2006

Environmental Justice Movement: diseguaglianze ambientali e 'razza'

Katia Poneti

1. Le diseguaglianze ambientali

Questo intervento intende portare un contributo al forum sulla Critical Race Theory focalizzando l'attenzione su un tema specifico: le diseguaglianze ambientali. Si tratta di un discorso inusuale nel contesto italiano: il tema nasce e si sviluppa negli Stati Uniti congiuntamente al movimento dell'environmental justice e ha uno dei principali esponenti nel sociologo e attivista afroamericano Robert D. Bullard (1). Secondo la prospettiva della environmental justice il paradigma di protezione ambientale adottato negli Stati Uniti tende a rinforzare le diseguaglianze esistenti, intensificandole e allargandone la portata fino ad investire il settore della tutela ambientale, generando un nuovo tipo di diseguaglianza, la diseguaglianza ambientale. Con questo termine si intende indicare la distribuzione non egualitaria degli oneri, o dei costi, ambientali: il movimento denuncia una distribuzione ineguale tra la popolazione statunitense dell'inquinamento prodotto dall'attività industriale e sottolinea come le comunità minoritarie sopportino il fardello dell'inquinamento in modo più che proporzionale rispetto alla totalità della popolazione.

Le aree che circondano impianti inquinanti sono popolate per la maggior parte da blacks. Secondo una ricerca condotta nell'area metropolitana della città di Detroit, la percentuale di afroamericani che vive nel raggio di un miglio da impianti industriali inquinanti è del 51% rispetto al 31% dei bianchi (sul totale del campione), mentre la percentuale di popolazione che vive entro un miglio da impianti di trattamento di rifiuti pericolosi è il 15,9% per i neri e il 3% per i bianchi (2). Inoltre, l'analisi delle caratteristiche socio-demografiche della popolazione che vive vicino a quattro importanti discariche di rifiuti pericolosi in diversi Stati dell'Unione ha rivelato un netto "privilegio negativo" per i neri: è nero il 90% della popolazione che vive nelle vicinanze del Chemical Waste Management (Alabama). Il 100% di questa popolazione vive sotto la soglia di povertà. Inoltre, è nero il 38% della popolazione che vive nella vicinanze del SCA Service (South Carolina). Anche in questo caso si tratta di una popolazione composta da persone che vivono tutte al di sotto della soglia di povertà. E ancora, è nero il 52% della popolazione che vive nelle vicinanze dell'Industrial Chemical Co. (South Carolina), popolazione che per il 92% vive sotto la soglia di povertà. Infine, è nero il 66% della popolazione che vive nelle vicinanze di Warren County PCB Landfill (North Carolina), popolazione che vive per il 90% al di sotto della soglia di povertà (3). Per leggere correttamente questi dati occorre tenere presente che i neri costituivano, al momento della ricerca, circa un quinto della popolazione della regione.

2. Teoria e pratica dell'Environmental Justice Movement: democrazia e diritti

Avviene di fatto che le aree popolate in maggioranza da comunità nere, o ispaniche, siano scelte come sedi di fonti inquinanti, sia che si tratti di industrie o di impianti di smaltimento dei rifiuti: a questa conclusione è arrivata l'inchiesta condotta nel 1987 dalla Commission for Racial Justice (4), che ha indicato la razza, senza riguardo alla classe sociale, come il fattore determinante nella scelta sulla localizzazione dei siti inquinanti. A proposito di questo fenomeno Benjamin Chavis, direttore esecutivo della commissione, ha usato il termine environmental racism (5).

L'istanza principale di cui l'Environmental Justice Movement si fa portatore è la rivendicazione dell'eguaglianza tra neri e bianchi nel sopportare il fardello dell'inquinamento: una redistribuzione equa delle conseguenze negative dello sviluppo economico. Alcuni attivisti e sostenitori della environmental justice prendono le distanze dal movimento ambientalista mainstream, dal quale sostengono di differenziarsi per l'attenzione rivolta alla dimensione sociale dell'ambiente: la protezione dell'ambiente non deve essere in altre parole soltanto protezione della natura selvaggia, ma anche protezione dell'ambiente abitato dall'uomo e dell'uomo nel proprio ambiente. Le rivendicazioni del movimento hanno trovato una codificazione nei Principles of Environmental Justice, che sono stati codificati durante il First National People of Color Environmental Leadership Summit, tenutosi a Washington, DC, nel 1991. In tale testo sono riconoscibili le diverse anime dell'ambientalismo: vi si parla infatti di rispetto per la madre terra e del riconoscimento dell'interdipendenza tra le diverse specie e tra queste e l'ambiente, ma sono anche presenti rivendicazioni più ampiamente sociali come la non discriminazione nell'attuazione delle politiche pubbliche ambientali, l'affermazione del diritto alla partecipazione alle decisioni per le comunità sulle quali le medesime decisioni influiranno, il diritto di tutti i lavoratori ad un ambiente di lavoro salubre.

