2006

La discriminazione di profilo: il Racial Profiling

Marco Goldoni (*)

Come ha ricordato Kendall Thomas, il contributo forse più significativo della Critical Race Theory (d'ora in poi CRT) consta nella «esplorazione ed elaborazione» dell'idea di race consciousness (1). Si tratta di una posizione critica che si contrappone direttamente al "neutralismo cieco" di un certo costituzionalismo tradizionale (2). La posta in gioco, in tale dibattito, riguarda la diretta "rilevanza" del concetto di razza nel discorso giuridico.

Nella prospettiva della dicotomia colorblindness/race consciousness uno degli istituti più controversi per chiunque si occupi del tema "diritto e razza" rimane il cosiddetto racial profiling. L'istituto ha una storia fondamentalmente recente, poiché la sua genesi americana, per così dire, è intrecciata alla war on drugs avviata nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso (3). Il consenso attorno alla fattispecie ha poi subito un drastico ridimensionamento nella seconda metà degli anni Novanta, tanto che solo il 20 per cento degli intervistati in un sondaggio Gullop si dichiarava, nel 1999, favorevole all'utilizzo di tale strumento. L'11 settembre ha chiaramente rovesciato l'atteggiamento della popolazione, facendo ritornare sopra il 50 per cento (56, per la precisione) la parte di coloro che ritengono giusto ricorrere al profiling (4).

1. La definizione dell'istituto

Le difficoltà che concernono il racial profiling sono molteplici. Anzitutto, ancora oggi non risulta agevole delimitare esattamente cosa si intenda con tale istituto. Esso è entrato nei dizionari americani a partire dal 1999. L'Oxford American Dictionary and Language Guide lo definisce come «la policy dichiarata della polizia di fermare e controllare veicoli guidati da persone appartenenti a determinati gruppi razziali». Il Webster's College Dictionary fornisce una definizione leggermente diversa, ma sempre imperniata sulla relazione fra controlli nelle strade e profiling; alla voce racial profiling viene fatta corrispondere - in maniera incompleta - quella di «(d.w.b.) driving while black (usato ironicamente per riferirsi ai fermi di autisti neri da parte della polizia in base alla razza piuttosto che ad ogni altra reale contravvenzione)». Gli Stati che lo hanno disciplinato (fra gli altri Connecticut, Oklahoma e California) lo hanno definito come «la detenzione, l'interdizione o altro genere disparato di trattamento di un individuo solo sulla base dello status razziale o etnico di tale persona» (5). Nella maggior parte dei casi, con l'espressione racial profiling si intende il fermo e la perquisizione (stop and frisk) nelle strade e negli aeroporti in base ad un profilo che comprende, come unico o fra altri elementi, il dato razziale (6). Tale definizione non coglie completamente l'aspetto ultrainclusivo e potenzialmente espansivo di un simile istituto, laddove in altri contesti si potrebbe vedere un'applicazione del medesimo principio che ispira il racial profiling, vale a dire la razza intesa come "indicatore" (di pericolosità, di malattia, etc.). D'altronde, i confini sfuggenti di un tale istituto investono anche casi che la dottrina solitamente considera come non problematici.

