2009

Contributo allo studio dell'Islam in Europa (*)

Giovanni Cimbalo

Premessa - 1. Semplificazioni e sviamenti negli studi sull'Islam in Europa - 2. La dimensione globale dell'Islam e l'Islam europeo: caratteri e specificità - 3. Le radici islamiche dell'Europa - 4. L'inclusione delle diverse appartenenze religiose nel vissuto culturale dell'Europa e l'elaborazione dei principi di laicità, pluralismo e tolleranza - 5. Le prospettive di un'Europa relativista e secolarizzata e il pericolo della caratterizzazione religiosa del territorio

Premessa

In un'Europa nella quale cresce il numero di coloro che non credono e di quelli che non praticano alcun culto (1) l'appartenenza religiosa e le pratiche assumono un'importanza sempre maggiore. Ciò è dovuto al fatto che in società secolarizzate come quelle dei paesi europei l'afferenza a una religione non comprende solo i credenti o i praticanti il culto, ma coloro che culturalmente e sociologicamente fanno riferimento a quell'area comunemente identificata con la denominazione religiosa (2). Ne consegue che quelli che provengono dal Nord Africa sono, per convenzione, mussulmani, quelli che migrano in Europa dall'oriente asiatico, buddisti, quelli che hanno origine nell'Est Europa, ortodossi. Naturalmente spesso non è così e la realtà è molto più complessa di quanto appare: rimane il fatto che il fenomeno viene così percepito e che sulla base di questa percezione si muove non solo l'opinione pubblica, ma perfino i Governi e le istituzioni (3).

L'immagine appena descritta è anche frutto dell'assenza molto frequente di strutture formali di comunità. Nell'emigrazione del secolo scorso verso l'America (sia del Nord che del Sud) vennero create nei paesi di destinazione strutture come sindacati, camere del lavoro, movimenti e organizzazioni politiche, che sovente si caratterizzavano per l'appartenenza linguistica o nazionale, o che tenevano conto della segmentazione linguistica, delle tradizioni e culture di provenienza (4). Né va sottovalutato in questo contesto il ruolo svolto dalle Chiese (5). Queste presenze accompagnarono, caratterizzarono, condizionarono, ma anche facilitarono, l'inserimento dei migranti. Manca, invece, oggi in Italia a molte organizzazioni solidaristiche laiche la capacità di creare luoghi di aggregazione per i migranti, malgrado lodevoli eccezioni (6). Così l'esercizio dei comportamenti scaturenti dalle tradizioni e dalla cultura dei migranti si traduce in pratiche, in esigenze delle quali si fanno portatrici organizzazioni di culto che svolgono la loro azione di supplenza, ben motivate a rappresentare gli interessi e i bisogni suddetti, al fine di radicarsi nel territorio (7). Pertanto il codice presunto di appartenenza a un'area cultural religiosa diviene lo strumento identificativo del gruppo, anche quando questo è diverso da quello dominante nel territorio. Nessuno spazio viene lasciato alle appartenenze dei singoli, dimenticando la dimensione essenzialmente e prioritariamente individuale della libertà religiosa e di coscienza. Così gli afferenti ad un determinato culto - benché numerosi - scompaiono dalla rappresentazione mediatica che viene data di esso in relazione alle aree di provenienza: tutti coloro che provengono dai paesi arabi sono islamici (8) così come i rumeni e i moldavi sono ortodossi (9) e gli albanesi non hanno una caratterizzazione religiosa (10).

Notiamo tuttavia una prima differenza tra i problemi che si pongono in Occidente e quelli che prevalgono nell'Est del continente. Ad Ovest primeggia il problema della gestione della presenza islamica, sia sotto il profilo dei rapporti con l'Islam organizzato che delle pratiche di culto (uso del foulard, edificazione e apertura di moschee, diritto alla preghiera, pratiche alimentari, sepoltura, ecc...) (11). A Est s'impone il problema della convivenza sullo stesso territorio di appartenenti a diverse comunità, caratterizzate anche religiosamente, che provoca frequenti e persistenti tensioni (12). Il rapporto con i nuovi culti sconvolge la gestione di un territorio provato dagli scontri interreligiosi, e caratterizzato dalla presenza di enclaves mono-religiose sul territorio, frutto della pulizia etnica che ha caratterizzato le recenti guerre balcaniche (13). Ciò malgrado, nei nuovi Stati nati dalla dissoluzione jugoslava e negli ex Stati socialisti la composizione del mercato religioso non è mai stata così frammentata e anzi è accentuata dal risorgere di conflitti all'interno dell'ortodossia (14). La scomposizione e ricomposizione dei confini, ma ancor più il riposizionamento di numerose popolazioni sul territorio, rendono il quadro delle appartenenze estremamente mobile (15). Si aggiunga che la grande migrazione verso occidente avvenuta dopo l'apertura delle frontiere del 1992 ha "esportato" questi problemi in occidente, complicando ulteriormente il grado di frantumazione delle appartenenze religiose sul territorio d'Europa (16).

E' in questo quadro, sommariamente descritto, che si collocano le riflessioni che seguono, limitate all'Islam. Ci riserviamo di affrontare in altro momento le problematiche altrettanto complesse e gravide di conseguenza sotto il profilo dell'uguaglianza, della libertà e della pace religiosa che riguardano in particolare gli ortodossi e la presenza dei Rom nell'occidente europeo, sempre più dispersi sul territorio (17).

1. Semplificazioni e sviamenti negli studi sull'Islam in Europa

Non vi è dubbio che una parte consistente dell'immigrazione diretta in Europa occidentale è a maggioranza islamica. Ma di quale Islam si tratta? Sono, infatti, islamici molti africani, ma anche asiatici e, perché no?, statunitensi, ma il loro Islam ha spesso poco a che fare con l'Islam proveniente dalla penisola arabica, non è un Islam militante e nemmeno particolarmente praticante (18). Certamente i segni comuni dell'appartenenza all'Islam sono costituiti da comportamenti, cultura, usi e costumi, festività e pratiche alimentari, pratiche di tumulazione (19). Da qui la richiesta di soddisfare queste esigenze: da quella più elementare di pregare sul luogo di lavoro (20) al diritto di disporre di luoghi di culto (21). Poi, a ben guardare, ci si accorge che anche su questi elementi apparentemente unificanti esiste un'estrema articolazione di comportamenti, quanto mai vasta, che segue percorsi vecchi di secoli, ma che nelle comunità migranti, spesso indotte a una concentrazione territoriale in quartieri o aree ghetto, subisce una mortificante tendenza all'omologazione, che induce a pratiche di culto che sembravano dimenticate sotto la spinta di processi di laicizzazione e che divengono di nuovo strumento d'identità (22). Quanto più grandi sono le differenze socio-culturali e l'emarginazione - magari supportata da una differente pigmentazione della pelle - quanto più è maggiore la tendenza a riscoprire con orgoglio l'appartenenza, anche a costo di doversi sottomettere a pratiche penalizzanti dalle quali ci si era liberati con fatica.

Il ricordo, le tradizioni proprie, le peculiarità di gruppo si attenuano notevolmente nelle seconde, terze e quarte generazioni di migranti, ma quando questo processo non ha il supporto di una nuova identità condivisa, frutto di una positiva relazione con le culture e le tradizioni presenti sul territorio che si sono create per effetto del contaminazione delle diverse esperienze, si assiste alla riscoperta della religione in funzione identitaria e di reazione al contesto sociale ritenuto ostile (23). Ormai deprivati di una cultura e di una storia propria, questi soggetti "rinascono" alla religione, immaginando un Islam non mediato dalla storia, dalle tradizioni, dalle esperienze e dai secoli, ma assoluto e fondamentalista, trasmesso dal Corano, dalla shari'a e dagli hadit, nella forma e nella lettura dell'Islam wahabita (24).

Quando gli Stati europei cercano di individuare un interlocutore unico con le comunità islamiche, ignorandone specificità e differenze, aiutano questo processo di desertificazione della storia, del ricordo, delle tradizioni delle singole comunità. Quando gli studiosi, anche quelli di diritto, animati dal rispetto della libertà religiosa, guardano all'Islam con gli occhiali, pressoché esclusivi, dell'Islam arabico e suffragano la strategia della rappresentanza unica, divengono oggettivamente, e a volte inconsapevolmente, fiancheggiatori di un processo di rifondazione su base "ideologica" dell'Islam (25); concorrono a annullare gli effetti del lavoro di assimilazione svolto dalle istituzioni civili verso l'Islam, che storicamente si è sviluppato soprattutto nell'Europa dell'Est e ha dato i suoi frutti con la progressiva inclusione delle comunità mussulmane nel quadro democratico della vita sociale dei diversi paesi (26).

Va ricordato che molti migranti provenienti dall'Est del continente appartengono all'area culturale islamica (27). Portano nelle loro tradizioni, nella loro storia nel loro vissuto relazionale valori d'integrazione, di convivenza, di secolarizzazione delle loro pratiche religiose, dei loro usi, dei loro costumi, del loro vissuto (28). Ebbene costoro vengono ricacciati in un Islam a loro estraneo, perfino nell'architettura dei luoghi di culto (29) e sottoposti a un processo indotto di re islamizzazione: divengono anch'essi dei "rinati", destinati ad alimentare le fila di quello "scontro di civiltà" vaticinato dai nuovi crociati (30). Fondamentalisti islamici e fondamentalisti cristiani divengono così alleati nell'alimentare lo scontro che viene vissuto come una vera e propria guerra, non solo e non tanto in Europa, ma soprattutto nell'Africa australe, dove forti sono le tensioni tra i movimenti carismatici e l'Islam in espansione, a tutto detrimento della pace di quelle popolazioni e con gravi e irreparabili danni alla cultura di quei popoli (31). Per non parlare dello scontro in atto nel Medio Oriente ormai endemico e di quello vivissimo con l'Islam asiatico che, a nostro avviso, non ha ancora dispiegato tutta la sua potenzialità distruttiva e che rischia di estendersi nei territori cinesi e opera già nelle ex repubbliche sovietiche.