I principi dell'environmental justice si atteggiano come rivendicazioni di diritti (claims): affermano in primo luogo il generale diritto ad essere liberi dalla distruzione ecologica e proseguono con il diritto all'utilizzo etico, bilanciato e responsabile della terra e delle risorse rinnovabili e con il diritto, definito fondamentale, all'aria pulita, alla terra, all'acqua, al cibo, oltre ai diritti sopra ricordati alla partecipazione politica e al godimento di ambienti di lavoro salubri. L'analisi condotta dagli studiosi e attivisti della environmental justice ha individuato le ragioni per le quali le comunità di colore sopportano una maggior quantità di inquinamento (6). La vicinanza spaziale degli impianti inquinanti ai quartieri abitati dalle comunità di colore si spiega in primo luogo tenendo conto delle fasi dello sviluppo industriale e della condizione di povertà della popolazione nera: le abitazioni costruite attorno alle fabbriche erano un tempo occupate dagli operai bianchi che vi lavoravano e quando questi se ne sono andati, perché le loro condizioni economiche erano migliorate, sono state occupate dai neri. Oppure le case per i neri sono state costruite vicino alle industrie perché il terreno era meno costoso in quelle zone. In altri casi gli impianti inquinanti sono stati collocati in luoghi in cui già vivevano comunità costituite da minoranze.

I criteri di scelta utilizzati per selezionare i luoghi adatti alla costruzione di siti inquinanti favoriscono la scelta delle aree abitate dalla popolazione più povera e di colore. Tra questi criteri c'è quello della compatibilità dell'inquinamento con gli usi preesistenti dei luoghi, che rende alcune zone preferibili ad altre per la costruzione di stabilimenti inquinanti: utilizzando tale criterio l'inquinamento già esistente in una zona tende ad attrarre un inquinamento ulteriore. Ma il fattore che rende le aree popolate da minoranze particolarmente appetibili per chi produce inquinamento è la minore capacità che hanno le comunità di colore, rispetto alla classe media o alta bianca, di sollevare proteste e di organizzare un'opposizione. Le difficili condizioni economiche contribuiscono a rendere le comunità di colore un facile bersaglio delle scelte di localizzazione dell'inquinamento: la speranza di ottenere posti di lavoro, e altri benefici economici, dall'industria inquinante rende le persone di colore più tolleranti dei bianchi rispetto alla possibilità di vivere accanto a un'industria inquinante.

Lo scarso potere politico dei neri è indicato come la ragione principale dell'esistenza di politiche pubbliche essenzialmente, anche se non formalmente, discriminatorie: il fatto che i diversi organi che prendono decisioni in materia ambientale siano composti per la maggioranza da bianchi spiega come gli interessi delle comunità nere vengano considerati in maniera subordinata a quelli dei bianchi. A questo si aggiunge la minore ricchezza di risorse, sia economiche che culturali, utilizzabili dai neri per criticare e opporsi attivamente alle scelte ambientali che contrastino con i loro interessi.

Per affrontare la diseguaglianza ambientale il movimento dell'environmental justice ha percorso la strada già intrapresa dal movimento per i diritti civili. Il ricorso ai tribunali è stato utilizzato come strumento di lotta e alcune class action hanno segnato dei passaggi fondanti nella storia del movimento. In queste azioni si chiedeva ai giudici il riconoscimento di un eguale diritto all'ambiente salubre, che non discriminasse i neri rispetto ai bianchi. Tali azioni sono state affiancate dalla nascita di una rete di organizzazioni di base, radicate a livello comunitario, che hanno aggregato intorno al tema della diseguaglianza ambientale rivendicazioni di una maggior giustizia sociale (7). La principale rivendicazione politica del movimento è però quella di una maggior democrazia dei procedimenti decisionali in materia ambientale: si auspica sia la partecipazione delle comunità nere ai procedimenti decisionali che le riguardano, e quindi l'allargamento della democrazia in senso partecipativo, sia una più equilibrata rappresentanza dei neri in seno agli organi decisionali con competenze in materia ambientale.