Paradigmatica, in tal senso, la situazione in cui la razza sia uno degli elementi di ricostruzione dell'identità di un criminale ad opera della vittima o di un testimone. Richard Banks ha ricordato che «persino il più duro critico del racial profiling approva l'uso delle descrizioni dei sospetti da parte della polizia» (7); tuttavia, non si può affermare in maniera apodittica che la ricerca fondata sulla descrizione non sia mai discriminante, come ricorda la nota pronuncia Brown v. City of Oneonta (8). Nel caso in questione, una vittima identificava un ladro come giovane uomo afroamericano, affermando, anche, di avergli procurato una ferita alla mano durante la colluttazione (9). In tutta risposta, la polizia interrogò ogni nero afroamericano studente al college locale e condusse una ricerca a tappeto in città «fermando e interrogando persone non-bianche per le strade, ispezionando loro le mani in cerca di ferite» (10). Diverse persone fecero causa al distretto di polizia per violazione dei diritti civili, ma la Corte decise, rispetto alla equal protection clause, che «una descrizione che include la razza come uno dei suoi elementi non implica che il difensore abbia agito in base ad una sospetta classificazione razziale [..] la descrizione era una classificazione legittima all'interno della quale potenziali sospetti potevano essere cercati» (11). La polizia aveva agito, secondo la Corte del Secondo Circuito, in base ad una policy neutrale rispetto alla razza e non aveva quindi commesso nessuna discriminazione verso la minoranza locale di colore (Quattordicesimo emendamento), né aveva violato il Quarto emendamento (necessità di un "sospetto ragionevole" per limitare la libertà) (12). Allo stesso tempo, la considerazione dei numeri implicati in tale indagine dovrebbe mettere in risalto la natura profondamente discriminatoria e umiliante di un tale utilizzo della nozione di razza. Nell'area in cui era avvenuto il crimine vivevano 450 studenti, di cui 150 di colore. Ciò significa che l'indicazione della testimone permetteva una probabilità di 1 a 150 nella ricerca del colpevole. Poiché descrizione del sospetto e criminal profiling spesso si sovrappongono, si genera confusione circa l'utilità e la necessità di ricorrere al racial profiling (13). Non verrà discusso in questa sede il delicatissimo problema della validità del profiling come tecnica di sicurezza nelle indagini (un lucido e denso libro di Frederick Schauer rappresenta un'ottima messa a punto sugli aspetti filosofici del tema (14)). Piuttosto, ciò che importa mettere in luce è l'aspetto razziale (e razzista) che connota il racial profiling.

Uno dei limiti maggiori del dibattito sull'adottabilità o meno dell'istituto risiede nella polarizzazione delle analisi attorno alla questione della razionalità o irrazionalità di tale pratica. Al centro della disputa si colloca, pertanto, l'interpretazione dei dati raccolti fino ad oggi sugli stop and search effettuati dalla polizia americana. Una premessa è necessaria prima di analizzare i dati disponibili: non esiste - e non è ancora stata programmata - una raccolta su scala federale dei dati concernenti il racial profiling. Al momento, si hanno a disposizione una serie di studi e di raccolte di informazioni di volta in volta commissionate dal singolo Stato, da una Corte o da una Università. Inoltre, si tratta, per lo più, di informazioni registrate dagli agenti di polizia predisposti ai controlli, ovvero da parte di persone consapevoli dell'essere esposti alla possibile accusa di razzismo.

2. La "razionalità" del racial profiling

Una statistica alla quale la maggior parte degli studiosi fa riferimento è quella fornita dalla polizia dello Stato del Maryland riguardante i controlli effettuati nel biennio 1995-1996 lungo le principali autostrade. Le informazioni raccolte sembrano mostrare una sproporzione nei fermi fra bianchi e persone di colore. Gli afroamericani, pur rappresentando solo il 17 per cento di tutti gli autisti, erano stati oggetto di stop and search in misura superiore al 70 percento del totale dei controlli. A fronte di una tale differenza, la percentuale di controlli a cui è seguito un riscontro probatorio (hit rate) mostrava una sostanziale eguaglianza: 28,4 degli afroamericani fermati a fronte del 28,8 percento dei bianchi. Altre ricerche sono state condotte nel New Jersey (15), in North Carolina (16) e nella città di New York (17). La razionalità del racial profiling, alla luce dei dati raccolti, è stata oggetto di forte critica da parte di molti studiosi. La presunta efficienza del racial profiling sarebbe smentita dalla realtà statistica (18). Non si registra, tuttavia, un completo accordo sulla presunta (ir)razionalità del racial profiling nemmeno fra coloro che sono contrari all'istituto. Randall Kennedy, pur ritenendo profondamente dannoso il racial profiling, ne ha riconosciuto la razionalità (vale a dire la capacità di ottenere determinati fini) (19). L'applicazione di alcuni modelli econometrici ha portato taluni a sostenere la neutralità razionale dell'operato della polizia nella misura in cui, coincidendo i due indici di successo nelle ricerche fra bianchi e afroamericani, si sarebbe ottenuta la prova che i membri della polizia si comportano come agenti razionali tendenti alla massimizzazione dei risultati (20). In ogni caso, il tipo di dati a disposizione e la loro interpretazione dipendono da molteplici variabili, stabilite di volta in volta dai singoli ricercatori o da chi commissiona l'inchiesta. Il giudizio sull'efficacia del profiling dipende in maniera essenziale da ciò che viene considerato l'obbiettivo (o gli obbiettivi) che si vuole conseguire. Risulta difficile, pertanto, giudicare in maniera apodittica la razionalità del racial profiling (21).

