2009

La detenzione sulle sponde del Mediterraneo

Lucia Re

1. Introduzione

A partire dalla fine del Novecento l'organizzazione del sistema penitenziario e la tutela dei diritti dei detenuti sono entrate a far parte dell'agenda politica internazionale e di quella europea. Le Nazioni Unite, il Consiglio d'Europa e l'Unione Europea hanno promosso, a livello internazionale e regionale, l'adozione di standard minimi di detenzione cui le amministrazioni carcerarie sono tenute a conformarsi. Sia le Nazioni Unite che il Consiglio d'Europa hanno inoltre favorito la costituzione di organismi internazionali di monitoraggio delle condizioni di detenzione. Infine, le Nazioni Unite e l'Unione Europea hanno promosso riforme in diversi paesi, finanziando progetti volti ad adattare i sistemi penitenziari locali al modello penitenziario delineato negli standard minimi internazionali ed europei. Accanto a questi attori istituzionali, alcune associazioni non governative, come Amnesty International, Human Rights Watch e Penal Reform International, da anni tengono sotto osservazione le carceri di tutto il mondo, denunciando la violazione dei diritti dei detenuti e segnalando le riforme più urgenti. Ciononostante, in molti paesi del mondo le carceri versano in pessimo stato e l'interesse dell'opinione pubblica per la questione penitenziaria resta limitato.

Perché occuparsi allora delle "carceri del Mediterraneo"? In primo luogo perché nell'area mediterranea il problema della tutela delle persone recluse si pone, sebbene con alcune rilevanti differenze, sia sulla sponda sud che sulla sponda nord. E, in secondo luogo, perché esiste uno specifico problema riguardante la detenzione in quest'area. Negli Stati che si affacciano sul Mediterraneo le istituzioni detentive sono numerose e diversificate. Accanto ad aspetti legati alla storia dei singoli paesi, vi sono problemi comuni che possono essere affrontati soltanto a livello regionale. Basti pensare che la popolazione reclusa nelle carceri del Mediterraneo è tendenzialmente omogenea. In Grecia, in Italia, in Francia e in Spagna i detenuti stranieri sono in media il 30% del totale e provengono in maggioranza dai paesi della sponda sud e della sponda est del Mediterraneo (1).

Un'altra rilevante percentuale di detenuti (specialmente in Francia) è composta da cittadini europei di origine straniera, soprattutto maghrebina. Si tratta di giovani, figli di immigrati, che risiedono nelle periferie metropolitane. Sono queste due periferie - le "periferie mediterranee" e quelle metropolitane - i luoghi dai quali proviene un'alta percentuale delle persone recluse nei penitenziari europei. I detenuti nelle carceri mediterranee del sud e del nord si assomigliano dunque per appartenenza nazionale, religiosa e culturale.

Infine, il Mediterraneo si avvia a divenire sempre più un'area di insediamento di istituzioni di reclusione, poiché le politiche migratorie inaugurate negli ultimi anni dall'Unione Europea promuovono - nei paesi membri della sponda nord - la creazione di centri di permanenza temporanea dove sono detenuti i migranti irregolari e - nei paesi della sponda sud - la realizzazione di campi e di "centri di trattamento in transito" (2) dove trattenere i migranti prima che raggiungano il territorio europeo. I centri di permanenza temporanea sono strutture detentive a tutti gli effetti, che, insieme alle carceri vere e proprie, configurano un sistema integrato di istituti di reclusione preposti alla segregazione degli stranieri. Il sistema penitenziario nell'Europa mediterranea (3) ha assunto un ruolo importante come strumento di limitazione della libertà di movimento dei migranti all'interno dell'area europea. Le politiche penali e penitenziarie adottate nei paesi europei del Mediterraneo sono strettamente connesse a quelle migratorie. Le carceri dell'Europa del sud assomigliano sempre di più a centri di permanenza temporanea nei quali sono detenuti i migranti destinati a essere espulsi: detenzione ed espulsione sono strumenti complementari, in grado di assicurare la neutralizzazione degli stranieri.

