2015

Houellebecq e il katéchon

Leonardo Marchettoni




Scrive Alessandro Baricco su Repubblica del 20 gennaio che l’ultimo romanzo di Michel Houellebecq, benché presenti aspetti di interesse dal punto di vista stilistico, non costituisce nel complesso una prova particolarmente convincente, derivando dalla fusione, a tratti poco riuscita, di tre diversi testi: “un romanzetto di fantapolitica, un racconto dedicato al mesto declino umano di un accademico parigino e un saggio su J.K. Huysmans, uno dei padri del decandentismo tardo-ottocentesco”. Su questo punto mi sembra che Baricco abbia completamente frainteso l’impianto di Sottomissione.1 Non mi ritengo qualificato a pronunciarmi sul suo valore estetico, non essendo un critico letterario, né un docente di letteratura – per quanto possa dire che a me il romanzo è piaciuto molto. Credo di poter argomentare, invece, a favore della sua profonda unità. E penso anche che la tendenza a separare il “romanzetto di fantapolitica” dalla storia del triste François e delle sue riflessioni su Huysmans sia all’origine dell’equivoco di vedere Sottomissione come manifesto di islamofobia.

Andiamo dunque per gradi. Per quale motivo sarebbe sbagliato separare la ‘cornice’ fantapolitica dalla vicenda personale dell’io narrante e dalle sue considerazioni su Huysmans? Per tentare di rispondere a questa domanda non si può non introdurre qualche elemento riguardo al contenuto del libro. All’inizio della storia François si presenta come un professore universitario di 44 anni che, dopo quindici anni di insegnamento ha perso qualsiasi interesse per il proprio lavoro. Autore di una tesi di dottorato molto brillante, ha pubblicato alcuni lavori innovativi nei primi anni della sua carriera accademica per poi ritrarsi in una routine sempre più fiacca. Ormai limita al massimo la propria attività di insegnamento – un solo giorno alla settimana –, pubblica solo brevi pezzi d’occasione, intrattiene rapporti superficiali con i colleghi, non nutre interesse per la politica. Anche l’attività di intrattenere fugaci relazioni con le sue studentesse non sembra coinvolgerlo più di tanto.

E proprio dopo aver messo fine all’ennesima relazione con una delle sue allieve, François è colto dalla sensazione che la propria vita abbia ormai imboccato la strada di un irrimediabile declino. Dopo la nomina a professore ordinario non gli restano traguardi lavorativi cui aspirare. Il suo lavoro intellettuale, dopo i picchi della gioventù, non gli offre più alcuna gratificazione, né giustificazione. La sua vita amorosa, dopo la separazione da Myriam, non gli prospetta maggiori soddisfazioni. A questo punto si innesta il tema della ricerca di un metodo che gli consenta di reimpostare il quadro di riferimento della propria esistenza, arrestandone la caduta. Proprio qui diviene rilevante il confronto con Huysmans. Perché lo scrittore francese, cui François ha dedicato la sua intera attività di studioso, dopo aver condotto un’esistenza appartata nella Parigi della seconda metà del diciannovesimo secolo e dopo trent’anni di lavoro come funzionario ministeriale, concluse la propria vita in un’abbazia benedettina. Huysmans, che per François non è solo un eroe letterario ma un vero “amico” (p. 12), l’unico essere umano che, nel corso del libro, mostra di sentire umanamente vicino, diviene il modello da seguire per salvare la propria vita dal tracollo.

François, tuttavia, non possiede convinzioni da promuovere o vocazioni da seguire: “Io non sono per assolutamente niente” (p. 36, corsivo nel testo). Questa sua tiepidità lo rende inadatto a condividere i fervori del cattolico. In definitiva, la ricetta di Huysmans non si addice al suo caso. Qui interviene la ‘cornice’ fantapolitica. Perché proprio nei giorni in cui François riflette sulla sua condizione la Francia è scossa da un fatto politico senza precedenti: il partito dei Fratelli Musulmani ottiene un successo imprevisto alle elezioni e il suo leader, Mohammed Ben Abbes, diventa Presidente della Repubblica. Rapidamente, si notano alcuni cambiamenti. Mentre il nuovo esecutivo ottiene insperati successi economici – anche per l’appoggio delle “petromonarchie” mediorientali –, vengono approvate misure in contrasto con i ‘valori occidentali’ di laicità ed eguaglianza fra i sessi. Viene previsto un sistema di istruzione confessionale, che coinvolge anche l’Ateneo di François, costretto a un ricco pensionamento anticipato, e viene legalizzata la poligamia. Questi cambiamenti si verificano senza alcuna violenza: lo stesso Ben Abbes, di cui viene sottolineata soprattutto la grande abilità politica, tanto da essere paragonato a Napoleone e ad Augusto, disprezza i terroristi ed è mosso da smisurate ambizioni: aspira a diventare il primo Presidente di una nuova Europa a trazione mediterranea, che sappia contrapporsi efficacemente agli Stati Uniti.

