2006

Razza ed eguaglianza

Baldassarre Pastore (*)

Il tema della differenza razziale, posto all'ordine del giorno del dibattito giuridico statunitense dal movimento della Critical Race Theory (CRT), assume una valenza che lo proietta ben oltre il suo contesto di riferimento. Riguarda, infatti, il dato "universale" dell'oppressione, della discriminazione, dell'umiliazione, e contribuisce a ripensare, nell'attuale scenario in trasformazione delle società occidentali, le nozioni di eguaglianza e di diversità.

L'antologia curata da Kendall Thomas e Gianfrancesco Zanetti, Legge, razza e diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti (1), rappresenta, da questo punto di vista, un utile strumento per riflettere sui rapporti tra diritto, politica e pluralismo (di culture e di valori) con riferimento alle modalità di costruzione di una società giusta.

I teorici della differenza razziale hanno evidenziato fortemente il senso e l'importanza della consapevolezza razziale nella configurazione e nell'interpretazione del diritto. L'elaborazione di una critica giuridica caratterizzata dalla race consciousness, intesa sia come oggetto di indagine sia come criterio di comprensione (2), nasce dalla crisi di fiducia nella dottrina dei diritti civili e del diritto antidiscriminatorio connessa alla perdita della sua forza propulsiva. Ciò ha condotto alla messa in discussione dell'ideale della società "cieca al colore".

La retorica della neutralità del diritto e dei diritti - è questa una delle tesi centrali della CRT - ha impedito al sistema giuridico di adottare misure efficaci contro l'ineguaglianza sostanziale fra le razze che continua a confinare gli afroamericani in una posizione di inferiorità, senza comprendere il significato della discriminazione dal punto di vista delle vittime (3), e dimenticando che la sofferenza di coloro che sono marginalizzati per la razza è segno di un pericolo che minaccia tutti (4).

Il dibattito sulla differenza razziale si collega proprio alla controversia riguardante la possibilità di un diritto neutrale, partecipando ad una prospettiva teorica che possiamo definire "epistemologia multiculturale" (5). Essa risulta centrata, tra l'altro, sulle idee della costruzione sociale della realtà, della contestualità, della situazionalità, del pluralismo identitario, della diversità, e, nelle sue ricadute giuridiche, è orientata a decostruire le concezioni tradizionali dell'eguaglianza formale.

Gli esponenti della CRT sottolineano che il colore può rafforzare gli atteggiamenti razzisti presenti in una società che cerca di giustificare la prevaricazione sulle minoranze etniche. Il diritto, a sua volta, consolida gli stereotipi. La coscienza di razza costituisce, allora, lo strumento critico per la lotta contro le discriminazioni (6). Essa definisce l'identità, che, invero, è comprensibile in termini di differenza rispetto all'"altro". L'identità razziale non riguarda solo il colore della pigmentazione della pelle, ma un'eredità, un'esperienza culturale e personale. Il significato di tale identità diventa stigmatizzante.

Una società "cieca al colore" può suscitare l'impressione di un'eguaglianza formale (neri e bianchi sono eguali per il diritto), mentre, in realtà, le nozioni giuridiche sono definite da un'ideologia che subordina i neri in quanto inferiori ai bianchi. Smascherare l'assunto della "cecità al colore" diventa, pertanto, un compito essenziale per l'eliminazione delle conseguenze egemoniche dell'ideologia razzista. Si tratta di sottoporre ad analisi critica le norme, le procedure, gli atteggiamenti che ignorano la non omogeneità razziale e politica della società americana, occultando le relazioni di potere che li veicolano. L'attenzione è così prestata al carattere socialmente e giuridicamente costruito della categoria di "razza", che rinvia a dinamiche che reificano la subordinazione (7).

Il diritto è pesantemente coinvolto nella conformazione di assetti sociali diseguali. Ha, in sostanza, codificato un'identità di gruppo razziale equiparandola ad uno status inferiore come strumento di esclusione e di sfruttamento (8).

Gli aderenti alla CRT assumono, dunque, una posizione scettica nei riguardi del discorso giuridico, accusato di mistificare ed emarginare le prospettive "altre". Ma intendono mantenere anche il potenziale trasformativo che la concezione liberal dei diritti mette a disposizione della gente di colore. Tale aspetto risulta invero trascurato dai Critical Legal Studies, che enfatizzano gli "inganni" prodotti dall'ideologia giuridica dominante, sottovalutando la strutturazione delle relazioni razziali in termini di coercizione (9).Va formulata, allora, una nuova teoria dei diritti, capace di prendere sul serio il fatto della dominazione razziale. Il rischio è di lasciare senza tutele gli oppressi per ragioni di razza, non toccando le basi della supremazia dei bianchi (10).

