2006

Discriminazione razziale e sistema penitenziario in Francia

Isabelle Mansuy (*)

Secondo il primo articolo della Costituzione francese la Repubblica "assicura l'eguaglianza dinanzi alla legge a tutti i cittadini senza distinzione di origine, di razza o di religione". Gli unici altri riferimenti nell'ordinamento francese al concetto di razza sono contenuti nel codice penale, che considera la discriminazione razziale sia un reato in sé (artt. 225-1 e 225-2 c.p.) (1), sia una circostanza aggravante di certi reati (art. 132-76c.p.) (2). La discriminazione razziale può quindi essere di per sé una "causa d'incarcerazione" o, comunque, di inasprimento della sanzione anche detentiva.

Negli ultimi anni, nell'ordinamento francese, per un verso le pene previste in caso di reati a connotazione razzista sono state aggravate e, per altro verso, sono state create nuove fattispecie incriminatrici. Sembra quindi che in Francia il problema della discriminazione razziale sia al centro delle preoccupazioni politiche tout court e politico-criminali in particolare. Anzi, il problema del razzismo è ormai sollevato per ogni vicenda in cui viene coinvolta una minoranza etnica o religiosa. Così, il recente caso di un ebreo francese, rapito e poi assassinato dai suoi rapitori di origine africana e magrebina, è stato subito interpretato dalla stampa e dall'opinione pubblica come un caso evidente di crimine con motivazione razzista nei confronti della comunità ebraica. Anche se sembra che la scelta da parte dei rapitori di una vittima ebrea sia stata piuttosto motivata dal pregiudizio secondo il quale gli ebrei sono reputati più ricchi.

Gli eventi nelle periferie delle grandi città francesi dell'autunno 2005 hanno anche riaperto il dibattito sull'integrazione degli immigrati della seconda, se non addirittura della terza, generazione. Le discussioni generatesi attorno a questi fenomeni sociali, però, sembrano spesso vane, tanto è pieno di pregiudizi il dibattito in questo ambito e tanto sembra ideologicamente connotata ogni presa di posizione.

In particolare, per molto tempo è stato un vero tabù, e in parte lo è ancora, il problema della relazione fra origine etnica e delinquenza. Questo tema è stato a lungo la punta di diamante dell'ideologia di destra e di estrema destra che denunciava il maggiore coinvolgimento degli immigrati nella criminalità, mentre la sinistra preferiva schivare l'argomento. Da qualche anno, tuttavia, destra e sinistra sembrano avvicinarsi progressivamente nella loro interpretazione di questo fenomeno, anche se i pochi dati a disposizione non permettono ancora un approccio scientifico distaccato dalla mera posizione ideologica (o politicamente ritenuta conveniente).

1. Delinquenza e origine razziale

L'attuale sistema francese di statistiche ufficiali permette di sapere quanti sono gli stranieri coinvolti in atti di delinquenza, però non consente di conoscere con la stessa precisione la situazione dei cittadini francesi di origine straniera che abbiano commesso reati (si deve tenere conto che la Francia conosce fenomeni di immigrazione già molto risalenti nel tempo, con la conseguente diffusa presenza di cittadini francesi provenienti da gruppi di varia origine nazionale, etnica, etc.). Infatti, l'origine etnica dei delinquenti non è presa in considerazione, nelle statistiche ufficiali dell'Istituto nazionale della statistica (INSEE) o dell'Ufficio nazionale della delinquenza (OND). Anzi, la proposta recente del ministro degli interni, Nicolas Sarkozy, di menzionare nelle statistiche della polizia le origini etniche delle persone coinvolte in fatti di reato ha provocato una levata di scudi per la preoccupazione che l'inserimento di tali dati possa avere effetti discriminatori.

I dati che esistono sul collegamento razza-delinquenza sono quindi il frutto di analisi compiute, privatamente, da alcuni studiosi. Per esempio, Sébastian Roché, con un sondaggio realizzato nel 1999 su un campione di 2.288 giovani di età compresa fra 13 e 19 anni, ha evidenziato una «sovradelinquenza» nei ragazzi con entrambi i genitori stranieri e, fra di loro, una lieve sovrarappresentazione dei giovani magrebini rispetto alle altre origini etniche (3).