Sarebbe facile, a questo punto, segnalare le semplificazioni in cui incorre Houellebecq. Ma non è questo il punto. Il punto è il significato che la variante rappresentata dall’islamizzazione soft della Francia ad opera di Ben Abbes rappresenta per François e per il suo mondo. François, da parte sua, era già in cerca di un sistema di vita a cui affidarsi, esaurita la spinta propulsiva della giovinezza che consentiva di tollerare il peso della libertà. E lo trova nell’Islam, sino ad abbracciare la nuova fede, recuperando la sua posizione accademica. Certo, si può dire che l’islamizzazione della Francia a opera di Ben Abbes – o meglio arabizzazione, perché l’islamismo di Ben Abbes è un islamismo eminentemente saudita, diretto a importare esclusivamente i valori, non solo religiosi, dei suoi partner mediorientali – si addica alle inclinazioni – maschiliste, classiste – che già François esibiva – si veda la sua difesa del patriarcato nel primo incontro con Myriam (pp. 35-6). Tuttavia, a ben vedere, queste inclinazioni non sono altro che una reazione ai fallimenti sentimentali e alle ristrettezze materiali della propria giovinezza, come una patina di cinismo distesa ed esibita per occultare la sua incipiente paura del declino e della solitudine. In questo contesto la conversione all’Islam offre una specie di assicurazione per un futuro nel quale status sociale, sicurezza economica, gratificazioni sessuali e, più in generale, un certo comfort di vita – si vedano la difficoltà di François ad assicurarsi pasti decenti e il suo atteggiamento nevrotico nei confronti delle incombenze burocratiche – non saranno a rischio.

L’Islam di Ben Abbes non è tanto una religione quanto un sistema sociale che risulta strategicamente appetibile per soggetti come François. Non solo, a esso François assegna anche il ruolo di argine contro il degrado sociale: dopo l’elezione di Ben Abbes a Presidente il tasso di criminalità scema drasticamente, la conflittualità nelle periferie scompare – in contrasto con gli scenari da guerra civile che aleggiavano prima dell’elezione –, l’economia improvvisamente rifiorisce. In questo senso, non è troppo diverso dal modello cattolico cui si era consegnato Huysmans: un complesso di credenze e di pratiche che promette/garantisce certe prestazioni, prima di tutto in capo ai soggetti coinvolti, ma poi, indirettamente, a vantaggio dell’intero sistema sociale. In definitiva, si può concludere che questo Islam rappresenti una forza catecontica – vale a dire, che opera come un katéchon, nozione introdotta da Paolo di Tarso nella Seconda lettera ai Tessalonicesi per indicare una forza o un soggetto capace di opporsi al dilagare dell’anomia fino alla vittoria finale del Signore Gesù– nel senso di una forza che opera per ‘mantenere in forma’ un certo assetto sociale, economico, politico, difendendolo dalle pressioni esterne che potrebbero travolgerlo.