Il discorso dei diritti non può essere trascurato nella lotta antirazzista, nel quadro di un programma di politica del diritto che riconsideri l'importanza della cultura, della comunità, della coscienza black (11). Vanno messe in luce, però, le contraddizioni esistenti tra l'ideologia dominante, rappresentata da tale discorso, e le esperienze della gente senza potere.

Siamo in presenza, qui, della combinazione di sfiducia e fiducia nei confronti del diritto. Un siffatto (ambivalente) approccio contribuisce a ripensare le nozioni di eguaglianza e di differenza e a ridefinire il ruolo del pensiero giuridico, nella sua capacità - che implica, da parte dei giuristi, responsabilità e vigilanza - di maneggiare gli strumenti per la tutela e la valorizzazione dei contenuti richiamati da tali nozioni.

Il valore dell'eguaglianza è stato, in questi ultimi decenni, messo in discussione. Il pensiero femminista, il comunitarismo, il multiculturalismo, il postmodernismo giuridico ne hanno minato le basi teoriche. Il principio di eguaglianza è stato attaccato in quanto ritenuto complice dell'omologazione e dell'assimilazione e la problematica ad esso relativa è stata inserita in quella della soggezione e del dominio. La differenza è stata assunta, invece, quale espressione dell'identità, segno del suo valore intrinseco ed è stata contrapposta al formalismo dell'eguaglianza giuridica, che sottovaluterebbe, occultandole, le differenze individuali e/o di gruppo.

L'enfasi sul carattere meramente formale dell'eguaglianza giuridica è tipica di ogni teoria critica del diritto. Si tratta dell'espressione di un giudizio negativo, di una condanna senza appello avanzata nei confronti dei meccanismi giuridici. La sfida è stata quella di riconsiderare criticamente l'eguaglianza giuridica (come concetto, come fine, come valore). Da questo punto di vista, va sottolineato con forza che il riconoscimento delle differenze-specificità e la valorizzazione delle identità non possono condurre ad escludere le richieste di eguaglianza e l'impegno affinché le disuguaglianze siano corrette. L'eguaglianza va presa sul serio, assumendo che il rispetto delle differenze costituisce "l'ovvio corollario del principio etico di eguaglianza" (12).

L'eguaglianza implica le diversità e richiede il loro rispetto, legato alla tutela delle identità peculiari. In tal modo, può essere configurata come eguale diritto alle proprie differenze, che fanno di ciascuna persona un individuo diverso dagli altri e di ciascun individuo una persona come tutte le altre. Ma riguarda anche il disvalore connesso a quel genere di differenze che si risolvono in privilegi o in discriminazioni e che incidono sull'identità ledendone l'eguale valore. Si ha a che fare, qui, con disuguaglianze che ostacolano la libertà, l'autonomia, la realizzazione degli individui. Così, se le differenze devono essere riconosciute per essere rispettate e garantite, le disuguaglianze devono essere rimosse o almeno riparate quanto più possibile (13). Ciò può comportare trattamenti differenziali, giustificati sulla base di ragioni che possiamo aspettarci che tutti condividano in quanto rappresentano il miglior interesse dell'insieme degli individui considerati eguali sul piano morale, giuridico e politico (14).

Nel campo dei trattamenti differenziali, ossia non ciechi rispetto alle differenze (di razza, di genere, ecc.), rivendicazioni di riconoscimento e di redistribuzione si intrecciano (15). Una funzione importante, a questo proposito, può essere svolta dalle "azioni affermative", rilette dalla CRT come mezzo "per delegittimare l'interesse di proprietà della bianchezza" e per rimuovere i privilegi dell'"esistente gerarchia, generata dall'oppressione razziale" (16). Il trattamento differenziale attuato con le affirmative actions mira ad un'eguaglianza di opportunità: non ad offrire preferenze immeritate ai suoi beneficiari, né semplicemente a compensare passate ingiustizie. Questa strategia giuridica tenta di contrastare alcuni effetti permanenti di un'esperienza storica che impedisce l'eguaglianza di opportunità oggi (17).

Il diritto può operare al fine di istituire, prescrivere, perseguire, conseguire l'eguaglianza. Si ha a che fare con il passaggio progressivo dal "formale" al "sostanziale", che segna uno spostamento dell'eguaglianza giuridica dalla sfera delle statuizioni a quella della realizzazione, nella direzione del riequilibrio dei rapporti sociali e della rimozione delle disuguaglianze (18).

Il principio di eguaglianza, così, slitta dal campo degli effetti formali delle disposizioni normative al loro contenuto, richiedendone l'adattamento alle condizioni effettive dei loro destinatari. Il punto di partenza è dato da un'eguaglianza intesa come scopo, muovendo dall'esperienza specifica di individui situati, per giungere ad un'eguaglianza fondamentale (basic) e superare la differenza (esclusione) derivante dall'oppressione e dalla discriminazione (19).

