2006

Il contributo dell'Unione europea alla lotta contro il razzismo

Stella Coglievina (*)

Con questo contributo vorrei cercare di sviluppare qualche riflessione sull'approccio europeo al problema razzismo, più in particolare sulle modalità con cui è stato affrontato nell'ordinamento comunitario.

A più riprese è stato detto che l'Unione europea è nata dalle ceneri della Seconda Guerra mondiale e dell'Olocausto. Tuttavia, nonostante la ferma condanna e la presa di coscienza di tali tragici eventi, sia nelle previsioni normative, sia nelle politiche europee mancavano, in origine e fino a tempi non lontani, espliciti riferimenti al razzismo, all'intolleranza, alla discriminazione razziale e religiosa. Questa omissione può sorprendere, ma occorre non dimenticare che, come è ormai risaputo, il processo di integrazione europea non fu avviato da finalità squisitamente politiche, né dall'intento di tutelare i diritti dell'uomo, ma allo scopo di creare un mercato unico e di promuovere lo sviluppo economico. Non mi soffermerò a descrivere come si siano ampliati gli obiettivi dell'Unione europea o come essa abbia sviluppato una politica sociale ed un sistema di garanzia dei diritti umani. Basti dire che ciò si è verificato in parallelo con la presa di coscienza che il pieno sviluppo economico non è sufficiente a garantire il benessere delle società e che occorre intervenire per promuovere, soprattutto, l'uguaglianza e le pari opportunità. L'Unione europea ha pertanto elaborato, soprattutto dalla seconda metà degli anni '70, e poi più decisamente dagli anni '90, un insieme di norme e di principi per combattere le discriminazioni ed una sempre più intensa attività contro il razzismo.

In questi anni, infatti, si avverte la necessità di colmare quella mancanza di riferimenti nel diritto europeo al problema del razzismo e delle intolleranze ad esso connesse. A dispetto di ottimistiche spiegazioni di tale assenza (si poteva pensare che, nel momento in cui nascono le Comunità europee, il ricordo di tali avvenimenti fosse così recente da ritenerne superfluo il richiamo; superfluo anche perché, altrettanto ottimisticamente, si auspicava che i casi di razzismo sarebbero definitivamente scomparsi, dopo la ferma condanna delle aberrazioni messe in atto dai governi fascisti e nazisti), si assiste, infatti, al verificarsi di rinnovate manifestazioni di odio razziale, di xenofobia, di antisemitismo.

L'Unione ha giocato un ruolo importante nell'individuazione delle questioni legate al razzismo. Risalgono agli anni '80 i primi specifici rapporti, elaborati da alcune commissioni di inchiesta istituite dal Parlamento europeo, che resero nota la diffusione di episodi di razzismo e di xenofobia e la necessità di agire in questo campo, sottolineando alcuni problemi specifici da affrontare (in particolare quelli derivanti dall'immigrazione extracomunitaria). Da allora l'avvio di un dibattito a livello europeo, insieme ad una lunga serie di atti (rapporti e risoluzioni del Parlamento, dichiarazioni e risoluzioni del Consiglio, documenti della Commissione europea) (1), ha contribuito a costruire una visione europea del problema, che si basa essenzialmente sul ruolo comunitario nella tutela dei diritti fondamentali e sull'obiettivo della coesione economica e sociale tra i paesi dell'Unione (artt. 2 e 3 TCE). Il razzismo, infatti, non pregiudica soltanto la stabilità sociale e la pacifica convivenza tra culture e popoli diversi, ma anche il raggiungimento di un alto livello di occupazione, lo sviluppo dei mercati e la coesione economica (2). Apro qui una parentesi per sottolineare una caratteristica peculiare della politica dell'Unione contro le discriminazioni ed il razzismo: quella di essere motivata non solo da obiettivi di promozione dei diritti umani e dell'uguaglianza, ma anche da ragioni pratiche, dalla necessità di favorire la coesione, sia sociale sia economica, nei paesi europei. Questa continua sovrapposizione tra aspetti ideologici e politici, da un lato, ed obiettivi funzionali all'integrazione economica, dall'altro, è tipica dell'intero approccio comunitario alla lotta alle discriminazioni ed anche dell'Unione europea stessa, della sua genesi e del suo sviluppo. Considerare la lotta al razzismo e alla discriminazione come un aspetto in qualche modo strumentale nei confronti degli obiettivi economici dell'UE, non ha impedito lo sviluppo di una politica in tal senso. Probabilmente, però, ne ha determinato le caratteristiche, orientandola in primo luogo verso un perseguimento dell'uguaglianza meramente formale (il divieto di discriminazione quale abbattimento di barriere alla costruzione di un mercato integrato), e rimandando, invece, e ponendo in ombra, la messa a punto di interventi specifici, in positivo, volti a promuovere l'uguaglianza sostanziale (3).

