union Carbide India Ltd. a Bhopal, nel Madhya Pradesh, provocò uno dei maggiori disastri ambientali della storia. Il numero stimato delle vittime va da 2.500 a 8.000. La Union Carbide India era una affiliata della Union Carbide con sede negli Stati Uniti e, una settimana dopo l'incidente, numerose cause vennero intentate negli Stati Uniti contro di essa. Nel Febbraio 1985 entrò in vigore in India il Bhopal Gas Leak Disaster (Processing of Claims) Act, in base al quale venne assegnato al governo indiano il diritto esclusivo di rappresentare in giudizio le vittime del disastro in India e all'estero. Sulla base di questo Act, il governo indiano ha preso parte al processo contro l'Union Carbide davanti alla Southern District Court di New York, dove erano state unificate tutte le azioni proposte fino a quel momento.

Per quanto possa sembrare strano, uno degli argomenti utilizzati dal governo indiano a favore della competenza di una corte statunitense fu che l'ordinamento giuridico indiano, sia sul piano sostanziale che su quello giudiziario, non era adeguato a una causa così complessa (10). Il giudice Keenan respinse il caso sulla base del principio del forum non conveniens, ritenendo che una corte indiana fosse in una posizione migliore per giudicare e richiedendo, comunque, che la Union Carbide accettasse la giurisdizione delle corti indiane. Il giudice Keenan formulò anche la seguente considerazione generale:

The Court thus finds itself faced with a paradox. In the Court's view, to retain the litigation in this forum, as plaintiffs request, would be yet another example of imperialism, another situation in which an established sovereign inflicted its rules, its standards and values on a developing nation. This Court declines to play such a role. The Union of India is a world power in 1986, and its courts have the proven capacity to mete out fair and equal justice. To deprive the Indian judiciary of this opportunity to stand tall before the world and to pass judgement on behalf of its own people would be to revive a history of subservience and subjugation from which India has emerged. India and its people can and must vindicate their claims before the independent and legitimate judiciary created there since the Independence of 1947.

La vicenda successiva è stata lunga e complessa e non si può dire che sia stata un successo (11). Ciononostante, proprio il caso Bhopal ha dato un profondo impulso alla giurisprudenza indiana per l'elaborazione dei principi e strumenti per la tutela dell'ambiente (12). Come osservato da Dias, il diritto dell'ambiente in India, prima di Bhopal, era "inadequate, unimaginative and so ineffectual as to be virtually nonexistent" (13).

In questa situazione, motori dello sviluppo del diritto dell'ambiente sono state le Corti, che hanno esercitato i loro poteri in diverse direzioni. Innanzitutto, hanno sviluppato nuovi concetti e strumenti, legando la protezione dell'ambiente alla tutela costituzionale dei diritti fondamentali, recependo nell'ordinamento interno i principi stabiliti dal diritto internazionale dell'ambiente e riformulando alcune dottrine classiche del common law inglese. In secondo luogo, hanno ampliato le possibilità di accesso alle corti e sollecitato l'attività degli altri poteri, in particolare il potere esecutivo, per rendere effettiva la tutela dei diritti. Questo judicial activism ha prodotto negli ultimi venti anni una sostanziale evoluzione del diritto dell'ambiente rispetto alla situazione in cui si trovava prima di Bhopal (14). Ciononostante, molta strada resta ancora da fare. Ma il punto che interessa vedere è come il sistema giuridico indiano abbia prodotto una nuova jurisprudence ambientale che, pur nel solco di altre esperienze giuridiche, aspira ad essere autenticamente indiana.

Il testo originario della Costituzione indiana non conteneva disposizioni che riguardavano direttamente la tutela dell'ambiente (15). È nel 1976, con il 42º emendamento, che vengono introdotte nella Costituzione disposizioni che direttamente prevedono un dovere di tutela dell'ambiente sia per lo Stato che per i cittadini. Per quel che riguarda gli obblighi dello Stato l'articolo fondamentale è l'art. 48, che si trova nella parte IV sui Directive Principles of State Policy. Questo articolo stabilisce che: "The State shall endeavour to protect and improve the environment and to safeguard the forests and wild life of the country."

Per quel che riguarda i doveri dei cittadini, l'articolo fondamentale è il 51A, che costituisce da solo la nuova Parte IVA della Costituzione, dedicata ai doveri fondamentali. All'interno di una lista molto lunga di doveri fondamentali (16), il punto (g) stabilisce che è dovere di ogni cittadino indiano "to protect and improve the natural environment including forests, lakes, rivers and wild life, and to have compassion for living creatures."

Entrambi gli articoli usano l'espressione "protect and improve", e quindi non prevedono un semplice dovere di conservare l'ambiente nella condizione in cui si trova ma, sia per lo Stato che per i cittadini, un dovere di adoperarsi attivamente per il suo miglioramento (17). Inoltre, in entrambi gli articoli la definizione di ambiente è la più ampia possibile. Infine, il riferimento alla compassione per le creature viventi nell'art. 51A può essere interpretato come un esplicito richiamo alle radici culturali delle maggiori religioni indiane, dall'induismo al buddismo e al jainismo. In generale, secondo Menski, l'intero art. 51A deve essere interpretato come una riformulazione moderna di concetti tradizionali e, in particolare, del dharma (18).

I Directives Principles of State Policy contenuti nella parte IV, pur non potendo essere applicati dalle Corti, pongono direttamente dei vincoli agli organi dello Stato. Infatti, l'art. 36 chiarisce che: "The provisions contained in this Part shall not be enforceable by any court, but the principles therein laid down are nevertheless fundamental in the governance of the country and it shall be the duty of the State to apply these principles in making laws".

Bisogna anche osservare che, ai sensi dell'art 12 della Costituzione, il termine "State" deve essere inteso in senso ampio e include il Governo e il Parlamento sia dell'India che di ogni singolo Stato appartenente alla federazione indiana, il potere giudiziario, e tutte le autorità che si trovano all'interno del territorio o che comunque sono sotto il controllo del governo indiano. La giurisprudenza della Supreme Court ha reso ancora più inclusiva questa definizione di Stato includendo anche alcuni tipi di società controllate (19).