Certo, il potere catecontico è un potere essenzialmente ambiguo, nella misura in cui – come è stato chiarito da ultimo da Massimo Cacciari2 – esso può espletare la sua funzione di contenimento soltanto assimilando la forza negativa che deve trattenere. Questa ambiguità si traduce nel modo in cui Cattolicesimo e Islam impongono un controllo sulle vite dei soggetti e del sistema sociale nel suo complesso, imbrigliandone le energie potenzialmente distruttive attraverso la selezione delle credenze e delle pratiche ammesse. Tuttavia, c’è una differenza. Il Cattolicesimo – quantomeno la variante di cattolicesimo di ascendenza medievale che François vagheggia – resta legato a una dimensione interiore di adesione che a François rimane preclusa, come si dimostra evidente nei suoi due soggiorni, prima presso il santuario di Rocamadour, poi presso l’abbazia di Ligugé. Il Cattolicesimo ha alimentato una civiltà durata oltre mille anni, come ricorda a François Alain Tanneur, marito di una sua collega ed ex funzionario dei servizi segreti, ma quei tempi sembrano ormai irrimediabilmente trascorsi. Il problema è che la modernità è stata segnata dall’enuclearsi di una soggettività ancora assente all’interno del cosmo medievale (p. 143). È proprio questa discrasia che segna il fallimento dei tentativi di François di ripercorrere le orme di Huysmans. L’Islam di Ben Abbes si presenta invece come una cornice religiosa connotata da un rapporto armonico con un sistema di leggi naturali, fisiche, biologiche ed economiche, rapporto che consente a essa di risultare anche più gratificante da un punto di vista edonistico. Particolarmente eloquente è, a questo proposito, tutta la scena della visita alla casa del nuovo Rettore dell’Ateneo di François, Robert Rediger. François, dopo aver apprezzato l’efficienza del maggiordomo di Rediger, il fascino dell’ultima moglie quindicenne e le attitudini culinarie della prima moglie, si intrattiene a lungo in una grande sala in cui quadri “con la riproduzione di versetti del Corano calligrafati” si alternano ad altri recanti “foto di grande formato, stampate su carta opaca, che raffiguravano ammassi galattici, supernove, spirali nebulose” (pp. 207-8), il tutto in mezzo al fogliame di piante verdi di edera, felce, vite vergine. L’immagine è emblematica di un sistema di credenze religiose – è ancora giustificato chiamarlo una religione? – che si pone in continuità con le leggi naturali; come spiega Rediger a François, “[p]er l’Islam, invece, la creazione divina è perfetta, è un capolavoro assoluto. Cos’è in fondo il Corano, se non un immenso poema mistico di lode? Di lode al Creatore e di sottomissione alle sue leggi” (p. 221). In questo sistema di credenze anche materie tradizionalmente associate a scelte di campo valoriali, come l’ammissibilità della poligamia e la distribuzione delle ricchezze, vengono risolte nell’ossequio alla legge di selezione naturale.

Per questa via diventa possibile mettere a fuoco il concetto di ‘sottomissione’ che dà il titolo al romanzo. La sottomissione non è tanto o soltanto quella della donna all’uomo – benché l’Islam di Ben Abbes e François siano tutti intollerabilmente misogini e maschilisti –, né quella dell’Europa e della cultura dell’Illuminismo ai valori – e ai soldi – dei colonizzatori. La sottomissione è soprattutto quella di François alle leggi della natura che il modello islamico rende tollerabili. Si genera così una duplicità di sistemi di leggi naturali: da una parte, ci sono le leggi naturali che detterebbero il declino e l’isolamento di François, che si annunciano con inequivocabili crisi psico-fisiche – insorgenza di malattie psicosomatiche, improvvise crisi di pianto (pp. 176-8); dall’altra, la sfera delle leggi naturali “addomesticate” dall’Islam che gli può garantire un sereno crepuscolo. La differenza, quella che getta un’ombra sull’affermazione finale di François secondo cui nella sua nuova vita di musulmano non avrebbe avuto “niente da rimpiangere” (p. 252), è il fatto che la conversione all’Islam coincide con la fine della vita intellettuale di François – simboleggiata dalla conclusione della prefazione alla prestigiosa raccolta di opere di Huysmans da lui curata, una prefazione nella quale rilegge l’intera carriera artistica di Huysmans alla luce della sua conversione, con ciò, di riflesso, autoassolvendo la propria – e del suo “lungo, lunghissimo rapporto con Joris-Karl Huysmans” (p. 239). Questa mancanza segna lo scarto tra due sistemi di leggi naturali: nel primo François è vocato al declino psico-fisico e alla solitudine; nel secondo, si trova al riparo da solitudine e malattia ma al prezzo di rinunciare alla propria libertà intellettuale. L’atto con cui François si sottomette all’Islam è l’atto di passaggio da un sistema all’altro. Giunto alla maturità, in una fase in cui l’esaurirsi dell’energia propulsiva della giovinezza non consente più di alimentare il dispendio della “libera frequentazione intellettuale di un amico” (p. 12), François baratta la propria libertà intellettuale e lo stesso rapporto con “l’amico” Huysmans, rapporto che aveva potuto coltivare grazie agli “ultimi resti di una socialdemocrazia agonizzante” (Ibid.), per la promessa di sicurezza materiale che gli viene dalla conversione all’Islam. Al tempo stesso, questo Islam si conferma come vera forza catecontica in quanto promette di arrestare indefinitamente la deriva entropica – la dissoluzione della soggettività psichica nella physis, un tema centrale nella produzione di Houllebecq, sin dai tempi di Estensione del dominio della lotta – sulla base di un modello sociale informato dalla consonanza con le leggi naturali, al prezzo della rinuncia alla propria autonomia cognitiva, alla facoltà di mettere in discussione le verità ufficiali e di assumere pubblicamente la posa del nichilista.