Un'altra ricerca, condotta da Hugues Lagrange, ha individuato una variabile locale: ha infatti constatato che in una città media, come Amiens, non esiste una sovradelinquenza dei giovani magrebini; mentre un tale fenomeno si riscontra in modo evidente in una «zona sensibile» della periferia parigina come Mantes-la-Jolie (4). Diverse ragioni possono spiegare questa "differenziale locale", in particolare le relazioni con la polizia.

Uno studio di Fabien Jobard sulle violenze della polizia ha così evidenziato una forte sovrarappresentazione dei giovani stranieri e di origine straniera fra le vittime di tali violenze, in particolare nei casi collegati al consumo e/o la vendita di droga (5).

Altre ricerche hanno mostrato che il trattamento penale della delinquenza varia secondo le origini etniche delle persone coinvolte: non però per ragioni di discriminazione volontaria, bensì perché i diversi meccanismi procedurali, dall'arresto da parte della polizia alla condanna da parte del tribunale, risultano complessivamente meno favorevoli per le popolazioni più svantaggiate economicamente e socialmente, le quali spesso provengono dall'immigrazione (6).

2. Le origini etniche della popolazione carceraria francese

Quali sono i riflessi di questa «discriminazione strutturale» (7) nel trattamento penale sulla popolazione carceraria?

Il tasso di detenuti stranieri nelle carceri francesi è intorno al 20% (1º gennaio 2006), mentre era del 30% nel 1993. Questa sovrarappresentazione di stranieri nelle carceri rispetto alla loro percentuale nella società (intorno al 6% se si prendono in conto solo gli stranieri che vivono abitualmente e in condizioni di regolarità in Francia) è in parte dovuta alla priorità data, dagli anni Settanta, alla lotta all'immigrazione clandestina e alla conseguente creazione di reati specifici (soggiorno irregolare, rifiuto di imbarcarsi in caso di espulsione, rifiuto di fornire la propria identità o cittadinanza per impedire l'espulsione) (8). Nel 1998, il 28,5% dei detenuti stranieri era incarcerato per questo motivo. Inoltre, gli stranieri sono più spesso coinvolti in reati "comuni" legati però all'immigrazione, come per esempio il falso e l'uso di documenti amministrativi falsi, reati per i quali la percentuale di stranieri coinvolti raggiunge il 60% (9).

Fra i detenuti di cittadinanza francese, uno studio dell'Istituto nazionale della statistica (INSEE) del 2000 ha evidenziato che quasi quattro detenuti su dieci hanno un padre nato all'estero o nelle ex-colonie francesi, un quarto in un paese del Magreb. Si può quindi ipotizzare che una parte notevole della popolazione detenuta in Francia è straniera o di origine straniera. Sembra però difficile affermare, come ha fatto uno studioso qualche anno fa, che se si tenesse conto dell'origine dei detenuti, la percentuale di detenuti stranieri o di origine straniera presenti nelle carceri francesi sarebbe più elevata della percentuale di afroamericani reclusi nelle carceri statunitensi (10). Infatti, da una decina di anni, le carceri francesi hanno dovuto confrontarsi con un fenomeno nuovo: quello della notevole crescita dei c.d. "delinquenti sessuali".

Nel 1999 lo stupro e le aggressioni sessuali sono diventati la prima causa di carcerazione in Francia. Il 1º gennaio del 2006 c'erano nelle carceri francesi più di 10.000 condannati per reati sessuali, cioè il 21,5% della popolazione carceraria, mentre rappresentavano solo il 6% venti anni fa. Questo fenomeno ha ovviamente riflessi sulla struttura della popolazione carceraria. Prima di tutto, si tratta spesso di una parte più anziana della popolazione, perché condannata più tardi (le nuove normative sulla prescrizione dei reati sessuali su minorenni concedono interventi giurisdizionali molto tardivi) e con pene più lunghe. L'aumento dei "delinquenti sessuali" contribuisce quindi all'invecchiamento della popolazione carceraria (l'età media dei detenuti è passata da 27,5 anni nel 1987 a 31,7 nel 2004). Inoltre, si tratta di una parte della popolazione più socializzata della popolazione carceraria tradizionale, più "bianca" della popolazione tipicamente coinvolta nella delinquenza legata, per esempio, allo spaccio di droga.

3. Il mancato adattamento del regime penitenziario alla popolazione carceraria

Il codice di procedura penale e le circolari relative prevedono, sotto alcuni profili, una disciplina particolare nei confronti dei detenuti stranieri. Per esempio, si può ricorrere a un interprete in certe procedure all'interno del carcere (artt. D 49-17, D 250-4, D 384-1, D 506). Tuttavia, l'applicazione concreta di queste regole particolari è spesso ostacolata dalla mancanza di fondi.