Come evidenziato da Dam e Tewary, la Supreme Court ha cominciato a svolgere un ruolo creativo in materia di diritto ambientale sulla base del riconoscimento della relazione tra la parte IV della Costituzione e la parte III, dedicata ai diritti fondamentali, che assieme rappresenterebbero "the commitment to social revolution and ... the conscience of the Constitution" (20).

Una conseguenza della connessione riconosciuta tra le due parti è che i diritti fondamentali sono stati interpretati alla luce dei Directive Principles. Da ciò deriva l'evoluzione giurisprudenziale che ha portato la Corte a sviluppare il diritto a un ambiente salubre come implicito nel diritto alla vita, riconosciuto come diritto fondamentale dall'art 21. Come osservato da Shanthakumar:

The right to live in a clean and healthy environment is not a recent invention of the higher judiciary in India. This right has been recognised by the legal system and by the judiciary in particular for over a century or so. The only difference in the enjoyment of the right to live in a clean and healthy environment today is that it has attained the status of a fundamental right the violation of which, the constitution of the India will not permit (21).

L'effetto principale di questa lettura congiunta delle due parti della Costituzione è stato quello di rendere il diritto a vivere in un ambiente salubre un diritto per la cui tutela si può agire direttamente davanti alla Supreme Court (22).

L'art. 21 ha una formulazione classica e collega il diritto alla vita alla libertà personale, stabilendo che: "No person shall be deprived of his life or personal liberty except according to procedure established by law". D'altra parte, già nell'ordinamento internazionale si era andato affermando un orientamento secondo cui il diritto alla vita deve essere inteso non solo come diritto alla sopravvivenza ma anche come diritto a un adeguato standard di vita e al suo miglioramento (23).

In una serie di sentenze, alla fine degli anni '80, la Supreme Court riconobbe implicitamente che il diritto a vivere in un ambiente salubre rientra nel diritto alla vita. Infatti, pur non affermandolo espressamente, in quelle sentenze adottò provvedimenti sulla base dell'art. 32. Fu invece la giurisprudenza delle High Court ad enucleare espressamente il diritto a vivere in un ambiente salubre come parte del diritto alla vita protetto dall'art. 21.

In particolare, l'High Court dell'Andhra Pradesh nel caso Damodhar Rao v. Municipal Corporation, Hyderabad (1987) (24) ha affermato che:

... from the constitutional point of view, it would be reasonable to hold that the enjoyment of life and its attainments and fulfilment guaranteed by Article 21 of the constitution embraces the protection ad preservation of nature's gifts without (which) life cannot be enjoyed. There can be no reason why practice of violent extinguishment of life alone would be regarded as violative of Article 21 of the Constitution. The slow poisoning by the polluted atmosphere caused by environmental pollution and spoliation should also be regarded as amounting to violation of Article 21.

Successivamente la Supreme Court ha esplicitato il principio che era già implicito nelle sue pronunce precedenti. In Chhetriya Pardushan Mukti Sangarsh Samiti v. State of Uttar Pradesh (1990), il giudice Sabyasachi Mukherji per la prima volta ha stabilito in termini espliciti che il diritto a vivere in un ambiente non inquinato rientra nella tutela dell'art. 21. Sulla stessa linea, in Subhash Kumar v. State of Bihar (1991), la Corte ha affermato che:

the right to life enshrined in Article 21 includes the right to enjoyment of pollution free water and air for the full enjoyment of life. If anything endangers or impairs the quality of life, an affected person or a person genuinely interested in the protection of society would have recourse to Article 32.

Lo stesso principio è stato confermato negli anni successivi nei casi Virander Gaur v. State of Haryana (1995), Narmada Bachao Andolan v. Union of India (2000) e Ramji Patel v. Nagrik Upbhokta Marg Darshak Manch (2000).

3. Dottrine e principi sulla tutela dell'ambiente

Definito il quadro costituzionale della tutela dell'ambiente, la Supreme Court ha elaborato una serie di principi che, secondo Dam e Tewary segnano l'inizio di una fase di law-making da parte della Corte. I due autori, che come vedremo più avanti sviluppano un approccio critico nei confronti della Supreme Court, osservano:

These lawmaking endeavours of the Court reflect a dual trend. While on some occasion it has laid down new standards ... on other occasions it has preferred to incorporate international standards into domestic law. Most of this 'lawmaking' was inspired by an insatiable desire to do justice to the matter that was sub judice. The Court found it difficult to reconcile itself to a possibility that justice may not be done to the parties before it - 'justice' as the Supreme Court understood it to be. It strained itself to innovate remedies by evolving new principles: it was inconceivable that a problem could not have a judicial remedy. If remedying the problem required making law, they were unhesitant in expressing their desire to do so (25).

Un caso in cui la Corte ha creato un nuovo standard riguarda la regola della absolute liability, che è stata sviluppata in M.C. Mehta v. Union of India (AIR 1987 SC 1086) come un'evoluzione della regola di strict liability, stabilita in Inghilterra nel caso Rylands v. Fletcher (1868). In base alla regola della strict liability, in caso di esercizio di attività pericolose, esiste una responsabilità per danni che può essere esclusa solo in casi particolari, tra cui il cd. act of God, vale a dire un fatto del tutto imprevedibile e incontrollabile, l'atto compiuto da un terzo, ad esempio un atto di sabotaggio, la colpa o il consenso dello stesso danneggiato. La Supreme Court è andata oltre, ritenendo la regola della strict liability non adeguata alle esigenze della moderna economia e allo sviluppo tecnologico verificatosi nel ventesimo secolo e ha posto la regola dell'absolute liability, in base alla quale un'impresa ha una responsabilità assoluta, non soggetta alle eccezioni previste dalla regola della strict liability, per i danni derivanti da attività pericolose. In M.C. Mehta v. Union of India si legge:

... where an enterprise is engaged in a hazardous or inherently dangerous activity and harm results to everyone on account of an accident in the operation of such hazardous and inherently dangerous activity resulting, for example, in the escape of toxic gas, the enterprise is strictly and absolutely liable to compensate all those who are affected by the accident and such liability is not subject to any of the exceptions which operate vis-à-vis the fortuitous principle of strict liability under the rule in Rylands v. Fletcher.

