2009

Diritti fantasma?
Considerazioni attuali sulla proliferazione dei soggetti (*)

Alessandra Facchi

1. Premessa

Previsioni sul futuro dei diritti è difficile farne, ma è innegabile che negli ultimi decenni si sia verificato un costante incremento delle rivendicazioni di nuovi diritti, di nuovi soggetti titolari, di nuove interpretazioni di diritti consolidati, così come delle istituzioni e dei movimenti che si richiamano ai diritti, delle funzioni che ad essi vengono affidate e dei contesti in cui ciò avviene. Un incremento diffuso che ha, in generale, determinato una certa confusione e, in particolare, un aumento della conflittualità tra nuovi e vecchi diritti, nuovi e vecchi soggetti. Nel quadro di proliferazione dei diritti (e dei discorsi sulla loro proliferazione) sono sorte posizioni che, paventando rischi di inflazione e svuotamento della forza dei diritti, hanno spinto alla loro ridefinizione proponendo nozioni chiuse di diritti fondamentali, nonché di diritti tout court. In questa altrettanto "dilagante retorica dell'antiretorica dei diritti" (1) la proposta più diffusa è quella comunemente chiamata 'minimalismo' che individua una risposta alla proliferazione nel riposizionamento dei diritti fondamentali nei soli diritti di libertà e dunque nell'esclusione o almeno nel ridimensionamento dei diritti economici e sociali. Una posizione che, come è stato da più parti convincentemente mostrato, veicola istanze politico economiche più che preoccupazioni di purismo giuridico o di protezione di libertà fondamentali.

In questo intervento prenderò però le mosse da un altro aspetto della proliferazione dei diritti (connesso a eventuali sviluppi di posizioni di contenimento), più propriamente quello della proliferazione dei soggetti. In due sensi: dell'incremento dei soggetti titolari di diritti (2) e dell'incremento di soggetti che rivendicano diritti altrui, con conseguente aumento delle interpretazioni diverse dello stesso diritto e dunque dei diritti stessi. Entrambe queste tendenze mi paiono frequentemente fondarsi su una concezione dei diritti fondamentali come interessi o valori che non assume come rilevante la volontà delle persone a cui sono attribuiti. Concezione che permette da un lato di moltiplicare i titolari dei diritti, dall'altro di legittimare le interpretazioni e le rivendicazioni di diritti da parte di soggetti altri rispetto ai loro titolari.

In particolare il dibattito politico istituzionale italiano è sempre più caratterizzato da richieste di diritti da parte di collettività o istituzioni in nome di soggetti individuali. Soggetti che non hanno scelto o non hanno la capacità di scegliere di essere rappresentati. Si difendono e rivendicano tranquillamente diritti di soggetti che non sono e non saranno mai in grado di comprendere cosa ciò voglia dire: diritti di tutti gli esseri (neanche viventi: esseri che non esistono e forse non esisteranno); diritti che prescindono o anche contrari alla volontà dei titolari, assumendo che corrispondano ad un loro interesse o all'interesse della collettività, spesso sembrando dimenticare la possibilità di contrasto tra i due interessi. In differenti contesti si manifesta una definizione istituzionale e sostenuta da etiche particolari dei contenuti di diritti fondamentali e, corrispettivamente, un affievolimento del ruolo del soggetto, della volontà individuale nell'esercizio dei diritti stessi. L'impressione è che da un lato si sia andati verso una privatizzazione dell'attuazione dei diritti, dall'altro verso una pubblicizzazione della loro rivendicazione e interpretazione (3).

Mi pare insomma che si vada diffondendo, in forme più o meno esplicite, una concezione dei diritti individuali come realizzazione di un valore collettivo che può imporsi sulla scelta dei lori titolari. E che la tensione tra valori e interessi di gruppo e libertà e interessi delle persone e la "frattura sempre più acuta tra la dimensione identitaria collettiva e la dimensione identitaria individuale" (4) assumano spesso la forma di un conflitto tra diverse visioni dei diritti individuali e della loro disponibilità, più che quella, ormai acquisita, tra diritti collettivi e individuali. L'assorbimento della persona nel gruppo avviene anche in nome dei suoi diritti.

La tendenza - da più parti rilevata nel dibattito pubblico - "ad un discorso "etico" in cui scompaiono i soggetti concreti", coinvolge anche il discorso sui diritti (5). Su casi e questioni difficili si confrontano principi, valori e etiche che di frequente prescindono dalle singole situazioni, dagli interessi, dai valori, dalla volontà delle persone in essi direttamente coinvolte.

Si possono ricordare in proposito tre questioni centrali nel dibattito pubblico italiano delle passate legislature, ancora in discussione, comunemente ricondotte ai "diritti civili" (6): i diritti dell'embrione, il diritto alle scelte finali sulla propria vita, i diritti delle persone conviventi (7).

I diritti dell'embrione, in particolare il diritto alla vita e all'integrità fisica, rivendicati nell'ambito del dibattito intorno alla legge sulla fecondazione assistita, sono diritti di un soggetto con particolari caratteristiche: non può esprimere una volontà, non ha ragione, non ha giudizio morale, coscienza e, almeno nelle prime settimane di vita, si può presumere neanche sensibilità alla sofferenza. Nella regolamentazione delle scelte di fine vita alla visione (8) di coloro che mantengono la centralità della volontà individuale nella scelta della propria vita e del momento in cui questa non è più degna di essere vissuta, si contrappone quella di coloro che sostengono il diritto alla vita come assoluto, indisponibile, sottratto alla volontà e alla scelta razionale del titolare della vita stessa. Infine al riconoscimento e alla regolamentazione dei diritti di persone conviventi (9), si sono contrapposti gli interessi della famiglia "naturale" - che si assume composta da donna e uomo e fondata sul matrimonio - interessi che in molti discorsi sono rivestiti della forma di diritti. I diritti della famiglia naturale sono diritti di un soggetto collettivo, un tipo particolare di famiglia, rivendicati in una particolare interpretazione da soggetti istituzionali che assumono implicitamente la veste di suoi rappresentanti.

I diritti dell'embrione, il diritto indisponibile alla vita, i diritti della famiglia naturale, pur riferendosi a tre situazioni molto diverse, hanno in comune l'essere diritti fondati su un'etica particolare che si intende universalizzare, formulati e rivendicati da istituzioni (10). Sono inoltre casi di diritti definiti dall'esterno che, in diverse forme, assumono come irrilevante o subordinata la volontà e la scelta se esercitarli o meno dei loro titolari. Al di là di quelli citati e anche al di là del contesto italiano, sono frequenti nel panorama dei discorsi sui diritti le situazioni in cui collettività e istituzioni si presentano - e in gran parte sono riconosciuti - come legittimi interpreti e rappresentanti di diritti di altri soggetti in quanto portatori di una morale o di un interesse collettivo (11).

L'ambito in cui i conflitti tra etiche e diritti collettivi e diritti individuali sono stati maggiormente tematizzati è quello del multiculturalismo. La tendenza a semplificare, creando identità religiose o culturali omogenee e identificando organizzazioni comunitarie come loro rappresentanti, è d'altronde una costante delle società e delle politiche multiculturali. La conseguenza è spesso un'esasperazione dei contrasti tra principi e visioni etiche differenti, un incremento dei conflitti e un appiattimento dei soggetti, dei loro interessi e diritti su quelli sul gruppo cui sono considerati appartenere (12). I rischi per le libertà individuali del riconoscimento di diritti a gruppi etnici o religiosi minoritari sono stati ampiamente messi in luce, (13) ma questi rischi sono tanto più rilevanti quanto più i soggetti collettivi si assumono come rappresentanti non di una minoranza, ma di un'ampia parte della popolazione nazionale o mondiale.

Lo stesso diritto di libertà religiosa, secondo un'importante tradizione modello originario di tutti i diritti di libertà, è oggi fortemente caratterizzato dalla dimensione collettiva. Nella legislazione e nella prassi politica di vari Stati nazionali, la libertà individuale di coscienza e di esercizio di un culto passa sempre più in secondo piano rispetto al diritto collettivo di organizzazione delle istituzioni e delle pratiche di culto, che costituisce un asse centrale nei rapporti tra Stato e comunità religiose.

Se poi ci spostiamo dall'ambito interno alle società nazionali all'ambito dei rapporti internazionali emerge con evidenza l'assunzione da parte di Stati, organizzazioni e agenzie sovranazionali del ruolo di definizione e tutela dei diritti di individui e talvolta di interi popoli. Diritti che sono presentati come l'obiettivo di interventi di vario genere, che arrivano a comprendere anche azioni e invasioni armate, senza che i loro titolari siano consultati né sull'intervento stesso, né sulla forma in cui questo si dovrebbe attuare (14).

Sul piano nazionale come su quello internazionale l'esito è noto: l'invocazione di diritti si presenta sempre più come un'arma retorica finalizzata a legittimare opzioni morali e politiche, nonché strategie economiche e militari di controllo e supremazia.

Nel complesso, insomma, mi pare che la diffusione del lessico dei diritti e la sua appropriazione da pare di agenzie e istituzioni nazionali e sovranazionali stia passando anche attraverso l'accreditamento di una concezione del diritto soggettivo come interesse socialmente definibile che si impone o prescinde dalle volontà dei titolari. Una concezione che amplifica il ruolo politico dei soggetti portatori di visioni collettive del bene e riduce i margini di libertà decisionale dell'individuo singolo, ne sostituisce il ruolo di rivendicazione attiva con quello di destinatario passivo, fino a trasformare in alcuni casi i diritti in doveri.

