2006

Razza e politiche pubbliche contro il razzismo in Brasile

Valeria Ribeiro Corossacz (*)

Questo testo si propone di riflettere su due delle principali politiche pubbliche basata sulla razza che la società brasiliana sta attualmente dibattendo e applicando: la politica delle quote per studenti universitari negros e l'uso della classificazione razziale nell'ambito della salute pubblica (1).

L'obiettivo di un'analisi comparativa di queste due politiche è comprendere i conflitti, le mediazioni e i discorsi che accompagnano l'uso della nozione di razza come strumento di lotta al razzismo, la sua definizione come categoria sociale che struttura i rapporti, e come nozione analitica di comprensione della realtà sociale nel contesto brasiliano.

A questo scopo è utile accennare brevemente ad alcuni tratti specifici della storia brasiliana in riferimento alla categoria di razza. Il Brasile abolisce la schiavitù nel 1888, ultimo tra i grandi paesi coinvolti nel traffico di schiavi. A partire da quella data non si registra nessuna forma di legislazione segregazionista basata sulla nozione di razza e al contempo i rapporti tra cittadini bianchi, neri e meticci si caratterizzano per una relativa mancanza di conflittualità e odio razziale. Sin dalla seconda metà del XIX secolo, era diffusa l'idea che il Brasile avesse sperimentato un modello di schiavitù più umano, a cui veniva contrapposta spesso l'esperienza statunitense (2). E' in questo periodo che inizia ad affermarsi l'immagine del Brasile come paradiso razziale. Allo stesso tempo, gli anni a cavallo tra il XIX e il XX secolo sono caratterizzati dall'affermazione delle teorie razziste che affermavano l'inferiorità razziale di neri e meticci e il proposito di "sbiancare" la popolazione (3). Attraverso un cambiamento radicale, ma non repentino, a partire dai primi decenni del XX secolo l'identità nazionale brasiliana si svilupperà sulla valorizzazione del meticciato, ossia sulla mescolanza tra culture e gruppi di origine diversa (discendenti di indigeni, portoghesi, africani e dei recenti immigrati), rafforzando l'idea che in Brasile bianchi e neri convivano pacificamente e negando il razzismo scientifico (4). E' così che si afferma l'immagine del Brasile come "democrazia razziale", espressione con cui si viene a indicare proprio questa mescolanza tra persone di origini diverse e la presunta assenza di razzismo (5).

Negli ultimi venti anni la società brasiliana ha iniziato a riconoscere di essere profondamente segnata da meccanismi di discriminazione e devalorizzazione della popolazione nera, e dunque a ripensare la propria immagine di un paese senza razzismo. In particolare da alcuni anni anche le autorità istituzionali hanno ammesso pubblicamente l'esistenza del razzismo e hanno affermato il proprio impegno nella ricerca di strumenti istituzionali per contrastarlo.

Il movimento negro (6) ha avuto un ruolo centrale in questo processo di trasformazione che la società brasiliana sta vivendo, elaborando proposte, dialogando con le istituzioni nazionali e internazionali, e riuscendo a imporsi quale attore sociale di riferimento nella definizione delle politiche pubbliche contro il razzismo.

Questo processo di trasformazione implica anche una revisione del cuore stesso dell'identità nazionale brasiliana, ossia la convinzione di non essere una società razzista. Nel caso del Brasile, affermare di essere una società segnata dal razzismo significa scalfire uno degli assi portanti del sentimento di appartenenza alla comunità nazionale, ossia l'idea di formare una comunità in cui tutti sono uguali, tutti sono mescolati, e in cui non esistono discriminazioni basate sulla razza.

In questo dibattito sulle forme più adeguate per combattere il razzismo, i cui esiti non possiamo ancora valutare pienamente, la nozione di razza si afferma sempre di più nelle discussioni pubbliche, politiche e accademiche. Questo cambiamento è degno di interesse poiché i brasiliani hanno sempre preferito utilizzare nel linguaggio quotidiano il termine colore (cor), impiegando raramente quello di razza (raça). A ciò si accompagna la riappropriazione del termine negro, inizialmente connotato in forma spregiativa, in modo positivo e il suo impiego nel dibattito pubblico per riferirsi alla popolazione nera e meticcia.

La politica delle quote per studenti negros nelle università pubbliche inizia a diffondersi nel 2000, e prevede la riserva per gli studenti che si dichiarino negros di un numero di posti, che varia da ateneo a ateneo, nell'esame di ammissione a numero chiuso che gli studenti brasiliani devono passare per poter accedere all'università. Tale politica è sostenuta dal movimento negro e da una parte dei docenti, e sempre di più dal governo federale.