La questione, peraltro, non può essere ridotta ad un dibattito sull'efficacia o meno dell'istituto (per quanto ciò possa essere un utile elemento di giudizio). Così facendo si finirebbe per espungere dalla riflessione la presenza della razza, ponendo al centro della propria indagine l'unico bene della sicurezza collettiva (i.e. della maggioranza) (22). Focalizzare l'attenzione sulla razionalità e l'efficienza espone a due gravi rischi: il primo è quello di cedere, in particolari situazioni d'emergenza, alla tentazione di riconoscere la razionalità della fattispecie; in secondo luogo (si tratta del punto più insidioso), concentrarsi sulla razionalità rischia di oscurare l'aspetto della giustizia razziale che, in una società «razzializzata», gioca un ruolo di grande importanza. In altri termini, concentrarsi sull'efficacia del profiling rischia di oscurare il fatto che siamo di fronte ad una fattispecie che riguarda, anzitutto, la razza e il posto che questa occupa nel discorso giuridico contemporaneo (23).

3. Il contraddittorio statuto degli argomenti sul racial profiling

Il carattere controverso concernente gli argomenti sulla razionalità del racial profiling viene evidenziato quando si paragona tale istituto alla giustificazione dell'affirmative action (24). Si possono, a questo riguardo, individuare due argomenti consueti: quello liberale e quello conservatore.

L'argomento liberale, solitamente fondato sull'idea che il ragionevole sospetto si basi sul mero comportamento individuale, non può accettare il fatto che la razza costituisca un elemento di valutazione dell'azione individuale. Allo stesso tempo, i liberali sostengono solitamente la validità dell'affirmative action, ma sono costretti a superare l'individualismo metodologico per giustificare tale fattispecie.

Lo stesso problema - ossia lo statuto della razza nella costruzione di un argomento normativo - investe la posizione conservatrice. Solitamente contraria all'affirmative action per ragioni individualistiche ("non si possono giudicare i meriti di una persona secondo la sua appartenenza razziale"), l'istanza conservatrice promuove il racial profiling sulla base della presunta relazione fra appartenenza razziale e propensione al crimine (25).

Il problema della razionalità del profiling non deve mascherare l'impatto sociale che tale tecnica produce sulla comunità intera (e non solo sulle minoranze). Si tratta, pertanto, di far slittare la prospettiva (la razionalità riguarda anzitutto l'attività della polizia) per valutare quali sono gli effetti del profiling in una società razzializzata.

La lezione della CRT fornisce una serie di utili strumenti per comprendere la posta in gioco di tale dibattito (26). Occorre chiarire la portata normativa dell'idea che la «razza conti». Ciò non significa accettare un sistema di significati immutabili nei quali il concetto di razza gioca un ruolo predeterminato e stabile. La "consapevolezza della razza" non equivale ad uno stigma; essa risulta invece essenziale per formalizzare il contesto (il «potenziale di circostanza» (27)) a partire dal quale si può sviluppare un ragionamento normativo. In una società in cui tutti i membri sono racialized come quella statunitense, la politica del diritto deve essere orientata dalla race consciousness. In altri termini, l'obbiettivo deve essere quello di contenere (o se possibile eliminare) il razzismo in una società; per poterlo fare non si può evitare di partire dal dato - fattuale - della classificazione razziale.