Le considerazioni appena svolte ci hanno portato a individuare tanti Islam, ognuno dei quali è portatore di una propria visione del mondo, di una propria cultura, di usi e costumi con i quali, nell'era della globalizzazione e di un'accentuata circolazione di popolazioni sul territorio, abbiamo il dovere di confrontarci per capire e essere capiti.

2. La dimensione globale dell'Islam e l'Islam europeo: caratteri e specificità

Esiste una dimensione globale dell'Islam spesso trascurata dalla maggioranza degli studiosi italiani ed europei, senza la quale si rischia di praticare un provincialismo culturale che induce a considerare la possibilità dell'esistenza di un Islam unico per ciò che attiene non solo le pratiche di culto, ma anche l'attitudine verso il ruolo dello Stato, dei poteri pubblici e il rapporto con gli altri culti (32). Questa carenza di approccio alle problematiche del mondo islamico si ripercuote in modo devastante in ambito politico e influisce sulle scelte relative alla gestione dei rapporti con le comunità islamiche (33). Ancor più, ha ripercussioni drammatiche nel vissuto collettivo delle popolazioni autoctone in Europa occidentale, in quanto contribuisce ad alimentare comportamenti xenofobi e al limite del razzismo (34).

Per un approccio culturalmente corretto al problema bisognerebbe innanzi tutto distinguere tra area sociologico-culturale islamica e fedeli islamici. Certamente, l'area sociologico culturale costituisce un aggregato più vasto e poliforme all'interno del quale vive una componente fortemente minoritaria che pratica il culto e lo fa insieme a soggetti appartenenti alla popolazione autoctona convertitisi individualmente all'Islam (35). Costoro, come tutti i neofiti e i conversi, sono nella maggior parte dei casi fortemente motivati e finiscono per assumere una posizione di leadership all'interno dell'organizzazione religiosa, complice la conoscenza della lingua e il maggiore inserimento a livello sociale (36). La contemporanea presenza di "rinati" all'Islam e cioè di immigrati di seconda e terza generazione, quando non di quarta, con un'identità religiosa in crisi, che riscoprono l'Islam come fattore identitario, induce molti di questi a pratiche religiose fortemente radicali e certamente ortodosse che, estremizzando le posizioni complessive della comunità, mossi dalla forte ambizione a creare gli spazi di sviluppo delle organizzazioni cultuali alle quali hanno dato vita, formulano richieste di accordo con lo Stato che garantiscano ad essi possibilità d'istituzionalizzazione della loro presenza e di egemonia verso l'area socio cultura-religiosa di afferenza (37). Divengono essi stessi autoreferenziali: una rappresentanza chiassosa di piccoli gruppi fortemente motivati, che rivendicano il diritto a mantenere e affermare la propria identità. Così le posizioni di rifiuto di una società multiculturale e multietnica e quelle di radicale opposizione all'integrazione si sostengono a vicenda, nel comune propendere verso lo scontro di civiltà (38).

Coltivare e consentire la diversità, dare la possibilità di mantenere il ricordo e i valori maturati nella storia dalle diverse comunità, è invece elemento essenziale per garantire l'integrazione sociale e la costruzione di un nuovo amalgama, certamente multiculturale e multietnico, in grado di dare un contributo rilevante a una politica di pace e d'incontro tra i popoli (39). Coltivare la specificità delle comunità significa conoscere e apprezzarne la storia, accettarne le differenti pratiche di culto, la visione dell'utilizzazione delle strutture solidali della comunità religiosa, le particolari credenze e tradizioni (40). Significa, soprattutto, rendersi conto che esiste un'area culturale islamica europea autoctona che vive all'interno di associazioni di culto islamiche differenti, che hanno introiettato nell'arco dei secoli la nozione di confessione religiosa, dando vita a organizzazioni di culto che si auto qualificano come tali, con una propria struttura organizzativa, propri ministri di culto, propri dottori della legge, come figure di riferimento, propri magistrati, propri e specifici edifici di culto. Così vive e prende corpo una rielaborazione dei principi religiosi islamici che, lasciando immutati i cinque pilastri dell'Islam, tuttavia interpreta e vive in modo differente la parola di Dio (41).

Se non ci si rende conto di questo fenomeno, se non si coglie l'estrema complessità della composizione dell'Islam in Europa oggi si trasforma di colpo la metà dell'immigrazione di area culturale islamica, proprio in quanto più laica e dotata di pratiche di culto più "compatibili" con abitudini e valori del continente europeo, maturati in secoli di faticoso e a volte sanguinoso confronto, in una massa indistinta di persone, potenzialmente re islamizzabile. Vi è già chi opera in questa direzione: si tratta di componenti islamiche di matrice araba che considerano l'Europa terra di missione e la reislamizzazione delle persone di cultura mussulmana un obiettivo prioritario da conseguire (42). Questo oggettivo sostegno delle posizioni più radicali e tradizionali dell'Islam arabico si ripercuote soprattutto sulle libertà individuali di coloro provengono da quest'area, alimenta il fenomeno della "rinascita", fa strame di quanto di positivo l'Islam ha dato all'elaborazione della cultura dell'intero continente europeo (43).

3. Le radici islamiche dell'Europa

A lungo si è dibattuto e si dibatte sulle radici cristiane dell'Europa (44). Vi è stato poi chi ha proposto di aggiungere il riferimento all'ebraismo, ricordando il grande apporto dato dalla cultura di queste comunità, cosicché le origini del continente sarebbero tributarie della cultura giudaico-cristiana. Da parte laica si è sottolineato l'apporto della cultura illuministica nel plasmare l'identità culturale del continente, soprattutto in materia di uguaglianza e libertà politiche, sociali e individuali e questo costituirebbe un terzo elemento che si amalgama all'interno del crogiolo di fusione con quelli prima citati (45). Tuttavia non sfugge a un'analisi priva di pregiudizi che anche la cultura islamica ha dato un rilevante contributo a questa sintesi di valori ed esperienze. Ciò è avvenuto per quanto attiene il pensiero filosofico, poiché proprio attraverso la cultura araba-islamica d'Andalusia la cultura europea ha recuperato l'eredità greca e latina, la matematica, le scienze. Dagli arabo-islamici l'Europa ha appreso la tecnica del poema e la poesia moderna e profana: le qasida descrivevano la natura, la bellezza dei giardini, del vino e dell'amore, dei piaceri della vita, e lo zagial cantava la vita delle città e dei mercati, la vita della gente comune e della malavita, quando ancora nelle altre parti d'Europa poesia e letteratura si ispiravano a temi religiosi (46). La musica medioevale ha conosciuto numerosi strumenti e si è rinnovata nella contaminazione con quella arabo-islamica. Né questo apporto si è fermato di fronte al diritto e all'elaborazione degli istituti giuridici, a proposito dei quali l'Islam non si è limitato a trasmettere gli antichi testi, ma ha contribuito a maturare esperienze di governo, istituti giuridici in tutti i campi delle relazioni umane, strumenti per la gestione della cosa pubblica, per il perfezionamento di una rete di sostegno di servizi alla persona che nasce fuori dallo Stato nel mondo bizantino e si perfeziona in quello islamico (47). Questo insieme di fattori ha inciso nell'elaborazione di comportamenti e costumi, tradizioni e usi che costituiscono quell'amalgama, vero patrimonio comune delle popolazioni e della cultura delle sia delle classi colte che di quelle subalterne d'Europa (48). Il forte senso di comunità dell'islamismo è antesignano dell'elaborazione del concetto moderno di comunità, alla quale vanno garantiti collettivamente un insieme di servizi, in un quadro di solidarietà, con un ruolo importante riconosciuto alle formazioni sociali. Non si tratta ancora di diritti universali, ma limitati al popolo dei credenti. Sarà l'illuminismo a introdurre il concetto di diritti universali.

Nel campo delle relazioni con i culti l'Islam si è misurato con le conseguenze della complessità del messaggio religioso, ha elaborato il concetto di pluralismo delle afferenze religiose e, al suo interno, ha assunto consapevolezza delle differenti scuole di pensiero nella lettura del messaggio salvifico del Profeta (49), al punto da accettare l'idea del pluralismo confessionale al suo interno (50). E' l'Islam che dopo aver garantito ai dhimmî la libertà religiosa nel proprio spazio vitale, nel Dār al Islam, a condizione che essi paghino la jizya (la tassa di religione), ne permette la partecipazione alla vita sociale, senza creare ghetti, lasciando che ebrei e cristiani ricoprano importanti ruoli sociali, sviluppino la loro cultura, vivano le proprie tradizioni (51). Quando ancora gli ebrei sono chiusi nei ghetti d'Europa (52) la cultura ebraica nello spazio mussulmano dispiega le sue capacità creative, e anche le Chiese cristiane nello spazio islamico riescono a resistere all'omologazione, mantenendo in vita le loro tradizioni e la loro identità, frutto di secoli di dispute teologiche e di un'originale visione del messaggio di Cristo (53). Ed è così ancora la cultura mussulmana a insegnare all'Europa la libertà di approccio al messaggio religioso, accettando di vivere dialetticamente come componente minoritaria in un contesto non islamico, in quell'Andalusia e in quella Spagna nella quale i cattolicissimi ed europei sovrani d'occidente imporranno come risposta a questa disponibilità prima le conversioni forzose di ebrei e mussulmani e poi la loro espulsione dal paese (54).