Questo principio si basa sulla considerazione che l'autorizzazione a compiere un'attività pericolosa deve intendersi come implicitamente condizionata all'impegno da parte dell'impresa di assumersi la responsabilità per i danni che possano derivarne e, ulteriormente, sulla considerazione che solo l'impresa è nella posizione di poter controllare e prevenire i possibili danni (26).

Nel nostro discorso, più che il principio in sé, è importante il fatto che la Corte si distacca consapevolmente dalla dottrina classica di common law sulla base di un particolare modo di intendere il proprio ruolo e l'autonomia del sistema giuridico indiano. Infatti il giudice Bhagwati afferma:

we have to evolve new principles and lay down new norms which would adequately deal with the new problems which arise in a highly industrialised economy. We cannot allow our judicial thinking to be constricted by reference to the law as it prevails in England or for the matter of that in any foreign country. We no longer need the crutches of a foreign legal order. We are certainly prepared to receive light from whatever source it comes but we have to built our own jurisprudence.

Un altro principio fondamentale è il polluter pays principle, applicato già nel caso Mehta, e poi sviluppato in Vellore Citizen's Welfare Forum v. Union of India, 1996 e in S. Jaganath v. Union of India, 1997 come principio essenziale per lo sviluppo sostenibile. Infatti, in base a esso esiste un obbligo di ripristinare l'ambiente danneggiato, oltre che l'obbligo di risarcire le vittime dell'inquinamento. Questo principio è stato sviluppato nel diritto internazionale. In particolare, il principio 16 della Dichiarazione di Rio (1991) stabilisce che le autorità nazionali devono adottare misure che favoriscano l'internalizzazione dei costi ambientali. A questo fine, bisogna partire dal principio per cui quei costi devono ricadere sul soggetto responsabile dell'inquinamento, avendo presente l'interesse pubblico e la necessità di non distorcere la dinamica del commercio internazionale. La Supreme Court ha applicato questo principio ritenendo che si tratti di diritto internazionale consuetudinario, che, non essendo contrario ai principi dell'ordinamento indiano, fa parte del diritto indiano ed è direttamente applicabile.

Sempre in relazione al concetto di sviluppo sostenibile, nei casi Mehta e Vellore è stato introdotto nell'ordinamento giuridico indiano il precautionary principle, enucleato nel Principle 15 della dichiarazione di Rio, secondo cui:

in order to protect the environment the precautionary approach should be widely applied by States according to their capabilities. Where there are threats of serious or irreversible damage, lack of full scientific certainty shall not be used as a reason for postponing cost effective measures to prevent environmental degradation.

Anche in questo caso, il principio è stato ritenuto parte del diritto internazionale consuetudinario e, come tale, parte dell'ordinamento indiano. La Corte ha ulteriormente sviluppato il precautionary principle ritenendo che esso richieda misure in materia ambientale tali da anticipare e prevenire le cause del degrado ambientale e che l'onere della prova relativo alla non pericolosità ambientale ricada sul soggetto che intende realizzare una determinata attività che può far nascere il timore di un suo impatto ambientale negativo (27).

Il principio è stato applicato dalla Supreme Court nel caso M.C. Mehta v. India (1996), relativo alla protezione del Taj Mahal dalle emissioni delle industrie della Taj Trapezium Zone. La Corte ha affermato che "the atmospheric pollution ... has to be eliminated at any cost. Not even 1% chance can be taken when human life apart the preservation of a prestigious monument like the Taj is involved", e ha disposto che le industrie identificate come potenzialmente inquinanti nella zona adottassero nuovi mezzi di produzione o venissero chiuse.

Un'altra importante componente della jurisprudence ambientale indiana è la dottrina del public trust, di diretta derivazione dal common law inglese, che è stata formulata in particolare nel caso M.C. Mehta v. Kamalnath (1997). In base a questa dottrina la Corte ha ritenuto che lo Stato debba essere considerato come trustee di tutte le risorse naturali, che per loro natura sono di utilità pubblica. Come osserva Razzaque, la dottrina del public trust svolge in particolare la funzione di dare ai cittadini la possibilità di mettere in discussione la gestione delle risorse naturali da parte dello Stato e, in questo senso, è uno strumento ulteriore per proteggere l'ambiente dalle stesse inadempienze degli organi pubblici (28).

Qui i giudici hanno fatto espresso riferimento alle basi del diritto indiano nel common law inglese:

Our legal system based on English Common Law includes the public trust doctrine as part of its jurisprudence. The State is the trustee of all natural resources, which are by nature meant for public use and enjoyment. Public at large is the beneficiary of the sea-shore, running waters, airs, forests and ecologically fragile lands. The State as a trustee is under a legal duty to protect the natural resources. These resources meant for public use cannot be converted into private ownership.

Altri due principi, quello del sustainable development e quello della inter-generational equity hanno carattere più generale. Sviluppo sostenibile significa "development that meets the needs of the present without compromising the ability of the next generations to meet their own needs" (29). Visto che sviluppo non sostenibile significa innanzitutto danneggiare le generazioni future, i due principi tendono a fondersi. Dal punto di vista tecnico una concretizzazione del principio del sustainable development può comportare che le attività produttive debbano essere commisurate alla capacità di riproduzione delle risorse naturali e alla capacità di assimilazione di un determinato ecosistema.

Anche se il principio è chiaro ed accettato, il problema è il bilanciamento dei diversi interessi coinvolti. Innanzitutto bisogna osservare che proprio il principio dello sviluppo sostenibile include il principio del perseguimento dello sviluppo. Nel caso Indian council for Enviro-Legal Action v. Union of India si legge:

While economic development should not be allowed to take place at the cost of ecology or by causing wide spread environmental destruction and violation: at the same time, the necessity to preserve ecology and environment should not hamper economic and other developments. Both development and environment must go hand-in-hand

Nel recente caso K.M. Chinnappa v. Union of India (2003) è stata riaffermata l'esigenza di bilanciare i diversi interessi dello sviluppo e dell'ambiente:

It cannot be disputed that no development is possible without some adverse effect on the ecology and environment, and the projects of public utility cannot be abandoned and it is necessary to adjust the interest of the people as well as the necessity to maintain the environment. The balance has to be struck between the two interests. Where the commercial venture or enterprise would bring in results which are far more useful for the people, difficulty of a small number of people has to be bypassed. The comparative hardships have to be balanced and the convenience and benefit to a larger section of the people has to get primacy over comparatively lesser hardship.

