2010

Camminare insieme si può (*)

Maria Luisa Matera

Ho incontrato i rom per la prima volta in udienza, in un'aula di tribunale, difesi d'ufficio da me e presi d'assalto da colleghi avidi di nomine per cospicue provvigioni che allora venivano ampiamente dispensate. Fu la prima volta... rinunciai al compenso perché mi sembrò giusto, non potevo ricordarmi di loro dopo averli evitati agli angoli delle strade e giudicati inavvicinabili, dei paria, caste infime, sottospecie umana. Ma mentre discutevo quella causa per estorsione invitai Vincenzo, opportunamente confinato insieme al suo compare in fondo all'aula, lontani dall'agone giudiziario dove persone ben curate si prestavano al giuoco delle parti, sporchi e macilenti, il mio assistito con una maglia fetida e un occhio che sembrava cascargli dall'orbita.

Mentre discutevo, avevo studiato tutto il tempo del triduo pasquale, era il giorno dopo il lunedì in albis, chiamai Vincenzo e lo invitai a sedersi al mio fianco, gli tenni la mano sulla spalla tutto il tempo, lo sentii una cosa con me...fu una sensazione stranissima di vicinanza, di intimità, di desiderio di conoscenza.

La mia avventura è iniziata allora, seguo le vicende oggi più da un punto di vista umano che giuridico, mi occupo di trovare case, (anche se le uniche sempre aperte sono quelle gestite da un'associazione che aiuta immigrati e rom, l'Oasi di Salerno nate sull'impulso di Pietro Mari, parroco di un quartiere popolare), di assistenza sanitaria, legale, insomma di accoglienza come si dice adesso, sono una consulente, una consigliera, una tipa strana che tesse legami di amicizia con loro perché non può più farne a meno.

Tanţa, si legge Tanza, lavora anche dodici ore al giorno per 25 euro, insieme al marito, ai figli, chi in montagna, chi al frantoio, chi a raccogliere nocciole, Costantin si arrabatta con la raccolta del ferro, Viorica fa l'elemosina, Lucica le pulizie, Ivo fa il mediatore culturale e tutto quello che la vita gli offre, Sheida guarda i bambini suoi crescere come fossero fiori o funghi, nudi e sempre in giro scalzi, con i piedi a riscaldarsi nella cenere del fuoco, (quanti bambini sono stati tolti con l'idea delle violenze, parlavano di bruciature, basterebbe un giorno di vita nel campo per capire come è facile avere ferite e tagli e bozzi sulla carne)...

Oggi il sole si è alzato ed è una buona giornata si può stare tranquillamente all'aperto, i ragazzi vanno a raccogliere legna per il fuoco, Dravko è sordo ma nessuno lo ha mai curato, Franjo è già ubriaco, l'assistente sociale gli ha tolto tre figli e la dignità di uomo, Angela non ha che uno straccio di documento di nascita, nessuna residenza mai, nessuna traccia di loro se non in qualche sperduto archivio anagrafico, impossibile una dichiarazione di residenza abituale, di dimora, niente di niente, il Tribunale per i minorenni qualche volta ci aiuta qualche volta ci massacra. Molti dopo le ultime persecuzioni sono in Germania, Francia, anche Londra, Spagna, alcuni sono rientrati in Romania: ma ritorneranno tutti...

All'Ufficio misure di prevenzione del Commissariato di Polizia di Napoli ci siamo presentati così, inermi e pieni di fiducia. Costantin aspetta giù, davanti all'ingresso, ha accompagnato Vasile che nonostante la paura di tornare in carcere si è affidato allo zio. Siamo saliti nell'ufficio dell'ispettore. Come tanti, la faccia scura, la pelle lucida e tirata, i denti d'oro è difficile che con i rom si entri facilmente in comunicazione.

Obbligo di presentazione alla p.g. ... all'improvviso Vasile non s'era presentato più, il magistrato aveva chiesto l'aggravamento della misura e di ricercarlo per far eseguire il provvedimento.

Inizia la verbalizzazione...: «Mio figlio di due mesi, fu ricoverato al Santo Bono, la dottoressa in ospedale ha detto che non sapevano più che fare per quelle cisti grandi sulla testa (questo quello che ha capito lui) e così mia moglie parte e va in Romania ma dopo circa una settimana, chiama dicendo che il bimbo sta male e che forse sta morendo, senza avvisare nessuno e senza pensare soprattutto parto all'improvviso e corro in Romania pensando sempre a Cristian mio figlio.

Sono arrivato in tempo per prenderlo in braccio, dopo mezz'ora è morto... Quando sono rientrato in Italia, avevo paura di girare, poi siamo qui».

Ora siamo insieme Costantin, Vasile ed io.

L'ispettore dopo un primo contegno distaccato cambia registro e si affida, scambiamo qualche chiacchiera, arrivano da altri uffici, uno che si costituisce in piena Spaccanapoli, è un evento, qualcuno ride sotto i baffi. L'ispettore, i colleghi della volante venuti a prelevarlo, dicono che capita quasi mai, per qualcuno è la prima volta. Non gli mettono le manette.