4. L'inclusione delle diverse appartenenze religiose nel vissuto culturale dell'Europa e l'elaborazione dei principi di laicità, pluralismo e tolleranza

E' pur vero che in Occidente la riforma protestante, spargendo il seme di una professione di fede diversificata, di differenti letture del messaggio evangelico, giunse a consentire che una confessione religiosa potesse perdere nel suo insieme la professione di fede, permettendo ad ogni credente di ritrovare nelle opere e nella propria coscienza il dialogo diretto con Dio. Si ruppe così il monopolio della gerarchia ecclesiastica nell'intrattenere l'esclusivo rapporto con Dio, ma essa pretese, dove era maggioranza, l'adesione di tutti al protestantesimo, negando la possibilità del pluralismo religioso (55). Fu necessario attendere la Rivoluzione francese perché i germi della libertà di religione e dalla religione si sparsero nelle terre d'Europa e del nuovo mondo e si aprissero i cancelli dei ghetti d'Europa, così che l'ebraismo ritrovò libertà d'espressione e d'interazione con la restante parte della società (56). Ad oriente, l'impero ottomano, eroso dal colonialismo e dai nazionalismi balcanici, abolì il califfato (57), divenne una Repubblica e con la rivoluzione kemalista scelse la laicità, giungendo a vietare non solo il velo, ma anche (nel 1927) il fez. Le scelte dei "giovani turchi" fecero si che all'esterno della Turchia l'Islam europeo imboccasse una diaspora autonomistica a livello etnico-nazionale che gli consentì di disegnare caratteri autonomi e originali. Si rafforzò così quel processo di stesura degli Statuti delle comunità religiose islamiche nazionali, prima unitarie e poi articolate in diverse società o confessioni (58). A fronte di un'Europa occidentale bisognevole ancora di Concordati, incapace - come nel caso italiano - di cogliere le differenze all'interno dei culti diversi da quello cattolico, tanto da varare per essi una legge unica, quella sui culti ammessi, ad Est si scelse la strada del riconoscimento dei diversi culti e del pluralismo religioso: il relativismo illuminista impregnava così di se il vissuto culturale di quell'Europa, mentre dispiegano i loro effetti i principi di laicità, pluralismo e tolleranza (59).

Le conseguenze della Seconda Guerra mondiale bloccano il processo di evoluzione degli Stati e delle società dell'Est Europa peraltro provati dalle derive autoritarie che li avevano caratterizzati prima della guerra. Costituzioni caratterizzate dalla libertà religiosa si affermano nell'Europa occidentale. Fu necessario quaranta anni perché ad Est sia affermassero i principi di laicità, pluralismo e tolleranza. Solo nel 1992 il continente sembra ricomporsi con il collasso delle democrazie popolari e socialiste. Si apre così in Europa una nuova stagione per la libertà religiosa e di coscienza. Non si tratta di un parto indolore, perché è anzi travagliato e fatto di pause e dubbi fomentate dalle guerre balcaniche: il continente conosce così la pulizia etnica ammantata anche di motivi religiosi.

Intanto, al rapido sviluppo economico e sociale si accompagna quello delle scienze umanistiche e filosofiche, della scienza e della medicina e questo fa si che vengano rimessi in discussione valori fondamentali come la vita e la morte (60). Istituti tradizionali come il matrimonio vengono ridefiniti alla ricerca di nuove forme di convivenza affettiva (61). A questa discussione corale partecipano tutte le componenti della cultura europea (62). Sarebbe un esercizio faticoso, ma possibile, quello volto a individuare i diversi apporti che concorrono all'apertura degli istituti giuridici, alla loro rimessa in discussione, in una società che si evolve e cambia rapidamente, fino al punto da rendere incerti i suoi caratteri distintivi per poi scoprire che unica soluzione possibile è il relativismo di valori, il pluralismo e la tolleranza come valori (63). Per vedere gli effetti di questa consapevolezza basta guardarsi intorno e cogliere nell'incertezza e nell'insicurezza il germe vivo di una tensione morale ed etica, della perenne ricerca di nuove sintesi, di nuovi traguardi di fronte alle sfide che lo sviluppo della biologia, della medicina, delle scienze, le modificazioni della struttura produttiva e le trasformazioni conseguenti dei rapporti interpersonali pongono (64).

5. Le prospettive di un'Europa relativista e secolarizzata e il pericolo della caratterizzazione religiosa del territorio

Nello sforzo di rifondarsi e ripensarsi l'Europa si è data proprie strutture, avviando un processo di progressivo allargamento e di fondazione di una nuova identità unitaria. Si tratta di un processo non lineare, come tutti i processi storici, ricco d'incertezze, di battute d'arresto, ma che costituisce certamente una sfida ai pericoli in agguato e porta con se uno scontro di interessi e di valori (65). Ma comunque vadano le cose una è certa: la costruzione dell'Europa dovrà fare i conti con la presenza nei suoi territori dell'Islam.

Se le politiche degli Stati continueranno, contro ogni ragionevole motivazione, a considerare l'Islam come una componente esterna al continente, inventando carte dei valori, impegni contrattuali con le comunità, Statuti particolari per consentirne una presenza vigilata nell'ambito europeo, introdurranno un elemento di forte instabilità a livello sociale, che renderà più difficile se non impossibile l'integrazione dei popoli europei in un'unica compagine statale (66). Arrecherà un vulnus ai propri principi e alle proprie conquiste di civiltà, rimettendo in discussione acquisizioni come quelle della laicità, del pluralismo e della tolleranza, frutto di secoli di lotte e di conquiste.

Quanto più le istituzioni saranno invece laiche, tolleranti, pluraliste e faranno tesoro di ciò che la sedimentazione delle relazioni sociali ha prodotto in materia di convivenza, quanto più considereranno opportuno un approccio di tipo relativistico, alle tradizioni, ai valori, alle stesse verità rivelate, tanto più si rafforzerà il processo d'integrazione, e il progresso civile e sociale (67).

D'altra parte, il continente ha conosciuto di recente nei Balcani la politica delle verità assolute e dello scontro etnico e religioso. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una guerra dolorosissima e tra le più crudeli, i cui obiettivi di produrre aggregazioni identitarie sul territorio sono falliti all'indomani della conclusione delle ostilità, sotto la spinta economica della comune richiesta di adesione alla Comunità Europea e per effetto della globalizzazione che, non solo ha tolto ogni argine alla circolazione delle idee, ma ha determinato giganteschi spostamenti di popolazione che hanno rimescolato ancora una volta le carte dell'appartenenza etnico religiosa (68).

Malgrado la presenza in ogni paese di forze che operano sul territorio per conservare lo status quo ante, a meno di una inversione radicale del ciclo economico e di un totale capovolgimento della struttura produttiva e dei mercati, il processo di integrazione è destinato - malgrado battute d'arresto più o meno lunghe - ad andare avanti e allora sarà opportuno fare tesoro dell'esistenza di un Islam europeo, facendolo entrare nel gioco per garantire un equilibrio compatibile di valori coerente con la storia e le tradizioni del continente.


Note

*. Si ringrazia per la collaborazione il personale della biblioteca dell'Institut du Monde Arabe di Parigi.

1. Sulla tendenza a una crescita dell'ateismo o comunque del numero dei non credenti, soprattutto nei paesi dell'Est Europa dopo il 1992, e quindi non per effetto dell'ateismo di Stato vedi: A. De Oto, Diritto e religione nella Repubblica ceca e in Slovacchia, in Libertà di coscienza e diversità di appartenenza religiosa nell'Est Europa, (a cura di G. Cimbalo e F. Botti), Bononia University Press, Bologna, 2008, pp. 201-202. Lo stesso fenomeno è rilevabile ad esempio in Lituania, mentre mancano dati recenti per gli altri paesi.

2. Quando si usa il termine "area sociologica di afferenza religiosa" ci si riferisce a un ambito di appartenenza ben più vasto e cioè a quello ottenuto tenendo conto di comportamenti che trovano la loro origine nella religione, quali l'osservanza di determinate festività, l'uso di un certo calendario, regimi e abitudini alimentari, struttura dei rapporti familiari, modalità e usi di sepoltura e altri comportamenti e molte convenzioni di carattere culturale come le scelte in materia di etica e bioetica: insomma ad un sistema valoriale e tradizionale complesso che concorre a definire la base dell'identità. Questi valori e pratiche di origine religiose che trasmigrano nella cultura, nelle tradizioni, quando non nel folklore, costituiscono un kit identitario che segna gli ambiti dell'influenza esercitata da un culto. Riteniamo di poter desumere questa definizione da letture di carattere generale quali: R. De Vita, F. Berti, L. Nasi, Identità multiculturale e multi religiosa, FrancoAngeli, Milano, 2004, G. Filoramo, M. Massenzio, M. Raveri, P. Scarpi, Manuale di storia delle religioni, Laterza, Roma-Bari, 1998; F. Mattioli, Introduzione alla sociologia dei gruppi, Edizioni Seam, Roma, 2000; J. Habermans - C. Taylor, Multiculturalismo, Feltrinelli, Milano, 1998

3. Questo comportamento è particolarmente ricorrente per quanto riguarda l'Islam, a proposito del quale molti Governi europei si sono inventate delle Consulte islamiche, quasi che le Costituzioni europee abbiano bisogno, per alcune categorie di cittadini i cui caratteri distintivi sono a priori inaccettabili, di assicurazioni suppletive che si esprimono attraverso dichiarazioni d'impegno al rispetto dei valori costituzionali sottoscritte da organizzazioni di culto che li rappresenterebbero. Si veda a riguardo l'intervento di R. Aluffi Beck-Peccoz, al convegno Identità religiosa e integrazione dei Musulmani in Italia e in Europa, (omaggio alla memoria di Francesco Castro, Roma, 22 maggio 2008), in corso di stampa, al quale rinviamo.