Questo processo conduce a una trasformazione dei sistemi penitenziari dell'Europa mediterranea, finora orientati alla "rieducazione" dei condannati. Allo stesso tempo però, le istituzioni europee promuovono sulla sponda sud del Mediterraneo l'adozione di un "modello penitenziario europeo" che intenderebbe affidare alla pena una funzione "rieducativa" e che si vuole attento alla tutela dei diritti dei detenuti. La politica penitenziaria europea è dunque ambivalente: da una parte assume come bandiera di "civiltà" e come standard che i paesi candidati all'ingresso nell'Unione devono soddisfare un sistema penitenziario ispirato ai principi della risocializzazione e del rispetto dei diritti dei detenuti, dall'altra, ignora la trasformazione in corso nei propri penitenziari.

2. La detenzione sulla sponda nord del Mediterraneo

La popolazione detenuta nelle carceri dell'Europa mediterranea è cresciuta notevolmente negli ultimi decenni del Novecento e nei primi anni del Duemila. Il sovraffollamento penitenziario e l'inadeguatezza delle strutture detentive dei paesi dell'Europa del sud sono stati più volte denunciati da organizzazioni non governative e da associazioni nazionali e internazionali, oltre che dagli ispettori del Consiglio d'Europa. Le stesse istituzioni statali considerano il sovraffollamento come uno dei principali problemi che affliggono il sistema penitenziario. Esso influisce anche sulle attività proposte ai detenuti. Nelle carceri dell'Europa meridionale la maggioranza dei detenuti non svolge alcuna attività scolastica o ricreativa, né ha un lavoro (4).

Un'altra caratteristica delle carceri dell'Europa del sud è, come si è accennato, la sovrarappresentazione degli stranieri nella popolazione penitenziaria. Questi sono infatti più del 30% dei detenuti, mentre gli stranieri residenti sono circa il 5%. Il Mediterraneo è divenuto una delle principali vie di accesso all'Unione Europea, i cui confini sono difficilmente valicabili per gli stranieri. In fondo al mare giacciono migliaia di corpi. Sono i corpi dei più sfortunati fra coloro che, aggirando le frontiere terrestri e i controlli negli aeroporti, hanno tentato di entrare in Europa via mare con imbarcazioni precarie. Molti dei sopravvissuti si sono trovati subito internati nei Centri di permanenza temporanea per migranti irregolari e nelle carceri dei paesi dell'Europa mediterranea. I paesi sud-europei detengono il primato della carcerazione degli stranieri. In questi paesi, nei quali l'immigrazione è un fenomeno recente, il sistema penitenziario appare come un mezzo per gestire le migrazioni e per "regolare" l'immissione di forza-lavoro immigrata nel mercato nazionale.

La presenza di un numero elevato di stranieri nelle carceri europee, non solo mediterranee, è riconducibile a vari fattori: fra questi determinante è l'opzione a favore di politiche restrittive nei confronti dell'immigrazione. Negli ultimi anni le politiche migratorie dei paesi europei hanno teso a rafforzare gli strumenti di repressione penale dell'immigrazione clandestina. In questo quadro, sono state create nuove figure di reato, i cosiddetti reati "di immigrazione", collegati esclusivamente allo status di migrante, come il reato di ingresso clandestino o di reingresso nel territorio nazionale o i reati connessi alla falsificazione di documenti. Inoltre, in molti paesi europei sono stati irrigiditi i criteri di concessione dell'asilo ed è stata attuata una vera e propria degradazione dei richiedenti asilo da soggetti bisognosi di protezione a potenziali truffatori. Le politiche che risentono di questa ispirazione hanno finito spesso per favorire l'immigrazione irregolare (5).

