2009

La nuova frontiera della globalizzazione: l'Islam
Una riflessione a partire da due libri di Olivier Roy

Caterina Arciprete

Attualmente circa un terzo dei musulmani vive in paesi non musulmani: una sorta di egira al contrario. Questo ha numerose implicazioni. Da un punto di vista metodologico la massiccia presenza di musulmani in Europa consente allo studioso europeo d'Islam di avere una conoscenza diretta del fenomeno seppur egli non provenga dall'altra sponda del Mediterraneo. L'osservabilità diretta della realtà musulmana legittima maggiormente gli europei a trattare questo argomento che normalmente si presta ad essere il coacervo di tutte le ideologie. Questa premessa è di rilevante importanza dato che l'autore di riferimento di questa breve rassegna è Olivier Roy, un cittadino francese. Nel momento in cui le frontiere tra occidente ed oriente sono labili e data l'imponente presenza dell'Islam in Europa (in particolar modo in Francia e Gran Bretagna), la provenienza europea dello studioso non costituisce necessariamente un ostacolo alla profonda comprensione del fenomeno.

1 Islam ed immigrazione

Oggi la "questione musulmana" è un argomento di grande attualità nella maggior parte dei Paesi che sono stati (e continuano ad essere) oggetto di una massiccia immigrazione da parte di persone di fede musulmana. Sia l'attitudine assimilazionista della Francia che quella multiculturalista dei Paesi Bassi si sono scontrate con fatti di violenza e con un'escalation d'intolleranza bipartisan da parte della popolazione locale nei confronti della minoranza musulmana. Oggi la presenza di musulmani è vista come un problema di ordine sociale e politico.

Due, nel caso della Francia, sono le domande che Roy pone a questo riguardo:

- "E' davvero l'Islam la minaccia o non dobbiamo forse ritenere che sia l'identità francese ad essere in crisi, tanto da farsi mettere in ginocchio da alcune centinaia di ragazze con il velo e da alcuni predicatori barbuti?" (1)

In questo senso viene ipotizzata la funzione specchio dell'immigrazione analizzata da Salvatore Palidda nel libro Mobilità umane (2), nel quale l'autore riprende alcuni contributi originari di Abdelmalek Sayad (3). Secondo la funzione specchio l'immigrazione rende palese ciò che la nostra società non vuole vedere. Attraverso gli immigrati vengono smascherate le caratteristiche della società d'accoglienza. Alla luce di questa definizione gli immigrati musulmani lungi dal rappresentare una minaccia rendono palese una forte contraddizione della laïcité francese.

La laicità francese, costruita per proteggere lo Stato dall'influenza della Chiesa cattolica, è fortemente ancorata all'idea che bisogna promuovere unicamente un'etica di tipo razionalista non ancorata alla religione. Questa posizione, osserva Roy, seppure rispettabilissima, non può però aspirare ad essere la verità ufficiale. Questo tipo di laicità non raccoglie consensi tra moltissimi credenti. "Se si vuole uscire dalla religione non bisogna erigere la laicità a religione" (4). L'ambiguità, dunque, della laïcité francese, messa in luce dagli immigrati musulmani (si pensi al caso del velo nelle scuole) è che se in linea teorica essa non mira ad escludere i credenti, ma piuttosto a definire uno spazio di neutralità, nei fatti, diventa un'ideologia chiusa che sostituisce la religione ed impedisce di parlare del dogma.

La seconda domanda che Roy si pone è:

- Il problema ruota intorno all'Islam di per sé, o quello che costituisce il vero problema è il fatto che l'Islam è la religione degli immigrati?