Se è vero che queste Carte dei valori sembrano scaturire dalla preoccupazione per l'inserimento delle comunità islamiche nel contesto dell'Europa occidentale, certamente esse sono il segno evidente di una debolezza e impreparazione progettuale dei diversi ordinamenti nell'affrontare con gli strumenti esistenti il problema, immemori di tutte le esperienze istituzionali maturate nel contesto europeo continentale dai paesi dell'Est Europa che hanno ben saputo integrare tali presenze. G. Cimbalo, L'esperienza dell'Islam dell'Est Europa come contributo a una regolamentazione condivisa della libertà religiosa in Italia, Stato, Chiese e pluralismo confessionale; ID., Religione e diritti umani nelle società in transizione dell'Est Europa, Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Le cosiddette Carte dei valori sono state volute anche dalle diverse organizzazioni di culto formatesi nei paesi occidentali le quali, attraverso questo strumento, perseguono una "selezione" al loro interno e cercano di ottenere uno statuto speciale che le differenzi dalle altre comunità, conservandone i tratti identitari distintivi.

4. Negli Stati Uniti le diverse comunità costituirono spezzoni nazionali di sindacati sia di fabbrica che dell'AFL. Ancor più significativa l'esperienza degli Industrial Workers of the Word (IWW) che si posero e realizzarono l'amalgama delle diverse componenti etniche e nazionali del movimento operaio americano. Vedi: A. Dadà, L'Industrial Workers of the World, «Ricerche Storiche», XI, 1, 1981, pp. 131 ss.. In generale: R. Vecoli, The Italian Immigrants in the United States Labor Movement from 1880 to 1929, in B. Bezza (a cura di), Gli italiani fuori d'Italia. Gli emigranti italiani nei movimenti operai dei paesi d'adozione 1880-1940, FrancoAngeli, Milano, 1983, pp 258 ss.; R. Vecoli, Etnia, internazionalismo e protezionismo operaio: gli immigrati italiani e movimenti operai negli Usa, 1880-1950, in V. Blengino, E. Franzina e A. Pepe (a cura di), La riscoperta delle Americhe: Lavoratori e sindacato nell'emigrazione italiana in America Latina 1870-1970, Teti editore, Milano, 1994.

Per quanto riguarda l'America del Sud basti fare riferimento alla Federación Obrera Regional Argentina (FORA) che raggiunse una considerevole forza e all'interno della quale erano presenti in modo strutturato le componenti nazionali delle singole comunità migranti. D. A. de Santillán La Federación Obrera Regional Argentina. Ideología y trayectoria, Editorial Proyección, Mendoza (Argentina), 1971.

5. La Chiesa cattolica si dotò di specifici strumenti per svolgere la propria azione all'interno delle comunità migranti. Si distinsero in quest'opera gli Scalabriniani. Cfr. M. Francesconi (a cura di), Un progetto di Mons. Scalabrini per l'assistenza religiosa agli emigrati di tutte le nazionalità, Studi Emigrazione, IX, 1972, pp. 25 ss; G. Rosoli (a cura di), Scalabrini tra vecchio e nuovo mondo. Atti del convegno storico internazionale (Piacenza, 3-5 dicembre 1987), Roma, Centro Studi Emigrazione, 1989; G. Terragni, Un progetto per l'assistenza agli emigrati cattolici di ogni nazionalità. Memoriale di Giovanni Battista Scalabrini alla Santa Sede, Studi Emigrazione, XLII, 2005, pp. 159 ss..

6. Un esempio positivo è costituito dalla CGIL che ha dato vita presso numerose Camere del Lavoro a coordinamenti migranti, e così pure la CISL. Questa attenzione si rinnova oggi in Italia con le iniziative della CARITAS e con quelle di alcune comunità religiose la più nota delle quali è forse quella di Sant'Egidio e tuttavia le iniziative attivate non sembrano sufficienti a rispondere alle necessità.

7. Si assiste all'insediamento nei paesi di destinazione dei migranti delle Chiese e delle confessioni religiose dei paesi di origine. Un caso significativo è costituito in Italia e Spagna dalla Biserica Ortodoxa Romana (BOR) la quale ha recentemente rinnovato il proprio Statuto modificando profondamente le sue strutture all'estero. Sulle modifiche di Statuto: G. Grigoriţă, Lo statuto giuridico della Chiesa ortodossa rumena secondo la legge n. 489/2006 riguardante la libertà religiosa ed il regime generale dei culti, in Libertà di coscienza e diversità ..., cit., p. 111 ss..

8. Spesso si dimentica che tra le cause dell'emigrazione vi sono anche ragioni di carattere religioso costituite dall'espulsione più o meno forzata di iracheni, palestinesi e nord africani di religione cristiana o di non credenti dai loro paesi di origine. In questo caso a emigrare sono il più delle volte appartenenti alle classi medie che vogliono sottrarsi all'accentuazione del controllo religioso islamico sulla vita politica e sociale dovuto alla crescita del fondamentalismo islamico che sta rimettendo in discussione le stesse radici dell'Islam. Per i paesi europei praticare una politica di separazione e di non integrazione dei migranti significa risospingere queste persone all'interno di comunità ghettizzate e ghettizzanti, innescare un processo di identità-rifugio che produce danni insanabili. Caritas - Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2005, XV rapporto, Immigrazione è globalizzazione, Centro studi e ricerche IDOS, Roma, 2005; M. I. Macioti, E. Pugliese, L'esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in Italia, Laterza, Roma-Bari, 2003.

9. Il mondo ortodosso appare in genere insondabile e sconosciuto e, agli occhi dell'opinione pubblica e degli studiosi occidentali, si presenta come un tutt'uno indistinto. Per aiutare ad orientarsi tra le diverse Chiese ortodosse si legga: T. Petrescu, La Chiesa ortodossa e la sua attuale organizzazione amministrativa, in Libertà di coscienza e diversità di appartenenza religiosa ..., cit., p. 104 ss.

10. Ignoranza della possibile appartenenza dei migranti albanesi a una religione è assoluta. Essi sono percepiti come privi di qualsiasi afferenza religiosa e ciò non perché avrebbero introiettato gli effetti della politica ateista del precedente regime, ma per una sostanziale indifferenza verso di essi. Ne deriva una sostanziale ignoranza e di un grande disinteresse per i problemi di questi migranti. E' pur vero che la società albanese è oggi fortemente laicizzata e secolarizzata, ma non per questo le popolazioni migranti provenienti da quel paese sono prive d'appartenenza socioculturale alle diverse componenti religiose del paese ben rappresentate dalla distribuzione della popolazione in quattro culti principali: Mussulmani sunniti, mussulmani Bektashi, Ortodossi, Cattolici. Sul punto: G. Cimbalo, L'esperienza dell'Islam dell'Est Europa ..., cit..

11. Va ricordato che l'Islam si rappresenta sotto la forma di pratiche di culto, ma anche culturali, che si pongono immediatamente in antitesi con i comportamenti dominanti, producendo un notevole effetto sotto il profilo identitario. Ciò non toglie che i singoli problemi potrebbero essere separatamente affrontati e risolti, evitando che si crei una "massa critica" che da luogo a comportamenti collettivi di carattere identitario. Sono già in vigore provvedimenti legislativi e norme regolamentari la cui applicazione lascerebbe largo spazio al libero esercizio di questi diritti, solo che non si procedesse alla disapplicazione di fatto di queste norme quando a beneficiarne sono gli islamici. Ad esempio il diritto a disporre di edifici di culto nel nostro ordinamento è incontestabile e appartiene ad ogni culto, ma sovente disapplicato quando riguarda gli islamici. E' invece proprio su queste discriminazioni che i gruppi confessionali fanno aggio per indurre le comunità migranti ad identificarsi con l'Islam e proporsi come difensori dell'area sociologico cultural religiosa alla quale essi fanno riferimento. Per il diritto a disporre di edifici di culto, sia consentito rinviare a G. Cimbalo, Gli strumenti della multiculturalità: il diritto a disporre di edifici di culto, in A. Castro Jover - A. Torres Gutierrez (a cura di), Inmigraciòn, Minorìas y Multiculturalidad, Lejona, 2007, p. 121 ss..

12. La presenza di una consistente minoranza russa in Estonia, divisa nell'obbedienza a due diverse Chiese ortodosse - quella Russa e il Patriarcato di Costantinopoli, i conflitti in Ucraina e in Romania tra le Chiese ortodosse e gli Uniati e ancora il conflitto inter-ortodosso in Macedonia, segnalano una turbolenza che mette in discussione il rispetto dei diritti di libertà di religione e di culto. Sul punto G. Grigoriţă, Autonomie et synodalité dans l'Eglise ortodoxe (les prescriptions ses saints canons et les réalités ecclésiastique actuelles), "Studii Teologice", 2009, n.1; K. Petrova Ivanova: La Corte Costituzionale della Repubblica Macedone dichiara illegittimo l'insegnamento della religione nella scuola pubblica, Stato, Chiese e pluralismo confessionale.

13. Benché le guerre balcaniche abbiano teso a creare territori religiosamente e etnicamente omogenei, questa distribuzione è messa in crisi dalla crescita sempre più rilevante dei cosiddetti nuovi culti. Il diffondersi di queste presenze sta portando a ripetuti interventi della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, la quale chiede con forza ai Governi di modificare le leggi sulla libertà religiosa e di consentire il pluralismo confessionale, affiancata in questo compito dalla Commissione di Venezia e dal Consiglio d'Europa. Vedi ad esempio: Council of Europe, Case of Biserica Adevărat Ortodoxă din Ortodoxă din moldova and others v. Moldova (Application no. 952/03) Strasbourg, 27 February 2007. Si impone in prospettiva un ruolo forte della Comunità Europea nel dirimere questi conflitti, valorizzando le autonomie territoriali in un quadro di generale tutela della libertà religiosa e di coscienza. G. Cimbalo, L'incidenza del diritto dell'Unione europea sul diritto ecclesiastico: verso un diritto della Comunità Europea in L'incidenza del diritto dell'Unione Europea sullo studio delle discipline giuridiche (a cura di L.S. Rossi e G. Di Federico) Edizioni Scientifiche, Napoli 2008, pp. 213-239.