3. La Critical Race Theory come chiave di lettura dell'Environmental Justice Movement

Il movimento dell'environmental justice utilizza certamente in senso politico (8) il concetto di razza, poiché attraverso di esso affronta e cerca di combattere il rapporto di dominazione in cui si trovano negli Stati Uniti i neri rispetto ai bianchi, anche riguardo alla protezione della salute e dell'ambiente. Può essere interessante accostare alcuni concetti elaborati nell'ambito della Critical Race Theory all'utilizzo del concetto di razza nell'ambito del movimento dell'environmental justice: in particolare questi concetti possono servire per leggere tra le righe delle retoriche del movimento le diverse accezioni in cui il concetto di razza è utilizzato dallo stesso.

I diversi sensi in cui il termine razza può essere utilizzato (e di fatto è stato utilizzato nelle sentenze delle corti statunitensi) sono state analizzate da Neil Gotanda (9), che contrappone la nozione di razza utilizzata in senso formale a quella di razza in senso storico e a quella di razza in senso culturale. La tesi di Gotanda è che, mentre l'utilizzo del concetto di razza in senso formale, riassunto nel principio della color blindness (10), ossia dell'indifferenza della legge di fronte alla razza, può produrre il mascheramento della diseguaglianza reale, l'utilizzo del concetto di razza in senso storico (11) consente di tenere conto delle diseguaglianze reali, storicamente radicate nella società statunitense. Il concetto di razza in senso culturale può andare oltre e valorizzare elementi caratteristici delle cultura nera, attribuendo importanza alla differenza di cultura, come valore in sé, nella prospettiva di una società pluralista (come è già stato sottolineato in questo forum dall'intervento di Lucia Re).

Il movimento dell'environmental justice utilizza il concetto di razza in tutti e tre i sensi. La razza in senso formale è l'accezione del termine utilizzata di fronte ai giudici, ai quali si chiede il riconoscimento di un diritto, uguale per i bianchi e per i neri, a essere liberi dall'inquinamento. I neri contestano il "privilegio negativo" loro assegnato dalle scelte politiche che decidono sul posizionamento dei siti inquinanti e rivendicano parità di diritti appellandosi al principio della color blindness. Tale principio viene opposto a quelle scelte politiche che seguono the path of least resistence, privilegiando la aree che promettono una minore opposizione sociale al sito inquinante.

La razza in senso storico è utilizzata come critica dei criteri di scelta dei siti inquinanti. Le comunità di colore divengono bersagli dell'inquinamento non soltanto perché dotate di minori risorse per opporsi politicamente, ma anche perché i criteri di selezione per il posizionamento dei siti inquinanti, neutrali e color blind, danno come risultato preferibile i luoghi abitati da comunità nere, in quanto utilizzano il criterio dell'uso precedente del territorio, tendendo a concentrare l'inquinamento dove esso è già presente. Di fronte a tale criterio di utilità collettiva, che in modo apparentemente neutrale sembra garantire il massimo vantaggio per la collettività, l'accezione storica della razza permette di far emergere la realtà dei fatti: le aree con maggior inquinamento sono quelle abitate dalla popolazione più povera, in maggioranza di colore. La segregazione abitativa non è mai stata superata negli Stati Uniti, nonostante l'abbandono della dottrina "separati ma eguali" ad opera della sentenza Brown vs. Board of Education of Topeka (1954). Alla segregazione abitativa si aggiunge il fenomeno di sviluppo non pianificato (sprawl) dal quale sono investite numerose città statunitensi: si tratta dell'allargamento irrazionale delle estreme periferie cittadine in cui si costruiscono abitazioni sparse senza servizi pubblici né esercizi commerciali, destinate alla popolazione più povera (12).

La razza in senso culturale è utilizzata dal movimento dell'environmental justice per criticare quello che viene definito il movimento ambientalista mainstream e per proporre una nuova accezione di ambiente. La cultura nera può arricchire il concetto di ambiente con una maggiore attenzione rivolta alla sua dimensione sociale e comunitaria: la considerazione dell'ambiente urbano e dell'ambiente domestico e di lavoro come luoghi da tutelare dalle diverse forme di inquinamento completano il concetto di ambiente, lo rendono più adatto a una società pluralista e ne aumentano la potenzialità come strumento critico della società.