L'eguaglianza di opportunità mette a fuoco i modi in cui le persone continuano a trovarsi di fronte ostacoli istituzionali che impediscono un equo trattamento e che vanno eliminati poiché intralciano la via a causa della loro razza, del loro sesso, della loro classe, negando che possano attraversare la strada da soli (20).

Le affirmative actions, allora, trovano una giustificazione basata sul principio normativo secondo cui le istituzioni devono porre rimedio ai pregiudizi ed alle esclusioni incorporati nei loro criteri valutativi e nelle loro pratiche, sì da riconoscere ad ognuno il diritto ad essere trattato con eguale considerazione e rispetto. In questo senso, vanno intese come tentativi volti a promuovere la giustizia, l'eguaglianza e la piena cittadinanza, trasformandole da promesse in realtà. Si configurano, quindi, come tecniche finalizzate alla tutela di diritti fondamentali, che, anche guardando alle questioni di discriminazione e subordinazione razziale, sono da identificare quali "leggi del più debole" (21), dirette a garantire l'eguale dignità delle persone.


Note

*. Università di Ferrara.

1. Diabasis, Reggio Emilia, 2005.

2. K. Thomas, Legge, razza e diritti: Critical Race Theory e politica del diritto negli Stati Uniti, in K. Thomas e Gf. Zanetti (a cura di), Legge razza e diritti, cit., p. 183.

3. K. Thomas, Legge, razza e diritti, cit., p. 196.

4. G. Torres e L. Guinier, Il canarino del minatore e la nozione di political race, in K. Thomas e Gf. Zanetti (a cura di), Legge razza e diritti, cit., pp. 127-128.

5. F. Rigotti, Le basi filosofiche del multiculturalismo, in C. Galli (a cura di), Multiculturalismo. Ideologie e sfide, Il Mulino, Bologna, 2006, pp. 29-33. V. altresì G. Minda, Teorie postmoderne del diritto (1995), Il Mulino, Bologna, 2001, pp. 321-326, 367-369.

6. G. Minda, Teorie postmoderne del diritto, cit., pp. 277-280.

7. I.F. Haney López, Bianco per legge, in K. Thomas e Gf. Zanetti (a cura di), Legge razza e diritti, cit., pp. 71-75.

8. Ch.I. Harris, La bianchezza come "proprietà", in K. Thomas e Gf. Zanetti (a cura di), Legge razza e diritti, cit., pp. 106-107.

9. K. Williams Crenshaw, Legittimazione e mutamento nelle norme contro la discriminazione, in K. Thomas e Gf. Zanetti (a cura di), Legge razza e diritti, cit., p.121.

10. G. Minda, Teorie postmoderne del diritto, cit., p. 330.

11. N. Gotanda, «La nostra costituzione è cieca rispetto al colore»: una critica, in K. Thomas e Gf. Zanetti (a cura di), Legge razza e diritti, cit., pp. 61-64.

12. Così L. Gianformaggio, Eguaglianza, donne e diritto, a cura di A. Facchi, C. Faralli, T. Pitch, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 126. Sul tema mi sia consentito rinviare a B. Pastore, Ragione giuridica, eguaglianza, differenze: il contributo di Letizia Gianformaggio, in "Notizie di Politeia", XXI, n. 80, 2005, pp. 239-246.

13. Si veda, in proposito, L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, a cura di E. Vitale, Laterza, Roma-Bari, 2001, pp. 312-313, 345.

14. Cfr. S. Benhabib, La rivendicazione dell'identità culturale. Eguaglianza e diversità nell'era globale (2002), Il Mulino, Bologna, 2005, pp. 153, 171, 184-187.

15. S. Benhabib, La rivendicazione dell'identità culturale, cit., p. 102; N. Fraser, Rethinking Recognition, in "New Left Review", n. 3, 2000, pp. 110, 116-118.

16. Ch.I. Harris, L'azione affermativa come strategia per delegittimare la bianchezza come interesse proprietario, in K. Thomas e Gf. Zanetti (a cura di), Legge razza e diritti, cit., pp. 153-157. Traggo le citazioni da p. 154.

17. Ch. Luke Harris e U. Narayan, L'azione affermativa e il mito del trattamento preferenziale, in K. Thomas e Gf. Zanetti (a cura di), Legge razza e diritti, cit., pp. 160, 169-170.

18. L. Gianformaggio, Eguaglianza, donne e diritto, cit., pp. 67-69, 130-132.

19. Gf. Zanetti, Ma che razza di pluralismo. Autonomia e «opzioni disponibili alla scelta», in "Ragion pratica", 26, 2006, pp. 101-102, 106.

20. Ch. Luke Harris e U. Narayan, L'azione affermativa e il mito del trattamento preferenziale, cit. pp. 159-160.

21. L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, cit., pp. 300, 338-339.