Si tratta dunque di una politica di azione positiva che ricalca le esperienze statunitensi, a cui è seguito un dibattito che per certi versi è simile a quello avvenuto negli Stati Uniti, centrato sulla discussione se sia giusto basare una politica pubblica sulla nozione di razza in uno Stato che invece afferma, anche in termini legislativi, che tutti sono uguali indipendentemente dalla razza (7). Di fatto con la politica delle quote universitarie, la razza diventa per la prima volta una categoria giuridica nella definizione di politiche pubbliche. Inoltre alcuni hanno espresso la preoccupazione che una politica basata sulla dichiarazione di appartenere ad una razza possa significare la ri-affermazione che le razze esistono in quanto gruppi naturali (8). La specificità della nozione di razza infatti è quella di stabilire una correlazione causale tra tratti naturali (morfologici e/o genetici) e comportamenti sociali (9). Agli occhi di un europeo, e agli occhi di molti brasiliani, l'impiego diffuso e disinvolto della nozione di razza nel contesto brasiliano può sembrare problematico, proprio perché in qualche modo riaffermerebbe l'esistenza delle razze.

Tra i sostenitori della politica delle quote invece si afferma che in Brasile la razza è di fatto una categoria sociale che struttura i rapporti e che produce diseguaglianze socio-economiche, e che dunque è necessario tenerne conto nell'elaborare politiche per la promozione di un'uguaglianza effettiva ed inclusiva.

Ci troviamo qui di fronte a una ri-semantizzazione della nozione di razza, o una sua riappropriazione discorsiva, operata per lo più da attivisti politici antirazzisti, in cui si nega il suo nucleo distintivo, ossia il legame deterministico tra tratti morfologici/genetici e comportamenti sociali e morali, per affermarne invece la rilevanza in quanto effettiva categoria sociale di organizzazione delle relazioni sociali, e in particolare di definizione nell'accesso alle risorse materiali e simboliche.

Quello che il movimento negro suggerisce è che, paradossalmente, negare che la razza esista in qualche modo significherebbe negare che i neri in Brasile sono discriminati. Vale a dire: finché non si riconosce, anche sul piano delle politiche pubbliche, che la razza funziona come una categoria sociale di esclusione, non sarà possibile elaborare politiche che trasformino questi meccanismi di esclusione. Sbarazzarsi della nozione di razza non equivale necessariamente a sbarazzarsi del razzismo. Come suggerisce Colette Guillaumin "Dire «la razza non esiste», dire che le categorie razziali non sono delle tassonomie pertinenti, ma il prodotto di un'epoca ecc. è una verità. Ma è una verità intellettuale e niente di più. Enunciarla, infatti, non elimina affatto il razzismo, non lo tocca in alcun modo" (10).

Un'altra delle politiche promosse dal movimento negro riguarda la sistematizzazione dell'informazione relativa al colore in tutti i documenti medici (11) in modo da poter considerare le condizioni di salute della popolazione brasiliana in base al colore. Questa politica ha come obiettivo principale quantificare il razzismo nell'area della salute dimostrando come i neri non solo hanno più difficoltà di accesso alle strutture sanitarie, ma non trovano sufficiente attenzione da parte delle istituzioni riguardo ad alcune patologie che, secondo alcuni studi, colpiscono maggiormente la popolazione di origine africana - le malattie cosiddette "etnico-razziali" (12).

Il caso della classificazione razziale nei documenti medici si differenzia da quello delle quote per studenti negros. Mentre infatti in quest'ultimo caso la realtà di riferimento è nel consenso comune pertinente al mondo sociale (i meccanismi di accesso all'istruzione), nel caso della classificazione razziale in medicina ci si trova in un mondo caratterizzato dalla dimensione del biologico. Il corpo oggetto di cure e interventi nel campo bio-medico è percepito come un corpo naturale, che rimanda alla natura biologica dell'essere umano. Per quanto possiamo affermare, in senso foucaultiano, che il corpo medicalizzato è un corpo bio-politico, ossia un corpo segnato dalla dimensione del biopotere, un potere che gestisce la vita per garantirne la sua riproduzione, nell'immaginario comune la medicina occidentale tratta il corpo umano nel suo essere puro dato naturale, in cui naturale coincide con biologico (13). La presenza della classificazione razziale in questo contesto apre dunque nuovi interrogativi, poiché potrebbe essere interpretata come una classificazione in termini biologici, scientifici e oggettivi delle razze. Essa spalancherebbe così la strada ad una riattivazione più immediata del nesso deterministico tra tratti morfologici/genetici (la natura) e comportamenti sociali. Secondo Fry "associare la «razza» alla salute, significa naturalizzarla, contribuendo ancora una volta al rafforzamento della credenza nelle razze" (14). In questione qui è la stessa definizione di malattie etnico-razziali, che farebbe pensare che esista una correlazione tra i geni che definiscono alcuni tratti fisici (colore della pelle) e i geni che determinerebbero l'insorgere di determinate patologie. Tuttavia questa correlazione non è affatto evidente, anzi è da molti contestata (15).

Allo stesso tempo, epidemiologisti e attivisti politici, pur riaffermando che la razza non esiste in quanto dato scientifico o anche che non vi è un legame tra determinati tratti fisici e alcune patologie, difendono l'impiego della classificazione razziale nelle statistiche poiché la razza, in quanto categoria sociale, coglie una parte importante delle differenze sociali (come il sesso e la classe) che influiscono sulle condizioni di salute/malattia.