Tranne questi casi previsti dalla legge, è vietato adattare il regime carcerario secondo le origine etniche dei detenuti. Così, l'articolo D 241 del codice di procedura penale dispone che "ogni detenuto è sottoposto alla disciplina che regola i detenuti della categoria alla quale appartiene. [...] In questo ambito, nessuna discriminazione deve essere fondata su considerazioni relative alla razza, alla lingua, alla religione, all'origine nazionale, alle opinioni politiche o alla situazione sociale". Per quanto riguarda la ripartizione dei detenuti nelle celle collettive (che rappresentano la stragrande maggioranza delle celle disponibili nelle carceri francesi), il codice di procedura penale si accontenta di attribuire la competenza in questa materia al direttore dell'istituto (art. 91 c.p.p.) e di richiedere che siano prese "tutte le precauzioni utili per impedire che la promiscuità abbia delle conseguenze spiacevoli" (art. 88 c.p.p.).

Certi istituti hanno comunque scelto di procedere a una selezione etnica per la ripartizione dei detenuti. Così nel carcere de La Santé di Parigi un tale sistema è stato oggetto di un ricorso dell'associazione "SOS Racisme" che considerava che il fatto di raggruppare i detenuti secondo le loro origine etniche (nel blocco A dell'istituto sono raggruppate "le persone europee dell'ovest", nel blocco B "quelle di origine antillana o africana", nel blocco C "i magrebini", nel blocco D "le altre nazionalità e etnie") costituiva una "discriminazione razziale [commessa] da persona depositaria dell'autorità pubblica". La richiesta è però stata respinta dalla Cour de cassation il 18 maggio del 2004. La Corte ha infatti considerato che la semplice ripartizione etnica non costituiva una discriminazione in quanto non è stato provato un trattamento differenziato delle diverse etnie. Questo sistema di ripartizione è quindi praticato di fatto in diversi istituti penitenziari francesi, senza però che ci siano dei criteri unitari e al di fuori di una regolamentazione ufficiale.

Come può facilmente immaginare, le persone straniere o di origine straniera incontrano certamente problemi specifici nella loro vita in carcere. Per esempio è stato denunciato nel febbraio 2006 il caso di un detenuto sanzionato dall'amministrazione penitenziaria per aver rifiutato di togliersi la gellaba (l'ampia e lunga veste tipica dei magrebini). L'amministrazione ha considerato che il fatto di indossare la gellaba non rispetti l'obbligo di avere "un abito adeguato" all'interno dell'istituto (11). Ancora, per fare un altro esempio, è stato presentato un ricorso davanti al tribunale amministrativo contro una sanzione disciplinare inflitta a un detenuto musulmano per avere partecipato a una preghiera collettiva nel cortile della prigione di Fleury-Mérogis (nei pressi di Parigi) (12).

Se tali casi particolari riguardano delle minoranze etniche, bisogna però notare che difficoltà di questo genere, a mio avviso, sono segno più di problemi riguardanti in generale l'organizzazione penitenziaria che di una discriminazione "volontaria" o "strutturale". Infatti, tutti i detenuti, di qualsiasi origine etnica, religiosa o sociale, si confrontano quotidianamente con i regolamenti penitenziari nell'esercizio dei loro diritti. Per esempio, la sanzione disciplinare inflitta al detenuto musulmano per avere partecipato a una preghiera collettiva, di cui abbiamo fatto cenno, non riguardava tanto l'atto religioso, ma piuttosto il raggruppamento di detenuti, evento in sé sempre molto temuto dall'amministrazione penitenziaria. Analogamente, nel caso del divieto di portare la gellaba imposto a un magrebino, non si trattava di un atto in sé discriminatorio, poiché l'obbligo di indossare "un abito adeguato" si applica a qualsiasi detenuto e con riferimento a qualsiasi abbigliamento giudicato non adeguato, come potrebbe essere, ad esempio, un bermuda. Infine, i problemi e le difficoltà nella conduzione della propria vita in carcere (per esempio, presentazione di istanze scritte all'amministrazione penitenziaria) legati alle scarse conoscenze linguistiche o culturali riguardano anche, ma non esclusivamente, i detenuti stranieri o di origine straniera. E' noto infatti che, in Francia, il 60% dei detenuti ha un livello scolastico che non supera l'istruzione elementare, e tra questi più del 10% è analfabeta (13).