14. Per un'analisi di questi problemi dal punto di vista della canonistica ortodossa vedi: G. Grigoriţă, Il concetto di Ecclesia sui iuris. Un'indagine storica, giuridica e canonica, P.A.M.O.M., Roma, 2007.

15. Particolarmente acuto si presenta il problema in Kosovo, dove l'anomalia della procedura seguita per giungere alla sua autonomia e le persistenti forti tensioni con la Serbia costituiscono un problema aperto. Q. Lobello, La libertà religiosa in Kosovo, ovvero un ossimoro "in fieri", in Libertà di coscienza e appartenenza religiosa ..., cit., p. 315. Emblematico poi il caso del Montenegro dove si va verso la creazione di una Chiesa ortodossa autocefala. Cfr. J. Frosini - F. Rinaldi, L'avverarsi della "condizione sospensiva" costituzionale per l'esercizio dello jus secessionis in Serbia-Montenegro, in Libertà di coscienza e diversità ..., cit., p. 169 ss.

16. I conflitti interreligiosi dei paesi d'origine si stemperano, ma non si annullano nell'emigrazione, grazie al contesto secolarizzato e laico nel quale si sviluppano le relazioni tra i migranti. Tuttavia senza attenzione per le loro specifiche esigenze in questo campo da parte dei paesi ospitanti si allarga l'area di sradicamento socio-culturale, producendo comportamenti di disadattamento che ostacolano fortemente i processi d'integrazione. M. Ambrosini, Gli immigrati e la religione: fattore di integrazione o alterità irriducibile?, FIERI - Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sull'Immigrazione, Milano, 2005; A. Colombo, G. Sciortino, L'immigrazione in Italia. Assimilati o esclusi: gli immigrati, gli italiani, le politiche, Il Mulino Bologna, 2004.

17. Mentre per quanto riguarda gli ortodossi facciamo riferimento alla bibliografia fin qui utilizzata, per ciò che concerne i Rom va detto che benché essi si adattino in genere a condividere la religione di maggioranza del paese ospitante e siano animati da una forte tolleranza in materia religiosa, afferiscono all'ortodossia o all'Islam pur avendo costruito una propria mitologia non priva di influssi dell'ebraismo. Vedi l'affascinante viaggio nel mondo dei miti e delle tradizioni Rom in Traditions, coutumes, légendes des Tsiganes Chalderash. Textes recueillis par le R. P. Chatard présentés par Michel Bernard, La Colombe, Paris, 1959.

18. Islam Plurale, (a cura di M. El Ayoubi) Edizione Com-nuovi tempi, Roma 2000; M. Qasim Zaman, The Ulama in Contemporary Islam, Princeton University Press, Princeton, 2007.

19. L'afferenza all'area culturale islamica traspare in modo spesso evidente dagli abiti indossati, dai regimi alimentari praticati, dalle relazioni interpersonali e familiari. Tuttavia, benché questi elementi siano condivisi e vissuti, si crea una continua tensione tra mantenimento dell'identità e timore-desiderio di integrarsi, sensazioni e sentimenti ben descritti da A. Sayad, La doppia assenza. Dalle illusioni dell'emigrato alle sofferenze dell'immigrato, Cortina, Milano, 2002.

20. A. De Oto, Precetti religiosi e mondo del lavoro. Le attività di culto tra norme generali e contrattazione collettiva, Ediesse Roma, 2007, passim.

21. Molto si è discusso e si discute del diritto di disporre di luoghi di culto, diritto che nel nostro ordinamento è indipendente dall'aver stipulato un'Intesa con lo Stato ai sensi dell'art. 8 Cost. La funzione di tali edifici va spesso al di là della soddisfazione delle esigenze di celebrazione del culto, costituendo un presidio di questi culti sul territorio che funga da luogo di aggregazione della comunità. Comunque, nella vastità dei riferimenti giurisprudenziali e dottrinali a riguardo, ci sia consentito rinviare per brevità a G. Cimbalo, Fabbricerie, gestione degli edifici di culto costruiti con il contributo pubblico e competenze regionali sui beni culturali ecclesiastici, in Le fabbricerie. Diritto, cultura, religione, Bologna, Bononia University Press, p. 81 ss., 2007, e alla bibliografia ivi citata.

22. Emblematico il caso delle mutilazioni genitali femminili che non sono certamente una pratica religiosa islamica, anche sono state introiettate nell'Islam in alcuni paesi, soprattutto africani, e vengono consigliate da alcuni Imam, come elemento culturalmente identitario proprio agli appartenenti alle comunità migranti. Vedi a riguardo quanto evidenziato da F. Botti, L'escissione femminile tra cultura ed etica in Africa, Bonomia University Press Bologna, 2009.

23. Le relazioni interpersonali e intercomunitarie che si realizzano nelle istituzioni aggreganti quali la scuola, le manifestazioni sportive, le celebrazioni pubbliche di riti, i concerti, le esposizioni di arte, l'offerta sul mercato di alimenti tradizionali prima sconosciuti, le feste e le nuove sagre gastronomiche, ecc. contribuiscono a creare quel melting pot che, rielaborando il vissuto del territorio, crea una nuova identità condivisa, segno d'integrazione culturale più che di assimilazione. L. Lombardi Satriani, Alimentazione ed emigrazione. Rivista di Antropologia 76, 1998, pp. 7-12; A. Coluccia, M.L. Mangia, Immigrazione: i cambiamenti alimentari e culturali. ADI Magazine, Atti XV Congresso Nazionale ADI, Siena, 2002; M. Salani, A tavola con le religioni. Ed. Dehoniane, Bologna, 2000.

24. Un "rinato" è un individuo che, deprivato di un vissuto di valori, tradizioni, abitudini e inserito in un ambiente ostile, riscopre la fede in sé e decide d'ora in avanti di condurre una vita all'insegna di questa riscoperta, riplasmando cioè ex novo il proprio rapporto con la realtà che lo circonda. I "rinati" rappresentano oggi la gran parte dei fedeli tra gli immigrati di seconda, terza e quarta generazione e costituiscono una minoranza dei credenti nel senso tradizionale del termine. Michalski Krzysztof (ed.), Conditions of European Solidarity, vol. II, Religion in the New Europe, Central European University Press, 2006.

25. Si realizza così una singolare oggettiva alleanza tra i gruppi religiosi fondamentalisti e gli uffici dei diversi Governi che si occupano delle relazioni con i culti. Azzerare le differenze tra le diverse componenti religiose semplifica per gli Stati l'identificazione dei referenti istituzionali, soddisfacendo il bisogno di trovare interlocutori certi, esalta il ruolo di organizzazioni formatesi al di fuori di ogni processo di selezione sulla base di una assunzione delle funzione di leader, in una situazione di strutture fragili e incerte della comunità. Ciò attribuisce maggiori capacità operative ai gruppi estremisti ma contemporaneamente rende vulnerabili queste organizzazioni, consentendo che esse divengano permeabili a ogni forma di controllo da parte degli organismi di sicurezza. CNEL, Organismo nazionale di coordinamento per le politiche di integrazione sociale degli stranieri, Roma, 1999.

26. Varrebbe forse la pena di farsi carico del rispetto delle tradizioni d'afferenza anche cultuale, non lasciarsi spaventare dalla diversità delle appartenenze, ricordando quanto può essere ricco e affascinante il vissuto dei diversi popoli. Così il pluralismo, tanto osannato sulla carta, verrebbe finalmente positivamente utilizzato per consentire l'integrazione pacifica dei popoli N. Lonardi, A. Jabbar, Pluralismo delle fedi in una società in trasformazione, Iprase Trentino, Collana studi e ricerche, 15, 2003; A. Jabbar, Multiculturalismo: la cultura delle differenze.

27. L'appartenenza a comunità di fede islamica, sovente molto diverse tra loro, viene ignorata, prova ne sia che all'interno della Consulta islamica quest'area pure molto vasta di afferenze religiose ed etniche è quasi completamente trascurata. D.M. 10 settembre 2005, Istituzione presso il Ministero dell'Interno della Consulta per l'Islam italiano.

28. Capire, ad esempio, che all'interno della comunità degli emigrati albanesi vi è certamente una componente che fa riferimento alle tradizioni Bektashi significa perdere un'occasione preziosa per relazionarsi con un Islam integrato e certamente compatibile con il quadro culturale e giuridico europeo. Basti fare riferimento alla concezione di assoluta parità di genere che caratterizza questa confessione per cogliere l'importanza della diversità. R. Morozzo della Rocca, Nazione e religione in Albania, 1920-1944, Il Mulino, Bologna, 1990, AA.VV., Historia e popullit shqiptar, II, Tiranë, 2002; A. B., Tomori, Historia e bektashianzmit, "Rivista Urtesia", nr. 3, Tiranë, 1994.

29. Dal punto di vista architettonico si ha l'idea della moschea come di un edificio costruito secondo le architetture classiche degli Stati arabi. Ma non è così: come esistono chiese di diverso stile e differenti caratteristiche che variano a seconda del culto cristiano dal quale vengono utilizzate e dell'epoca nella quale sono state costruite, lo stesso accade per le moschee. Nulla o quasi accomuna una moschea costruita nei Balcani a quelle tipiche del mondo arabo-islamico. Diversa è anche la loro funzione e differenti sono le modalità di celebrazione del culto. L'appiattimento architettonico sui modelli preferiti dai finanziatori, di solito provenienti dal mondo arabo, degli edifici costruiti dopo il 1992 nei Balcani contribuisce a cancellare le differenti tradizioni, a mortificare la libertà religiosa e le differenze di culto all'interno delle diverse componenti dell'Islam albanese. In generale, sul ruolo delle componenti dell'Islam nei Balcani, X. Bougarel - N. Clayer, (sous la direction de), Le Nouvel Islam Balkanique. Les musulmans, acteurs du post-communisme. 1990-2000, Paris, 2001.