Ma c'è qualcosa che non va in diritti costruiti, rivendicati, interpretati e fatti valere da altri soggetti rispetto ai loro titolari, soprattutto quando questi "altri" sono gli stessi soggetti sociali e istituzionali per tutelarsi dai quali i diritti si sono affermati. Lo Stato, ma anche la famiglia, le comunità, le chiese. C'è qualcosa che non va innanzitutto perché i diritti sono nati proprio come strumenti dell'autodeterminazione dell'individuo, testimoni di un'eguaglianza che prescinde dalle appartenenze.

2. Volontà e autonomia individuale come fondamento storico dei diritti

Una concezione che mette in secondo piano la volontà e la partecipazione attiva dei titolari nell'esercizio dei diritti, relegandoli ad un ruolo di soggetti protetti, contrasta con i fondamenti filosofici e antropologici dei diritti, almeno dei diritti di prima generazione. Nell'età moderna il titolare di diritti l'uomo del contratto sociale e più tardi l'uomo della Dichiarazione dell'89, è un soggetto razionale, "monade" astratta da ogni comunità eccetto quella nazionale, capace di esercitare la propria volontà, di impegnarsi e mantenere gli impegni assunti, di rivendicare i propri diritti. E' un individuo "autonomo".

Il rapporto tra autonomia individuale e diritti si delinea attraverso una complessa costruzione storico-teorica, di cui mi limito a ricordare alcuni passaggi a partire dalla nozione di "dominium" (15). L'uomo, essere razionale è proprietario di sé, del proprio corpo, delle proprie azioni e in quanto tale è uomo libero. Vita, libertà e proprietà non sono soltanto la triade originaria dei diritti naturali dell'uomo ma in vari autori si fondano su una comune visione del rapporto del soggetto con i propri beni, di cui è signore e dunque di cui può liberamente disporre. Questa visione proprietaria di sé e dei propri diritti, già contenuta nell'"habeas corpus", si diffonde nel giusnaturalismo moderno ed è pienamente espressa nella teoria dei diritti naturali di Locke. D'altro canto anche l'indisponibilità è parte integrante della storia dei diritti fondamentali, in particolare della libertà individuale che è il diritto indisponibile per eccellenza. (16)

Sia la tradizione giuridica del diritto soggettivo sia quella filosofica contrattualista (17) si sviluppano intrecciandosi alla concezione moderna della persona come individuo con un valore etico autonomo che si pone come interlocutore del potere politico. (18) Il titolare di diritti è, riprendendo l'espressione di Paolo Grossi, : "il soggetto fisico, un soggetto psicologicamente liberato che non ha più bisogno di rannicchiarsi in protettivi assetti comunitari" (19).

Un individuo portatore di interessi e volontà in proprio a prescindere dalla comunità di appartenenza, che verrà posto di fronte ad una legge eguale per tutti, indifferente alle differenze. La legge deve essere eguale perché gli uomini sono eguali, ciò che rileva è la natura comune di esseri umani razionali. L'ambizione universalistica dei diritti è legata all'individualismo: i diritti appartengono a tutti gli individui che li riconoscono attraverso l'elemento che hanno in comune a prescindere dalla loro origine, cultura, religione e appartenenza di gruppo: la ragione.

Nella teoria liberale ottocentesca i diritti diventano i custodi dello spazio di autodeterminazione dell'individuo adulto e capace, di quello spazio in cui ciascuno sa e può decidere il proprio bene e nessuna ingerenza è giustificata se non in caso di danno ad altri. Non è giustificata l'ingerenza dello stato, primo antagonista della libertà individuale, ma neanche di altre istituzioni e poteri. In Mill è infatti chiara la consapevolezza, già presente nella riflessione illuminista, che limiti alle libertà possono venire anche da poteri privati. La positivizzazione dei diritti di libertà avviene dunque su di uno sfondo teorico dominato dalla visione antipaternalista che ripropone la sovranità/proprietà dell'individuo sul proprio corpo, mente, azioni.

L'autonomia individuale è, com'è noto, una nozione problematica, plurale e controversa che, a partire da Kant, costituisce uno dei fulcri del dibattito di filosofia morale e politica (20). In quest'ambito si può delineare grossolanamente il passaggio da una concezione di autonomia individuale "negativa", intesa cioè come libertà da vincoli e supplenze esterne, l'autonomia dell'uomo moderno, ad una concezione di autonomia "positiva", intesa come capacità della persona di decidere e agire in proprio, darsi da sé delle regole, di usare la propria volontà e consapevolezza per fare scelte non dirette da altri soggetti (21). Negli ultimi decenni la nozione di autonomia individuale (o personale) è usata in contesti eterogenei e con significati differenti (22), ma pur nella molteplicità delle sue formulazioni, essa mantiene una base comune nell'idea di una persona capace di operare scelte per sé e responsabile di queste scelte.

L'autonomia è evidentemente una nozione convenzionale e graduale: ogni persona, ogni pensiero e azione, esprimono gradi diversi di autonomia, l'autonomia assoluta non è raggiungibile (23). Se ne possono elaborare indicatori, ma anche i criteri di riferimento dell'autonomia sono culturalmente variabili e determinati dal contesto di appartenenza del soggetto (24). Sul piano giuridico l'idea di persona autonoma si consolida nell'Ottocento come il requisito necessario per essere un soggetto con capacità di agire e piena titolarità di diritti e di doveri. Si traduce dunque in uno status che corrisponde alla piena cittadinanza, solo l'uomo autonomo è membro della comunità politica: donne, bambini, esseri umani portatori di gravi handicap mentali o sottoposti a forme forti di oppressione fisica e psicologica non sono considerati autonomi (25).

Anche nella prospettiva dei movimenti sociali il riconoscimento di uno status di autonomia ha rappresentato un passaggio imprescindibile per l'estensione dei diritti civili e politici a categorie che ne erano escluse. L'autonomia individuale si pone al contempo come presupposto e obiettivo dei diritti di libertà. Per molto tempo i diritti non sono stati riconosciuti alle donne, né agli uomini sotto un determinato reddito, proprio perché considerati dipendenti da altri, non sufficientemente istruiti, non in grado di esercitare una libera scelta, dunque non autonomi. La conquista dello status di autonomia viene dunque a coincidere con quella dell'eguaglianza nei diritti. Autonomia e eguaglianza sono storicamente correlate. La percezione dell'eguaglianza è parte inscindibile di una cultura dei diritti, ed è un'eguaglianza fondata sul valore di ciascun individuo. Non è un caso che il radicamento dei diritti umani sia ancora oggi più difficile in società costruite su diseguaglianze e differenze legate alla nascita. Feinberg coglie appieno quest'aspetto quando scrive "it is claiming that gives rights their special moral significance... Having rights enables us to "stand up like men", to look others in the eye and to feel in some fundamental way the equal of anyone" (26).

3. Volontà, interesse o tutte e due?

Le considerazioni fatte sia con riferimento al dibattito attuale sia ai presupposti filosofici dei diritti attengono all'ambito della retorica dei diritti, dunque a discorsi che, pur influenzando il diritto positivo, non coincidono con esso. Sono inoltre considerazioni che non ambiscono alla definizione di ciò che è (o non è) un diritto soggettivo. Tuttavia sottolineare l'elemento della volontà individuale riporta alla classica opposizione tra will/choice theories e interest/benefit theories, cioè tra concezioni che individuano l'elemento costitutivo del diritto soggettivo nella volontà o nella scelta del titolare del diritto, riconosciuta da norme giuridiche o morali, e concezioni che lo individuano in un interesse protetto o promosso da norme giuridiche o morali. E dal momento che la controversia tra i sostenitori delle due posizioni "fa riferimento congiuntamente e inscindibilmente alla chiarificazione della struttura dei diritti e all'individuazione del loro scopo, senso, o point" (27), può essere opportuna una precisazione.

In breve: le posizioni di Hart e MacCormick sono, notoriamente paradigmatiche delle due differenti opzioni (28). Prendendo le mosse dalla critica alla "benefit theory" di Jeremy Bentham, Hart afferma che "one who has a right has a choice respected by the law" (29). La scelta individuale di farlo valere o no (sollevando il destinatario dell'obbligo) caratterizza dunque - secondo questa visione- il titolare di un diritto rispetto a tutti coloro che sono beneficiari di obblighi altrui. Ci sono tuttavia casi in cui il titolare di un diritto non può sollevare dall'obbligo corrispondente: alla definizione di diritto come scelta o volontà del titolare sfuggono molti casi di diritti disposti e tutelati dagli ordinamenti giuridici. Il limite delle "will theories" è nel fatto che di diritti, morali e giuridici, sono titolari soggetti che non possono esercitare una volontà o una scelta, non possono rivendicare, difendere, rinunciare ad un diritto. In primo luogo i bambini, ma anche i malati terminali, i portatori di gravi handicap ed altri soggetti. Senza considerare i diritti indisponibili il cui esercizio è sottratto alla scelta del titolare: com'è noto, non si può rinunciare al diritto di non essere torturati o alle garanzie del processo penale, ma neanche ad alcuni fondamentali diritti dei lavoratori, come la retribuzione o la sicurezza. "Più sono inalienabili meno sono diritti", questo è secondo MacCormick il paradosso delle teorie della volontà (30).

Con riferimento ai diritti dei bambini, MacCormick ha mostrato come esistano diritti indipendenti dalla volontà di chi ne è titolare (31). Non soltanto "a baby cannot in fact, cannot in morals, cannot in law relieve his or her parents of their duty towards him or her in those matters", ma ciò non è possibile neanche ad altri soggetti che agiscano in loro nome (32). Il diritto morale - che è diventato anche diritto giuridico - del bambino ad essere nutrito, curato e, se possibile, amato precede i doveri in cui si traduce.