Pertanto, il problema che ogni Corte si trova ad affrontare è in che misura promuovere l'interesse della conservazione ambientale rispetto a quello dello sviluppo economico, che coinvolge anche il diritto al lavoro. Infatti, in alcuni casi, il danno ambientale, naturalmente se si mantiene entro una soglia per cui i danni si produrranno per le generazioni successive, viene difficilmente percepito dai gruppi sociali coinvolti come grave e prevalente rispetto agli interessi del presente. Proprio a causa di questo limite cognitivo del non riuscire a prendere sul serio il danno futuro rispetto all'interesse presente, il principio dello sviluppo sostenibile e della solidarietà tra generazioni è molto difficile da tutelare nelle corti. Pertanto, esso normalmente viene utilizzato in connessione con altri principi, in particolare con il precautionary principle, che ha una maggiore capacità di definizione concreta.

Questa questione è anche collegata al fatto che l'India è un paese in via di sviluppo e, come tale, da un lato deve sostenere lo sviluppo della propria produzione e, dall'altro, in alcuni casi è "vittima" della delocalizzazione. Infatti, come osservano Shanmuganathan e Warren, visto che nei paesi sviluppati vi sono normative molto restrittive per i rifiuti derivanti da alcune produzioni, come nel caso della lavorazione delle pelli, normalmente si tende a delocalizzare (30). I costi ambientali sono molto alti e, sempre secondo Shanmuganathan e Warren, la pratica dei paesi sviluppati di importare le pelli lavorate dai paesi in via di sviluppo riversando i costi ambientali su questi paesi è in contraddizione con l'accettazione del principio dello sviluppo sostenibile e anche con l'obbligo di cooperazione posto dalla Conferenza di Rio. Lo stesso problema si è manifestato nel caso Union Carbide, vista la tendenza delle grandi multinazionali a delocalizzare in India le produzioni più pericolose e inquinanti, potendosi permettere, almeno fino al disastro di Bhopal, minori standard di sicurezza e costi di ripristino ambientale.

Shanmuganathan e Warren evidenziano questo aspetto del problema analizzando il ragionamento del giudice Kuldip Singh nel caso Vallore:

[Kuldip Singh] is able to avoid the argument that India cannot afford a clean environment. The short-term economic advantage of export funds derived from the leather industry does not justify long-term environmental degradation if sustainable development is the yardstick. This approach could be an important turning point in changing the developed world's practice of imposing external costs to India (31).

Pertanto, sotto questo profilo, possiamo osservare che, almeno nella giurisprudenza della Supreme Court e delle High Court, il principio della prevalenza della tutela dell'ambiente è solido e non vi è un suo ammorbidimento in ragione delle esigenze di sviluppo economico. Da un punto di vista più critico, si può evidenziare però che la Corte è stata molto più incisiva nei confronti delle piccole e medie imprese e nei confronti delle agenzie locali, statali e federali di quanto lo sia stata nei confronti dei grandi gruppi economici internazionali (32).

4. Accesso alla giustizia e Public Interest Litigation

In caso di danni derivanti da inquinamento ambientale vi può essere tutela sia in sede civile che in sede penale. In entrambi i casi però questa tutela rischia di essere largamente ineffettiva a causa della lunghezza dei processi e dei costi, che scoraggiano l'esercizio dei propri diritti soprattutto da parte degli appartenenti ai settori più svantaggiati della popolazione. Anche sotto questo aspetto l'attivismo della Supreme Court è stato decisivo. Il problema dell'accesso alla giustizia naturalmente non è limitato alla sola tutela ambientale, ma ha avuto un ruolo cruciale nello sviluppo del diritto dell'ambiente indiano.

Un primo passo compiuto dalla Supreme Court per migliorare l'effettività della tutela dei diritti è stato quello di riconoscere un diritto al legal aid, promuovendo in tal modo la creazione di un sistema di aiuti statali per l'accesso alla giustizia (33). Ancora più importante è stata la promozione della Public Interest Litigation, che negli ultimi anni ha assunto un'importanza tale nella dinamica complessiva della tutela dei diritti fondamentali da poter essere considerata una delle vie principali di innovazione nel sistema giuridico indiano (34).

Lo sviluppo della Public Interest Litigation è stato reso possibile dall'intervento della Supreme Court, in primo luogo, sul principio dello standing e, in secondo luogo, sulla definizione dei requisiti formali richiesti per accedere alla sua giurisdizione. Sotto il primo profilo, la Corte ha reso possibile il "representative standing", vale a dire la legittimazione ad agire in giudizio di ONG o singoli individui non direttamente danneggiati, che possono rappresentare interessi collettivi e dispongono della cultura e delle risorse necessarie. La linea interpretativa della Supreme Court può essere analizzata attraverso il caso Bandhua Mukti Morcha v. Union of India (AIR 1984 SC 802), in cui la Corte si è pronunciata sul ricorso di una organizzazione che si adoperava per la difesa di un gruppo di bonded labourers che vivevano in condizioni disumane. Gran parte del ragionamento della Corte è basato sull'interpretazione dell'art. 32, che, come abbiamo visto precedentemente, garantisce il diritto di accedere alla giurisdizione della Supreme Court per l'applicazione dei diritti fondamentali. Il principio per cui il ricorso può essere presentato anche da una persona che non è direttamente lesa ma che si rende portatrice di un interesse pubblico alla tutela del diritto fondamentale in questione è stato affermato dalla Corte in base a un argomento letterale e a un argomento sostanziale. Quanto al primo argomento, la Corte chiarisce che:

There is no limitation in the words of Clause (1) of Article 32 that the fundamental right which is sought to be enforced by moving the Supreme Court should be one belonging to the person who moves the Supreme Court ... It is clear on the plain language of clause (1) of Article 32 that whenever there is a violation of a fundamental right, anyone can move the Supreme Court for enforcement of such a fundamental right.