Nel caso in cui il problema sia fatto risalire all'Islam di per sé, quest'assunzione porta ad una serie di ulteriori interrogativi ineludibili. Il problema è l'Islam o il posto che la religione in generale deve occupare nelle società moderne? Se il problema è la sola religione islamica, in quanto il cristianesimo ha vissuto la secolarizzazione e si è adattata allo Stato moderno, mentre l'Islam no, ci dobbiamo chiedere che cos'è che noi consideriamo Islam: un insieme di dogmi presenti nel Corano? Una verità assoluta che può piacere oppure no, ma che bisogna accettare perché non può essere riformulata? "Un monolitico insieme di credenze senza differenziazioni interne, ma soprattutto omogeneo" (5)? In questo modo assumiamo che esista un unico Islam, tesi che contraddice la maggior parte degli studi che riconoscono l'unità e la pluralità dell'Islam. Il messaggio di Maometto si è, infatti, differenziato nei vari contesti in cui si è diffuso, dando luogo ad un Islam europeo per certi versi diverso da quello sviluppatosi nei Balcani o in Asia e senz'altro diverso da quello praticato in Medio Oriente. La presunta rigidità dell'Islam collide con l'evidenza della sua diffusione in contesti più disparati nei quali una posizione granitica ne avrebbe messo in difficoltà la sua stessa sopravvivenza. In secondo luogo, se consideriamo l'Islam come un insieme di norme chiuse, ricadiamo in un errore grave: operiamo una scelta d'interpretazione a vantaggio dei fondamentalisti, legittimiamo loro a rappresentanti dell'Islam, e non consideriamo il mondo reale, molto più composito e complicato. Nonostante questi problemi imprescindibili, molti continuano ad avallare la tesi secondo la quale l'Islam è inconciliabile con le società moderne ed occidentali. I sostenitori di questa tesi si rifanno in particolar modo a tre precisi argomentazioni:

  1. Nell'Islam non v'è separazione tra Stato e Chiesa.
  2. Nell'Islam vige la sharia che è incompatibile con i diritti umani e con la democrazia
  3. I musulmani sono membri dell'umma spirituale e non riconoscono la società politica dei cittadini.

Appoggiare questa tesi è chiaramente sbagliato per tutti i motivi finora elencati: si rifiuta una religione perché "fondamentalista", ma nell'analizzarla si dà ascolto e dunque legittimità alla sola voce fondamentalista. Una palese contraddizione.

Se invece si ritiene che il problema dell'Islam sia legato al fatto che essa è la religione degli immigrati, questo porta a tutt'altre considerazioni e bisogna "dirlo con chiarezza e smettere di farci ossessionare dai versetti del Corano" (6). A dar manforte a questa tesi è il fatto che la religione musulmana dia diversi problemi a seconda dei contesti in cui è calata. In Francia è il velo a destare problemi, in Inghilterra il velo è accettato, mentre è l'hallal ad essere combattuto. Questo sta a dire che non sono le specificità della religione musulmana ad essere il problema di per sé, quanto il fatto che l'Islam sia la religione più diffusa negli spazi dell' esclusione sociale, le periferie e quanto altro.

Alla luce di quanto detto da Roy, l'Islam spaventa non tanto perché portatore di dogmi che non si combinano bene con quelli occidentali, quanto perché mette in crisi la sovranità degli Stati. L'Islam si muove su più registri: "ghetto comunitarista e il proselitismo conquistatore, la banlieu ed il mondo, il globale ed il locale" (7); alla stregua di ogni altra religione ha una pretesa universalista, ma a differenza delle altre religione che sono emigrate, l'Islam ha un peso demograficamente imponente nelle società d'accoglienza. L'Islam attraverso la sua presa dal basso contribuisce allo sgretolamento degli Stati-nazione che sono già indeboliti dai processi di globalizzazione in atto. L'Islam è vista come una minaccia, ma viene allo stesso tempo trasformata in una risorsa: rifiutando la religione musulmana si crea un'identità europea.

2 Islam fra laicità e secolarizzazione

Abbiamo visto nel precedente paragrafo quali sono i punti su cui maggiormente si concentra il dibattito sull'Islam. Roy allarga il discorso: egli non si chiede se un certo Islam è compatibile con un certo insieme di norme; bensì si domanda se l'Islam possa sopravvivere in un contesto secolarizzato e laico come quello occidentale. La secolarizzazione si distingue dalla laicità: mentre la seconda è una scelta di carattere politico che fa lo Stato nel momento in cui argina lo spazio e la visibilità della religione, con la secolarizzazione s'intende quel processo attraverso il quale la religione non è più al centro della vita sociale dell'uomo. Non è una scelta politica, né implica la scomparsa della religione: con la secolarizzazione "la società si emancipa da una sacralità che non rifiuta direttamente" (8). Mentre con la laicità è lo Stato a determinare il posto della religione, con la secolarizzazione è la società stessa a determinarlo. Un Paese può essere secolare e non laico, oppure laico e non secolare. Sono due processi diversi e distinguibili.