Una concezione che fa valere l'esistenza di un diritto come tutela giuridica di interessi permette di includere sia la classe dei diritti indisponibili, sia i diritti di soggetti giuridicamente incapaci. Non solo ma, seguendo MacCormick, appare anche più opportuna: non è la stessa cosa dire che i bambini hanno diritto ad essere trattati in un certo modo e dire che i genitori, o altri soggetti, hanno il dovere di farlo. Dire che i bambini hanno diritti qualifica il loro benessere come fine in sé, mentre i doveri di cura potrebbero essere fondati su ragioni di altra natura, ad esempio che i bambini devono essere nutriti e curati affinché non diventino un peso per il contribuente (33).

E' evidente che attribuire diritti, piuttosto che meri interessi e obblighi corrispondenti ha dei vantaggi (34). Perché si dovrebbe rinunciare ai diritti dei bambini e di altri soggetti incapaci di farli valere in proprio? Soggetti che, per inciso, appaiono anche quelli più bisognosi di tutela attraverso i diritti, proprio perché in posizioni deboli. In altri termini sostenere che titolari di diritti possono essere soltanto soggetti che possano dirsi autonomi è difficile dal punto di vista del diritto "as it is" e non pare auspicabile da punto di vista del diritto "as it should be" (35).

Ma è necessario negare diritti ai bambini per poter affermare che la volontà, la rivendicazione e la scelta individuale sono elementi fondamentali del diritto soggettivo? A me pare di no. Mi pare semplicemente che si possa assumere che mentre l'interesse è elemento necessario del diritto, la volontà del titolare nell'esercizio di quell'interesse ne è elemento caratterizzante, per rinunciare al quale ci vogliono ottime ragioni. Ragioni da valutare caso per caso.

La volontà/scelta del titolare di un diritto è un elemento che può assumere differenti intensità, ma la cui assenza completa dovrebbe essere ammissibile solo in casi tassativi, da giustificare volta per volta in base ad un'opinione socialmente condivisa dell'opportunità di tutelare come diritto quell'interesse che prescinde dalla volontà del suo titolare. Insomma l'esistenza e anche l'opportunità di alcuni diritti attribuiti a soggetti che non possono esercitarli direttamente non è una buona ragione per estendere senza limiti il meccanismo della rappresentanza moltiplicando i diritti a prescindere (o addirittura contro) la scelta del titolare, soprattutto quando gli interessi che si vogliono tutelare possono essere tutelati senza ricorrere ai diritti.

L'accentuazione della volontà/scelta come componente del diritto soggettivo mantiene uno spazio non assoluto ma non per questo irrilevante. Essa coopera ad una serie di funzioni: di impedire la sottrazione della volontà a chi ce l'ha; di considerare eccezioni i casi in cui si riconoscono diritti a soggetti non autonomi; di valorizzare la scelta e l'interesse individuale al di là delle rivendicazioni collettive, dunque di fissare limiti e garanzie alla rappresentanza; di sottoporre ad un vaglio la proliferazione dei soggetti, diminuendo la conflittualità tra diritti (36).

D'altronde l'opposizione reciprocamente escludente non sembra una strada obbligata neppure per Hart che riconosce che la teoria della volontà non si applica a diritti umani fondamentali (37), né per MacCormick per il quale, salvo nei due casi dei diritti dei bambini e degli incapaci, ci sono "buone ragioni per permettere agli individui di scegliere se avere o no ciò che loro stessi o altri pensano sia bene per loro", dunque in tutti i casi "normali" i diritti dovrebbero comprendere anche il potere di rinunciarvi o di darvi attuazione (38).

Più in generale la mia impressione è che in questo, come in altri casi, le definizioni esclusive, le opposizioni dicotomiche non soltanto non siano adeguate a rendere conto dei fenomeni a cui si applicano, ma possano essere anche all'origine di contrapposizioni che confondono (39).

Un'altra precisazione mi pare opportuna in relazione al fatto che le will theories - dal momento che si incentrano sull'autonomia e sulla scelta individuale - sono frequentemente sovrapposte alle concezioni minimaliste o puriste, cioè a quelle concezioni che identificano i diritti con le cosiddette libertà negative, mentre le interest theories - poiché individuano l'elemento costitutivo dei diritti in interessi e bisogni - si presentano più adeguate ad includere i diritti economico-sociali. (40)Questa correlazione, se pur ha avuto storicamente una funzione, non ha alcuna necessità: sostenere la centralità della scelta e della volontà individuale non significa escludere la rilevanza dei diritti economici-sociali. Direi anzi che la visione dei diritti economico-sociali come bisogni di soggetti non autonomi, che pur è alla loro origine (41), è stata superata da tempo, appunto da quando da misure di solidarietà si sono trasformati in diritti di tutti/e. Continuare ad assumere implicitamente una corrispondenza tra diritti economici-sociali e condizione di passività dei titolari può ribaltarsi in un argomento a favore dell'esclusione dei diritti sociali dai diritti fondamentali. (42) Senza contare che la volontà individuale costituisce (o dovrebbe costituire) in gran parte dei casi anche una componente centrale nell'esercizio dei diritti economico-sociali sia per quanto riguarda la scelta se accedere o no alle prestazioni corrispondenti, sia per quanto riguarda le modalità della loro attuazione (43).

4. Autonomia e diritti: la rivisitazione femminista

Voglio infine provare a prendere in considerazione la questione da un punto di vista normativo: quello della teoria femminista. Un punto di vista significativo anche perché il femminismo è una delle correnti di pensiero che più radicalmente ha messo in discussione l'idea di autonomia individuale e i diritti come espressione di questa idea (44).

Nella Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina scritta nel 1791 da Olympe de Gouges, la preoccupazione principale è quella di costituire la donna come persona autonoma, responsabile e eguale all'uomo, con parità non soltanto di diritti, ma anche di doveri: "l'identico contributo alle spese pubbliche, l'identica soggezione ai rigori della legge penale."

La conquista dell'autonomia giuridica è stata il traguardo che ha tolto i paletti alla conquista dell'autonomia economica e sociale, alla donna "come soggetto costituitosi autonomamente indipendentemente dalle pretese e dalle aspettative (appunto: dallo sguardo) di un altro" (45). Un altro rappresentato in primo luogo da quei soggetti, persone e istituzioni, più vicini e legittimati a dire l'interesse della donna.

Uno dei principali passaggi nel percorso di conquista dell'autonomia femminile è lo svincolamento da soggetti collettivi, in primo luogo dalla famiglia. In nome della famiglia si è giustificata la compressione dei diritti delle donne in quanto mogli, in quanto madri, in quanto persone esterne che entravano in rapporto con il maschio marito e padre (46). Una volta superata la possibilità di attribuire alla moglie minori diritti semplicemente in quanto donna, la famiglia ha dunque funzionato, e in forme meno palesi funziona ancora, come legittimazione della discriminazione. Questo meccanismo si riproduce anche rispetto ad altre collettività: ogni volta che si rivendicano diritti di (o da parte di) un gruppo ne deriva un potenziale pregiudizio per i diritti delle donne che vi appartengono (47). Dal punto di vista delle donne la definizione collettiva dei loro diritti è sempre pericolosa, da qualunque parte essa provenga. Senza considerare che ancora oggi in tutto il mondo le vittime privilegiate di misure e azioni intraprese in realizzazione di diritti di gruppo sono le donne, si tratti di diritti della famiglia, della cultura, della religione ecc. (48)

Mentre nella prima lunga fase del femminismo occidentale la costituzione della donna come soggetto autonomo, proprietaria di sé, sottratta ai poteri patriarcali e il pieno accesso ai diritti collegato a questo status sono stati l'obiettivo fondamentale, nella seconda fase - iniziata indicativamente nell'ultimo ventennio del Novecento - l'idea di autonomia individuale e la sua traduzione in diritti e norme giuridiche vengono ampiamente problematizzati.

La teoria femminista riprende e rielabora una critica classica ai diritti, quella che mette in discussione la visione atomistica della società, la concezione delle persone -titolari di diritti - come soggetti isolati, autonomi e indipendenti (49) e il correlato modello contrattualista di relazioni sociali. Si fa valere lo scarto tra soggetto costruito e soggetto reale: l'essere umano (maschio e femmina) non è, o almeno non sempre, in quella condizione di razionalità e autonomia che si assume come presupposto dei diritti, ma all'opposto in una situazione di dipendenza, incertezza e bisogno. Di conseguenza i rapporti sociali non sono sempre riconducibili al modello di rapporti tra soggetti eguali, razionali, responsabili, capaci di esercitare diritti e stipulare un contratto (50).

Uno dei contributi più significativi in questa prospettiva viene da Elisabeth Wolgast, che, richiamando Lyons e Feinberg, parte dall'idea di diritti come proprietà morale degli individui di cui la rivendicazione è elemento essenziale: "il diritto mette il detentore in una posizione assertiva in cui ha la possibilità di rivendicare" (51). Proprio per questi caratteri costitutivi "lo schema dei diritti strumento potente e utile, risulta talvolta inadeguato agli usi che ne facciamo" (52). Quando è inadeguato? Quando i soggetti a cui vengono attribuiti diritti non sono autonomi, ma sono in relazioni complesse di dipendenza da coloro nei cui confronti dovrebbero rivendicare i diritti stessi, come nel caso dei rapporti tra paziente e medico o tra genitori e figli. Oppure quando sono in relazioni così intime da non potersi scindere e contrapporre gli interessi di ciascuno, come nel caso della madre con il feto (53). I diritti sono "sbagliati" o perché - come nel primo caso - non offrono tutele adeguate e impediscono di cercarne altre che lo siano, o perché - come nel secondo caso - aumentano la conflittualità invece che diminuirla (54). In queste situazioni è la mancanza di autonomia - di una delle parti o reciproca - ad ostacolare l'applicazione dei diritti.