Quanto all'argomento sostanziale, la Corte chiarisce che normalmente ci deve essere identità tra attore e soggetto il cui diritto fondamentale è stato violato ma che questa identità potrebbe essere un limite alla tutela dei diritti fondamentali, e pertanto non può essere richiesta in tutti i casi:

the court ... would ordinarily insist that only a person whose fundamental right is violative should be allowed to activise the court ... since the person whose fundamental right is violated can always approach the court and if he does not wish to seek judicial redress by moving the court, why should some one else be allowed to do so on his behalf. This reasoning however breaks down in the case of a person or class of persons whose fundamental right is violated but who cannot have a resort to the court on account of their poverty or disability or socially or economically disadvantaged position and in such a case, therefore, the court can and must allow any member of the public acting bona fide to espouse the cause of such person or class of persons.

Il secondo passaggio interpretativo sull'art. 32 riguarda l'espressione "appropriate proceedings". Secondo la Supreme Court questa espressione può e deve essere interpretata in modo molto ampio. Di conseguenza, ha stabilito che non vi sono limitazioni formali per accedere alla sua giurisdizione e che un atto deve essere ritenuto appropriato in base allo scopo che persegue, che è quello della tutela di un diritto fondamentale. Da questo punto di vista anche una lettera, anche una semplice cartolina, senza nessun formato prestabilito, può essere ritenuto un mezzo appropriato per accedere alla giurisdizione della Supreme Court.

Questo sviluppo interpretativo, con cui la Supreme Court ha aperto la sua giurisdizione mediante un'interpretazione estremamente estensiva della clausola sugli "appropriate proceedings", deve essere letto come un'indicazione importante del ruolo che la Corte assegna a se stessa come guardiano dei valori costituzionali e in particolare dei diritti fondamentali. In secondo luogo, è importante osservare che questo sviluppo interpretativo si basa sulla considerazione della realtà sociale indiana. Infatti, rigidi requisiti formali e procedure complesse, che richiederebbero necessariamente l'intervento di un avvocato, si tradurrebbero in pratica in una esclusione dalla tutela dei propri diritti fondamentali per gran parte della popolazione indiana, che per ragioni di analfabetismo o comunque di debolezza sociale difficilmente potrebbe immaginare di accedere alla tutela della Corte. In particolare, in Bandhua Mukti Morcha, la Corte ha affermato che:

The Constitutions makers deliberately did not lay down any particular form of proceeding for enforcement of a fundamental right nor did they stipulate that such proceeding should conform to any rigid pattern or straight jacket formula as, for example, in England, because they knew that in a country like India, where there is so much of poverty, ignorance, illiteracy, deprivation and exploitation, any insistence on a rigid formula of proceedings for enforcement of a fundamental right would become self defeating because it would place enforcement of fundamental rights beyond the reach of common man.

Anche in questo caso il ragionamento della Corte si svolge facendo direttamente riferimento all'esperienza inglese. Bisogna anche ricordare che la tutela dei diritti fondamentali è una competenza diretta della Supreme Court, ma non una competenza esclusiva. Infatti, in base all'art. 226 anche le High Court hanno poteri simili in materia di tutela dei diritti fondamentali e si ha quindi una giurisdizione concorrente. In Romesh Thappar v. State of Madras (AIR 1950 SC 124), la Supreme Court non ha accolto la deduzione difensiva secondo cui doveva essere adita prima una High Court. In ogni caso la Corte raccomanda che ciò venga fatto in tutti quei casi in cui la tutela che può essere assicurata da una High Court sia ugualmente efficace, particolarmente per i casi di protezione dell'ambiente, per i quali anzi la Supreme Court ha richiesto alle High Court di costituire sezioni specializzate, dette "green bench" (35).

Lo sviluppo della Public Interest Litigation ha avuto grande diffusione nel caso della tutela ambientale, che per sua natura coinvolge interessi collettivi. Bisogna anche osservare che la Public Interest Litigation non solo ha avuto un impatto sull'accesso alla giustizia ma ha anche favorito l'elaborazione dei principi per la tutela dell'ambiente, visto che ha permesso di portare davanti alle Corti un maggior numero di questioni di grande impatto sociale attraverso cui è stato possibile elaborare la nuova jurisprudence ambientale.

5. Legislazione, politiche e governance

Abbiamo visto i principi e le dottrine che hanno determinato lo sviluppo della tutela dell'ambiente nella giurisprudenza della Supreme Court e delle High Court e abbiamo anche osservato come l'iniziativa delle Corti sia stata determinante sia sul piano sostanziale che sul piano dell'accesso alla giustizia. Ma la tutela giuridica dell'ambiente richiede una pluralità di strumenti, di politiche e piani di sviluppo, la cui elaborazione non può essere compito del potere giudiziario. Ad esempio, il diritto dell'ambiente si occupa di istituire meccanismi per la gestione delle questioni ambientali, determina gli standard accettabili di inquinamento, sviluppa piani di incentivi per tecnologie non inquinanti, provvede a istituire meccanismi di valutazione dell'impatto ambientale, può preoccuparsi di coinvolgere le comunità locali nella gestione delle risorse (36).

Come osserva Vibhute, l'impatto della parte IV della Costituzione si è fatto sentire sulla politica indiana, che, in particolare nei piani per l'ambiente degli anni '80, ha mostrato di aver recepito il principio per cui la tutela dell'ambiente deve essere parte della politica di sviluppo (37).

Il quadro legislativo indiano per la tutela dell'ambiente è molto complesso. Ripercorrendone solo i momenti fondamentali, bisogna segnalare innanzitutto il Wild Life (Protection) Act del 1972, che disciplina la tutela di flora e fauna e fu promulgato in particolare per la caccia e il commercio di animali selvatici. Nel 1973 venne anche lanciato un progetto speciale per la tutela delle tigri (Project Tiger), aumentando l'estensione delle riserve naturali. Nel 1974 è entrato in vigore il Water (Prevention and Control of Pollution) Act, per la conservazione e il miglioramento dello stato dei corsi d'acqua. Altre importanti leggi anti-inquinamento sono l'Air (Prevention and Control of Pollution) Act del 1981 e l'Environment (Protection) Act del 1986, che rappresenta un tentativo di dare attuazione nell'ordinamento indiano alle decisioni prese nel corso della Conferenza di Stoccolma del 1972.