Se in tutti e tre i casi si può parlare di rivendicazione dell'uguaglianza contro politiche discriminatorie, le differenti accezioni del concetto di razza sono funzionali a tre diverse declinazioni del concetto di uguaglianza. Uguaglianza in senso formale, uguaglianza in senso sostanziale, uguaglianza nel senso di eguale partecipazione politica. Mentre le prime due si collocano nell'ambito della lotta per i diritti, l'ultima si colloca nell'ambito dell'ampliamento della democrazia. Le tre accezioni di razza non si pongono tra loro in contrasto nelle retoriche dell'environmental justice movement, ma tendono piuttosto a comporre un quadro unitario, mettendo in evidenza la ricchezza e la pluralità delle esigenze di uguaglianza.

Le corti statunitensi, nel decidere sulle cause che denunciavano le disuguaglianze ambientali, hanno utilizzato prevalentemente l'accezione di razza in senso formale. Gli attivisti dell'environmental justice hanno tentato di far valere in giudizio la disuguaglianza ambientale utilizzando diversi appigli legislativi (13), sia tramite la legislazione in materia ambientale, sia tramite quella sui diritti civili. La legislazione ambientale ha permesso di instaurare giudizi fondati su statutes e regulations locali, statali o federali ed è stata inferita la discriminazione riguardo al modo in cui si è svolta la procedura decisionale, la partecipazione del pubblico o su come è stata formata la base scientifica o tecnica della decisione. La valutazione d'impatto ambientale e il coinvolgimento della collettività, previsti dal National Environmental Policy Act (NEPA), sono stati utilizzati per sindacare la validità di progetti che prevedevano impatti diseguali sulla popolazione di colore.

La legislazione sui diritti civili è stata invocata per denunciare le diseguaglianze ambientali nella forma di lesione della Equal Protection Clause o del Titolo VI del Civil Rights Act del 1964. Le cause fondate sulla Equal Protection Clause sono state rigettate dalle corti, poiché queste hanno dichiarato che l'attore doveva dimostrare che la decisione del governo che stava impugnando era il risultato di una discriminazione intenzionale contro la comunità. Una simile prova costituiva un onere eccessivo ed era di fatto impossibile da fornire in un contesto, in cui la discriminazione ha una dimensione istituzionalizzata e strutturale: non si tratta cioè della discriminazione come evento individuale, che può colpire il singolo per la sua particolare situazione, ma di un tipo di discriminazione che deriva da una subordinazione razziale sistematica. L'utilizzo fatto dalle corti di un'accezione formale della razza tende proprio a negare tale "connessione", limitando il razzismo a un pregiudizio soggettivo: così facendo rende gli strumenti giuridici non utilizzabili per affrontare i fenomeni di lesione di diritti che si collocano all'interno di discriminazioni sistematiche (14).

Le cause che si erano appellate al Titolo VI del Civil Rights Act del 1964 avevano avuto inizialmente una maggiore fortuna. Per attuare tale legislazione, infatti, molte agenzie federali avevano emanato regolamenti i quali, invece di richiedere la prova della discriminazione intenzionale, per dimostrare che una decisione era contraria al diritto ritenevano sufficiente la dimostrazione di un impatto discriminatorio o differenziato. Una serie di class action sono state vinte da comunità di colore organizzate, fino alla sentenza Alexander v. Sandoval (15), con la quale la Corte Suprema ha dichiarato che i privati non hanno il diritto di agire in giudizio attraverso il Titolo VI del Civil Rights Act, in tal modo chiudendo la porta alla possibilità di utilizzare tale mezzo per far valere in giudizio le diseguaglianze ambientali.

4. La razza come strumento diagnostico: la necessità di un nuovo paradigma per l'ambiente

Come ha sottolineato Thomas Casadei nell'introduzione a questo forum, l'idea di razza come "strumento diagnostico" occupa una posizione centrale nel complesso argomentativo elaborato dalla Critical Race Theory. La razza, intesa in senso storico, ha un effetto disvelante delle ineguaglianze, taciute e coperte dalle politiche cieche rispetto al colore, secondo le quali una buona politica deve essere indifferente alla razza. Barbara Flagg utilizza la metafora del "vedere" (16), "prima ero cieco, ora vedo", per indicare come attraverso l'uso di una certa prospettiva, di uno specifico strumento si può vedere ciò che resta altrimenti oscuro.