In sintesi l'argomento di Wolgast pare così riformulabile: i diritti si fondano su determinati presupposti - autonomia e rivendicazione - dunque non sono adatti a tutelare gli interessi e i bisogni di soggetti che non hanno, o non hanno in specifici momenti, queste caratteristiche. Non auspica dunque l'abbandono dei diritti, né la trasformazione dei loro caratteri essenziali, come talvolta è stato scritto, ma solo la loro riduzione a quelle situazioni concrete in cui il titolare dei diritti si possa presumere relativamente autonomo e in grado di esercitare direttamente i propri diritti.

Molte voci nel panorama femminista mettono a fuoco i limiti dello strumento dei diritti, sottolineando che quando esso viene piegato a scopi estranei all'antropologia e alla visione dei rapporti sociali su cui si fonda non funziona e anzi può essere dannoso. Dove i diritti non possono arrivare può essere utile un'accentuazione dei doveri e di principi d'azione pubblica e privata fondati su valori tradizionali come la solidarietà, la responsabilità individuale e collettiva, ma anche su nuovi strumenti, formulati a partire dall'esperienza, dai valori e dai bisogni femminili.

Partendo dalle situazioni di inadeguatezza dei diritti e dalla loro inaccessibilità per molti esseri umani nel mondo, la teoria femminista ha cercato altri strumenti maggiormente universalizzabili. Tra questi l'etica della cura è quella che ha forse ricevuto i più ampi e diversificati sviluppi, generalmente riconducibili nell'alveo del femminismo culturale (55).

L'idea di cura si è presentata inizialmente come categoria di comprensione di un'attitudine morale individuale e/o di descrizione di un complesso di pratiche, per trasferirsi poi sul piano normativo ponendosi come fondamento di politiche pubbliche. Una delle più significative elaborazioni in questa direzione è quella di Joan Tronto che - sul presupposto che gli individui non sono autonomi e autosufficienti - mette in risalto la centralità in ogni società delle pratiche di cura ed elabora una proposta finalizzata a sottrarle all'ambito privato (e femminile) in cui è stata tradizionalmente confinata, portandola sul piano pubblico e ridistribuendone il carico sulle varie componenti della società.

La cura si presenta per Tronto come contenuto di un progetto politico e si fonda su bisogni universali degli esseri umani: benché il concetto di bisogno possa essere considerato come altamente individuale e personale "il problema di determinare quali bisogni debbano essere soddisfatti mostra che l'etica della cura non è individualista, ma deve essere situata in un contesto morale più ampio" e deve fondarsi su una teoria della giustizia (56).

La cura di per sé è un'attività che non si svolge tra soggetti eguali e autonomi- il bisogno su cui si fonda qualifica immediatamente un rapporto di dipendenza - ma nella interpretazione e nella scelta dei bisogni da soddisfare Tronto pone come elemento centrale l'autonomia della persona. Uno dei principali problemi da superare è che la cura comporta un'attitudine paternalista/maternalista: "il pericolo che chi riceve delle cure perda la sua autonomia e il suo senso di indipendenza è sempre implicito nel processo di cura" (57). Per Tronto è tuttavia proprio la trasformazione della cura da attività privata a impegno politico, oggetto di discussione pubblica e di procedure democratiche che comprendano l'ascolto e l'inclusione nei processi di cura dei loro destinatari, la strada per limitare i rischi dell'asimmetria presente tra chi presta e chi fornisce cura (58).

Nella letteratura più recente si è verificato un avvicinamento tra cura e giustizia, bisogni e diritti, non più considerate prospettive separate, se non incompatibili come è stato per lungo tempo, ma correlate e complementari (59). Complementari proprio perché rispondenti a presupposti, bisogni, logiche differenti: mentre i diritti si fondano su posizioni autonome e paritetiche dei soggetti coinvolti, la cura si fonda su posizione asimmetriche; nei diritti chi rivendica, rivendica anche il contenuto della prestazione, nella cura questa determinazione è delegata implicitamente a chi fornisce la prestazione. Se invece il bisogno/interesse definito dall'esterno viene considerato anche alla base dei diritti il confine tra le due prospettive diventa più labile: il soggetto dei diritti si confonde con il destinatario della cura.

Accanto alla ricerca di altri strumenti concettuali e normativi (60), si è avviata anche una profonda rivisitazione delle categorie fondanti dei diritti. Mentre quella di Wolgast è una posizione che prescinde dal genere, un'ampia parte della teoria femminista elabora critiche al diritto e ai diritti che si fondano sul loro carattere sessuato. Ciò che si mette in discussione è soprattutto l'aspirazione universalistica e neutrale dei diritti costruiti dalla teoria politica liberale e dalla scienza giuridica, rilevando come essi siano invece espressione di un punto di vista particolare, funzionale ad un determinato assetto di potere, quello maschile e occidentale.

Tra le categorie costitutive del carattere sessuato dei diritti e del diritto vi è quella di autonomia individuale, considerata non solo come una condizione astratta ma come una condizione per le donne ostacolata da una serie di strumenti concettuali e dispositivi giuridici creati proprio per sancire la loro dipendenza dagli uomini. Non si tratta dunque soltanto di considerare i limiti formali e di fatto che impediscono l'accesso ad una condizione di autonomia individuale ma di ridiscutere dal punto di vista femminile sia i caratteri della nozione consolidatasi nel pensiero liberale, sia le sue attuali applicazioni.

Prendo la nota divergenza di posizioni tra Shalev e Pateman sulla questione della maternità surrogata - più precisamente sugli effetti dell'accordo di surrogazione di maternità - come paradigmatica di due diversi modi di guardare all'autonomia del soggetto. Shalev sostiene "il diritto dell'individuo, senza distinzioni di sesso, a determinare in modo autonomo tutte le questioni giuridiche inerenti alla paternità e maternità prima del concepimento" (61), derivando dall'autonomia della donna responsabilità e inderogabilità verso gli impegni assunti e rigettando lo statuto di eccezionalità generalmente riconosciuto al rapporto tra madre gestante e concepito che considera un'ulteriore espressione del paternalismo maschile. La posizione di Shalev insomma estende alle donne fino in fondo la logica dei diritti e un modello comune di responsabilità contrattuale individuale.

La posizione di Pateman invece sottolinea l'inadeguatezza strutturale proprio del modello contrattuale e della connessa visione di autonomia del soggetto. A partire dallo svelamento di un contratto sessuale come dimensione rimossa della teoria del contratto sociale, Pateman considera la maternità surrogata "come un'altra clausola del contratto sessuale, come una nuova forma di accesso e uso del corpo femminile da parte degli uomini" (62). Questa posizione conduce a non accettare il modello di responsabilità contrattuale che impedisce il recesso dall'impegno, dal momento che la particolarità della situazione non permette di assimilare la madre gestante ad un soggetto astratto, né il suo impegno ad un qualunque impegno di natura patrimoniale. La valorizzazione della soggettività individuale richiede di ricondurre all'autonomia del soggetto anche la possibilità di cambiare idea nel corso della gravidanza, decidendo di essere madre non solo naturale o gestante ma anche sociale (63). Richiede però anche per Pateman di rigettare una norma di divieto assoluto che prescinda dalla volontà delle parti e dalle motivazioni che conducono all'accordo (64).

Per Shalev si tratta di aderire pienamente ad un modello di autonomia, sottraendo le donne ad un confinamento che le qualifica come soggetti imperfetti, per Pateman di formulare nuovi modelli di autonomia che si fondino sulla costruzione di un soggetto sessuato (65). Per Shalev il soggetto del diritto, e dei diritti, deve restare astratto, dal momento che ogni specificazione si tradurrebbe in una tutela speciale, per ciò stesso diminuente, per Pateman al contrario la differenza sessuale deve essere presa in carico dal diritto.

La strada della costruzione di un soggetto sessuato, un soggetto concreto radicato nelle specificità individuali, è quella che ha avuto i maggiori sviluppi nella teoria giuridica e politica femminista. Come scrive una delle principali rappresentanti del pensiero radicale, Catharine MacKinnon: "Women in feminist theory are concrete; they are not abstract. ...Feminism does not 'assume' but rather builds, its 'women' from women who socially exist" (66).

Soggetto situato non significa spossessato. La critica alla soggettività astratta, alla retorica della libertà di scelta (67) e la contestualizzazione del soggetto non implicano la svalutazione della sua autonomia e responsabilità ma una rielaborazione di queste nozioni nel senso di una maggiore attenzione ai vincoli concreti, agli interessi in gioco e alla loro rappresentazione da parte dei soggetti stessi (68). In vari ambiti e su singole questioni si è rivolta attenzione ai processi che costruiscono l'autonomia e ai fattori che la ostacolano, proponendone nozioni complesse in grado di rendere conto degli elementi relazionali e di contesto in cui si colloca il soggetto (69).

Dal punto di vista politico-giuridico questa revisione dell'idea di autonomia si traduce in procedure di verifica della volontà dei soggetti implicati, di sostegno alla sua formazione e all'elaborazione di una scelta consapevole il più possibile libera da costrizioni esterne e indesiderate, materiali e morali. Ciò riguarda in particolare l'ambito bioetico dove si parte dalla constatazione dell'insufficienza dell'autonomia come nozione che si riduca "all'assenza di ignoranza, coercizione o impedimento alla capacità nel processo decisionale... cosa una persona consideri meritevole, desideri o creda non è tuttavia qualcosa che possa accertato semplicemente in base all'assenza di impedimenti alla scelta." (70) Ma riguarda anche l'ambito del pluralismo culturale e religioso: nei rapporti problematici tra femminismo e multiculturalismo il tentativo di superare le tensioni passa attraverso la valorizzazione dell'autonomia dei soggetti. Ciò implica guardare nei singoli contesti in rapporto a chi si definisce e cosa minaccia la libertà femminile. La constatazione che la maggior parte delle violazioni dei diritti di libertà delle donne avviene da parte di componenti delle famiglie e delle comunità di appartenenza ha condotto a sottolineare la necessità di incrementare gli strumenti giuridici di tutela delle persone nei confronti dei poteri privati. (71)

Per far fronte alla diversità delle posizioni delle persone il punto non è quale soggetto esterno, lo Stato, la famiglia, la comunità, l'istituzione religiosa rappresenti meglio il diritto-interesse delle donne, ma piuttosto quello di far emergere la loro visione di quell'interesse, tutelandola il più possibile da pressioni esterne. Un'opzione che si presenta particolarmente adeguata non soltanto in contesti nazionali di pluralismo culturale e religioso, ma anche per rispondere alle diverse esigenze poste dell'attuazione dei diritti umani nelle diverse aree e popolazioni del mondo (72).