Non esiste un processo di secolarizzazione definibile in astratto. Secondo Roy l'uscita dalla religione avviene nei modi, nei tempi e con certi esiti che dipendono dalla religione stessa. Dunque la secolarizzazione (ed anche la laicità) presente nella maggioranza degli stati europei è di stampo cristiano. Spesso viene detto che la religione cristiana è più compatibile con un contesto di laicità e secolarizzazione di quanto lo sia invece la religione musulmana, considerata ontologicamente più totalizzante. Tuttavia il cristianesimo non si è adattato alla laicità in quanto le Sacre Scritture lo permettono, ma perché quello della Repubblica è stato un processo ineluttabile che il Vaticano non ha potuto che accettare. Questo permette di dire che affinché l'Islam possa essere compatibile con un contesto secolarizzato una riforma teologica non è necessaria. Bisogna smentire, inoltre, la tesi secondo la quale l'Islam non abbia attraversato a sua volta un processo di secolarizzazione. Da un punto di vista politico è palese la secolarità dell'Islam: nei paesi musulmani la fonte del potere è stata sempre temporale, non si è mai avuta una teocrazia. Gli ulema rispettano e legittimano lo Stato. Meno ovvia, è invece la convivenza tra l'Islam ed una secolarizzazione sociale; pur tuttavia antropologi e storici sono d'accordo nel sostenere che essa ci sia stata. E a dimostrazione di quanto dicono evocano gli scenari in cui l'Islam ha vissuto fianco a fianco di culture molto diverse sulle quali non si è imposta.

La laicità di stampo europeo, al contrario, può difficilmente diffondersi nei Paesi musulmani. Ciò che ha permesso la laicità negli Stati europei è stata la compresenza di due fattori: da un lato la presenza di istituzioni ecclesiastiche potenti, dall'altro la sacralizzazione del potere. Combinati insieme questi due fattori hanno permesso l'affermarsi di uno spazio secolare. Nell'Islam sunnita non esiste né sacralizzazione dello Stato né Chiesa, dunque se applichiamo questo modello ai paesi musulmani dovremmo affermare che la nascita di uno stato moderno è una transizione fondamentale verso la laicità.

Questa ipotesi è sbagliata perché non esistono dei processi di secolarizzazione e laicità che sono validi per ogni contesto. Alla stregua della democrazia, la laicità può imporsi per effetto di diversi (anche opposti) fenomeni. La rivoluzione islamica, ad esempio, comportando un' eccessiva politicizzazione della religione ha come effetto il distaccamento della religione dalla politica.

Alla luce di quanto detto ci chiediamo nuovamente se l'Islam possa vivere in un contesto secolarizzato come quello occidentale. La risposta è complessa. L'Islam ha vissuto delle proprie esperienze di secolarizzazione che però sono profondamente diverse da quelle occidentali. Sicuramente possiamo escludere che la condizione necessaria per una maggiore integrazione dei musulmani sia una riforma teologica dell'Islam. Il problema dell'Islam in Europa è ricollegabile ad una problematica molto più ampia e cioè quella del ruolo della religione in una società laica. La religione crea degli spazi negli spazi. E' possibile obbedire alle norme religiose ed al contempo rispettare le norme democratiche? Se è stato possibile per il cattolicesimo lo è senz'altro per l'Islam. E non attraverso una riforma teologica, ma attraverso la partecipazione, l'integrazione ed avendo cura di scegliere a rappresentanti ed interlocutori dell'Islam non i fondamentalisti, né una minoranza umanista liberale, bensì la composita, eterogenea massa di musulmani.

3 Globalizzazione e neofondamentalismo

Quello che viene in mente a molti quando si parla d'Islam sono le sue manifestazioni più intolleranti, chiuse e minacciose. Lungi dal rappresentare l'Islam, esse sono, invece, riconducibili ad un'unica corrente dell'Islam: il neofondamentalismo.

Il neofondamentalismo è figlio delle grandi migrazioni, della secolarizzazione ed è un prodotto della globalizzazione.