In tal senso, il racial profiling genera una serie di costi ed impone diversi sacrifici che non possono essere esclusi dalla valutazione sulla bontà della fattispecie. Gli effetti collaterali più negativi sono, in primo luogo, di ordine psicologico: chi viene sottoposto al racial profiling può reagire perdendo la stima di sé (un aspetto della sua identità viene considerato di per sé negativo) oppure provando frustrazione e rabbia nei confronti dell'autorità (si reca in tal modo un vulnus al rapporto fiduciario fra polizia e minoranze). In secondo luogo, i sacrifici materiali sono a loro volta particolarmente onerosi. La segregazione residenziale e dei posti di lavoro sono fra le conseguenze più drammatiche del profiling (28).

In generale, i costi del racial profiling, soprattutto per le minoranze, possono essere epitomati nell'espressione "ratchet effect" (effetto "ruota dentata"). La logica dell'effetto ruota dentata è appunto quella di peggiorare la situazione dei soggetti che, in questo caso, sono sottoposti al profiling. Le implicazioni secondarie (ma estremamente rilevanti per la condizione di un gruppo) di una distribuzione irrazionale e sproporzionata dei contatti con il sistema di controllo della criminalità sono notevoli. Un controllo esagerato sulle possibili attività criminali di un gruppo (oltre, di conseguenza, ad un numero eccessivo di ingiusti arresti) riduce le opportunità di lavoro per i soggetti coinvolti, indebolisce il legame comunitario e contribuisce alla distorta percezione generale nell'opinione pubblica e negli ufficiali di polizia dei gruppi che vi sono sottoposti. Altri effetti ratchet possono riguardare la sfiducia dei giovani appartenenti alle minoranze di colore nei confronti del sistema giudiziario (con relativo incoraggiamento a commettere crimini) e la genesi di un circolo vizioso in cui le autorità competenti, basandosi sulle statistiche in possesso dei soggetti fermati e controllati, decida di allocare le risorse proprio in base a tali dati, contribuendo all'aumento esponenziale del differenziale fra i controlli verso la maggioranza bianca e quelli nei confronti dei soggetti di colore (29).

Preso atto, da una prospettiva "critica", degli effetti potenzialmente discriminanti del racial profiling, rimane aperto un problema di non poco conto: come proibire tale istituto, o evitare di vederlo applicato (30). Anzitutto, su un piano pragmatico, risulta difficilissimo definire con precisione l'attività di polizia che costituisce racial profiling (31), soprattutto alla luce della non facile delimitazione della fattispecie già evidenziate. In secondo luogo, controllare l'operato dei singoli agenti di polizia è operazione difficile, complessa e costosa (32). Essa comporta una (non impossibile) opera di formazione e un monitoraggio delle attività investigative che responsabilizzi ciascuna sede di polizia (33).

4. Il contesto europeo

La vivacità del dibattito statunitense sul racial profiling ha certamente ragioni storiche diverse rispetto a quelle che contraddistinguono la situazione europea. Costituirebbe, tuttavia, un grave errore credere che lo spazio giuridico europeo sia esente dall'utilizzo del racial profiling. Il silenzio non corrisponde, in tal caso, ad assenza. In particolare, dopo gli attentati di Madrid e Londra - avvenuti nel 2004 e 2005 - le organizzazioni non governative lamentano sempre più spesso un ricorso irrazionale e discriminante al profiling etnico e religioso. Pertanto, se prima dell'11 settembre la differenza fra la situazione americana e quella europea era forse consistente, ora i due contesti presentano sempre più posizioni vicine e analoghe. In effetti, il ricorso ad un massiccio apparato di poteri e misure emergenziali conduce all'introduzione generalmente surrettizia di nuove forme di discriminazioni razziale giustificate da una precisa retorica della paura e della sicurezza. Le leggi sul terrorismo internazionale hanno dimostrato che l'intensità della discriminazione aumenta in maniera proporzionale al ricorso agli strumenti di legislazione eccezionale (34).