Nella teoria femminista l'ampia rivisitazione ancora in corso della nozione di autonomia del soggetto non impedisce che questa si ponga come un obiettivo da perseguire, anche attraverso il diritto e i diritti (73). Il valore dell'autodeterminazione, della libertà di scelta individuale non viene abbandonato ma riempito di contenuto e arricchito di specificazioni.

Come scrive Pitch: "Per il femminismo pur critico di un certo modo di intendere l'individuo, la singolarità è però un valore irrinunciabile" (74). Essa richiede che nelle questioni attinenti a diritti fondamentali - come la vita, il corpo, la salute - la scelta individuale rimanga il riferimento principale, tenendo al contempo conto dei limiti concreti all'autonomia della persona. In altri termini si può dire che da un punto di vista femminista la strategia efficace per superare il problema delle preferenze adattive, cioè di quelle situazioni in cui la scelta individuale può essere considerata derivante da una situazione di dipendenza e oppressione materiale e psicologica, non è mai quella del paternalismo, cioè quella di imporre a soggetti adulti e responsabili una visione del loro bene contro la loro volontà.

Nella teoria femminista a partire dagli anni ottanta si distinguono generalmente tre principali approcci: quello liberale che enfatizza la scelta individuale, quello radicale che si concentra sui processi di controllo e oppressione e quello culturale che si sviluppa intorno alle attività di cura. Il legame tra esercizio dei diritti e autonomia della persona - pur nelle sue diverse formulazioni- rimane ineludibile non soltanto, com'è ovvio, per il femminismo liberale, ma anche nell'ambito del femminismo radicale e di quello culturale. Certamente l'adesione ad un modello di diritti in cui il soggetto titolare è sostituito da altri, e generalmente da istituzioni dominate da uomini, è la soluzione peggiore dal punto di vista delle donne.

5. Il bagagliaio degli aventi diritto

Circa vent'anni fa Wolgast scriveva "Il diritto mette il detentore in una posizione assertiva...i diritti pongono gli aventi diritto al posto di guida" (75), auspicando una riduzione dello spazio dei diritti ai soggetti capaci di guidare. Le cose mi pare siano andate in senso opposto: i diritti si sono moltiplicati e ciò è avvenuto, almeno in parte, mettendo i loro titolari nel bagagliaio, nascosti sotto la coperta della morale comune, della giustizia internazionale, a volte anche del diritto naturale.

Una concezione del diritto soggettivo che prescinde da un esercizio volontario e consapevole ha tuttavia dei rischi. Un rischio è innanzitutto quello prefigurato da Rodotà: "Ma chi può parlare in nome di questi soggetti - dell'umanità, delle generazioni future, della natura? Non v'è forse, un rischio di autoritarismo, di violenza, quando compaiono soggetti che, senza una specifica legittimazione, pretendono di rappresentare quelle entità astratte e, come si è fatto con il diritto di ingerenza umanitaria, intraprendono guerre?" (76) Un rischio è che i diritti diventino soltanto strumenti per far prevalere l'una o l'altra concezione morale o interesse senza che i titolari possano mai pronunciarsi e che tra l'una e l'altra interpretazione prevalga quella con maggior potere. Un ulteriore rischio è che l'affermarsi di una tale tendenza si traduca a lungo andare in uno svuotamento della cultura dei diritti che, nel bene o nel male, può dirsi, fondata sull'autonomia e sulla responsabilità del soggetto. Che trasmetta un messaggio di deresponsabilizzazione della persona, in ultima analisi di impotenza del singolo e di delega ad altri dei suoi diritti.

L'ancoraggio dei diritti a fondamenti etici e la loro rivendicazione da parte di soggetti collettivi può dunque finire per oscurare il loro fondamento etico essenziale: il valore dell'autonomia individuale (77). Ciò non soltanto attraverso la definizione del loro contenuto, ma indirettamente attraverso la diffusione di una cultura inquinata dei diritti.

In altre parole ciò che voglio dire è che "l'imposizione giuridica della morale" (78) nel dibattito contemporaneo assume facilmente la forma della rivendicazione di diritti che prescindono dalla volontà dei loro titolari. E che dunque, per chi ha a cuore la libertà individuale, questi diritti, nelle loro diverse tipologie, vanno sottoposti a particolari cautele e considerati comunque un'eccezione.

Mi pare dunque che, al di là delle pur abbondanti discussioni sui singoli casi, sia opportuno un ripensamento complessivo sul ruolo e sui caratteri del titolare di diritti. Un ripensamento che, dal mio punto di vista, dovrebbe partire dalla centralità degli individui, uomini e donne, nell'esercizio dei diritti fondamentali, e condurre a porre dei limiti al meccanismo della rappresentanza che, come ha segnalato tempo fa Comanducci, è quello che "ha condotto al progressivo allargamento della classe di soggetti che sono detti nel linguaggio ordinario avere dei diritti" (79).

Niente di nuovo: è una visione antipaternalista e liberale, alcuni direbbero 'laica', ma nel linguaggio dei diritti mi pare che questa visione passi anche attraverso la rivendicazione complessiva dei diritti come strumenti da far valere in proprio. Di conseguenza attraverso la ricerca di un limite alla proliferazione dei diritti che rimetta in discussione - sa nell'ambito della teoria del diritto, sia in quello del dibattito politico-istituzionale - i caratteri del soggetto titolare, rivalutando l'opzione su cui si sono consolidati: i diritti corrispondono a qualcosa che si suppone buono per il titolare, ma salve le eccezioni, spetta solo a lui decidere se è veramente buono, dunque se avvalersene o no.


Note

*. Intervento al Seminario "Il futuro dei diritti: minimalismo o proliferazione ?", Ferrara giugno 2007. Una versione successiva di questo testo è stata pubblicata su Ragion Pratica, 28 (2008), pp. 313-36. L'autore ringrazia il Direttore della rivista e l'Editore per aver consentito la ripubblicazione in formato elettronico.

1. L'espressione è di T. Mazzarese, "Minimalismo dei diritti: pragmatismo antiretorico o liberalismo individualista?", Ragion pratica, 26 (2006), pp. 179-208. Principale riferimento di questa forma di minimalismo è M. Ignatieff, Una ragionevole apologia dei diritti umani, Milano, Feltrinelli, 2003.

2. Il processo novecentesco di moltiplicazionedei diritti è in gran parte un processo di moltiplicazione e specificazione dei soggetti che dall'Uomo astratto, sono passati ad essere diritti di soggetti situati socialmente o specificati secondo caratteristiche ascritte: diritti della donna, dei minori, dei lavoratori, dei malati, e più di recente diritti di nuovi soggetti: generazioni future, embrione, animali, gruppi di vario genere (cfr. N. Bobbio, L'età dei diritti, Torino, Einaudi, 1997, parte prima)

3. Negli ultimi anni si è verificato un alleggerimento dei diritti come obblighi positivi dello Stato che ha caricato sui privati responsabilità e costi di prestazioni un tempo pubbliche, in particolare nell'ambito della sanità e della sicurezza, cfr. T. Pitch, La società della prevenzione, Roma, Carocci, 2006.

4. Tendenza segnalata da V. Ferrari in "Variazioni socio-giuridiche sul tema dei diritti", in M. Rosti, F.G. Pizzetti (a cura di), Soggetti, diritti e conflitti: percorsi di ridefinizione, Milano, Giuffrè, 2007, p. 39.

5. T. Pitch, Un diritto per due, Milano, Il Saggiatore, 1998, p. 65.

6. Si tratta di questioni molte note, ciascuna delle quali oggetto di specifiche analisi e discussioni, che esulano da questo semplice richiamo. Può essere opportuno precisare che non intendo qui mettere in discussione la legittimità delle posizioni che sostengono comunque la priorità della vita fin dal concepimento o al di là della volontà della persona, ma solo il fatto che ciò avvenga attraverso il lessico dei diritti.

7. Le posizioni di chi sostiene i diritti dell'embrione sono state accolte, com'è noto, dalla legge sulla fecondazione assistita (L. n. 40/2004) e dalle linee guida d'attuazione della legge emanate nel 2004. Dalla fecondazione assistita la retorica dei diritti dell'embrione si è estesa alla moratoria sull'aborto.

8. Si tratta di un ambito ampio e complesso anche dal punto di vista medico-scientifico che unisce situazioni molto diverse dal testamento biologico, all'interruzione di cure mediche, al suicidio assistito, fino all'eutanasia. Per un'analisi della normativa italiana, cfr. F.G. Pizzetti, Alle frontiere della vita. Il testamento biologico tra valori costituzionali e promozione della persona, Milano, Giuffrè, 2008.

9. Com'è noto il progetto sui Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi (cosiddetti Dico) all'art. 1 stabiliva diritti individuali ricollegati alla manifestazione di volontà delle persone interessate, anche per evitare di istituire affinità con la famiglia fondata sul matrimonio.