L'orientamento repressivo nei confronti dell'immigrazione non è affatto esclusivo dei paesi europei mediterranei; anche gli altri paesi membri dell'Unione Europea hanno seguito questa direzione. Caratteristica dei paesi mediterranei è tuttavia la loro vicinanza geografica con molti paesi di emigrazione, vicinanza da cui deriva sia la tendenza ad accordarsi con i governi di questi paesi coinvolgendoli nel controllo delle migrazioni, sia il carattere emergenziale delle politiche migratorie. Tale orientamento favorisce violazioni molto gravi dell'incolumità dei migranti e dei loro diritti: da parte delle polizie di frontiera, delle polizie operanti nei Centri di permanenza temporanea e degli agenti penitenziari. Queste violazioni sono state constatate e denunciate da vari organi internazionali di tutela dei diritti fondamentali, fra i quali: il Commissario europeo per i diritti umani, il Comitato per la prevenzione della tortura le pene o trattamenti inumani o degradanti del Consiglio d'Europa, il Relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani dei migranti, l'Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, il Parlamento europeo e la Corte europea dei diritti umani. Queste denunce non hanno tuttavia condotto finora a un'inversione di rotta.

3. La detenzione sulla sponda sud

Nei paesi della sponda sud del Mediterraneo gli attuali sistemi penitenziari sono spesso il risultato dei processi di riforma avviati durante la colonizzazione europea e portati a termine dopo l'indipendenza. In particolare, nei paesi del Maghreb le riforme realizzate dall'indipendenza a oggi hanno condotto a un progressivo miglioramento delle condizioni di detenzione. I problemi dei detenuti comuni in questi paesi sono dunque per molti aspetti simili a quelli riscontrabili nei paesi europei del Mediterraneo e sono legati principalmente al sovraffollamento e alla mancanza di risorse del sistema penitenziario. Essi sono tuttavia acuiti dalle più generali carenze strutturali ed economiche che affliggono i paesi arabo-islamici del Mediterraneo.

In Marocco i detenuti erano 53.580 alla fine del 2006, con un tasso di detenzione di 167 detenuti ogni 100.000 abitanti (6), superiore dunque a quello dei paesi sud-europei che si aggira intorno ai 100 detenuti ogni 100.000 abitanti. La popolazione penitenziaria è cresciuta dagli anni Novanta del secolo scorso. Fra le cause principali dell'incremento della popolazione detenuta vi sono l'orientamento repressivo della legislazione penale e il ricorso frequente alla carcerazione preventiva: alla fine del 2006 i detenuti non definitivi erano il 46,6% del totale (7). In Algeria al novembre 2007 i detenuti erano 54.000, pari a 158 ogni 100.000 abitanti. Anche qui la popolazione carceraria è costantemente cresciuta, in particolare negli ultimi quattro anni (8). Fra i paesi del Maghreb è però la Tunisia a detenere il primato dell'incarcerazione, con 26.000 detenuti e un tasso di detenzione di 263 detenuti ogni 100.000 abitanti (9). Contrariamente a quanto si rileva per il Marocco, in Tunisia il ricorso alla detenzione preventiva non sembra incidere particolarmente sull'andamento della popolazione penitenziaria. Sono piuttosto il carattere repressivo della legislazione penale e le ferree norme antiterrorismo ad aver condotto in carcere una percentuale così elevata di cittadini. Più che negli altri paesi del Maghreb, in Tunisia si registra una mancanza di trasparenza per quanto riguarda le condizioni di detenzione (10) e le notizie ufficiali sul sistema penitenziario sono molto scarse.

Dall'analisi dei sistemi penitenziari del Mediterraneo del sud emerge inoltre chiaramente l'esistenza di un regime separato per i detenuti politici. In Algeria e in Marocco si possono notare alcuni tentativi di rimediare alle gravi violazioni dei diritti degli oppositori politici e dei membri delle minoranze che sono stati perseguitati dai regimi negli scorsi decenni e alcune aperture in questo senso sono avvenute anche in Tunisia. La rinnovata attenzione per i diritti umani non è tuttavia sufficiente a contrastare il ricorso alla tortura (11) e a innalzare il livello di protezione delle persone incarcerate.