Per quel che riguarda la struttura istituzionale, nel 1980 venne istituito un comitato, il Tiwari Committee, dal nome del suo Presidente, al fine di elaborare proposte per il miglioramento della governance ambientale. Sulla base delle sue raccomandazioni già nel 1980 venne istituito un Department of Environment e nel 1981 venne istituito anche il National Committee for Environmental Planning. Nel 1985 è stato istituito il Ministry of Environment and Forests, che ha inglobato il Department of Environment. Nel 1995 è entrato in vigore il National Environment Tribunal Act, seguito nel 1997 dal National Environment Appellate Authority Act. Infine, nel 2002, è entrato in vigore il Biological diversity Act, che intende dare attuazione agli obbiettivi fissati dalla United Nations Convention on Biological Diversity firmata a Rio de Janeiro nel 1992.

Questa normativa di carattere eminentemente tecnico regola principalmente i poteri del governo nella gestione ambientale. Prendendo in considerazione l'Environment Protection Act, che ha carattere generale rispetto alle altre leggi, si può osservare che il governo centrale ha innanzitutto un potere di coordinamento nei confronti dei governi locali e degli altri organi pubblici. Inoltre il governo ha compiti di programmazione e il potere di determinare gli standard ambientali e di individuare le aree per le attività produttive in base a considerazioni di carattere ambientale. Il governo può anche finanziare ricerche e campagne, determinare procedure per la prevenzione dell'inquinamento, compiere ispezioni su stabilimenti e prodotti e anche ordinare la chiusura degli stabilimenti (38).

In generale, anche se le leggi per la tutela ambientale sono molto articolate, si pone il problema della loro effettività ed efficacia. Come osserva Vibhute:

Legislative policy pertaining to the environmental protection and improvement reflected in ... major anti-pollution Acts seems to be very impressive. Environmental laws in statutes books and laws in action do, however, exhibit a remarkable gap. One of the factors responsible for the malady, in the writer's view, is the almost absolute discretion and free hand given to Governments in 'manning' the Pollution Control Boards leaving scope for 'politicisation"... (39)

Lo stesso giudizio negativo è condiviso da Dias, che per questo motivo ritiene che il ruolo svolto dalla Supreme Court sia stato di eccezionale importanza per lo sviluppo della tutela dell'ambiente (40). In effetti, uno dei punti problematici del judicial activism della Supreme Court è che essa ha assunto anche compiti di policy making. Ad esempio, nel caso Vallore, il giudice Kuldip Singh lamenta le deficienze delle autorità locali nell'esercitare i loro poteri e nel contrastare le pretese di forti poteri industriali e, inoltre, ordina al governo centrale di costituire un'autorità ai sensi dell'art 3(3) dell'Environment Protection Act al fine di gestire i problemi ambientali nel Tamil Nadu, derivanti in particolare dall'industria conciaria. In modo ancora più significativo, nella sentenza si ordina che questa autorità ambientale debba applicare il polluter pays principle e il precautionary principle (41).

Questo aspetto dell'attività della Supreme Court è stato criticato perché ritenuto controproducente sul piano pratico e dannoso sul piano dell'equilibrio costituzionale. Come osservano Dam e Tewary, il funzionamento della governance ambientale non è migliorato negli ultimi anni, e una delle cause dovrebbe essere individuata proprio nel judicial activism della Corte, che ha rallentato lo sviluppo di una forte burocrazia, riducendola a mera esecutrice degli ordini della Corte, ed ha indebolito i meccanismi non giudiziari di protezione dell'ambiente. Secondo i due autori, per un effettivo miglioramento della tutela dell'ambiente, è importante che la Supreme Court interpreti il suo ruolo in modo diverso:

If the weakened institutional balance is to be saved from further depletion, the Supreme Court must withdraw itself from the alchemist role. All problems of life or conflicts of interest are not problems of law. The Court would do well to acknowledge that 'ills of governance' are best resolved when they are resolved by the conflicting interest holders themselves. And this as a natural corollary requires that the Court sparingly take cognisance of petitions filed in public interest ... If the Supreme Court prefers to continue with its indiscriminate exercise of discretion in petitions filed as 'social action litigation', it would have succeeded in polluting the institutional balance of the Indian Constitution. One may live in a polluted environment but not in a polity that has a 'polluted' Constitution (42).

Questa critica del ruolo svolto dalla Supreme Court è sicuramente incisiva nella misura in cui si preoccupa delle "normalizzazione" della tutela ambientale nei prossimi anni in India. D'altra parte, se adesso può porsi questo problema lo si deve solo al judicial activism del potere giudiziario, che ha "costruito" il diritto dell'ambiente indiano radicandolo nella tutela dei diritti fondamentali. In altri termini, la via non giudiziaria alla tutela dell'ambiente può adesso svilupparsi solo perché i diritti dei soggetti deboli della società indiana, i quali non riuscirebbero in molti casi a far valere i propri interessi contro più forti interessi economici e politici, sono stati posti al centro della giurisprudenza della Supreme Court.