10. Un altro ambito in cui è centrale e controverso il ruolo attribuito alla volontà del soggetto è quello del diritto all'integrità fisica e dei correlati atti (diritti) di disposizione del proprio corpo che comprende un ampio insieme di comportamenti, dalla sterilizzazione volontaria, alla prostituzione, agli interventi di trasformazione della sessualità, ai trapianti, agli interventi estetici. Secondo una dottrina recente, nel diritto italiano " si può affermare che il diritto di integrità fisica contiene anche la facoltà di alterare il proprio corpo (dunque di disporne), naturalmente da parte di adulti capaci, ad esempio con interventi di modifica sessuali o a anche per ragioni religiose ... ai sensi della Costituzione, contrariamente alla filosofia ispiratrice dell'art. 5 cc ...", G. Gemma, Costituzione ed integrità fisica, in U. Breccia, A. Pizzorusso (a cura di),Atti di disposizione del proprio corpo, Pisa, Edizioni Plus, 2007, p. 55.

11. Non è certo una novità, anzi fa parte essenziale della storia dell'affermazione dei diritti, il ruolo di rivendicazione e tutela esercitato da soggetti collettivi. La dialettica dei movimenti che portano all'affermazione di diritti è stata tuttavia storicamente una dialettica di confronto e conflitto tra gruppi (aristocratici contro la corona, borghesi contro ancien règime, lavoratori contro capitalisti, donne contro uomini, ecc.) non di monopolio da parte di un soggetto istituzionale del giusto/ bene di tutti.

12. Su queste basi si sviluppa l'analisi di N. Colaianni, Eguaglianza e diversità culturali e religiose. Un percorso costituzionale, Bologna, il Mulino, 2006.

13. I rapporti problematici tra diritti collettivi o diritti di gruppo e diritti individuali e l'opportunità, per tutelare questi ultimi, di predisporre limiti e meccanismi di garanzia sono al centro del dibattito multiculturalista. Di una vasta letteratura ricordo come primo orientamento: W. Kymlicka, La cittadinanza multiculturale, Bologna, il Mulino, 1999 e J. Habermas, Ch. Taylor, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Milano, Feltrinelli, 1998; A. Facchi, I diritti nell'Europa multiculturale, Roma-Bari, Laterza, 2001; E. Vitale (a cura di), Diritti umani e diritti delle minoranze, Torino, Rosenberg & Sellier, 2000.

14. Cfr. D. Zolo, Chi dice umanità. Guerra, diritto e ordine globale, Torino, Einaudi, 2000.

15. " E' chiaro che il dominio è un diritto" scrive Francisco De Vitoria, secondo il quale solo gli esseri che possono subire ingiustizia vanno considerati titolari di diritti (Relectio de Indis, Bari, Levante editore, 1996, pp. 26-8). Sulla dottrina della libertà come "facultas dominandi" cfr. P. Grossi, "Usus Facti, La nozione di proprietà nell'inaugurazione dell'età nuova", Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 1 (1972), pp. 287-355. Sulle nozioni di potere, facoltà, libertà dei singoli individui come caratterizzanti le teorie dei diritti nei secoli XVI e XVII secolo, cfr. anche B. Tierney, L'idea dei diritti naturali, Bologna, il Mulino, 2002, cap. I; R. Tuck, Natural Rights Theories, Cambridge, Cambridge University Press, 1979 e, in sintesi, A. Facchi, Breve storia dei diritti umani, Bologna, il Mulino, 2007, cap. I, 4.

16. Si tratta naturalmente di temi molto complessi, mi limito a ricordare John Locke: "Ogni uomo ha la proprietà sulla sua persona: su questa nessun ha diritto all'infuori di lui. Il lavoro del suo corpo e l'opera delle sue mani, possiamo dire, sono propriamente suoi" (Secondo trattato sul governo, V, 27) e ciò, com'è noto, giustifica l'acquisizione della terra cui il lavoro è applicato. Però anche : "Un uomo infatti non avendo potere sulla propria vita, non può né per contratto né con il suo consenso, farsi schiavo di chicchessia né sottomettersi al potere assoluto e arbitrario di un altro" (Secondo trattato sul governo, IV, 23).

17. Per Ferrajoli le dottrine giusnaturaliste e contrattualiste dei diritti naturali e la tradizione romanistica-civilistica del diritto di proprietà sono confluite nella nozione moderna di diritto soggettivo e ciò ha condotto "alla sovralegittimazione politica e morale della proprietà quale fondamento e corollario della libertà" e alla confusione tra diritti patrimoniali, disponibili, e diritti fondamentali, indisponibili. Cfr. L. Ferrajoli, Principia Juris. Teoria del diritto e della democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2007, vol. I, pp. 636 ss.

18. Cfr. N. Bobbio, L'età dei diritti, cit., parte seconda e A. Laurent, Storia dell'individualismo, Bologna, il Mulino, 1994.

19. P. Grossi, L'Europa del diritto, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 73.

20. In particolare la teoria della giustizia di Rawls ha riportato l'attenzione su questa nozione presupponendo, su fondamenta kantiane, come contraenti nella posizione originaria soggetti autonomi e razionali. Per una lettura che, a partire da una ricostruzione storica dell'antropologia liberale soggiacente ai diritti fondamentali, si sviluppa attraverso il dibattito anglosassone cfr. E. Santoro, Autonomia individuale, libertà e diritti, Pisa, ETS, 1999. Per un confronto tra le concezioni più recenti di autonomia sul piano filosofico, cfr. R. Giovagnoli, Autonomy: A Matter of Content, Firenze, Firenze University Press, 2007.

21. Quale sia il ruolo dello Stato in questo qualcosa in più che differenzia l'autonomia dalla libertà negativa è questione dibattuta. Certamente la nozione di autonomia si è arricchita nel Novecento attraverso l'idea di libertà dal bisogno, configurandosi anche come fondamento del riconoscimento di diritti economici e sociali e a concezioni individualistiche si sono affiancate concezioni più relazionali e solidaristiche dell'autonomia. Cfr. G. Dworkin, "The Concept of Autonomy", in R. Haller (a cura di), Science and Ethics, Amsterdam, Rodopi, 1981.

22. La diversa declinazione della nozione di autonomia è particolarmente rilevante nell'ambito della bioetica e del biodiritto, poiché da essa dipendono scelte fondamentali che concernono l'inizio e la fine della vita umana. La letteratura è molto vasta, mi limito a rinviare a O. O'Neill, Autonomy and Trust in Bioethics, Cambridge, Cambridge University Press, 2002 e a P. Borsellino, Bioetica tra autonomia e diritto, Milano, Zadig, 1999.

23. Anche dal punto di vista degli effetti giuridici si può far riferimento ad una visione graduale e progressiva dell'autonomia. In questo senso Feinberg: "If there is such a thing as 'personal sovereignty' then presumably it belongs to all competent adults and to no newborn infants, but before the point of qualification for full sovereignty, children must be understood to have various degrees of 'local autonomy'" (J. Feinberg, "Autonomy", in J. Christman (a cura di), The Inner Citadel, Essays on Individual Autonomy, Oxford, Oxford University Press, 1989, p. 46).

24. Il rapporto dialettico tra autonomia e riconoscimento, sviluppato dai filosofi comunitari, è colto in sintesi da Berlin "quando chiedo di essere liberato dallo stato di dipendenza, ad esempio politica o sociale, quello che chiedo è un cambiamento verso di me da parte di coloro le cui opinioni e il cui comportamento contribuiscono a determinare l'immagine che io ho di me stesso" (I. Berlin, Due concetti di libertà, Milano, Feltrinelli, 2000, pp. 56-7).

25. Soggetto autonomo e soggetto proprietario si sovrappongono ma le donne non possono esserlo, sia perchè prive di razionalità o naturalmente adatte a ruoli diversi, sia perchè economicamente dipendenti dagli uomini. Una dipendenza a cui non possono sottrarsi dal momento che è loro preclusa l'istruzione e l'accesso ai lavori remunerati. Anche senza ricorrere alla loro inferiorità naturale-argomento che rimarrà peraltro diffuso fino a tempi recenti- è la loro condizione di fatto che ne determina la diseguaglianza giuridica.

26. J. Feinberg, "The Nature and Value of Rights", in J. Feinberg, Rights, Justice and the Bounds of Liberty, Princeton, Princeton University Press, 1980, p. 151.

27. Come ha sottolineato Celano la discussione tra benefit/interest e will/choice theories è in realtà una controversia in merito alle possibili giustificazioni dei diritti, cfr. "I diritti nella jurisprudence anglosassone contemporanea, da Hart a Raz", in P. Comanducci, R. Guastini (a cura di), Analisi e diritto 2001. Ricerche di giurisprudenza analitica, Torino, Giappichelli, 2002, pp. 20 e 39.

28. Per un'analisi del dibattito tra choice e interest theories e di quegli aspetti che vengono qui solo accennati si rinvia a B. Celano, "I diritti nella jurisprudence", cit. Per una sintesi J. Waldron, Theories of Rights, Oxford, Oxford University Press, 1984, pp. 9-12. Mi pare qui sufficiente un riferimento alle posizioni di Hart e MacCormick, ma la questione è stata ampiamente ripresa. Per una discussione dei più recenti tentativi di superare il dibattito tra interest theory e choice theory, cfr. M.H. Kramer, H. Steiner, "Theories of Rights: Is There a Third Way?", Oxford Journal of Legal Studies, 27 (2007), pp. 281-310.

29. H.L.A. Hart, "Legal Rights", in H.L.A. Hart, Essays on Bentham. Studies in Jurisprudence and Political Theory, Oxford, Oxford University Press, 1982, pp. 188-89. Ciò vale sia per i diritti libertà, sia per i diritti-poteri sia per i diritti correlati a obbligazioni. Poiché non a tutti i doveri corrisponde un diritto, non è necessario né sufficiente per riconoscere un diritto a qualcuno che egli sia il beneficiario dell'adempimento dell'obbligo corrispondente, mentre è necessario e sufficiente che egli abbia dei poteri di controllo e disposizione sull'obbligazione correlata a quel diritto.