Dalla fine degli anni novanta del secolo scorso le carceri del Maghreb, come altre carceri del mondo arabo, sono state oggetto di importanti interventi di riforma, realizzati sia attraverso il rinnovamento della legislazione penale, sia attraverso l'adozione di nuove leggi penitenziarie. In Marocco, con la morte di Hassan II, le autorità politiche hanno iniziato a rivedere criticamente la dura repressione delle opposizioni politiche e delle minoranze etniche che aveva caratterizzato la politica governativa fin dall'indipendenza. In questo quadro, nel 1999 è stata adottata una legge di riforma delle carceri con lo scopo di adeguare la legislazione penitenziaria marocchina agli standard internazionali. Le carceri sono state aperte ai controlli di organismi indipendenti e si sono avviate alcune collaborazioni con organizzazioni non governative per la tutela dei diritti umani. La Commissione europea, che ha finanziato un programma biennale gestito dall'organizzazione per il miglioramento delle condizioni carcerarie in Marocco (12). Programmi analoghi sono stati sovvenzionati dall'Unione Europea e dalla Nazioni Unite in Algeria, in Libano e in Palestina.

Le organizzazioni internazionali e l'Unione Europea sembrano dunque aver favorito alcuni importanti cambiamenti sulle sponde meridionale e orientale del Mediterraneo. E tuttavia, il disconoscimento dei diritti dei detenuti politici resta ancora oggi una caratteristica comune ai sistemi penali e penitenziari del Mediterraneo del sud. L'Unione Europea e gli altri paesi occidentali hanno una parte di responsabilità nel protrarsi di queste violazioni, poiché, da un lato, hanno sostenuto interventi volti ad adeguare le istituzioni penitenziarie dei paesi meridionali del Mediterraneo agli standard internazionali, ma dall'altro hanno apertamente appoggiato la politica antiterrorismo dei paesi arabi moderati, favorendo un progressivo irrigidimento della legislazione penale e trascurando le denunce provenienti dalle società civili.

Del resto, anche sul territorio europeo la "lotta al terrorismo" ha condotto a una graduale erosione delle garanzie giurisdizionali e alla restrizione di importanti libertà civili. Su due fronti i paesi del sud e quelli del nord del Mediterraneo sembrano trovarsi uniti: quello della "guerra al terrorismo" e quello del controllo delle migrazioni. Sulle due rive del Mediterraneo la "battaglia" comune consente sempre più spesso di derogare ai principi che prescrivono il riconoscimento e la tutela dei diritti individuali.

La disponibilità dimostrata dai paesi della sponda sud del Mediterraneo a riformare i propri sistemi carcerari andrebbe incoraggiata e sostenuta nel contesto della cooperazione mediterranea fra paesi europei e paesi arabo-islamici, anche se questo non dovrebbe essere considerato sufficiente. Le istituzioni europee, insieme alle forze politiche democratiche e alle organizzazioni sociali euromediterranee, dovrebbero impegnarsi a favorire anche il rispetto dei diritti delle persone recluse per motivi politici e la revisione di molte leggi antiterrorismo, come le associazioni e i movimenti presenti nelle società arabo-islamiche reclamano da tempo. Questo non è tuttavia pensabile se l'Europa si presenta come la patria dei "diritti di carta" che tollera nei suoi confini il ricorso alla tortura, alle carceri segrete, alla detenzione incommunicado (13) nei commissariati o nei Centri di permanenza temporanea. Ed è ancor meno pensabile, se essa è percepita come la patria dell'ipocrisia, pronta com'è a stipulare con i paesi del sud del Mediterraneo accordi bilaterali per il controllo dell'immigrazione clandestina, al di fuori di effettive garanzie quanto alla tutela dei diritti dei migranti.

Quando si guarda alla tutela delle persone detenute nell'area mediterranea, benché si noti in molti casi un differente grado di protezione dei diritti dei detenuti, non si rileva una netta contrapposizione degli orientamenti prevalenti sulla sponda nord e di quelli invalsi sulla sponda sud: si rileva invece una sostanziale contiguità fra molte delle pratiche detentive in uso sulle due rive.


