2010

Riflessione a partire dall'esperienza dell'associazione Oasi Onlus

Maria Luisa Matera

L'Associazione Oasi Onlus svolge attività di volontariato e sostegno agli immigrati. Ha iniziato la propria attività nel 1983 con un percorso di frontiera i cui confini, ancora e di più oggi, tendono continuamente a ridisegnarsi. Con i suoi fedeli operai, che lavorano alla manutenzione dei "margini" nei quali l'Oasi opera, l'associazione sperimenta quotidianamente il senso di cammino sempre più itinerante, anche se la gran parte degli incontri avvengono in Salerno, soprattutto nella parte orientale della città: in particolare nel quartiere denominato Pastena, dove opportunamente è situata la sede (via Rocco Cocchia, 12/ 16).

Oltre che nel capoluogo di provincia, l'Associazione Oasi Onlus agisce anche in alcuni Comuni limitrofi per la ricerca di un dialogo con la società civile, al fine di promuovere cambiamenti fecondi per un percorso comunitario improntato all'etica dei valori che indirizzi verso scelte di vita sempre più consapevoli.

Dal modo in cui si struttura la domanda si sviluppano le diverse strategie finalizzate il più delle volte a combattere l'emarginazione e a promuovere una rete di servizi che, integrando le diverse prestazioni, sia istituzionali che del terzo settore, tendono allo sviluppo della dignità umana, soprattutto dove essa sia vilipesa e martoriata dai bisogni sociali, per mettere in atto nuove dinamiche di comprensione degli stessi ai fini di una rielaborazione costruttiva. Da circa sette anni, l'associazione si prende cura dei rom.

Proprio loro gli esclusi da tutto, gli emarginati dal contesto sociale (oltre che politico e legislativo), considerati a torto degli immigrati e, proprio per questo, anch'essi penalizzati dalla normativa vigente. Rom che in Italia, come in molti altri stati europei e non, vivono ai margini di tutto.

Sintomatico sul nostro territorio il caso dei sinti, naturalizzati italiani con relativa cittadinanza, che continuano ad auto-escludersi dal tessuto sociale.

Come è risaputo la presenza dei primi rumeni nella provincia di Salerno risale invece a circa dieci anni or sono, proprio a seguito del primo esodo, quasi una diaspora, dei rom dalla Romania a causa delle gravi condizioni di indigenza patite. Intorno ai gruppi familiari presenti in maniera stanziale gravitano moltissime altre persone, sempre rom, che ci chiedono di assisterli nelle situazioni più disparate, il più delle volte per le richieste di permesso di soggiorno e, da quando la Romania è entrata nella Unione Europea, questioni legate alla residenza e contratti di lavoro che oggi più che mai rappresenta la grande modalità per "sollevare l'indigente dalla polvere": unica e concreta possibilità di affrontare questioni particolarmente spinose dei migranti per fame, soprattutto gli "zingari".

A questo genere d'interventi seguono i consueti interventi per il procacciamento del lavoro, di medicinali, viveri, abiti e quant'altro occorre per vivere.

Come è risaputo, i rom quando si muovono, lo fanno con tutta la famiglia e quindi con i figli al seguito, per cui chiediamo come contropartita l'inserimento scolastico continuativo. Ed è in questa esclusiva ottica, ovvero la tutela dei minorenni, che tentiamo una sorta di prevenzione del disagio che inevitabilmente ricade sui più piccoli.

Ciò che noi identifichiamo come un sistema di protezione del fanciullo, per loro è una incomprensibile interferenza in un sistema di vita che si basa su una economia familiare per l'esclusivo benessere familiare. Quello che loro perseguono attraverso l'elemosina, con o senza figli al seguito, è proprio una forma di resistenza al degrado sociale. Una forma di resistenza che rielabora un' esclusione millenaria e che oggi è ancora la loro forza.

Tentare di inibire questo fenomeno con l'allontanamento dei minori dalle famiglie è una violenza che non farà altro che indebolire ancora di più la sottile cortina che li separa dal mondo per confinarli nei sotterranei della storia, nella quale spaziano dignitosamente solo attraverso una lettura romantica di certe loro abitudini in qualche opera letteraria o romanza lirica. Il bambino sottratto ai genitori, nostro malgrado, realizza comunque una forma di violenza la cui risultante sarà l'esponenziale crescita della loro arretratezza diffidente.

L'Oasi opera nell'esclusivo interesse dei ragazzi, ai quali cerca di dedicare sensibile attenzione, anche se le difficoltà incontrate, soprattutto di carattere culturale, spesso sono insormontabili, perché l'avvicinamento del minore al nostro sistema di vita crea pericolose conseguenze quando non sia supportato da un'opera di prevenzione del disagio sociale. Molti dei capi-famiglia rom temono il disorientamento dei figli la cui domanda finisce per oltrepassare il limite del contesto familiare: essi sono infatti ben consapevoli di non essere preparati a gestire queste evenienze che vengono vissute come un tradimento.