Esso gioca un ruolo fondamentale nella ricostruzione identitaria degli immigrati musulmani in occidente. Come messo in luce da Pace (9) sono soprattutto gli immigrati alla terza generazione a sentire l'esigenza di una nuova riformulazione della loro identità socio religiosa. Essi devono fare i conti con un Islam minoritario in una società in cui non c'è evidenza sociale della religione. Tre sono le possibili forme di adesione all'Islam secondo Khosrokhavar (10):

  • l'Islam dell'integrazione: non c'è rottura con la società d'accoglienza: la fede non è vissuta come un segno di appartenenza ad una comunità, ma come la costruzione di un'identità personale in seno all'identità nazionale;
  • l'Islam dell'esclusione: la fede funziona come giuntura tra membri che si sentono esclusi e marginalizzati nella società d'accoglienza;
  • la religiosità islamista: un Islam fortemente ideologico che si pone in totale rottura con la società.

Molto spesso gli individui non aderiscono all'Islam cosiddetto dell'integrazione. Sradicati, isolati essi trovano conforto nelle espressioni più esasperate dell'Islam. L'adesione al neofondamentalismo diventa quindi la scelta sofferente di un individuo solo costretto a vivere in una società secolarizzata in cui le definizioni lecito/illecito proprie della sua tradizione non sono più applicabili. Destrutturato e deterritorializzato l'Islam neofondamentalista diventa il possibile sviluppo della ricerca identitaria musulmana. L'altro possibile sviluppo è l'adesione ad un Islam umanista (che verrà analizzato nel prossimo paragrafo).

Il neofondamentalismo fa quindi leva sulla crisi identitaria sofferta dagli immigrati, sul loro isolamento e sul loro smarrimento (non necessariamente sulla loro povertà). Esso fa tabula rasa di tutto ciò che non è Corano e si attiene alla più rigorosa interpretazione dello stesso. Vede la cultura come una minaccia, non solo quella occidentale: è il concetto stesso di cultura ad essere mortificato dai neo fondamentalisti. "La déculturation assumée et transformée en projet refondateur" (11). "Il grande errore del culturalismo è di ritenere che il fondamentalismo sia la riattivazione della dimensione religiosa di una cultura "tradizionale" mentre i fondamentalismi moderni sono parte integrante di un processo di deculturazione" (12). Vengono rotti i rapporti con la civiltà d'origine e viene proposto un codice unico, omogeneo ed adattabile a qualsiasi contesto. Alimentato dalla secolarizzazione il neofondamentalismo n'è a sua volta un fattore determinante: il born again s'isola completamente dalla società comportando un ulteriore distacco della sfera religiosa da quella sociale. La globalizzazione fornisce gli strumenti per la realizzazione di un'umma immaginaria a cui partecipano tutti coloro che hanno tagliato i ponti con i contesti di partenza ed aderiscono a questo nuovo Islam. Essi rifiutano la concezione imperialista ed economica della globalizzazione, ma si nutrono di essa attraverso tutti i mezzi che essa offre: mobilità ed internet. La globalizzazione ha un ruolo determinante nell'affermarsi di gruppi fondamentalisti: se da un lato essa alimenta l'individualismo, l'omologazione, la deculturazione e indebolisce gli Stati (abbiamo visto come uno Stato forte sia un determinante della laicità), dall'altro offre ai fondamentalisti i suoi linguaggi e le reti comunicative.

4 Islam umanista

Nel precedente paragrafo abbiamo visto come il neofondamentalismo sia il possibile sviluppo di una ricostruzione identitaria all'interno di un contesto secolarizzato come quello Occidentale. Un altra possibile evoluzione è quella che vede un adesione ad un Islam "umanista". Entrambe le ricostruzioni sono centrate sull'individuo: solo in questo modo si può creare un'identità che sia adattabile a qualsiasi contesto sociale. Neofondamentalismo e Islam umanista hanno dunque le stesse basi: centralità dell'individuo, rapporto diretto con Dio, ricerca della salvezza. Nel momento in cui le autorità religiose si sono indebolite e si è persa l'evidenza sociale della religione, l'adesione all'Islam diventa una scelta non più imposta, ma personale. L'Islam umanista teorizzato da Tarik Ramadan fa perno sulla spiritualità dell'individuo. L'etica e i divieti permangono, ma lungi dall'essere visti come un'adesione al conformismo sociale essi divengono genuine espressioni di fede, e dunque possono essere oggetto di scelta. In una società che non impone nulla, anche il velo è una sincera dimostrazione di fede. Ciò che è in gioco è la realizzazione personale dell'individuo nel suo rapporto con Dio e non la stretta osservanza dei dogmi. E' un Islam che consente all'individuo di non sentirsi solo (Roy sottolinea a tal proposito il gran numero delle conversioni che avvengono nelle carceri), ma, a differenza del neofondamentalismo, che pone un grosso accento sulla ricerca dell'umma, qui l'individuo non è solo in quanto è con Dio.