La riflessione sull'uso del concetto di razza come strumento diagnostico può aiutare a comprendere quale sia la carica critica del discorso sulle diseguaglianze ambientali: la razza diviene uno strumento analitico per comprendere il funzionamento del paradigma di protezione ambientale dominante negli Stati Uniti. L'environmental justice movement identifica la razza come il criterio in base al quale sono distribuiti i rischi ambientali: la razza permette dunque di vedere la diseguaglianza in campo ambientale. Come emerge dai dati forniti dalle ricerche sulle diseguaglianze ambientali e contrariamente a quanto affermato da Ulrich Beck (17) lo smog non è democratico, nel senso che non colpisce uniformemente tutta la popolazione, ma predilige quella scura di pelle e con meno risorse.

Questa operazione di svelamento permette di analizzare in modo nuovo le politiche ambientali e di vedere come in esse il principio della color blindness giochi un ruolo fondamentale. Come sopra ricordato, un importante criterio di pianificazione territoriale e di tutela ambientale è quello dell'uso precedente: si tende cioè a collocare impianti inquinanti in zone che sono già inquinate, al fine di concentrare l'inquinamento soltanto in alcune zone. Il presupposto teorico che anima le politiche ambientali è stato definito dall'economista John Dales alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso come criterio delle separate facilities (18): secondo tale pensiero è bene che vengano mantenuti separati i luoghi inquinati e i luoghi più salubri, in modo che gli individui, muovendosi, possano scegliere i vantaggi di entrambi. Alla base della teoria delle separate facilities sta un'immagine astratta dell'uomo, che ha i mezzi e la possibilità di scegliere di volta in volta il luogo dove preferisce abitare o lavorare. L'approccio delle environmental inequalities disarticola in modo radicale questa immagine, mostrando come questa non corrisponda affatto alla condizione dei blacks: il discorso dell'environmental justice ha infatti messo in evidenza come la segregazione residenziale sia ancora forte negli Stati Uniti e spinga i neri ad abitare le zone più inquinate e come il criterio delle separate facilities porti quindi di fatto a scegliere come sedi di siti inquinanti i luoghi in cui la maggioranza della popolazione residente è nera, incrementando la diseguaglianza ambientale.

La denuncia delle diseguaglianze ambientali rende chiaro, più in generale, che il paradigma di protezione ambientale dominante funziona sul presupposto dell'esclusione di una parte della popolazione, che sopporta i costi dell'inquinamento senza partecipare al godimento delle ricchezze prodotte. Così come l'attuale modello di sviluppo, basato sull'idea di una crescita continua, funziona riducendo progressivamente il numero dei suoi beneficiari. Il concetto di sostenibilità ambientale, proclamato nelle sedi internazionali e fatto proprio dall'intera comunità internazionale, per essere credibile dovrebbe essere legato a diritti soggettivi azionabili in giudizio da tutti gli individui, senza distinzioni: se questo da un lato tutelerebbe veramente la persone, dall'altro imporrebbe una riflessione politica su quali siano i cambiamenti necessari da intraprendere per affrontare la crisi ecologica.

Il dibattito sulle diseguaglianze ambientali è tipicamente statunitense, come lo è il modello di tutela ambientale fondato sull'idea delle separate facilities che si è concretizzato nei sistemi di permessi di inquinamento negoziabili. Con l'estendersi di tali modelli all'Europa, come è avvenuto con la direttiva che applica il Protocollo di Kyoto (19), diviene necessario costruire gli strumenti teorici per farsi carico del cambiamento. Recentemente la prospettiva delle diseguaglianze ambientali è stata adottata da studi britannici che hanno confermato anche per il contesto europeo l'esistenza della relazione tra inquinamento, povertà e popolazione non-bianca (20).