Su un diverso piano, ma sempre nell’ottica cinica e classista di François, la sottomissione è quella di un sistema sociale “agonizzante” che, per evitare il tracollo, si ‘converte’ a un modello di socializzazione più ‘forte’. In questo caso, la disgregazione è annunciata da fenomeni di conflittualità sempre più estesi e incontrollabili; mentre la pacificazione sociale imposta dal nuovo assetto sembra comportare una sorta di svuotamento e un rifugiarsi nella sfera del conformismo esteriore. Anche a questo livello emerge il potenziale catecontico dell’Islam di Ben Abbes/Houellebecq: nel senso che il nuovo modello di integrazione arresta la dissoluzione del precedente spegnendo, insieme a ogni favilla di conflittualità, anche le energie che erano alla base della sua produttività creatrice.

Da tutto ciò che precede dovrebbe risultare evidente come sia fuorviante separare i tre livelli distinti da Baricco: la cornice fantapolitica e il saggio su Huysmans sono parte integrante della storia del declino e della conversione di François. Ne deriva anche che ogni tentativo di leggere in chiave islamofobica Sottomissione risulta scarsamente convincente. Questo in primo luogo perché l’Islam di Ben Abbes non è proprio l’Islam tout court: è piuttosto un costrutto artificiale, una specie di patchwork assemblato assolutizzando alcuni tratti/alcuni stereotipi particolari, genericamente riconducibili a una matrice islamica. E poi perché la valenza di questo modello non è separabile dal ruolo che esso riveste nell’economia del romanzo, in primo luogo in rapporto al piano di vita di François. Non si tratta di un modello normativo ma di un contesto ideato per far reagire la situazione già instabile di François, per portarne allo scoperto i dissidi irrisolti e al tempo stesso per evidenziare per contrasto l’importanza di ciò a cui rinuncia. In questo senso, François non è Houellebecq.3 Lo si comprende dal modo in cui François accetta, pur senza esserne persuaso, le puerili elucubrazioni con le quali Rediger vorrebbe dimostrare l’accordo tra teismo islamico e visione scientifica del mondo; dal modo in cui conclude, senza troppi rimpianti, la propria attività intellettuale, licenziando quello che sa essere l’ultimo suo saggio su Huysmans; dal modo, infine, in cui giustifica, innanzitutto ai propri occhi, la politica sociale e i cambiamenti di costume impressi dal nuovo esecutivo.

Così che, se una morale si può trarre da Sottomissione non è certo quella di guardarsi dall’Islam ma semmai quella di intervenire per tempo, prima che i nodi che conducono alla conversione diventino inestricabili. L’accento di Houellebecq è più su quello che François perde che su quello che guadagna: non solo la propria libertà intellettuale, la capacità di esercitare liberamente la propria intelligenza critica, ma soprattutto la possibilità di intrattenere relazioni umane non mercificate, come quelle con le escort o con i colleghi del mondo accademico. Non a caso la caduta di François diviene inarrestabile nel momento in cui lascia partire senza opporre nessuna resistenza Myriam, l’allieva/amante che François vede solo come oggetto sessuale, nonostante Myriam gli dimostri un attaccamento più profondo. A François rimane solo la lunga amicizia con Huysmans, ma anche quella dovrà chiudersi per lasciare spazio all’attonita sicurezza della sottomissione.4



1 Milano, Bompiani, 2015. Tutte le successive citazioni saranno da questa edizione.

2 Il potere che frena, Milano, Adelphi, 2013.

3 A partire dalla scelta del nome, indubbiamente emblematica del carattere rappresentativo del personaggio, rispetto alla condizione di un’intera nazione, come ha giustamente sottolineato Mauro Barberis, “Massacro preventivo. Su Baricco critico di Houellebecq”, MicroMega online, 11 febbraio 2015, http://temi.repubblica.it/micromega-online/massacro-preventivo-su-baricco-critico-di-houellebecq/.

4 L'autore ringrazia Luca Baccelli per alcuni utili commenti su una versione precedente di questo testo.

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