L'Islam umanista non è elitario, esso al contrario insiste sulla semplicità e la razionalità piuttosto che sul suo senso politico. Tarik Ramadan dà una risposta all'interrogativo: "come può un buon musulmano vivere in occidente?" La risposta è l'adesione all'Islam umanista che comportando l'interiorizzazione dell'Islam permette all'individuo di conciliare la sua fede col contesto secolarizzato in cui vive.

Le due ricostruzioni identitarie che abbiamo visto hanno delle pesanti ricadute sull'integrazione del cittadino musulmano nei Paesi occidentali. Egli potrebbe non sentire più il bisogno di entrare a far parte della comunità civile del Paese d'accoglienza, sostituita dall'umma immaginaria nel primo caso e dalla completa dedizione a Dio nel secondo.

5 Internet: luogo dell'umma

Sappiamo che per umma s'intende la comunità di fedeli musulmani in quanto tali, aldilà della loro nazionalità. La diffusione d'Internet ha permesso la creazione di un'umma che si concretizza a livello virtuale.

Internet ha democratizzato l'accesso al sapere in generale, ed anche quello religioso. Il sapere religioso non è più monopolio dello Stato, o di pochi ulema, ma è plasmato da molti ed accessibile a tutti coloro che hanno accesso alle nuove tecnologie. Pur tuttavia il sapere che viene diffuso è nella maggior parte dei casi un insieme di nozioni, semplice, omogeneo e d'influenza salafita. A dispetto delle potenzialità offerte dal mezzo, il sapere diffuso attraverso internet è dogmatico, chiuso e non lascia spazio al confronto ed alla discussione. Questo perché tale "muslim public sphere" (13) non risponde all'esigenza di conoscenza, volontà e costruzione, bensì rappresenta il luogo di un Islam deterritorializzato in cui "l'individu cherche sur la Toile la communauté impossibile à construire dans la société concrète où il vit" (14).

La maggior parte dei siti sono rivolti ad individui deterritorializzati, raramente ci sono dei consigli che rimandano a dei luoghi fisici esistenti, la lingua più comune è l'inglese, il messaggio è omogeneo e banalizzato.

L'umma virtuale che si crea è dunque composta da un coacervo d'individui isolati e privi di riferimenti che trovano in Internet risposte e saperi che le società secolarizzate in cui vivono non gli danno. L'accento è posto anche in questo contesto sull'individuo, ma tale individualizzazione non comporta una diversificazione del pensiero, né creatività, bensì solamente "une autoconfirmation du conformisme, une quête d'un consensus normatif" (15).

Internet diventa un fattore deculturante che alimenta il processo di secolarizzazione attraverso una netta divisione tra la società quotidiana e quella virtuale nella quale viene vissuta l'esperienza religiosa.

In sintesi lo sviluppo di Internet favorisce da un lato espressioni di apprendimento individuali dal momento che l'internauta può accedere al corpus dottrinario senza passare per un intermediario, dall'altro favorisce l'affermazione di un Islam deculturato senza storia né cultura.

6 Conclusioni

Oggi l'Islam è un fenomeno che non si sottrae alla globalizzazione. A ben vedere, infatti, l'Islam subisce ed accompagna la globalizzazione. Favorendo l'immigrazione e la mobilità essa crea degli individui sradicati dalle proprie origini, culture e tradizioni. I musulmani oggi sono più che mai figli della globalizzazione: cittadini globali, spesso studiano fuori e soprattutto si reislamizzano in occidente. Per quanto chiuso e dogmatico possa essere una certa espressione dell'Islam saremmo miopi se la vedessimo come una religione recintata: l'Islam oggi è un fenomeno globale che si nutre di Internet per raggiungere l'umma immaginaria.

L'Islam universale è dunque il risultato delle spinte globalizzatrici. E' un Islam nuovo, sradicato da orizzonti culturali definiti e riformatore rispetto alle scuole tradizionali. E' un Islam che preoccupa gli Stati d'accoglienza, poiché essendo deterritorializzato, globale e senza progetto sociale o economico non s'interessa allo Stato, dunque "lo Stato non fa presa su di esso, in quanto agisce in uno spazio diverso" (16).