In Europa, tuttavia, a differenza degli Stati Uniti, non esistono, ad oggi, studi ed indicazioni esaustive provenienti dai governi dei singoli paesi. Solo la Gran Bretagna ha commissionato una serie di indagini statistiche per verificare la consistenza della discriminazione nei controlli (35). Inoltre, il dibattito sul problema è minimo e quasi invisibile. In ragione di un simile vuoto sarà opportuno aprire un nuovo campo d'indagine sulla situazione europea (e italiana in particolare (36)) riguardo al profiling etnico. Una riflessione pubblica attorno alle misure contro il terrorismo e agli effetti che queste generano sull'utilizzo di nozioni come etnia e razza appare oramai opportuna ed inevitabile.


Note

*. Università di Pisa.

1. K. Thomas, Legge, razza e diritti: Critical Race Theory e politica del diritto negli Stati Uniti, in K. Thomas, Gf. Zanetti (a cura di), Legge, razza e diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti, Diabasis, Reggio Emilia, 2005, p. 183.

2. Un saggio paradigmatico di tale posizione rimane quello di R. Wechsler, Toward Neutral Principles in Constitutional Law, in «Harvard Law Review», 73, 1959, pp. 1-60.

3. Sul legame fra incremento della popolazione carceraria di colore e utilizzo del racial profiling si rimanda alle considerazioni di M. Tonry, Malign Neglect: Race, Crime, and Punishment in America, Oxford University Press, New York, 1995, pp. 111-115.

4. D. Harris, Profiles in Injustice. Why Racial Profiling Cannot Work, The New Press, New York, 2002, pp. 223-224. La campagna contro il profiling aveva portato il Congresso ad esaminare un bill che avrebbe posto fuori legge l'istituto (giugno 2001). Gli attentati dell'11 settembre hanno "congelato" la discussione sul tema.

5. Citato in A. Alschuler, Racial Profiling and the Constitution, in «University of Chicago Legal Forum», 2002, p. 171. Cfr. J. Skolnick, A. Capovitz, Guns, Drugs, and Profiling: Ways to Target Gun and Minimize Racial Profiling, in «Arizona Law Review», 43, 2001, pp. 413-415 (ove viene ricostruita la storia dell'espressione "racial profiling").

6. Una precisazione del termine proposta all'interno di una discussione filosofica sul racial profiling viene avanzata da M. Risse, R. Zeckhauser, Racial Profiling, in «Philosophy and Public Affairs», 4, 2004, p. 137, dove il profiling viene definito come «ogni azione d'iniziativa della polizia fondata sulla razza, l'etnia o l'origine nazionale e non semplicemente sul comportamento individuale».

7. R. Banks, Race-Based Suspect Selection and Colorblind Equal Protection Doctrine and Discorse, in «UCLA Law Review», 48, 2001, p. 1078. Dello stesso parere sono Gross e Barnes: «non è racial profiling per un ufficiale fermare, interrogare, ricercare, o arrestare una persona perché la sua razza corrisponde alla descrizione di un soggetto sospettato di aver commesso uno specifico crimine in base alla descrizione [...] non si può trattare mai di racial profiling quando la polizia sta cercando una particolare persona»: S. Gross, K.Barnes, Road Work: Racial Profiling and Drug Interdiction on the Highway, in «Michigan Law Review», 101, 2002, p. 655 n. 10. Cfr. anche A. Alschuler, Racial Profiling and the Constitution, cit., pp. 265-266.

8. 221 F3d 329 (2d Cir 2000).

9. Una dettagliata storia della vicenda viene proposta in R. Banks, The Story of Brown v. City of Oneonta: The Uncertain Meaning of Racial Discrimination Under the Equal Protection Clause, in M. Dorf (ed.), Constitutional Law Stories, Foundation Press, New York, 2004, pp. 223-248.

10. 221 F3d, 334.