30. Sui problemi attuali all'interno dell'Islam europeo di origini balcaniche: R. Aluffi Beck-Peccoz. G. Zincone (eds), The Legal Treatment of Islamic Minorities in Europe, Peeters, Leuven 2004; A. Popovic, L'Islam Balkanique. Les musulmans du sud-est européen dans la période post-ottomane, Berlin, 1986.

31. Ci riferiamo ad alcune componenti dei movimenti cosiddetti carismatici che si sono dati come obiettivo quello di sottrarre territori e popolazioni all'Islam soprattutto in Africa, consolidando la loro presenza nella fascia centro meridionale del continente per risalire poi a nord verso i paesi islamizzati. Sono così nate Chiese ancor più radicali come quelle kimbanguiste che operano nel Congo e la Deeper Christian Life Mission e la Calvary Ministries, queste ultime di origine nigeriana. Si noterà che la loro presenza coincide con aree di conflitti "etnico-religiosi" con notevoli implicazioni economiche relativamente al controllo delle materie prime. G. Cimbalo, L'Africa val bene una messa, Antipodi, Nuova Serie, 2009.

32. L'Islam è una religione alla quale fanno riferimento un miliardo e trecento milioni di persone circa, ha carattere policentrico e vive di una continua rielaborazione del Corano, degli hadit e della tradizione interpretativa di questi. Fino a un secolo fa queste diverse scuole erano geograficamente e territorialmente collocabili, mentre ora, con la globalizzazione e la migrazione dal sud al nord del mondo, hanno perso la dimensione territoriale classica e ne hanno acquisita una molto peculiare, soprattutto in Europa dove hanno trovato delle strutture giuridiche caratterizzate dalla libertà religiosa e di coscienza. Se è certamente vero che questa dimensione è contraria alla visione della società religiosamente ben orientata che ha l'Islam, esso ha imparato ad adattarsi a questa nuova situazione, rivendicando il libero esercizio del culto e opera per darsi una dimensione organizzata. Per farlo ha bisogno di trovare un'identità collettiva che può essere costituita dalla presa d'atto delle tante differenze, e ciò contribuirebbe a farle mantenere una struttura pluralista. Questa può scaturire da un processo di sintesi indotta dalle strutture giuridiche, ma per farlo deve denudare del proprio vissuto coloro che vi afferiscono, con il risultato di radicalizzarsi intorno a forme d'interpretazione letterale della scrittura. Dalla politica complessiva dei paesi dell'occidente europeo dipenderà il volto del proprio Islam e la crescita in numero, ruolo e importanza dei "rinati". Cfr. K. Fouad Allam, L'islam globale, Milano 2002; T. Ramadan, Maometto. Dall'islam di ieri all'islam di oggi, Einaudi, Torino, 2007; B. De Poli, I mussulmani nel terzo millennio, Carocci editore Roma, 2007; M. Lapidus, Storia delle società islamiche, Vol. II, La diffusione dell'Islam, Einaudi, Torino, 1994; G. Vercellin, Istituzioni del mondo mussulmano, Einaudi, Torino, 2002; S. Aldeeb.Abu-Sahlieh, Il diritto islamico, Carocci, Roma, 2008.

33. Particolarmente discutibile appare la scelta dei Governi italiani di utilizzare la cosiddetta Consulta islamica. Sul punto: A. FERRARI, L'intesa con l'Islam e la consulta: osservazioni minime su alcune questioni preliminari, in I. Zilio Grandi (a cura di), Il dialogo delle leggi. Ordinamento giuridico italiano e tradizione giuridica islamica, Venezia, 2006, p. 33 ss.; N. COLAIANNI, Mussulmani italiani e Costituzione: il caso della Consulta islamica, QDPE, 1/2006, 251 per il quale l'istituzione della Consulta costituisce un caso di revisione informale, implicita e strisciante della Costituzione. Inoltre per G. Casuscelli, La rappresentanza e le intese, in A. Ferrari (a cura di), Islam in Europa / Islam in Italia tra diritto e società, Il Mulino, Bologna, 2008, p. 311 "La nomina ministeriale [della Consulta] viola principi costituzionali, regole giuridiche e prassi amministrativa, e sembra assolvere una funzione risarcitoria, per la mancata riforma della legge sui culti ammessi, ed insieme di concertazione sociale extra ordinem: gli strumenti consultivi di partecipazione democratica "senza forme" si collocano, infatti, all'esterno dei vincolanti schemi formali (di rango costituzionale) della contrattazione pattizia, dei connessi poteri di controllo del Parlamento, e della conseguente responsabilità politica del potere esecutivo nei confronti di quest'ultimo".

34. Il confinamento delle comunità migranti al di fuori dei processi d'integrazione, il conseguente potenziamento, per reazione, della coesione interna delle loro comunità è vissuto con diffidenza e preoccupazione dalla maggioranza dell'opinione pubblica, smarrita a causa dell'indebolimento dei rapporti di coesione e solidarietà all'interno delle comunità autoctone. Da qui nascono fenomeni di "ritorsione" e di difesa che prendono corpo nel rifiuto a consentire l'accesso dei migranti ai diritti di cittadinanza, con la motivazione che i loro comportamenti ledono valori ritenuti fondamentali, come la sicurezza. L'effetto di questa politica è quello d'incrementare i comportamenti criminali dei migranti. E' quanto avviene ad esempio con il rifiuto del permesso di soggiorno che pone automaticamente ogni migrante in una situazione di illegalità per cui atti e attività successive, che potrebbero essere considerate compatibili con il principio di legalità, diventano di perciò stesso illegittimi, in quanto posti in essere da tali soggetti. Questa scelta è ben spiegata dalla "Critical Race Theory" (CRT). Sul punto vedi K. Thomas, Legge, Razza e Diritti: "Critical Race Theory" e politica del diritto negli Stati Uniti, in «Filosofia politica», 3, 2003; T.D. Creenshaw et al., Critical Race Theory: The Key Writings that Formed the Movement, The New Press, New York, 1995; Z. Bauman, Globalization, Polity Press - Blackwell, Cambridge-Oxford, 1998; L. Wacquant, Simbiosi mortale. Neoliberismo e politica penale, Ombrecorte, Verona, 2002; M. Barbagli, Immigrazione e criminalità in Italia, Il Mulino, Bologna, 1998; A. Dal Lago, Non persone, Feltrinelli Milano, 1999; F. Belvisi, Identità, minoranze, immigrazione, in Diritto, Immigrazione e cittadinanza, n. 4, 2002.

35. Questo elemento potrebbe contribuire a produrre integrazione, nel rispetto della vocazione di accoglienza che caratterizza molta parte del territorio italiano. Basti pensare alla perfetta integrazione nelle regioni centro meridionali in occasione di un'emigrazione di massa di popolazioni albanesi, che all'epoca (1400) dovette creare non pochi problemi. I punti di incontro con le comunità autoctone vennero trovate nella progressiva integrazione di usi, costumi, regime alimentare, facendo salva la differenza di religione e di culto insieme alla lingua. Vedi F. Altimari, Educazione e multiculturalismo: il caso albanese, in C. Pitto (a cura di), L'identità, il multiculturalismo, i diritti umani. Le ragioni dell'antropologia, Fondazione Guarasci, 2000, pp. 101-110 Questa vocazione matura delle popolazioni meridionali all'accoglienza e al rispetto delle differenze è testimoniata oggi dalle iniziative in corso in comuni come Riace, Caulonia, Stigliano.

36. Le particolari procedure dell'ordinamento italiano che prevedono la costituzione di enti religiosi civilmente riconosciuti come requisito necessario a consentire la stipula di un'intesa, inducono anche le organizzazioni islamiche a indicare come rappresentanti cittadini italiani convertiti che assumono così una funzione di leadership all'interno del gruppo religioso. Sui problemi connessi alla costituzione di enti ecclesiastici islamici: N. Colaianni, L'ente di culto e gli statuti nell'islam, in Islam in Europa / Islam in Italia ..., cit., p. 259 ss.

37. La necessità di attingere a Iman formati in scuole, sopratutto localizzate nei paesi arabo-islamici, produce la progressiva omologazione dei fedeli a queste tradizioni cultuali, contribuendo a estirpare le tradizioni e i valori di un Islam diverso, europeo. Da qui l'opportunità - forse - di riconsiderare la scelta di dar vita anche in Italia a scuole coraniche che provvedano alla formazione del personale religioso. Tuttavia - ad avviso di chi scrive - questa iniziativa può nascere solo nell'ambito dell'autonomia confessionale.

Per completezza si segnala che il dibattito sull'istituzione di Facoltà di teologia e di alta formazione in campo religioso è da tempo presente nel nostro paese. La Chiesa cattolica ha creato una rete di proprie Facoltà di Teologia distribuita su tutto il territorio. A riguardo, il D.P.R. 2/2/1994 n. 175, art. 2 - ad integrazione di quanto già stabilito negli Accordi di revisione del Concordato - stabilisce che "I titoli accademici di baccalaureato e di licenza nelle discipline di cui all'art. 1, conferiti dalle Facoltà approvate dalla Santa Sede, sono riconosciuti, a richiesta degli interessati, rispettivamente come diploma universitario e come laurea con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica". Inoltre, l'art. 15 dell'Intesa tra la Repubblica italiana e la Chiesa Valdese sottoscritta nel 1984 stabilisce che "Le lauree e i diplomi rilasciati dalla Facoltà valdese di teologia sono riconosciuti dalla Repubblica italiana". Analoga scelta potrebbe essere fatta per i mussulmani.

38. S. P. Huntington. Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti Milano, 2000, le cui tesi ispirarono i neo-con statunitensi e la politica dell'amministrazione di J W. Bush, nonché i pamphlet razzisti e xenofobi di Oriana Fallaci, della quale si veda soprattutto la Trilogia di Oriana Fallaci (contenente La Forza della Ragione, Oriana Fallaci intervista sé stessa - L'Apocalisse e La Rabbia e l'Orgoglio), Garzanti, Milano, 2004. Per una posizione equilibrata su questi problemi: G. Sartori, Pluralismo, multiculturalismo e estranei, Rizzoli, Milano, 2000.