Benché, come ho cercato di dimostrare, ci troviamo di fronte a due contesti molto diversi tra loro (l'ambito dell'educazione e quello della salute), l'argomentazione a favore dell'uso della classificazione razziale come strumento di lotta al razzismo mi pare abbia un tratto in comune, ossia l'affermazione che la razza esiste in quanto principio, storicamente dato, di organizzazione delle relazioni sociali e che in questo senso va riconosciuta anche a livello istituzionale. In un certo senso, paradossalmente, sembra che per combattere il razzismo non possiamo fare a meno della nozione di razza, che il razzismo stesso ha prodotto. Quello che ci pare certo è che la semplice negazione dell'esistenza della razza in termini scientifici, non ha comportato la fine dei discorsi e delle pratiche razziste.


Note

*. Assegnista di ricerca presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Modena e Reggio Emilia, e membro del Laboratorio di Etnologia costituitosi presso il Dipartimento di Scienze del Linguaggio e della Cultura del medesimo Ateneo.

1. Per una trattazione più dettagliata di questi due casi di politiche pubbliche basate sulla nozione di razza, mi permetto di rinviare a Valeria Ribeiro Corossacz, Il corpo della nazione. Classificazione razziale e gestione sociale della riproduzione in Brasile, Cisu, Roma, 2004, e V. Ribeiro Corossacz, Razzismo, meticciato, democrazia razziale. Le politiche della razza in Brasile, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005.

2. Célia Maria Marinho de Azevedo, "O abolicionismo transatlântico e a memória do paraíso racial brasileiro", in Estudos Afro-Asiáticos, n. 30, 1996, pp.151-162.

3. Giralda Seyferth, "Os paradoxos da miscigenação: observações sobre o tema imigração e raça no Brasil", in Estudos Afro-Asiáticos, n. 20, Rio de Janeiro, pp. 165-185, 1991, Lilia Schwarcz Moritz, O espetáculo das raças, Ciêntistas, Instituições e Quesrão Racial no Brasil 1870-1930, Companhia das Letras, São Paulo, 1993,.

4. Gilberto Freyre, Padroni e Schiavi. Formazione della famiglia brasiliana sotto il regime dell'economia patriarcale (1933), Einaudi, Torino, 1965.

5. Sulla democrazia razziale si veda il contributo di Roberto Vecchi a questo Forum.

6. Il movimento negro è l'insieme di organizzazioni non governative di uomini e donne neri che sono impegnate nella lotta al razzismo.

7. Per un'analisi del dibattito statunitense e in particolare per una discussione della Critical Race Theory - punto di riferimento di questo dibattito - rimando a Kendall Thomas, "Legge, razza e diritti: Critical Race Theory e politica del diritto negli Stati Uniti", in Kendall Thomas e Gianfrancesco Zanetti, a cura di,, Legge, Razza e Diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti, Diabasis, Reggio Emilia, 2005.

8. Peter Fry, A persistência da raça, Ensaios antropológicos sobre o Brasil e a África austral, Civilização brasileira, Rio de Janeiro, 2005.

9. Colette Guillaumin, 1972, L'Idéologie Raciste, genèse et langage actuel, Mouton-Paris-La Haye, riedito nel 2002, e C. Guillaumin, "The specific characteristics of racist ideology", in Guillaumin Colette, Racism, Sexism Power and Ideology, Routledge, London e New York, 1995, pp. 29-60.

10. Colette Guillaumin, "Avec ou sans race?", in Le Genre Humain, n. 11, pp. 215-222, 1984.

11. La classificazione razziale nei documenti medici consiste in una domanda a risposta chiusa, a cui il paziente dovrebbe rispondere, in modo da garantire l'autoclassificazione razziale. Non sempre tuttavia il funzionario o medico pone la domanda al paziente, ma decide egli stesso in che categoria classificare il paziente.

12. Fátima Oliveira, "Desafios para a assistência em saúde e para a teoria e prática feministas: o recorte racial/étnico - saúde das mulheres negras", texto presentato a Encontro Internacional O corpo das Mulheres, Mesa Redonda: A medicina, os direitos sexuais e reprodutivos, Belo Horizonte, Minas Gerais, 21 a 24 de maio, 2000, e Simone Monteiro, "Desigualdades em Saúde, Raça e Etnicidade: questões e desafios", in Etnicidade na América Latina: um debate sobre raça, saúde e direitos reprodutivos, a cura di Monteiro Simone e Sansone Livio, Editora Fiocruz, Rio de Janeiro, 2004, pp. 45-56.

13. A fianco alla medicina occidentale possono coesistere altre forme di cura legate ad altre tradizioni culturali che concepiscono lo stato di salute/malattia facendo riferimento a dimensioni non biologiche.

14. Peter Fry, "Introdução", in A persistência da raça, Ensaios antropológicos sobre o Brasil e a África austral, Civilização brasileira, Rio de Janeiro, 2005, p. 37.

15. S. Monteiro, "Desigualdades em Saúde, Raça e Etnicidade: questões e desafios", in Etnicidade na América Latina: um debate sobre raça, saúde e direitos reprodutivos, a cura di Monteiro Simone e Sansone Livio, Editora Fiocruz, Rio de Janeiro, 2004, pp. 45-56.