5. La diseguaglianza degli eguali e l'eguaglianza dei diversi

La Critical Race Theory ha sostenuto l'opportunità della predisposizione di politiche cosiddette di azione affermativa allo scopo di raggiungere un'eguaglianza sostanziale tra neri e bianchi. Neil Gotanda (21) ha sottolineato come questo tipo di azioni siano legittime e opportune in quanto tendono alla compensazione di una subordinazione storicamente radicata: solo attraverso l'utilizzo di una nozione storica di razza è possibile spiegare da un punto di vista giuridico la ratio che sottostà alle politiche di azione affermativa, mentre il riferimento a una nozione formale di razza permetterebbe al contrario di tacciare di discriminazione le medesime politiche (la cosiddetta discriminazione al rovescio). Ancora Gotanda ha sostenuto come la considerazione della razza in senso culturale permetta di individuare nelle politiche di azione affermativa la ratio della tutela di un interesse collettivo alla diversità culturale. Secondo Charles Luke Harris e Uma Narayan l'azione affermativa è qualcosa di più di una politica meramente compensatoria, definita con la metafora delle stampelle, essa costituisce piuttosto la possibilità di sgombrare la strada dagli ostacoli che alcune persone vi incontrano a causa del loro sesso o della loro razza per fare in modo che possano camminare da sole (22).

Per comprendere come il discorso dell'eguaglianza non sia qualcosa di giustapposto alla questione ecologica, alla quale in qualche modo si avvicina dall'esterno, ma sia invece una dimensione intrinseca alla questione ecologica stessa, può essere interessante richiamare la distinzione che il teorico dell'ecologia sociale Murray Bookchin propone tra due concezioni dell'eguaglianza e vedere come queste siano in relazione con l'organizzazione di quella che lui definisce una "società ecologica".

Accanto alla "disuguaglianza degli eguali", secondo la quale gli individui sono concepiti come astrattamente uguali e devono poi farsi carico individualmente delle condizioni di disuguaglianza in cui si trovano a vivere nella realtà, modello che corrisponde all'eguaglianza formale di matrice liberale, Bookchin individua, e predilige la "eguaglianza dei diversi", modello nel quale la diversità dei singoli individui è inserita all'interno di legami di cooperazione e collaborazione, che tendono a compensare le mancanze individuali e a costruire una società di eguali. Il fondamento di tale relazione eguagliante è il "mutuo appoggio", la disposizione cioè alla cooperazione e alla solidarietà, che Bookchin individua come il motore dell'evoluzione umana.

Secondo l'approccio dell'ecologia sociale la distruzione della natura è generata non dal dominio dell'uomo sulla natura stessa, ma dal dominio dell'uomo sull'uomo: ecologia sociale significa nello stesso tempo abbattimento del dominio dell'uomo sull'uomo e costruzione di una società ecologica, in armonia con la natura. Nella prospettiva dell'ecologia sociale dunque il lavoro per un'uguaglianza sostanziale e quello per una società in armonia con la natura vanno nella medesima direzione, costituendo due aspetti della lotta contro i rapporti di dominazione.

Una politica pubblica che volesse farsi carico della diseguaglianza ambientale dovrebbe tener conto dell'accezione storica della razza e considerare il fatto che le comunità nere sopportano una quantità di inquinamento più che proporzionale rispetto alla popolazione bianca. Una sorta di "azione affermativa" in questo contesto potrebbe essere quella di invertire il principio che domina le politiche ambientali: dalle possibili scelte su dove collocare un sito inquinante dovrebbero essere escluse le aree già inquinate, per non sommare inquinamento a inquinamento. In tal modo potrebbero essere iniziati interventi di bonifica e di riqualificazione ambientale e urbana, che naturalmente influirebbero non solo sulla dimensione ecologica in senso stretto, ma anche su quella più ampiamente sociale. A questo potrebbero essere sommati piani di tutela della salute a vantaggio della popolazione black.

Il suggerimento potrebbe valere anche nel contesto europeo, che non è estraneo alla pratica della diseguaglianza ambientale: le estreme periferie delle grandi città europee sono infatti abitate da una popolazione che è posta ai margini (migranti, Rom, popolazione autoctona con redditi bassissimi), e sono nello stesso tempo i luoghi preferiti dagli amministratori pubblici per la collocazione dei siti inquinanti. Un'inversione di tendenza in tali politiche porterebbe benefici alla popolazione inquinata, che subisce la diseguaglianza sulla propria pelle, e aiuterebbe altresì la collettività ad aprire un dibattito più serio sugli urgenti problemi ecologici a cui sta andando incontro la società intera.


Note

1. Tra i testi più noti dell'autore si possono ricordare: Bullard, R.D., Dumping in Dixie. Race, Class and Environmental Quality, Westview Press, Boulder-Oxford, 1990; Bullard, R.D. (ed.), Unequal Protection. Environmental Justice and Communities of Color, Sierra Club Books, San Francisco 1994; Bullard, R.D. (ed.), Confronting Environmental Racism: Voices from the Grassroots, South End Press, Boston 1993. Tra i testi più recenti si possono ricordare Agyeman, J., Bullard, R.D., Evans, B., Just Sustainabilities. Development in an Unequal World, The MIT Press, 2003 e Bullard, R.D.(ed.), The Quest for Environmental Justice. Human Rights and the Politics of Pollution, Sierra Club Books 2005.