Conclusioni

Alla fine di questa breve analisi, si può provare a enunciare qualche conclusione di carattere generale e a delineare nuove prospettive di ricerca. Il diritto indiano ha seguito dopo l'Indipendenza un percorso non lineare, recuperando alcuni concetti tradizionali e cercando di elaborare un nuovo modello rispetto a quello ricevuto in eredità dal periodo coloniale. Per quel che riguarda il diritto dell'ambiente, la giurisprudenza della Supreme Court e delle High Court ha cercato di costruire un nuovo modello peculiarmente indiano a partire dagli anni '80, muovendo da una situazione di grave insufficienza e immaturità dell'ordinamento. Questo modello si basa su un recupero di concetti tradizionali, inglobati nei doveri fondamentali, e su un esplicito riconoscimento della peculiarità delle esigenze del paese, in particolare in materia di accesso alla giustizia. I principi e le dottrine fondamentali sono stati elaborati rendendo operativi nell'ordinamento giuridico indiano alcuni principi di diritto internazionale e rielaborando alcune dottrine del common law inglese. Sotto questo profilo si può osservare che l'India indipendente non rifiuta la sua appartenenza alla tradizione di common law ma la reinterpreta senza complessi di inferiorità rispetto ai modelli inglese e americano. Questa autonomia "relativa" del diritto indiano sulla scena globale pone le premesse per una fase in cui l'India cominci a esportare i propri modelli e soluzioni giuridiche. L'analisi di questa circolazione di idee e regole deve considerare, da una parte, i paesi dell'area sud-asiatica e, dall'altra, i paesi in via di sviluppo. In entrambi i casi il modello indiano è autorevole per la somiglianza di contesto sociale. Ma una linea di ricerca ancora più promettente è quella relativa all'influenza che il diritto indiano può esercitare sulle decisioni dei paesi avanzati. Qui l'India può acquistare autorevolezza, a mio avviso, in particolare per la scala dei problemi che deve affrontare. In altri termini, la varietà degli interessi in gioco, la coesistenza di più modelli culturali, la stessa dimensione dei problemi possono portare a soluzioni originali capaci di attirare consenso in altre esperienze. Innegabilmente, un ulteriore aspetto interessante di una ricerca sulla circolazione del modello indiano si trova nel radicale ribaltamento delle prospettive coloniali che ne può derivare e nell'esigenza di ripensare colonialismo e post-colonialismo in un quadro totalmente nuovo.


Note

*. Relazione presentata al convegno di Italindia - Associazione italiana per l'India moderna e contemporanea, dedicato al tema "Il sorgere dell'India come grande potenza e la sua proiezione sull'esterno: realtà, miti, immagini", Roma 12-13 Giugno 2008.

**. Dipartimento di Scienze Giuridiche, Università di Torino (domenicofrancavilla@yahoo.it).

1. Ringrazio la Fondazione CRT, il Dipartimento di Scienze Giuridiche di Torino, il Dipartimento di Teoria e Storia del Diritto di Firenze per il loro contributo a questa ricerca in progress.

2. Un'interessante riflessione sul tema, condotta attraverso la distinzione tra "India oggetto" e "India soggetto" si può leggere in L. Lombardi Vallauri, "L'Asia universo di pensiero non più ignorabile", in A. Catania, L. Lombardi Vallauri (a cura di), Concezioni del diritto e diritti umani. Confronti Oriente-Occidente, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, pp. 19-49.

3. Per una discussione complessiva del problema si veda W.F. Menski, Hindu Law. Beyond Tradition and Modernity, New Delhi, Oxford University Press, 2003.

4. Si veda ad esempio U. Mattei, P.G. Monateri, Introduzione breve al diritto comparato, Padova, Cedam, 1997, p. 70.

5. La questione dell'imitazione nel diritto rimanda all'estesa letteratura sui legal transplants, a partire da A. Watson, Legal Transplants: An Approach to Comparative Law, Edinburgh, Scottish Academic Press, 1974.

6. Si veda sul punto D.D. Basu, Introduction to the Constitution of India, New Delhi, Wadhwa, 2004.

7. Si veda W.F. Menski, Hindu law. Beyond Tradition and Modernity, cit., p. 591 ss.

8. Si veda Ph. Cullet, Intellectual Property Protection and Sustainable Development, New Delhi, Lexis/Nexis Butterworths, 2005.

9. Va anche osservato che, dal punto di vista culturale, le tradizioni filosofiche e religiose sviluppatesi in India sono basate su concezioni olistiche del rapporto uomo-ambiente. In questo senso, l'India ha notevoli risorse culturali per elaborare politiche del diritto ambientale che siano più rispettose del vivente. Alcuni cenni sulle regole a tutela dell'ambiente nell'India classica possono trovarsi in S. Shanthakumar, Introduction to Environmental Law, New Delhi, Wadhwa, 2005, p. 73 ss.

10. È stato comunque osservato che uno dei motivi principali di questa scelta era in effetti l'aspettativa di poter ritenere risarcimenti maggiori da una corte statunitense, oltre che il timore che la Union Carbide potesse non accettare la giurisdizione di una corte indiana. Su questa vicenda si vedano M. Leigh, "In RE Union Carbide Corp. Gas Plant Disaster at Bhopal, India in December 1984. 634 F. Supp. 842", The American Journal of International Law, 80, 4 (1986), pp. 964-967, S. Divan, A. Rosencranz, Environmental Law and Policy in India. Cases, Materials and Statutes, 2a ed., New Delhi et al., Oxford University Press, 2001, e U. Baxi, Inconvenient Forum and Convenient Catastrophe: the Bhopal Case, Bombay, M.M. Tripathi, 1986.

11. Per un'estesa analisi delle vicende legali relative a Bhopal si veda il dossier on-line preparato dall'International Environmental Law Research Centre.

12. Shanthakumar, Introduction to Environmental Law, cit.

13. A. Dias, "Judicial Activism in the Development and Enforcement of Environmental Law: Some comparative insights from the Indian Experience", Journal of Environmental Law, 6, 2 (1994), pp. 243-262 (citazione alle pp. 243-244).

14. Sul judicial activism in generale nell'esperienza indiana si veda S.P. Sathe, Judicial Activism in India. Transgressing Borders and Enforcing Limits, 2a ed., New Delhi, Oxford University Press, 2002.

15. La dottrina costituzionalista indiana ritiene che la conservazione delle risorse naturali e la protezione dell'ambiente rientrassero negli articoli 39b e 47-49. In particolare, l'articolo 39b dispone che: "the State shall direct its policy towards securing that the ownership and control of the material resources of the community are so distributed as best to subserve the common good"; in base all'art. 49 "it shall be the obligation of the State to protect every monument or place or object of artistic or historic interest, declared to be of national importance, from spoliation, disfigurement, destruction, removal, disposal or export as the case may be."