Note

1. Vedi International Centre for Prison Studies, World Prison Brief, Europe.

2. L'istituzione, fuori dai confini europei, di "Centri di trattamento in transito" dove recludere i richiedenti asilo è stata proposta dal Regno Unito. Già da alcuni anni, inoltre, i paesi europei, attraverso accordi bilaterali con i paesi del sud e dell'est del Mediterraneo, hanno promosso la creazione di campi e di luoghi di reclusione ai confini dell'Unione Europea dove sono trattenuti i migranti. In questi luoghi non vi è alcuna garanzia per la tutela dei diritti e per la stessa incolumità delle persone trattenute. Si pensi, ad esempio, agli accordi intercorsi fra l'Italia e un paese come la Libia, certo non noto per la sua adesione agli standard internazionali di protezione dei diritti umani.

3. Utilizzo il termine "Europa mediterranea" per riferirmi ai paesi membri dell'Unione Europea che si affacciano sul Mediterraneo (Grecia, Italia, Francia, Spagna e i nuovi membri Malta e Cipro). Tralascio i paesi balcanici. In alcuni casi utilizzerò anche l'espressione "Europa del sud" o "Europa meridionale". Questa espressione si adatta meno dell'espressione "Europa mediterranea" a designare un'area che comprende anche la Francia. Molti inoltre inseriscono fra i paesi dell'Europa meridionale anche il Portogallo, che non si affaccia sul Mediterraneo. Al di là del problema della più generale collocazione della Francia - paese dell'Europa continentale - nell'orizzonte mediterraneo, credo che entrambe le espressioni possano essere utilizzate trattando delle carceri greche, italiane, francesi, spagnole, maltesi e cipriote. Per motivi giuridici e culturali, la Francia mi pare accomunabile in questo settore ai paesi dell'Europa meridionale. Il penitenziario di Loos, ad esempio, nel nord del paese, descritto in un recente rapporto del Cpt, ricorda più le carceri italiane che le carceri olandesi, geograficamente più vicine.

4. Cfr. per l'Italia, Ufficio del Commissario per i diritti umani, Rapporto sulla visita in Italia 10-17 giugno 2005, Consiglio d'Europa, Strasbourg, 14 dicembre 2005, p. 19.

5. È stato stimato, ad esempio, che quasi due terzi dei migranti legalmente residenti in Italia nel 2005 è passato attraverso un periodo di clandestinità, cfr. E. Santoro, La fine della biopolitica e il controllo delle migrazioni: il carcere strumento della dittatura democratica della classe soddisfatta, in P. Cuttitta, F. Vassallo Paleologo (a cura di), Migrazioni, frontiere e diritti, ESI, Napoli 2006. Secondo Santoro: "se si sommano i dati delle varie sanatorie effettuate, i migranti che hanno ottenuto un permesso di soggiorno in conseguenza a sanatoria sono circa 1.548.500". Analisi simili sono state svolte dal Ministero dell'interno sia nel Rapporto sulla criminalità che nel Primo Rapporto sull'immigrazione in Italia 2007, Roma 2007.

6. International Centre for Prison Studies, World Prison Brief for Morocco.

7. Ibid.

8. International Centre for Prison Studies, World Prison Brief for Algeria.

9. International Centre for Prison Studies, World Prison Brief for Tunisia. Dati della Ligue tunisienne des droits de l'homme risalenti al 2004.

10. La Ligue tunisienne des droits de l'homme in più di venti anni di esistenza è stata autorizzata solo due volte a entrare in un carcere tunisino, l'ultima nel 1991. Da allora, a nostra conoscenza, nessuna organizzazione indipendente ha più avuto accesso alle carceri. Vedi A. Othmani, tr. it. cit., p. 135, e Human Rights Watch, Tunisia. Long-Term Solitary Confinement of Political Prisoners, Human Rights Watch, New York 2004, vol. 16, 3 (E).

11. Benché tutti i paesi del Maghreb abbiano ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, la pratica resta molto diffusa in questi paesi, anche al di fuori delle istituzioni penitenziarie. Il Marocco e la Mauritania hanno inoltre apposto dichiarazioni e riserve alla Convenzione.

12. Vedi Penal Reform International, Moyen Orient et Maghreb.

13. E cioè che non è comunicata dalle autorità a terzi; è ad esempio il caso della legislazione spagnola.