In conclusione, pur essendo probabile una discriminazione di fatto operante nella fase di selezione dei soggetti destinati al carcere, ossia nella previsione e realizzazione delle politiche criminali e repressive, non pare invece di poter riscontrare una "discriminazione strutturale" determinante all'interno delle istituzioni penitenziarie nei confronti di detenuti stranieri. Infatti i maggiori problemi - in termini di esercizio dei propri diritti - incontrati dai detenuti, sia francesi sia stranieri o di origine straniera, sono analoghi. Insomma, le difficoltà quotidiane, legate alla povertà sia economica sia sociale, all'elevata incidenza di disturbi psichiatrici (che riguardano il 48% dei detenuti) e al sovraffollamento cronico della maggior parte degli istituti penitenziari, colpiscono tutti i detenuti in maniera sostanzialmente "cieca", ossia senza distinzione di origine, razza o religione.


Note

*. Université de Paris 1, Sorbonne.

1. La discriminazione (anche razziale) è definita nell'articolo 225-1; l'articolo 225-2 individua i casi in cui la discriminazione può essere punita con 3 anni di pena detentiva e una pena pecuniaria di 45.000 euro.

2. Per esempio, la motivazione razziale è prevista come circostanza aggravante in caso di omicidio (art. 221-4, 6º c.p.), di tortura (art. 222-3, 5ºbis c.p.), di violenze che abbiano provocato la morte non voluta della vittima (art. 222-8, 5ºbis c.p.), di lesioni (artt. 222-10, 5ºbis, 222-12, 5ºbis, 222-13, 5ºbis c.p.), di minacce (art. 222-18-1 c.p.), di alcuni delitti contro la pietà dei defunti (art. 225-18) e di alcune ipotesi di reati contro il patrimonio (artt. 312-2, 3º, 322-2, 322-8).

3. Roché S., La délinquance des jeunes. Les 13-19 ans racontent leurs délits, Paris, Seuil, 2001.

4. Lagrange H., De l'affrontement à l'esquive. Violences, délinquances et usages de drogues, Paris, Syros, 2001.

5. Jobard F., «Les violences policières», in Mucchielli L., Robert P. (a cura di), Crime et sécurité: l'état des savoirs, Paris, La Découverte, 2002, pp. 206-214.

6. Aubusson de Cavarlay B., La place des mineurs dans la délinquance enregistrée, «Les cahiers de la sécurité intérieure», n. 29, 1997, Robert P., Zauberman R., Pottier M.-L., Lagrange H., Mesurer le crime. Entre statistiques de police et enquêtes de victimation (1985-1995), «Revue française de sociologie», 40 (2), 1999, pp. 255-294. Si pensi, per esempio, al fatto che la messa in libertà dell'indagato sottoposto a custodia cautelare nella fase delle indagini preliminari presuppone, di fatto, che la persona coinvolta abbia un domicilio fisso, dove può essere rintracciata dalla giustizia, etc.

7. Per una definizione della «discriminazione strutturale», cfr. il contributo di Lucia Re in questo forum.

8. Tournier P.V., Robert P., Les étrangers dans les statistiques pénales, «Migrations études», n. 7, 1989.

9. Coye S., Bérard J., Étrangers en prison: aux confins de l'absurde, «Dedans dehors», n. 52, 2005, pp. 12-13.

10. Così, riportando il pensiero di Salvatore Palidda, Lucia Re "Discriminazione strutturale e color blindness nei sistemi penitenziari degli Stati Uniti e d'Europa", dattiloscritto della relazione presentata al Seminario di Teoria del diritto e Filosofia pratica (X ciclo), Identità, razza e integrazione sociale, Dip. di Scienze giuridiche, Univ. di Modena e Reggio Emilia, 30 novembre 2005.

11. Comunicato stampa dell'Observatoire international des prisons (OIP) del 23 febbraio 2006.

12. Cfr. il dispaccio dell'agenzia France Presse, «Quatre détenus musulmans au mitard pour prière collective à Fleury-Mérogis», 4 juin 2004 et «Prière dans la cour de Fleury-Mérogis: rejet du recours hiérarchique d'un détenu», 28 juin 2004.

13. Cassan F., Toulemon L., Kensey A., «L'histoire familiale des hommes détenus», INSEE Première, n. 706, avril 2000,.