11. Id., 337-338.

12. Il passaggio necessita di un supplemento di spiegazione. Infatti, a partire dalla pronuncia Whren [517 U.S. 806 (1996)], la Corte Suprema ha separato i due livelli (ragionevole sospetto e eguale protezione), facendo del racial profiling un issue inerente il quattordicesimo emendamento. Nel caso in discussione, due giovani neri sostenevano di essere stati fermati dalla polizia solo in base alla propria razza e che non sussistendo un minimo ragionevole sospetto per il fermo al quale erano stati sottoposti, tale operazione avveniva contrariamente a quanto dispone il Quarto Emendamento. La Corte, sottraendo di fatto la materia del racial profiling al dominio della clausola del ragionevole sospetto, faceva riferimento diretto al Quattordicesimo Emendamento: «Siamo chiaramente d'accordo con i ricorrenti che la Costituzione proibisce l'applicazione selettiva della legge in base a considerazioni di razza. La base costituzionale per opporsi all'applicazione intenzionalmente discriminatoria delle leggi non è, tuttavia, il Quarto Emendamento, bensì il Quattordicesimo» [517 U.S. 813].

13. È opportuno ricordare che il racial profiling discende direttamente dal più generale metodo investigativo del criminal profiling.

14. F. Schauer, Profiles, Probabilities, and Stereotypes, Harvard University Press, Cambridge, Mass., 2003.

15. Nel 2000, la polizia dello Stato ha raccolto dati sugli stop in una parte dello Stato. Da questi risulta che il 78 percento dei fermati era di origine latina o afroamericana, mentre prove di coinvolgimento nel traffico di droga erano state trovate nel 28 percento dei casi dei bianchi controllati, contro il 13 percento dei neri e il 5 dei latini.

16. Nel 1998 l'Università del North Carolina ha condotto uno studio sui fermi nelle strade. I risultati mostravano che gli afro-americani erano oggetto di controlli nel 68 percento dei casi; i riscontri evidenziavano, tuttavia, che il 26 percento dei neri veniva trovato in possesso di droga, a fronte del 33 percento dei bianchi.

17. La ricerca a New York è stata condotta nel 1999 sui controlli ai pedoni. Lo studio si focalizzava sulla percentuale di controlli che terminavano con l'arresto: 12,6 percento dei bianchi, 11,5 dei latini, 10,5 degli afroamericani.

18. Il più autorevole sostenitore di tale tesi è D. Harris, Profiles in Injustice, cit., pp. 79-81.

19. R. Kennedy, Race, Crime, and the Law, Vintage, New York, 1998, pp. 136-160.

20. Il più complesso e raffinato modello econometrico viene proposto da J. Knowles, N. Persico, P. Todd, Racial Bias in Motor Vehicle Searches: Theory and Evidence, in «Journal of Political Economy», 109, 2001, pp. 206-230. Una dura ed argomentata critica a tale modello viene avanzata da S. Gross, K. Burnes, Road Work: Racial Profiling and Drug Interdiction on the Highway, in «Michigan Law Review», 101, 2002, pp. 651-738.

21. Si può però affermare con sicurezza che i non bianchi sono sottoposti ad una quantità di controlli nettamente superiore rispetto a quanto capita ai bianchi.

22. Si tratta comunque della sicurezza di una parte della popolazione, poiché coloro che sono sottoposti ai controlli spesso vivono esperienza traumatiche a causa dell'invasività di tali pratiche.

23. R. Banks, Beyond Racial Profiling, in «Stanford Law Review», 56, 2003, pp. 571-603.

24. Sull'affirmative action si rimanda all'intervento di Thomas Casadei contenuto in questo forum. Cfr. Id., Quando è rilevante la razza? Il 'corpo a corpo' intorno all'affirmative action e l'egemonia dei valori negli Stati Uniti, sul sito della SIFP (Società Italiana di Filosofia Politica) alla sezione Commento su "Razza e diritto: tra sicurezza, discriminazioni e cittadinanza".