2. Si vedano Mohai, P., Bryant, B., Is There a "Race" Effect on Concern for Environmental Quality?, "The Public Opinion Quarterly", vol. 62, n. 4, 1998, pp. 475-505.

3. Fonte: U.S. General Accounting Office, Siting of Hazardous Waste Landfills and Their Correlation with Racial and Economic Status of Surrounding Communities, Washington D.C., General Accounting Office, 1983, p. 4, citato in Bullard, R.D., Dumping in Dixie. Race, Class and Environmental Quality, cit., pp. 38 ss.

4. Commission for Racial Justice; Toxic Wastes and Race in the United States: A National Report on the Racial and socioeconomic Characteristics of Communities with Hazardous Wastes Sites, United Church of Christ, New York 1987

5. Benjamin Chavis ha definito così il termine: "Environmental racism is racial discrimination in environmental policymaking and the enforcement of regulations and laws, the deliberate targeting of communities of color for toxic waste facilities, the official sanctioning of the presence of life-threatening poisons and pollutants in communities of color, and the history of excluding people of color of the leadership of the environmental movement", si veda Chavis, B., Preface, in Bullard, R.D (ed.), Unequal protection. Environmental Justice and Communities of Color, cit., p. XI.

6. Si veda Austin, R., Schill, M., Black, Brown, Red and Poisoned, in Bullard, R.D. (ed.), Unequal protection. Environmental Justice and Communities of Color, cit., pp. 53 ss.

7. Sulle pratiche di lotta del movimento si veda Ferris, D., Promoting Community Building Through Collaborative Environmental Justice Legal Strategies and Funding Approaches, paper presentato al Second National People of Color Environmental Leadership Summit - Summit II, 23 ottobre 2002.

8. Sulla nozione di razza in senso politico si vedano Torres, G., Guinier, L., Il canarino del minatore e la nozione di political race, in Thomas, K., Zanetti, G. (a cura di), Legge, razza, diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti, Diabasis, Reggio Emilia 2005, p. 127.

9. Si veda Gotanda, N., "La nostra costituzione è cieca rispetto al colore". Una critica, in Thomas, K., Zanetti, G. (a cura di), Legge, razza, diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti, Diabasis, Reggio Emilia 2005, p. 27.

10. Affermato nella sentenza Plessy v. Ferguson, 163 U.S. 537,599 (1896) (Harlan, J., dissenting).

11. Utilizzato nella sentenza Brown v. Board of Education, 347 U.S. 483 (1954).

12. Si veda Bullard, R.D., Growing Smarter: Building Equity into a Fair Growth Agenda, paper presentato al Second National People of Color Environmental Leadership Summit - Summit II, 23 ottobre 2002.

13. Si veda Ferris, D., op. cit., pp. 6 ss.

14. Si veda Gotanda, N., op. cit., p. 47.

15. 532 U.S. 275 (2001).

16. Si veda Flagg, B., Ero cieco, ma ora vedo, in Thomas, K., Zanetti, G. (a cura di), op. cit., p. 79

17. Secondo Ulrich Beck l'inquinamento ambientale ha una funzione eguagliante, nel senso che pone tutti gli individui, indipendentemente dalla loro condizione personale o sociale, in una condizione di rischio rispetto ai danni derivanti dalla crisi ecologica. Si veda Beck, U., World risk society, 1999, ed. it., La società globale del rischio, Asterios Editore, Trieste 2001, p. 48.

18. J.H. Dales, Pollution, Property and Prices. An Essay in Policy making and Economics, University of Toronto Press, 1968.

19. Direttiva 2003/87/CE.

20. Health Protection Agency, Burden of Disease: Environmental Inequalities.

21. Si veda Gotanda, N., op. cit., pp. 52 ss.

22. Si vedano Harris, C.L., Narayan, U., L'azione affermativa e il mito del trattamento preferenziale, in Thomas, K., Zanetti, G. (a cura di), op. cit., p. 160; si veda anche la recensione di Brunella Casalini a Thomas, K., Zanetti, G. (a cura di), op. cit.