Violenza maschile contro le donne e politiche delle sicurezze

a cura di Maria (Milli) Virgilio e Lucia Re





Premessa


di Maria (Milli) Virgilio


L’obiettivo di questo lavoro è conservare testimonianza della discussione promossa a Perugia il 14 e 15 novembre 2014 nell’ambito del convegno internazionale  “Quali politiche per la sicurezza?” e, in particolare, nel workshop n. 7 dedicato a “La violenza contro le donne”  (il convegno era stato promosso dalla Regione Umbria - Assessorato Commercio, Urbanistica, Riforme, Sport e dalla Università degli studi di Perugia - Dipartimento di Giurisprudenza, in collaborazione con la rivista “Studi sulla questione criminale”).
Dopo il convegno, alla luce del confronto svoltosi prima nel workshop specifico e poi - in sede plenaria - con la restituzione di tutti i lavori e con la tavola rotonda finale, le interventrici sono state d’accordo sulla iniziativa di rivedere e approfondire i propri contributi, per pubblicarli.
Possiamo così offrire oggi alla lettura non solo gli interventi individuali - che abbiamo preferito conservare nella forma proposta dalle singole autrici -, ma anche una serie di materiali predisposti, o comunque offerti, per l’occasione: sono prevalentemente fonti normative, che consentono di verificare direttamente sul testo nella versione originale le varie prospettazioni e gli incroci tra sicurezza (politiche delle sicurezze) e violenza contro le donne (violenza maschile contro le donne).



Gli interrogativi di partenza


di Lucia Re e Maria (Milli) Virgilio



Il tema sicurezza è strettamente intrecciato a quello della violenza maschile contro le donne. In Italia lo dimostrano inconfutabilmente le modifiche normative intervenute nella materia che - anche esplicitamente - fanno riferimento alla categoria della “sicurezza”, nella sua accezione di “sicurezza pubblica” (disciplinando nello stesso testo legislativo anche altre materie alquanto eterogenee: migrazione, protezione civile, ecc.)
Tale contiguità normativa quali effetti determina? Fino a che punto si spinge? Tale intreccio condiziona nel loro contenuto le politiche per la sicurezza? E, sull’altro versante, condiziona le politiche (legislative e altro) di prevenzione, protezione e punizione (le cd. tre P della Convenzione di Istanbul)  della violenza maschile contro le donne?
“Sicurezza urbana” è l’interesse invocato quando all’interno dell’ampio tema della violenza maschile eterosessuale contro le donne viene dato risalto alla sola violenza di tipo sessuale o, comunque, la violenza viene focalizzata come perpetrata nello spazio urbano da un autore sconosciuto o subita  per strada o in luogo diverso da quelli “domestici” o “familiari” o in cui si vive una relazione di intimità. Viene così occultata la vera dimensione della violenza maschile contro le donne che attiene al rapporto di potere uomo/donna.
Nei residui casi in cui viene usata la categoria secca della “sicurezza” in relazione alla violenza maschile contro le donne, questa categoria come viene declinata nei media, nel linguaggio giuridico (dalle convenzioni internazionali alla legislazione statale e regionale, alle ordinanze, alle decisioni giudiziarie) , nel sapere socio-sanitario, nella medicina legale, etc.?


Interventi