30. N. Mac Cormick, "Rights in Legislation", in P.M.S. Hacker, J. Raz (a cura di), Law, Morality and Society. Essays in Honour of H.L.A. Hart, Oxford, Oxford University Press, 1977, p. 199.

31. N. MacCormick, "Children Rights. A Test-Case for Theories of Rights", Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie, 3 (1976), pp. 305-316. Più precisamente per MacCormick le disposizioni giuridiche non costituiscono un diritto, ma gli danno attuazione e sono desiderabili " because they protects and further the rights of children" (ibid., p. 308).

32. Mac Cormick, "Children Rights", cit., p. 307. In linea generale le teorie della scelta/volontà spiegano i diritti dei bambini, degli incapaci ecc. attraverso l'istituto della rappresentanza, cioè dell'esercizio di un diritto da parte di un altro soggetto in nome del titolare soltanto finché dura la sua incapacità di esercitarlo direttamente (cfr. H.L.A. Hart, "Legal Rights", cit., p. 184, nota 86).

33. MacCormick, "Children Rights", cit., pp. 311-12.

34. Ciò vale anche limitatamente al piano della retorica. Una volta attestato un interesse come diritto, anche solo come rivendicazione di una parte della società, è molto più difficile negarne il fondamento e in un passo successivo, la tutela o l'implementazione. Il solo fatto di essere chiamato "diritto" conferisce ad un interesse una forza particolare che lo rende difficilmente contestabile e lo carica di una funzione legittimante.

35. In senso opposto la proposta di Carl Wellman per il quale solo un essere autonomo può essere titolare di diritti, dove per autonomia intende le capacità possedute da un agente morale, in primo luogo la capacità di agire razionalmente in vista di uno scopo. Cfr. C. Wellman, An Approach to Rights, Dordrecht, Kluwer, 1997.

36. L'attenzione alla volontà e all'autonomia del titolare di diritti rende ovviamente più difficile determinare il contenuto di diritti di soggetti che necessitano di una totale rappresentanza. Entrando nella logica dell'attribuzione di diritti a soggetti non nati diventerebbe difficile sapere se un embrione preferirebbe nascere comunque anche se cerebroleso. O se preferirebbe non nascere piuttosto che nascere al di fuori di una famiglia "naturale" (cioé composta da due genitori viventi, di sesso diverso e biologici), come è disposto dalla legge italiana. Così come sarebbe difficile sapere se le generazioni future preferirebbero un ambiente meno inquinato, ma più povero di beni di consumo. Scelte di questo tipo dovrebbero dunque farsi non in nome dei loro diritti, ma esplicitamente delle nostre visioni del bene.

37. Hart chiarisce che la concezione del diritto soggettivo "centred on the notion of a legally respected individual choice" non esaurisce la nozione di diritto giuridico, in quanto non risponde adeguatamente a tutti quei casi in cui gli sviluppi del linguaggio dei diritti fanno riferimento a libertà e benefici considerati essenziali per la conservazione della vita, della sicurezza, lo sviluppo e la dignità dell'individuo, cioè a diritti espressione di bisogni umani fondamentali ("Legal Rights", cit., pp. 189-92). Ciò avviene in due principali contesti: quello dei sistemi costituzionali rigidi in cui i diritti sono limiti al legislatore, e nelle posizione di "critica morale dei diritti" riferita ai bisogni umani fondamentali, dunque un contesto diverso da quello del linguaggio ordinario dei diritti.

38. "It is certainly true that apart from such cases as those of children or the mentally incapacitated, the holder of a legal right is normally permitted and empowered in law to choose whether or not on any given occasion he should avail himself of his right..." ("Children Rights", cit., p. 314). MacCormick riconosce la centralità della scelta individuale nell'esercizio del diritto e la validità del principio antipaternalista liberale secondo il quale nessuno deve essere forzato a perseguire il suo proprio bene.

39. Sui limiti delle definizioni formali rispetto al linguaggio dei diritti, cfr. L.Baccelli, "Ex parte populi. Per una teoria impura dei diritti", in Ragion pratica, 2008 (in corso di stampa).

40. Cfr. J. Waldron Theories of Rights, cit., p. 11. Le interest theories sembrano essersi affermate in relazione alla moltiplicazione dei diritti e del consolidamento dei diritti sociali, in quanto si fondano sull'idea che bisogni e interessi umani basilari costituiscono la base dei diritti (cfr. B. Celano, "I diritti nella jurisprudence", cit.).

41. Secondo la nota tesi di Marshall (T.H. Marshall, Cittadinanza e classe sociale, a cura di S. Mezzadra, Roma-Bari, Laterza, 2002) le prime forme di diritti sociali siano state riconosciute in relazione ad uno stato individuale di bisogno, di emarginazione sociale, di ritiro dal mercato del lavoro, che peraltro sono ancora oggi i presupposti del welfare statunitense. Dunque non ad uno status pieno di cittadino autonomo ma ad una condizione di dipendenza, che escludeva la piena titolarità dei diritti politici. Le donne lavoratrici insieme ai minori furono le prime categorie beneficiarie di queste misure, appunto in quanto soggetti deboli, non pienamente cittadine, non autonome.

42. Una prospettiva che enfatizza il ruolo della scelta e della volontà individuale ha invece come conseguenza il rafforzamento dei diritti economici e sociali, nel senso che da essa discende anche la necessità di un impegno pubblico rivolto a rendere le persone il più possibile effettivamente autonome. Va in direzione contraria al minimalismo à la Ignatieff, in quanto mette l'accento sulla necessaria integrazione tra diversi diritti, più che sulle differenze tra loro.

43. Per il primo aspetto l'elemento della volontà del titolare è implicito nella libertà della persona di scegliere se accedere o no ad un servizio, anche se non ha il potere di estinguere l'obbligazione corrispondente. Il secondo aspetto riguarda lo spazio della scelta individuale nelle modalità d'attuazione dei diritti che in luogo di essere indifferenziate possono essere legate a caratteristiche dei destinatari da essi considerate rilevanti, come l'appartenenza culturale e religiosa.

44. E' noto come il "femminismo" comprenda una vasta costellazione di approcci e posizioni eterogenee e anche conflittuali. Le autrici che prenderò qui in considerazione mi pare possano essere rappresentative di posizioni diffuse.

45. L. Gianformaggio, "Soggettività politica delle donne: strategie contro", in L. Gianformaggio, Eguaglianza, donne e diritto, Bologna, il Mulino, 2005, p. 168.

46. La famiglia è un caso tipico in cui un soggetto collettivo viene individualizzato attribuendogli interessi e diritti autonomi, ma le persone che ne fanno parte, in particolare il marito e la moglie, hanno interessi diversi e tendenzialmente in conflitto. Per ridurli ad un interesse unico, quello della famiglia, (e dunque a diritti corrispondenti) è necessario un compromesso che storicamente ha sacrificato l'interesse della moglie, l'obiettivo di limitare i conflitti all'interno della famiglia è stata frequente giustificazione delle discriminazioni giuridiche tra coniugi.

47. Già nella Convenzione delle Nazioni Unite sull'eliminazione di ogni discriminazione nei confronti delle donne del 1979 si constata come gran parte delle discriminazioni e oppressioni provengano dai gruppi di appartenenza: famiglia, comunità, culture tradizionali e religiose.

48. I casi più evidenti e frequenti in cui i diritti individuali di libertà entrano in conflitto con definizione collettive dei loro contenuti riguardano le donne, dal momento che istituzioni comunitarie e religiose hanno frequentemente caratteri discriminatori e patriarcali, cfr. S.M. Okin, Diritti delle donne e multiculturalismo, a cura di A. Besussi e A. Facchi, Milano, Cortina, 2006 e i saggi contenuti in Ragion pratica, 23 (2004).

49. La prima importante critica in questo senso è quella di Marx, per il quale i diritti dell'uomo non sono altro che i diritti "dell'uomo egoista, separato dall'uomo e dalla comunità..." ed esprimono una visione della libertà dell'individuo "come monade isolata e chiusa in se stessa" (K. Marx, "La questione ebraica", in K. Marx, Scritti politici giovanili, a cura di L. Firpo, Torino, Einaudi, 1975, p. 377).

50. Secondo una diffusa lettura i diritti sarebbero fondati sull'esclusione e sulla soggezione delle donne, dunque senz'altro inadeguati a rispondere ai valori e ai bisogni femminili, quando non dannosi. Più ampiamente il diritto non è sempre lo strumento adeguato a rispondere alla complessità delle situazioni e alle "differenze" femminili. Questo presupposto è all'origine del ritiro dall'ambito giuridico che caratterizza gran parte della riflessione femminista degli ultimi decenni e delle posizioni di diritto minimo. Cfr. A. Facchi, "La teoria femminista sul diritto", in G. Zanetti (a cura di), Filosofi del diritto contemporanei, Milano, Cortina, 1999.

51. E. Wolgast, "Diritti sbagliati", in E. Wolgast, La grammatica della giustizia, Roma, Editori Riuniti, 1991, p. 35.

52. E.Wolgast, "Diritti sbagliati", cit., p. 33 e p. 36.

53. Tra i "diritti sbagliati" rientrano spesso i diritti del malato in quanto non ne tutelano i bisogni (di cure, di fiducia, di essere rimandato a casa, ecc.) proprio perché " ad una persona dipendente e sofferente serve un trattamento responsabile da parte di altri proprio mentre essa è incapace di esigere alcunché" ("Diritti sbagliati", cit., p. 39), solo quando sarà tornato sano e autonomo potrà far valere i propri diritti. Un caso simile di inadeguatezza del "modello", è quello dei diritti dei bambini che dovrebbero essere esercitati contro coloro da cui dipendono materialmente e emotivamente e a cui sono legati da rapporti complessi con equilibri spesso non generalizzabili, fatti di bene e male. In entrambi i casi Wolgast ritiene che invocare un diritto possa essere un modo per evitare di attribuire responsabilità a qualcuno in posizione di forza e controllo.