39. La ricomposizione dei conflitti interetnici e interculturali è possibile attraverso l'integrazione. Le politiche adottate sono invece ispirate dal principio di assimilazione, tanto da richiedere agli immigrati di adeguarsi al quadro normativo e soprattutto valoriale del paese ricevente, con la conseguenza di creare una permanente conflittualità tra le popolazioni autoctone e i nuovi cittadini. Solo la socializzazione dei ricordi e delle esperienze, delle tradizioni e dei costumi, delle culture e del vissuto, possono costituire la base di una serena convivenza e contribuire alla creazione di una comunità coesa, attraverso una fusione spontanea di volontà, intesa nel significato ad essa conferito originariamente da Ferdinand Tönnies, Gemeinschaft und Gesellschaft. Grundbegriffe der reinen Soziologie, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, 2005. Il grado di acculturazione caratteristico delle società di provenienza della gran parte dei migranti che risente ancora del mondo rurale e le politiche di criminalizzazione attuate dallo Stato e da alcune forze politiche rendono impraticabile una forma societaria di socializzazione, basata sulla razionalità e sullo scambio.

40. Festività e cibo, ma anche immaginario, - come i racconti e le favole - la musica come la letteratura e la poesia, il gusto per le arti visive, l'uso degli oggetti, delle ceramiche, gli stili di vita, i rapporti interpersonali e affettivi, i legami familiari, costituiscono efficaci strumenti di amalgama. Tuttavia spesso più che di scoperta di cose nuove si tratta di riscoprire le affinità: basti pensare alle tante affinità in materia culinaria tra le sponde del mediterraneo. A chi scrive, ad esempio, è capitato di ritrovare il gusto di tanti piatti siciliani alla mensa di un Mufti di Costanza, sul Mar Nero, presentati come piatti tradizionali del suo Islam!

41. L'islam balcanico si è misurato nei secoli con l'eredità della cultura greca e persiana, con la cultura e la mistica ortodossa, fortemente introiettate nel vissuto di quei territori e ne è stato considerevolmente contaminato, fino ad elaborare caratteri propri, largamente compatibili con i valori elaborati in occidente sulla forma di Stato, l'unicità della giurisdizione per tutti i cittadini, i principi dello Stato di diritto, la libertà religiosa e il pluralismo, la laicità e la separazione tra Stato e religione e perfino gli effetti della secolarizzazione che ha portato con se l'uguaglianza di genere e l'emancipazione della donna. R. Morozzo della Rocca, Nazione e religione ..., cit.

42. Si veda a riguardo l'attività della Lega Musulmana mondiale in Europa, organizzazione non governativa, fondata il 18 maggio 1962 alla Mecca da un "Comitato" composto da 21 intellettuali islamici.

43. Pensare che costringendo tutti in un organismo unico si possa meglio condizionarli e controllarli è una scelta tipica di funzionari pigri che non desiderano in alcun modo farsi carico delle differenze ed esigenze dell'interlocutore e ne ignorano perciò le specificità. Significa altresì negare quei principi di pluralismo e libertà (anche religiosa) che hanno costituito uno dei caratteri distintivi delle democrazie europee e soprattutto rappresentano il punto d'arrivo di un cammino di libertà delle popolazioni e dei popoli del continente. L'Islam può scegliere di darsi una struttura unitaria di comunità, ma questa deve essere una scelta non indotta dall'eterno, ma frutto di dinamiche interne che affondano le radici nella storia della comunità. Si vedano ad esempio le vicende della Comunità islamica bulgara ad oriente e quelle delle comunità islamiche in Spagna. Sulla comunità islamica bulgara ci sia consentito rinviare a G. Cimbalo, L'esperienza dell'Islam dell'Est Europa ..., cit. Per quanto riguarda la Spagna si veda: F. García de Cortázar, José M. González Vesga, Storia della Spagna, Bompiani Milano, 2001.

44. Certamente l'inserimento di un riferimento alla religione nel preambolo della futura Costituzione europea ha rappresentato e rappresenta l'aspirazione di numerose confessioni religiose le quali, per meglio svolgere l'attività di rappresentanza dei loro interessi presso gli organismi comunitari, si sono dotate di una presenza stabile e organizzata a Bruxelles, mediante organismi scrupolosamente elencati da F. Margiotta Broglio, Il fenomeno religioso nel sistema giuridico ..., cit., p. 130 ss. L'attività di lobbyng viene svolta con costanza, attenzione e metodo e tuttavia non sempre questa azione risulta efficace, come dimostra il fallimento delle iniziative poste in essere per ottenere l'inserimento nella Costituzione del riferimento alle radici giudaico cristiane dell'Europa. Sul dibattito intorno a questo tema vedi: J. H. H, Weiler Un'Europa cristiana. Un saggio esplorativo, Rizzoli, Milano, 2003; C. Pinelli, Il momento della scrittura. Contributo al dibattito sulla Costituzione europea, Il Mulino, Bologna, 2003; C. Cardia, Laicità e multiculturalismo, in A. Celotto (a cura di), Processo costituente europeo e diritti fondamentali, Giappichelli, Torino, 2004, 29 ss.; Europa laica e puzzle religioso: dieci risposte su quel che tiene insieme l'Unione (a cura di K. Michalski e N. zu Furstenberg), Venezia, 2005; A. Santoni Rugiu, «Radici cristiane e altre radici», in Il Ponte, n. 9, 2003, p. 15 ss.; G. Macri, Europa, lobbyng e fenomeno religioso. Il ruolo dei gruppi religiosi nella nuova Europa politica, Giappichelli, Torino, 2004.

45. G. Cimbalo, La laicità come strumento di educazione alla convivenza, in Laicità e diritto (a cura di S. Canestrari), Bononia University Press Bologna, 2007, pp. 269-313.

46. I. M. Lapidus, Storia delle società islamiche ..., cit., pp. 152 ss.

47. Il zakât è una tassa obbligatoria che deve essere versata dai musulmani che abbiano oltrepassato il nisâb (la soglia imponibile: la linea di demarcazione, basata sul concetto di bisogni essenziali, tra coloro che sono in stato di bisogno e coloro che non lo sono). Esso corrisponde alla decima legale e costituisce un versamento obbligatorio proporzionale all'ammontare delle proprietà lecite possedute da ogni musulmano. La decima legale è uno dei cinque pilastri dell'islam. Il Corano (IX, 60) fissa le regole per la sua redistribuzione. La maggior parte dei musulmani è consapevole di questo obbligo e paga annualmente la sua quota di zakât. F. Castro, voce Diritto mussulmano, in Digesto delle discipline civilistiche, vol. VI, 1994, p. 295 ss.; zakah, sub vocem, in Encyclopédie de l'Islam, Leiden, 2003, vol. XI, pp. 441.

Il waqf ("fondazione pia") è un istituto del diritto islamico attraverso il quale il proprietario di un bene lo vincola per sempre al servizio della Umma; il suo scopo è ben definito e i suoi beni sono inalienabili. Esso costituisce lo strumento attraverso il quale vengono erogati servizi sociali ai mussulmani. F. Castro, Diritto mussulmano, cit., 305 ss.; wakf, sub vocem, in Encyclopédie de l'Islam, Leiden, 2003, Vol. XI, pp. 65 ss.; A. D'Emilia, Per una comparazione tra le piae causae nel diritto canonico, il charitable trust nel diritto inglese e il waqf khayri nel diritto musulmano, in Scritti di Diritto islamico (a cura di F. Castro), Roma, 1976, pp. 237-276

48. S. Noja, Storia dei popoli dell'Islam. L'Islam dell'espansione (632-1258), vol. II, Milano, 1993, pp. 187 ss.; F. J. Peirone, G. Rizzardi, La spiritualità islamica, Roma, 1986; B. De Poli, I mussulmani nel terzo millennio, cit., passim.

49. Sul ruolo degli ulama e dei maestri sufi che dettero vita alle diverse scuole e alle innumerevoli confraternite, consentendo l'espansione dell'Islam e la sua diversificazione per adeguarsi ai diversi contesti culturali e sociali che incontrava: I. M. Lapidus, Storia delle società islamiche ..., cit.; M. Qasim Zaman, The Ulama in Contemporary Islam ..., cit.; G. Vercellin, Istituzioni del mondo mussulmano..., cit.

50. G. Cimbalo, L'esperienza dell'Islam dell'Est Europa ..., cit.

51. A. Hussain Al- Aayed, I diritti dei non-mussulmani nei Paesi islamici, Kounouz Eshbilia Editore, Riad, 2004; G. Vercellin, Istituzioni del mondo mussulmano..., cit., p. 36 ss..

52. Già Giacomo d'Aragona ordinava nel 1242 ai mussulmani di Tarragona di concentrarsi a vivere in un unico quartiere della città. Col tempo l'idea venne perfezionata e applicata agli ebrei. Nel 1415-16 il quartiere nel quale vennero concentrati gli ebrei della città di Venezia assunse il nome di ghetto. A sanzionare e generalizzare questa scelta provvide Papa Paolo IV nel 1555 con la Bolla "Cum Nimis Absurdum", alla quale si adeguarono gli Stati cattolici d'Europa. Ancora una volta fu la Rivoluzione francese a decretare la chiusura dei ghetti, ma quello di Roma venne chiuso solo nel 1870.

53. Al riparo da ogni intervento della Chiesa di Roma continuano ad esistere ancora oggi nell'area che fu soggetta alla dominazione mussulmana numerose Chiese ortodosse autocefale, la Chiesa Caldea, quella Maronita, quella Armena, i Nestoriani, ecc.