L'Islam globale, nonostante dichiari battaglia al modello economico liberista, di fatto trae dalla globalizzazione degli indubbi privilegi anche in termini di beni materiali, alimentando quella sovrapposizione tra mondo occidentale e musulmano che rende ogni discorso ispirato ad uno scontro di civiltà fuorviante e sbagliato.

In sintesi possiamo dire che la globalizzazione favorisce la diffusione di tendenze neofondamentaliste ed alimenta il consolidamento di un'umma virtuale che va a svantaggio dei processi di integrazione locali. Inoltre, indebolendo gli stati nazione, la globalizzazione mina una delle condizioni che hanno permesso l'affermarsi della laicità nei paesi occidentali.

Come considerazione personale mi soffermerei sulla grandissima attualità di questi discorsi: risale ad una decina di giorni fa la dichiarazione da parte del Presidente della Camera Gianfranco Fini il quale ha affermato che gli Imam in Italia dovrebbero predicare in italiano per evitare un occultato incitamento all'odio.

E' palese che esista una questione "Islam" anche in Italia. Anche qui essa è stata esacerbata a partire dall'11 Settembre 2001. Ciò che ha reso negli anni a venire la comunicazione sempre più difficile è stato l'aver affidato il dibattito sull'Islam a soggetti più o meno qualificati che hanno dato vita a dibattiti sterili se non ottusamente polarizzati. A ben vedere la situazione è molto complessa: il mondo musulmano è attraversato da una forte spinta globalizzatrice che crea così tante fratture, che oggi è assolutamente sbagliato parlare dell'Islam come di un tutt'uno religioso, geografico e culturale. Le sfaccettature di questo mondo sono così tante che per poterle analizzare c'è bisogno di un occhio attento che, non solo non si faccia condizionare dal fascino delle teorie manichee alla Huntington, ma guardi anche con interesse alle recenti ricerche che, esaltando l'importanza storica del Mediterraneo, rendono la dicotomia occidente-oriente fuorviante e datata.

Bibliografia

  • Cassano F., Zolo D. (a cura di), L'alternativa mediterranea, Milano, Feltrinelli, 2007
  • Khosrokhavar F., L'islam des jeunes en france, Paris, Flammarion,1998
  • Pace E., Sociologia dell'Islam, Roma, Carocci, 2004
  • Palidda S., Mobilità umane, Milano, Cortina, 2008
  • Rivera A. (a cura di), L'inquietitudine dell'Islam, Bari, Edizioni Dedalo, 2002
  • Roy O., L'Islam mondialisé, Paris, Seuil,2002
  • Roy O., Islam alla sfida della laicità, Venezia, Marsilio Editore, 2008
  • Sayad A., La doppia pena del migrante. Riflessioni sul "pensiero di stato", in "aut aut", n. 275, 1996

Note

1. O. Roy, Islam alla sfida della laicità, Venezia, Marsilio Editore, 2008, p. 14

2. S. Palidda, Mobilità umane, Milano, Cortina, 2008

3. A. Sayad, La doppia pena del migrante. Riflessioni sul "pensiero di stato", in "aut aut", n. 275, 1996, p. 10

4. O. Roy, Islam alla sfida della laicità, cit., pp. 39-40

5. E.Pace, Sociologia dell'Islam, Roma, Carocci, 2004, p.194

6. O. Roy, Islam alla sfida della laicità, cit., p.15

7. O.Roy, Islam alla sfida della laicità, cit., p.59

8. O.Roy, Islam alla sfida della laicità, cit., p.33

9. E.Pace, Sociologia dell'Islam, cit., pp.193 ss.

10. F. Khosrokhavar, L'islam des jeunes en France Flammarion, Paris,1998

11. O. Roy, L'Islam mondialisé, Paris, Seuil, 2002, p. 159

12. O. Roy, Islam alla sfida della laicità, cit., p.101

13. O. Roy,L'Islam mondialisé, cit., p.179

14. O. Roy, L'Islam mondialisé, cit., p.187

15. O. Roy, L'Islam mondialisé, cit., p.196

16. O. Roy, Islam alla sfida della laicità, cit., p.121