54. In questo caso Wolgast nota come le due strategie più diffuse su fronti opposti fondate sui diritti siano entrambe inadeguate: sia considerare il feto persona autonoma con interessi e diritti propri, eventualmente contrapposti a quelli della madre, sia considerarlo emanazione del corpo della madre, come sua proprietà.

55. Com'è noto l'idea di un'etica della cura alternativa a quella dei diritti, ha la sua origine negli studi della psicologa Carol Gilligan (Con voce di donna, Milano, Feltrinelli, 1987) e ha poi avuto ampi e dibattuti sviluppi, per i quali mi limito a rinviare a B. Beccalli, C. Martucci (a cura di), Con voci diverse. Un confronto sul pensiero di Carol Gilligan, Milano, La Tartaruga, 2005.

56. J.C. Tronto, Confini morali. Un argomento politico per l'etica della cura, a cura di A. Facchi, Reggio Emilia, Diabasis, 2006, p. 156. Una riflessione sulla nozione di cura in ambito bioetico è proposta da Grompi, anch'essa parte dalla constatazione dell'inadeguatezza dei "principi di autonomia e eguaglianza in una relazione che rimane ineguale in termini di conoscenza e di potere", "Per una bioetica della cura", Notizie di Politeia, 87 (2007), p. 190.

57. J.C. Tronto, Confini morali, cit., p. 163.

58. J.C. Tronto, Confini morali, cit., p. 157, che aggiunge: "una teoria morale in grado di riconoscere e identificare queste questioni è preferibile a una teoria che, poiché assume che tutte le persone siano eguali, non è nemmeno in grado di riconoscerle" (ivi, p. 164).

59. In un altro saggio Tronto sottolinea l'importanza di studiare le relazioni tra cura e giustizia, bisogni e diritti, proponendo un'analisi che mette in luce le carenze e i punti di forza di entrambe le prospettive, J.A. White, J.C. Tronto, "Political Practices of Care: Needs and Rights", in Ratio Juris, 17 (2004), p. 426. Per una ricostruzione del dibattito nord-americano del rapporto tra linguaggio dei bisogni e linguaggio diritti, cfr. anche J. Waldron, "Rights and Needs: The Myth of Disjuncture", in J. Waldron, Legal Rights: Historical and Philosophical Perspectives, a cura di A. Sarat e T. Kearns, Ann Arbor, Michigan University Press, pp. 87-109.

60. Tra questi anche la nozione di capacità, nella versione di Martha Nussbaum, L'approccio delle capacità deve molto alla riflessione femminista e nasce dalla ricerca di superare le inadeguatezze del linguaggio dei diritti, senza però pensare di sostituirsi ad esso: "il linguaggio delle capacità fornisce precisione e integrazioni significative al linguaggio dei diritti" (M.C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia, Bologna, il Mulino, 2007, pp. 303-4). Su questa prospettiva non mi soffermo sia per ragioni di spazio, sia perché ormai molto nota.

61. C. Shalev, Nascere per contratto, Milano, Giuffré, 1992, p. 16.

62. C. Pateman, Il contratto sessuale, Roma, Editori Riuniti, 1997, p. 272.

63. Questo è il principio accolto anche dalla legge inglese nei casi la madre gestazionale cambia idea e si vuole tenere il bambino è comunque la sua volontà, cambiata che deve prevalere: il vincolo contrattuale non è sufficiente a prevalere sulla sua volontà attuale. In questo senso anche S. Rodotà, La vita e le regole, cit., pp. 62-3 che rileva come sia antico lo strumento che permette di uscire dal diritto, e dal vincolo contrattuale: "il potere di revocare dichiarazioni precedenti, di pentirsi di scelte appena fatte".

64. L'alternativa diventa dunque quella tra un'indisponibilità totale perché ci sono cose che il denaro non può comprare e il riconoscimento di un margine più ampio alla scelta soggettiva (cfr. M. Sandel, What Money Can't Buy: The Moral Limits of Market, The Tanner Lectures on Human Values, Brasenose College, Oxford, 1998, pp. 96-104). Per gli aspetti legati all'ineffettività di un divieto assoluto, cfr. R. Dameno, Quali regole per la bioetica? Scelte legislative e diritti fondamentali, Milano, Guerini e Associati, 2003.

65. Il contrasto di fondo infatti, sottolineato da Pitch, è nella diversa nozione di soggetto: per Shalev "la soggettività è senza corpo manifestandosi precisamente nella capacità astratta di scelta razionale, per Pateman essa ha a che fare al contrario con tutto ciò che fa di me quella che sono e in primo luogo con il mio corpo e dunque il mio sesso" (T. Pitch, Un diritto per due, cit., p. 38, al quale si rinvia anche per una ricostruzione più approfondita delle due posizioni).

66. C. MacKinnon, "Postmodernism and Human Rights", in C. MacKinnon, Are Women Human? And Other International Dialogues, Cambridge, Mass., Harvard University Press, 2006, p. 51. Questa è parte della risposta di MacKinnon alle critiche portate al femminismo "essenzialista", cioè a quella corrente del femminismo, legata alle teorie della differenza, che assume l'esistenza di caratteri costitutivi del soggetto donna, a cui si rimprovera di ricondurre le persone ad un modello di donna che le uniforma e accomuna, ignorando o assimilando il pluralismo e la differenze tra donne.

67. "Radical feminists replace the vision of individual rights with a view toward control, in which women come to dictate the terms of reproduction... A choice based view is rejected since it implies that rights to choose are conferred by others" (J. Losco, "Fetal Rights and Feminism", in J. Losco, Feminist Jurisprudence. The Difference Debate, a cura di L.F. Goldstein, Lanham, Rowman and Littlefield, 1992, pp. 240-1).

68. Anche nel discorso giuridico emerge una transizione dalla nozione astratta di soggetto alla nozione più concreta di persona, si veda S. Rodotà, "Dal soggetto alla persona", Filosofia politica, 3 (2007), pp. 365-77. Tendenza che si traduce in "un diritto faticoso che non allontana da sé la vita, ma cerca di penetrarvi (...) che non sostituisce alla volontà del "debole" il punto di vista di un altro (come vuole la logica del paternalismo), ma crea le condizioni perché il debole possa sviluppare un punto di vista proprio (secondo la logica del sostegno) (ivi, p. 375).

69. Cfr. D.T. Meyers, "Personal Autonomy and the Paradox of Feminine Socialization", in Journal of Philosophy, 84 (1987), pp. 619-28; J. Christman, "Feminism and Autonomy", in D.E. Bushnell (a cura di), "Nagging" Questions: Feminist Ethics in Everyday Life, Lanham, Rowman & Littlefield, 1995, pp.17-39.

70. S. Todds, "Scelta e controllo nella bioetica femminista", in C. Faralli e C. Cortesi (a cura di), Nuove maternità. Riflessioni bioetiche al femminile, Reggio Emilia, Diabasis, 2005, p. 37.

71. Cfr. di C. MacKinnon, "Crimini di guerra, crimini di pace", in S. Shute e S. Hurley (a cura di), I diritti umani, Milano, Garzanti, 1994. Anche l'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha espresso preoccupazione "quant au vide juridique constaté en matière de protection des droits de la personne humaine des femmes immigrées et au respect du principe d'égalité entre les femmes et les hommes dans les communautés immigrées" (Résolution 1478, 2006).

72. Su questo tema si vedano i contributi raccolti in E. Graham, R. Hunter (a cura di), Encountering Human Rights: Gender/Sexuality, Activism and the Promise of Law, special issue of Feminist Legal Studies, 16 (2008), che raccoglie i contributi di studiose e attiviste. Pur nelle diverse posizioni emerge un'assunzione complessiva da parte delle donne del linguaggio dei diritti umani, l'inadeguatezza delle istituzioni che se ne occupano e la distanza del diritto dalle vite delle persone, ma anche che "the pursuit oh human rights in the areas of gender and sexuality is everywhere a complicated and equivocal process, often requiring careful negotiation within particular cultural contexts" (ivi, p. 6).

73. Cfr. C. Mackenzie, N. Stolyar (a cura di), Relational Autonomy: Feminist Perspectives on Autonomy Agency, and the Social Self, New York, Oxford University Press, 2000.

74. T. Pitch, I diriti fondamentali: differenze culturali, diseguaglianze sociali, differenza sessuale, Torino, Giappichelli, 2004, p. 10.

75. E.Wolgast, "Diritti sbagliati", cit., p. 35.

76. S. Rodotà, "Nuovi soggetti, nuovi diritti, nuovi conflitti", in S. Rodotà, Soggetti, diritti, conflitti, cit., p. 21.

77. Scelta e volontà individuale nel caso di diritti collettivi si esercitano nel momento della designazione dei rappresentanti e vanno comunque garantite attraverso regole di tutela del pluralismo interno ai gruppi. Proprio il fatto che l'organizzazione collettiva sia spesso l'unica strada per ottenere la positivizzazione di diritti e la loro giustiziabilità dovrebbe condurre ad un'estrema attenzione verso i meccanismi che ne garantiscono la rappresentanza effettiva e verso le voci di dissenso interno alla collettività.

78. Questa è la formulazione usata da Hart nella nota polemica con Lord Devlin (H.L.A. Hart, Diritto, morale e libertà, a cura di G. Gavazzi, Acireale, Bonanno, 1968).

79. P. Comanducci, "Diritti vecchi e nuovi: un tentativo di analisi", Materiali per una storia della cultura giuridica, 1 (1987), p. 106.