54. Quella del ghetto fu una scelta magnanima in quanto verso i mussulmani e i cattolici vennero applicate, soprattutto in Spagna, le conversioni forzate e l'espulsione quando non la tortura dell'Inquisizione. K. Deshner, Storia criminale della Chiesa, Tomo VII (XIII e XIV sec.), Ariele, Genova, 2006, p. 183 ss.

55. G. Cimbalo, I rapporti finanziari tra Stato e confessioni religiose nei Paesi Bassi, Giuffré, Milano,1989. E. G. Leonard, Storia del protestantesimo. Il declino e la rinascita, vol. III, 1, Milano, 1971; M. E. Kluit, Het protestante Réveil in Nederland en daarbuiten (1815-1864), Amsterdam, 1970.

56. Dopo la Riforma, per sfuggire alle guerre di religione si ebbe una significativa emigrazione di popolazioni dell'Europa centro settentrionale verso Est. Questo flusso migratorio fu stimolato soprattutto dai principi tedeschi per estendere i propri domini verso Est lungo i grandi fiumi a cavallo dei confini con la Russia. Se ne trova traccia ancora oggi nel nome delle città, nelle lingue delle popolazioni, nella cultura, nelle tradizioni e nei culti praticati. Questi migranti si incontrarono e si fusero non solo con la cultura slava, ma con quella ebraica, dando progressivamente vita al fiorire della cultura yiddish che nella seconda metà dell'800 germoglierà in coincidenza con il progressivo disfacimento dei ghetti e beneficerà del nuovo clima di confronto che caratterizzerà le società europee, irrobustite dal pluralismo tipico del liberalismo ottocentesco. Vedi in generale AA.VV. Storia d'Europa, Vol. 4. (L'età moderna) e Vol. 5 (L'età contemporanea), Einaudi, Torino, 1995-1996.

57. Nel 1924, sulla spinta della laicità propugnata dalla rivoluzione kemalista, viene abolito l'istituto del Califfato che costituiva una forma di controllo centralistico delle diverse interpretazioni del Corano e degli hadit. Si rafforzava così quella feconda diaspora delle diverse componenti dell'islamismo dell'Est Europa che consentirà alla cultura e ai costumi islamici, nonché alle pratiche di culto dei diversi gruppi religiosi che si richiamano all'Islam di formare quell'Islam Europeo autoctono. Esso è riuscito a superare la difficile fase di passaggio che va dalla dissoluzione dell'impero ottomano alla nascita degli Stati nazionali. Proprio questa possibilità di autogoverno e di evoluzione statutaria, organizzativa e cultuale dispiegata sul territorio in modo confacente alle sue tradizioni ha consentito un inserimento in modo giuridicamente e organizzativamente diversificato dell'Islam nella moderna Europa degli Stati nazionali.

Il problema del Califfato ottomano è complesso e non può essere compiutamente affrontato nell'economia di questo lavoro. Sul punto, per tutti, C.A. Nallino, Appunti sulla natura del «Califfato» in genere e sul presunto «Califfato ottomano», Pro-memoria pubblicato a cura del Ministero delle Colonie, Direzione generale degli Affari Politici, Roma 1917 (ripubblicato in Nallino, M. (ed.) Carlo Alfonso Nallino, Raccolta di Scritti editi e inediti, Vol. III: Storia dell'Arabia preislamica - Storia e istituzioni musulmane, Roma Istituto per l'Oriente 1940, p. 234 ss.; B. De Poli, I mussulmani nel terzo millennio....cit., pp. 178 ss.

58. A. Popovic, G. Veinstein, Les ordres mystiques dans l'islam. Cheminements et situation actuelle, Editions de l'EHESS, Parigi, 1986; F. Kressing, A Preliminary Account o Research regarding the Albanian Bektashis - Myths And Unresolved Questions, in K. Kaser, F. Kressing, Albania - A country in transition. Aspects of changing identities in a south-east European country. Baden-Baden, 2000, pp. 65-92 e bibliografia ivi contenuta.

59. G. Cimbalo, La laicità come strumento di educazione alla convivenza ..., cit., pp. 269 ss.

60. Le profonde trasformazioni intervenute nell'organizzazione nella durata stessa della vita, la medicalizzazione della malattia e della parte terminale dell'esistenza, hanno prodotto mutamenti nella percezione del passaggio del tempo, nel rapporto tra le generazioni, in un quadro di complessivo allungamento del tempo vita. E' in corso perciò una rivisitazione di valori, degli istituti giuridici, dei rapporti di relazione che rimette in discussione valori che sembravano indiscutibili. Sul punto vedi: G. Cimbalo Appunti sulla vita, sui valori e sulla morte, "Antipodi", n. 1, 2004, pp. 41-43.;

61. J.I. Alonso Pérez,I nuovi modelli normativi in materia di convivenza famigliare e assistenziale in Europa, p. 7 ss.; M. Andreani, Genealogia sull'unione d'amore come accesso alla verità: l'amore vero e giusto, p. 79 ss.; G. Antonelli, Metamorfosi della famiglia in quanto organizzazione economica, p. 99 ss., tutti in M. Costa(a cura di), Metamorfosi del matrimonio e altre forme di convivenza affettiva, Liberia Bonomo Editrice, Bologna, 2007.

62. In una società libera, non teocratica, non confessionale, laica, i valori si definiscono attraverso un costante confronto dialettico delle posizioni dei diversi soggetti collettivi e individuali, che se ne fanno portatori. Pertanto in una società laica la cultura religiosa svolge un ruolo critico in funzione dialettica, insostituibile, che concorre all'elaborazione di valori nuovi o alla revisione e/o evoluzione di quelli esistenti e ne permette il consolidamento. Più ricco dunque è il parco dei soggetti religiosi che concorrono al confronto, più efficace è la sintesi e sono le acquisizioni possibili di quel laboratorio collettivo che è la vita sociale e di relazione, la quale sedimenta il sentire sociale. Solo queste dinamiche di confronto, non prive di conflitti, possono produrre posizioni condivise che consistono anche nell'accettazione della presenza di posizioni differenziate e sistemi valoriali diversificati, segnati da un unico tratto comune: la scelta di poter coesistere e convivere. Da questo processo scaturisce la forza e l'efficacia del relativismo valoriale. Sul punto vedi da ultimo: R. Boudon, Il relativismo, Il Mulino, Bologna, 2009.

63. In questo contesto la laicità assume il valore di formante culturale, di strumento operativo che permea di se l'ordinamento, si inserisce, si insinua nelle norme che regolano i diversi istituti giuridici, li plasma e li rende tra di loro coerenti, contribuendo a fornire al sistema giuridico i caratteri di strumento di libertà e di efficace gestione dei conflitti. Per una riflessione sul relativismo etico che costituisce "l'ambiente" nel quale opera la laicità dell'ordinamento: G. Giorello, Di nessuna chiesa, Cortina, Milano, 2005, pp. 11-21. E. Diciotti, Relativismo etico, antidogmatismo e tolleranza; L. Marchettoni, Verità, pluralismo e realismo.

64. Sul prolungamento biologico della vita, G. Cimbalo, Cure palliative e diritto ad una vita dignitosa nella recente legislazione di Danimarca, Olanda e Belgio, in S. Canestrari, G. Cimbalo, G. Pappalardo (a cura di), Eutanasia e diritto, Giappichelli, Torino, 2003, pp. 133-172; F. Botti, L'eutanasia in Svizzera, Bononia University Press, Bologna, 2008.

65. Va rilevato che l'Unione Europea nasce su basi e per ragioni economiche e sugli strumenti giuridici progettati per il coordinamento dell'economia costruisce le proprie istituzioni. I valori ideali e etici che presiedono alla confluenza dei differenti Stati nell'Unione dovranno scaturire da un graduale e non certo lineare processo di convergenza. Tuttavia già ora si vedono i progressivi effetti dell'integrazione nel settore del diritto di libertà religiosa e dei rapporti con i culti. M. Ventura, La laicità dell'Unione Europea, Giappichelli Torino, 2001.

66. Una tale strategia è inoltre incompatibile con il quadro costituzionale dei diversi paesi che ha fatto propri e introiettato i valori di uguaglianza, libertà religiosa e di coscienza, valori che costituiscono dei marcatori ordina mentali frutto di una lunga, faticosa e sofferta evoluzione. G. Cimbalo, Integrazione dei migranti: un Islam plurale per l'Europa. (Rielaborazione dei marcatori ordinamentali della nozione di "culto" e di "confessione religiosa" nella prospettiva dell'U.E.), in Revista General de Derecho Publico Comparado, Iustel, ed.. luglio 2009.

67. Vi è un'apparente inconciliabilità tra dissoluzione di compagni statali come la Jugoslavia e la creazione di piccoli Stati identitari, monoetnici e monoreligiosi e la ricomposizione dell'unità all'interno dell'Unione Europea. Soprattutto gli Stati nati dalla dissoluzione balcanica aspirano ad entrare nell'Unione perché si rendono conto dell'impossibilità di sopravvivere ai margini di un'area economica molto forte e fanno oggi quelle concessioni che ieri furono causa di guerre e massacri. Si veda a riguardo il ruolo svolto dalla Commissione di Venezia e dal Consiglio d'Europa nel dotare gli Stati che chiedono l'adesione di una legislazione octroyée in molte materie "sensibili". Viene in rilievo, ad esempio, la legge della Serbia sulla libertà religiosa modificata su richiesta della Commissione di Venezia per agevolare l'accoglimento della richiesta di aderire all'U.E..

68. Gli spostamenti di popolazione da Est verso Ovest sono destinati a stabilizzarsi e hanno ormai irrimediabilmente segnato la composizione etnico, religiosa e culturale dell'Europa, gettando le basi effettive dell'unità dei popoli del continente. M. Delle Donne, U. Melotti, Immigrazione in Europa: strategie di inclusione-esclusione, Ediesse, Roma, 2004.