25. Le contraddizioni all'interno delle posizioni liberali e conservatrici sono ben illustrate da V. Romero, Critical Race Theory in Three Acts: Racial Profiling, Affirmative Action, and the Diversity Visa Lottery, in «Albany Law Review», 66, 2002, pp. 341-342. Esiste anche una variante della posizione conservatrice secondo la quale le minoranze avrebbero un interesse diretto nel racial profiling; esse sono, infatti, le prime vittime del crimine (in base al principio dell'intrarazzialità). Essere oggetto di costante controllo permetterebbe, a lungo termine, una progressiva diminuzione della criminalità.

26. Un interessante progetto di utilizzo della nozione di razza viene avanzato da G. Torres, L. Gaunier, Il canarino del minatore e la nozione di political race, in K. Thomas, Gf. Zanetti (a cura di), Legge, razza e diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti, cit., pp. 127-141.

27. Per una precisazione di tale nozione si rimanda a Gf. Zanetti, Introduzione al pensiero normativo, Diabasis, Reggio Emilia, 2004, pp. 43-46.

28. Per una descrizione più dettagliata degli effetti collaterali del racial profiling si rinvia a D. Harris, Profiles in Injustice, cit., pp. 98-127.

29. Chi ha esposto con grande chiarezza questi problemi è B. Harcourt, Rethinking Racial Profiling: A Critique of the Economics, Civil Liberties, and Constitutional Literature, and of Criminal Profiling More Generally, in «The University of Chicago Law Review», 71, 2004, pp. 1331-1333. Harcourt ha notato che la concentrazione su un determinato gruppo nel tentativo di prevenire un crimine è già, di per sé, una policy razzista quando il gruppo maggioritario (nel caso in esame, i bianchi) è talmente superiore nei numeri da rappresentare in ogni caso la maggioranza di coloro che commettono un determinato crimine. Un'attività orientata da questa logica è più attenta al controllo della razza che a quello della diminuzione del crimine.

30. Una visione pessimistica degli effetti del diritto sul racial profiling è quella di William Stuntz, il quale ha descritto l'istituto «come un fatto della vita che il sistema giuridico non può probabilmente cambiare»: W. Stuntz, Local Policing After the Terror, in «Yale Law Journal», 111, 2002, p. 2179.

31. Simili difficoltà vengono ricordate da K. Russell, Racial Profiling: A Status Report of Legal, Legislative, and Empirical Literature, in «Rutgers Race & Law Review», 3, 2001, pp. 61-81.

32. G. Thomas III, Blinded By the Light: How To Deter Racial Profiling, in «Rutgers Race & Law Review», 3, 2001, pp. 39-59. Scettico sulla possibilità di intervenire sulla formazione culturale del singolo poliziotto è W. Stuntz, Local Policing After the Terror, cit., p. 2181.

33. Alcuni autori suggeriscono l'introduzione di una legge che renda obbligatoria la raccolta dei dati di coloro che vengono fermati e venga a questa associato un controllo sui dipartimenti di polizia, piuttosto che sui singoli agenti, cfr. D. Harris, The Stories, the Statistics, and the Law: Why "Driving While Black" Matters, in «Minnesota Law Review», 84, 1999, pp. 265-326; K. Russell, "Driving While Black": Corollary Phenomena and Collateral Consequences, in «Boston College Law Review», 40, 1999, pp. 717-722.

34. Il caso di scuola rimane Korematsu v. United States, 323 U.S. 214 (1944). Una proposta a favore di un profiling di emergenza viene avanzata in S. Ellmann, Racial Profiling and Terrorism, in «New York Law School Journal of International & Comparative Law», 22, 2003, pp. 348-359.

35. E. Cashmore, The Experiences of Ethnic Minorities Police Officers in Britain: Under-Recruitment and Racial Profiling in a Performance Culture, in «Ethnic and Racial Studies», 24, 2001, pp. 642-659.

36. Nel contesto italiano una situazione particolarmente problematica riguarda i cosiddetti rom. Cfr. M. Duvall, Evidence of Ethnic Profiling in Selected European Countries, in «Open Society. Justice Initiative», July 2005, pp. 17-19.