2009

Introduzione dei curatori (*)

Nicola Fiorita, Orsetta Giolo, Lucia Re

La cronaca legislativa di questi ultimi due anni sancisce il trionfo di una cultura sicuritaria, xenofoba, esclusiva. Si tratta dell'esito (finale?) di un processo lungo e niente affatto lineare, che si è alimentato di emergenze cicliche, di paure identitarie e di egoismi localistici ed è passato attraverso un lento sgretolamento dei valori di solidarietà, uguaglianza e libertà personale. Questo processo è stato accompagnato da provvedimenti sempre più restrittivi e sempre più ammiccanti nei confronti delle campagne mediatiche, delle richieste di controllo del territorio e delle ipotesi di restrizione dei diritti delle minoranze. La predisposizione del pacchetto-sicurezza del 2008-2009, emblematicamente realizzatasi settanta anni dopo l'emanazione delle leggi razziali, riporta l'Italia ai bordi di un passato che, per l'appunto, sembrava passato per sempre.

E', quello così sommariamente descritto, un processo che investe ormai ogni tipo di minoranza (religiosa, etnica, di genere) ma che, come segnalano numerosi documenti comunitari (dalla Risoluzione parlamentare del 15 novembre 2007 al Rapporto della Commissione del luglio 2008), si sviluppa principalmente nei confronti dei rom. E' qui che l'ordinamento si sbarazza più velocemente delle sue pretese di imparzialità, accantona ogni residuo di quella neutralità formale che ancora condiziona molti provvedimenti e procede senza indugi alla criminalizzazione di una quota della popolazione italiana in ragione delle sue qualità etniche e razziali.

La stigmatizzazione dei rom non rappresenta certamente una novità: la legislazione antizingara ha origini remote, così come antico è il disfavore popolare che accoglie le popolazioni rom in ogni città, ma da soli questi elementi non appaiono sufficienti a spiegare quanto sta accadendo. E nemmeno ci si può accontentare di far riferimento alla centralità che il valore sicurezza (declinato, sia chiaro, esclusivamente nelle dimensioni del controllo e della repressione) è andato assumendo in questi anni o alla debolezza strutturale delle comunità rom, incapaci di esprimere rappresentanze in grado di tutelarne gli interessi, di contrastare il propagarsi degli stereotipi, di divenire parte di più ampi processi di rivendicazione di diritti, di costruire un'autonoma narrazione della propria identità; vi è (vi deve essere) qualcosa di più.

Non può essere considerata semplicemente casuale, insomma, la circostanza che la denuncia delle carenze igienico-sanitarie dei campi rom o il divampare di questa o quella emergenza non si traduca più in proposte di interventi a sostegno di quella popolazione, ma si trasformi sempre e solo nella richiesta di spostare quei campi ancora più in là, possibilmente fino alla loro invisibilità. Lo scambio tra la soluzione del problema e la sua rimozione è il segno che le prospettive sono cambiate e con esse le priorità pubbliche e gli orientamenti legislativi. Qualcosa, insomma, è successo o, perlomeno, sta succedendo. Quella a cui assistiamo, invero, sembra essere una più profonda mutazione della democrazia italiana, sempre più coincidente con il governo assoluto e incontrollabile della maggioranza, sempre più orientata verso la perimetrazione di uno spazio chiuso di diritti e garanzie. Globalizzazione e identità, terrorismo e religione, precarietà e crisi economica sono solo alcuni dei termini di uno scenario che qui si può appena evocare, ma quel che è certo è che nella società italiana di inizio millennio, tutta protesa a difendere i privilegi degli inclusi, non c'è più posto per gli esclusi, così come nella democrazia italiana lo spazio delle minoranze permanenti si rimpicciolisce rapidamente. E i rom, così visivamente diversi, così tradizionalmente miserabili, così fisicamente ai margini delle città e della vita quotidiana non possono che essere i primi a subire il vento della nuova intolleranza.

La forza di questo processo sta spesso nella debolezza di chi potrebbe, e dovrebbe, contrastarlo. Basti pensare alla timidezza con cui l'Unar (ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), organismo istituzionalmente preposto a contrastare il razzismo, svolge il proprio compito. Ma non sempre è così. In una recentissima ordinanza, il Tribunale di Napoli ha annullato il decreto che disponeva il sequestro probatorio di alcuni beni effettuato al termine di una perquisizione svolta in un campo nomadi in assenza di qualsivoglia indizio di reato riferibile al possessore e ha ribaltato lo stigma culturale che stava alla base del provvedimento cassato, affermando ironicamente che legittimare il sequestro di beni di un soggetto appartenente ad un determinato gruppo solo perché non può presentare idoneo titolo di acquisto potrebbe rivelarsi molto rischioso per i napoletani che si recano al Nord (Tribunale di Napoli, VIII sez. pen., ordinanza del 19 marzo 2009).

Eccoci, dunque, al punto. Ognuno è chiamato a fare la sua parte. Per quel che ci riguarda, come studiosi del diritto, come docenti preposti a trasmettere quotidianamente i valori della Costituzione repubblicana, come operatori giuridici impegnati nella lotta ad ogni forma di discriminazione, avvertiamo l'esigenza di aprire uno spazio interamente dedicato alle condizioni di vita dei rom e ai loro rapporti con le istituzioni, sollecitando gli esperti dei più diversi settori della scienza sociale a fornire a tutti gli interessati quegli strumenti di conoscenza, di riflessione, di confronto e di approfondimento essenziali alla vita di una società pluralista e democratica.


Note

*. Siamo grati ad Alessandro Simoni che ha condiviso con noi l'idea di aprire un forum dedicato alle popolazioni rom e sinti e il cui contributo è stato fondamentale per l'organizzazione della discussione on line.