Si avvia al campo la volante, perché il giudice ha disposto per fortuna solo gli arresti domiciliari, e qui si apre un altro fronte di preoccupazioni perché l'indirizzo non è giusto, ritornano al commissariato per modificare il verbale, poi lo scorazzano in giro fra commissariati e stazioni per vari problemi burocratici da risolvere, qui inizia il panico....Vasile fa un'ultima telefonata e dice che lo stanno portando da un'altra parte non a «casa».

Intanto sono passate due ore noi siamo lì, con Dario che si guarda intorno in quella luce che sigilla il suo ingresso nel libro del mondo attraverso i «sentieri costretti in un palmo di mano» come dice De Andrè. Le bambine hanno indossato degli abiti di carnevale per giocare con lui, scendono dalle baracche come principesse a un corteo, si mettono in mostra con l'eleganza delle movenze mai affrettate, mai distratte, di quell'umanità che ha imparato a stare nelle situazioni più assurde....anche i piccoli, che giocano come tutti i bimbi del mondo, hanno questo legame profondo con la vita. Gesti sapienti, di cura, una bimba veste l'altra, trucca, prepara, raccoglie giochi, Georghe bellissimo moccioso con i denti consumati dallo zucchero di mille elemosine di caramelle, prende il pallone e gioca in una striscia di cemento dove non fa danni, ha reso più bello il suo vecchio «super santos» incollandogli figurine adesive, è molto soddisfatto del suo lavoro.

Cristina, ha messo fuori il tavolo dove si impasta la pasta per il pane.

L'ansia segna insieme all'attesa del lievito che fermenti la pasta la preoccupazione che il magistrato dopo che la p.g. ha relazionato sul campo, le baracche e quindi l'inesistenza di un vero domicilio «tra mura», possa decidere di tradurlo in carcere.

Iniziano a rientrare i tre ruote col carico di ferro, Ion, Vasile il vecchio, altri che vedo per la prima volta, le donne hanno sistemato le stanze con una cura e un ordine incredibile per quella situazione praticamente a due passi dalla strada... lì a meno di quindici metri da noi.

Siamo sotto un cavalcavia inutilizzato, una specie di grotta dove a semicerchio sono sistemate le barakkine pulite e ordinate alla vista, tappeti, stoffe decorano gli ambienti, le coperte sui letti tirate come fossero stirate, le cucine a gas davanti ogni «casa» sono linde e strigliate, pentole con carne in giro su qualche fuoco spento, i resti della cucina avanzata dalla sera prima, lì aperti alla polvere.

Penso all'allarme diossina, a me pare respirarla nell'aria lì in quel buco come uno sfiato della terra arida, che ci restituisce una condizione millenaria di civiltà antiche che attraversano il mondo contemporaneo come se tutto fosse rimasto fermo a qualche centinaio d'anni fa.

Mi viene alla mente quel film che narrava le condizioni di vita degli Amish che rifiutano il progresso come fosse il male. Qui più che il rifiuto c'è l'estraneità a un mondo sentito altro e diverso, inaccessibile se non per la TV, le radio, i cellulari e lo stereo quando si fa una festa, poi su tutto il comfort di una autovettura, magari da guidare con la patente. È una delle questioni che sto affrontando con loro, che essendo tutti analfabeti o quasi, hanno paura di sostenere l'esame di guida.

Cristina col pancione e il marito che l'ha abbandonata, continua a preparare l'impasto con quella danza delle mani così sapienti e che riempiono di senso quella lunga attesa, facciamo una foto, penso a Maria Teresa e l'incontro a Roma sul «pane» cibo comune di tanti immigrati e diverso come diversa è la provenienza, la storia dell'immigrazione di tanti che attraverso i sapori ci narrano di un'esistenza altra, ma sempre domestica e familiare.

Per fortuna Cristina è serena sennò la pasta non crescerebbe, così si dice, il suo è un dolore muto, ebete, che non svilisce le sue energie, continua da anni a macinare chilometri e a pulire culetti di bambini, prima i fratelli, poi i figli della zia, della cognata, anche adesso Daniel l'ultimo fratellino, figlio di sua madre Viorica.

Tutto mi entra dentro e mi spacca, non reggo l'apprensione della madre che per la paura che il figlio vada in carcere, sviene e perde i sensi, della sposa bambina, che oggi non è andata a caritare, piange anche lei sommessamente.

Mi ricordo di aver conosciuto la mamma di Vasile ai funerali di Leana, anche lì svenne e cadde a terra come morta, soffre di una forma di «piccolo male» e alla memoria mi ritorna quel corpo sdraiato a terra come fosse il letto di casa propria, anche lì quella volta il timore e la vergogna era per gli altri, noi i gagì.


*. Riceviamo e pubblichiamo questo testo, inviatoci dall'avvocato Maria Luisa Matera che, a Salerno, con tutta la sua famiglia, da anni difende le cause di alcuni rom. Questo testo tratta della sua esperienza.