Il concetto stesso di disagio è, per chi opera, difficilmente spiegabile, gli adulti infatti non essendo scolarizzati non comprendono l'utilità di certi approfondimenti, con una conseguente grande diffidenza verso le problematiche che tentiamo di sollevare. La scuola stessa rende il genitore, lavoratore o meno, impreparato al confronto con un essere che prende coscienza del mondo sotto una prospettiva nuova in prima istanza molto allettante, ma che probabilmente prima o poi sarà rifiutata con il rischio di un totale disorientamento del minore.

Su intere generazioni piccolissimi passi sono stati compiuti perché le coscienze divenissero riflessive e si riappropiassero autonomamente del proprio vissuto che per un rom rappresenta la cultura, cultura del vivere con pienezza e dignità la propria storia. Le aspettative comunque rimangono orientate sulla famiglia, in senso allargato: il matrimonio, la sicurezza di casa o un pezzo di terra e nessun orizzonte più manifesto si rende riconoscibile.

Ciò rappresenta il miglioramento di status che continua ad allettare le loro apparentemente scarne e scarse prospettive di vita. Il velo è difficile da squarciare e rimane sempre quel rifiuto dei rom alla promiscuità con i "non rom" che sentono ostili perché più forti, ciò a causa delle tristemente note motivazioni di una emarginazione secolare che tutt'oggi dura e che viene stritolata da un modello proposto che presenta sempre e comunque i nostri codici culturali.

Purtroppo è accaduto che il contatto con situazioni abitative e sociali completamente diverse dal loro modus vivendi determini nei minori una sorta di spaesamento che è deleterio da un punto di vista psicologico, in quanto genera pericolosi conflitti e crisi di identità, con un forte desiderio di assimilazione con il nostro sistema che li porta a rifiutare, anche se solo momentaneamente, la famiglia d'origine quando arrivano a sentirsi "diversi" nonostante siano simili a noi.

Questa diffidenza verso l'inserimento scolastico, in Romania, nella ex-Jugoslavia, come in Italia, se accompagnata da una mediazione, a tutt'oggi purtroppo spesso ancora impensabile, consente l'ingresso dell'intervento dell'istituzione con controlli, verifiche, sollecitazioni che comunque ha dato buoni frutti in termini di frequenza ed opportunità, anche se sempre con la nostra chiave di lettura e di programmazione.

Tutta la nostra opera, seppur modesta, è stata rivolta ad una sorta di interiorizzazione di un sistema di protezione per l'infanzia, resa possibile grazie al discorso di offerta relativo all'alloggio e attraverso il prezioso stimolo della possibilità del permesso di soggiorno, grazie all'applicazione dell'art. 31, comma terzo che in cogenza degli inasprimenti della Bossi-Fini ha aperto un varco (in virtù delle interpretazioni del Tribunale per i minorenni di Salerno) che ha permesso di regolarizzare numerose famiglie di rom. Ci teniamo a dire che il decreto di permanenza ha creato una sorta di rete involontaria che, ponendo in collegamento i servizi sociali, il tribunale, le istituzioni, la questura, ha abbracciato un campo di intervento anche per l'ordine pubblico e la prevenzione, e che ha posto le basi per agire concretamente contro il pericolo di derive di emarginazione.

L'Oasi è costituita da persone semplici, di tutte le estrazioni sociali, che tendono a dare risposta al proprio e altrui disagio, cercando di evitare il semplice assistenzialismo, e tentando invece di assumere responsabilità altrui, soprattutto dei più poveri, in una mutua correlazione. Il vero scopo è quello di sollecitare la crescita della cultura dell'altro e di spezzare la tendenza alla delega, fino al punto di rendere inutile la stessa esistenza dell'Associazione; il tutto partendo da un movimento che spinge ad interiorizzare scelte e programmi nella totale condivisione degli stessi, con una maturazione "politica" dell'assunzione delle responsabilità sociali.

Rileva considerare che da questo osservatorio, che ci orienta verso una costruzione sociale per rielaborarne i contenuti, è importante rendersi conto della necessità di interloquire per la ricerca di un percorso comune al di là dei ruoli, dell'impegno, delle scelte di vita e delle posizioni assunte sino ad oggi, per ripristinare una comunicazione interrotta che necessariamente rimette in discussione il senso di una inutilità che oggi ci accomuna, che accomuna le nostre sorti di persone che credono nella ricerca per cercare nuovi orizzonti per una svolta epocale.