16. Riportiamo il testo completo dell'articolo per dare un senso piu preciso dell'importanza che la tutela dell'ambiente riveste nel quadtro dei valori fondamentali della Repubblica indiana: "It shall be the duty of every citizen of India- (a) to abide by the Constitution and respect its ideals and institutions, the National Flag and the National Anthem; (b) to cherish and follow the noble ideals which inspired our national struggle for freedom; (c) to uphold and protect the sovereignty, unity and integrity of India; (d) to defend the country and render national service when called upon to do so; (e) to promote harmony and the spirit of common brotherhood amongst all the people of India transcending religious, linguistic and regional or sectional diversities; to renounce practices derogatory to the dignity of women; (f) to value and preserve the rich heritage of our composite culture; (g) to protect and improve the natural environment including forests, lakes, rivers and wild life, and to have compassion for living creatures; (h) to develop the scientific temper, humanism and the spirit of inquiry and reform; (i) to safeguard public property and to abjure violence; (j) to strive towards excellence in all spheres of individual and collective activity so that the nation constantly rises to higher levels of endeavour and achievement."

17. Su questo punto si veda S. Shanthakumar, Introduction to Environmental Law, cit., p. 86.

18. Si veda W.F. Menski, Comparative Law in a Global Context: The Legal Systems of Asia and Africa, Cambridge, Cambridge University Press, p. 269 ss.

19. Si veda S. Shanthakumar, Introduction to Environmental Law, cit., pp. 86-87.

20. Si veda Minerva Hills v. Union of India, AIR 1980 SC 1789, citato in S. Dam, V. Tewary, "Polluting environment, polluting Constitution: is a 'polluted' Constitution worse than a polluted environment?", Journal of Environmental Law, 17, 3 (2005), pp. 383-393.

21. S. Shanthakumar, Introduction to Environmental Law, cit., p. 91.

22. Infatti, in relazione alla tutela dei diritti fondamentali, l'art 32 stabilisce che:

"The right to move the Supreme Court by appropriate proceedings for the enforcement of the rights conferred by this Part is guaranteed.
The Supreme Court shall have power to issue directions or orders or writs, including writs in the nature of habeas corpus, mandamus, prohibition, quo warranto and certiorari, whichever may be appropriate, for the enforcement of any of the rights conferred by this Part.
Without prejudice to the powers conferred on the Supreme Court by clauses (1) and (2), Parliament may by law empower any other court to exercise within the local limits of its jurisdiction all or any of the powers exercisable by the Supreme Court under clause (2).
The right guaranteed by this article shall not be suspended except as otherwise provided for by this Constitution."

23. Il Principle 1 della Dichiarazione di Stoccolma (1972) afferma: "Man had the fundamental right to freedom, equality and adequate conditions of life, in an environment that permits a life of dignity and well-being". L'International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, 1966 non contiene espressamente il riconoscimento di un diritto ad un ambiente salubre, ma nell'interpretazione della UN Commission on Human Rights "State parties to the International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights, recognised the right of everyone to the enjoyment of the highest attainable standard of physical and mental health and agreed, for that purpose, to take steps, necessary for the improvement of all aspects of environmental and industrial health" UN Doc. E/CN.4/Sub.2/1994/9 (6 Luglio 1994).

24. Si vedano anche Attakoya Thangal v. Union of India (1990); Vijay Singh Puniya v. State of Rajasthan, (2004)

25. S. Dam, V. Tewary, "Polluting environment, polluting Constitution: is a 'polluted' Constitution worse than a polluted environment?", cit., p. 388.

26. Si veda S. Dam, V. Tewary, "Polluting environment, polluting Constitution: is a 'polluted' Constitution worse than a polluted environment?", cit., p. 387. Il principio è stato riaffermato nel caso Indian Council for Enviro-Legal Action v. Union of India (AIR 1996 SC 1466).

27. Si veda S. Shanthakumar, Introduction to Environmental Law, cit., pp. 106-107.

28. Si veda J. Razzaque, "Application of Public Trust Doctrine in Indian Environmental Cases", Journal of Environmental Law,13, 1 (2001), p. 227.

29. Si veda World Commission on Environment and Development, Our Common Future (Brundtland Report), London 1987.

30. Si veda D. Shanmuganathan, L.M. Warren, "Status of Sustainable Development as a Principle of National and International Law: The Indian Approach", Journal of Environmental Law, 9, 2 (1997), pp. 387-402.

31. D. Shanmuganathan, L.M. Warren, "Status of Sustainable Development as a Pinciple of National and International Law: The Indian Approach", cit., p. 400.

32. Si veda A. Dias, "Judicial Activism in the Development and Enforcement of Environmental Law: Some comparative insights from the Indian Experience", cit.

33. Ibidem.

34. Si veda J. Razzaque, Public interest environmental litigation in India, Pakistan and Bangladesh, The Hague, Kluwer Law International, 2004.

35. Si veda sul punto S. Shanthakumar, Introduction to Environmental Law, cit., p. 341 ss.

36. Si veda K.I. Vibhute, "Environment, Development and the Law: The Indian Perspective", Journal of Environmental Law, 7, 2 (1995), pp. 137-148.

37. K.I. Vibhute, "Environment, Development and the Law: The Indian Perspective", p. 140. Per una descrizione dei caratteri delle politiche ambientali si veda S. Shanthakumar, Introduction to Environmental Law, cit., p. 36 ss.

38. Si veda S. Shanthakumar, Introduction to Environmental Law, cit. Per una breve descrizione del diversi Pollution Control Boards istituiti dalle altre leggi contro l'inquinamento si veda K.I. Vibhute, "Environment, Development and the Law: The Indian Perspective", cit.

39. K.I. Vibhute, "Environment, Development and the Law: The Indian Perspective", cit., p. 148.

40. Si veda A. Dias, "Judicial Activism in the Development and Enforcement of Environmental Law: Some comparative insights from the Indian Experience", cit.

41. Si veda D. Shanmuganathan, L.M. Warren, "Status of Sustainable Development as a Pinciple of National and International Law: The Indian Approach", cit., secondo cui è essenziale che il governo indiano collabori all'applicazione delle regole di tutela ambientale poste dalla Corte.

42. S. Dam, V. Tewary, "Polluting environment, polluting Constitution: is a 'polluted' Constitution worse than a polluted environment?", cit., p. 393.