Nel 1997 l'azione comunitaria di lotta al razzismo ha raggiunto il suo culmine, con la proclamazione del 1997 "Anno europeo contro il razzismo" (4). Durante tale anno si sono susseguite iniziative, sono stati avviati progetti e si è dato supporto a varie organizzazioni e reti contro il razzismo che agiscono a livello europeo (5); si è istituito, inoltre, l'Osservatorio europeo sul razzismo e la xenofobia (EUMC) (6), con sede a Vienna, che ha il compito di svolgere studi, sondaggi e ricerche su detti fenomeni, procurando alle istituzioni europee i dati necessari su cui lavorare per combatterli e contribuendo a sensibilizzare l'opinione pubblica sui problemi derivanti dal razzismo, dalla xenofobia e dall'antisemitismo. Nel 1997, inoltre, con la firma del Trattato di Amsterdam, si sono attribuite all'Unione solide basi normative per combattere il razzismo e le discriminazioni, introducendo l'art. 13, sulla cui base si sono adottate (nel 2000) due direttive ed un programma d'azione.

La lotta al razzismo e alla discriminazione può dirsi oggi rientrare a pieno titolo negli obiettivi politici dell'Unione ed investe ormai molti dei settori di azione delle istituzioni comunitarie, tra i quali si possono menzionare: la protezione e la promozione dei diritti umani, anche nelle iniziative comunitarie verso gli Stati terzi e nella politica estera; la realizzazione di un'area di libertà, sicurezza e giustizia, le materie riguardanti la libertà di circolazione, la cooperazione negli affari interni e la politica migratoria; l'educazione, la cultura e le materie connesse con l'informazione ed i media; l'ambito del lavoro e della politica sociale. È chiaro che, via via che si opera un trasferimento di competenze degli stati membri all'Unione, ci si aspetta anche che essa si occupi di promuovere all'interno di questi ambiti di competenza i valori dei diritti umani, dell'uguaglianza, della tolleranza. La strategia adottata è chiamata mainstreaming e consiste nell'integrazione dell'obiettivo dell'antirazzismo in tutte le politiche dell'Unione che possono avere una qualche connessione con la lotta al razzismo e con la promozione della diversità.

Si può notare che l'Unione ha prestato, in tutte queste aree di intervento, una certa attenzione al contributo che la società civile può apportare alla realizzazione degli obiettivi in questione (7). Se, come osserva Lucia Re nel contributo a questo forum, non esiste solo una discriminazione volontaria, ma anche una "strutturale" - un atteggiamento radicato nel tessuto sociale - appare particolarmente interessante il tentativo di coinvolgere gli attori della società civile nel combattere il fenomeno. Il contributo della società civile è tanto più importante quanto più gli episodi di razzismo e di discriminazione sono avvertiti come un segno di disaffezione della gente nei confronti delle istituzioni. In questo senso, tali fenomeni rappresentano un grave rischio non solo per l'ordine sociale e l'incolumità personale di cittadini e migranti, ma anche per la "salute" delle società stesse: gli atti di violenza razzista e gli episodi di discriminazione aumentano infatti il senso di insicurezza e di distacco dalle istituzioni.

Quello della lontananza della società civile dai vertici istituzionali è un tema particolarmente sentito dall'Unione europea, della quale si criticano spesso il deficit democratico, l'eccessiva burocratizzazione e il suo essere una "Europa dei mercati" piuttosto che dei popoli. Si può dire che, in questo senso, l'Unione ha un ruolo tutto particolare nella lotta al razzismo, che diventa un settore di intervento chiave per darle credibilità e per dimostrare la vicinanza delle istituzioni europee ai problemi concreti delle società degli Stati membri. E tanto più importante appare se si considera che l'UE è, per sua natura, un luogo di incontro e di composizione di identità, nazioni, lingue, razze, religioni diverse.

Nel momento in cui ci si chiede che cos'è l'Unione europea, chi si identifica come "europeo" e che cosa tiene unito questo mix di nazioni, lingue, culture, razze e religioni, occorre anche domandarsi che atteggiamento si vuole tenere verso chi non corrisponde all'immagine che diamo di noi stessi; occorre far sì che la costruzione e l'individuazione dell'identità europea non sia escludente rispetto a chi non le corrisponde. E si noti che una risposta a tali interrogativi dovrà necessariamente cercare un difficile e delicato equilibrio tra la promozione dell'uguaglianza e la valorizzazione delle differenze. Lo scopo dell'Unione non è, infatti, l'uguaglianza a tutti i costi ed il livellamento di nazioni e gruppi ad un'identità sovranazionale, bensì l'impegno a conciliare valori condivisi ed interessi particolari, rispettando e promuovendo la diversità e specificità degli Stati membri, tenendo conto sia dell'identità comune europea, sia di quelle degli Stati che la compongono. Ciò che è divenuto anche un motto ("L'Unione europea, unita nella diversità"), deve far riflettere anche sul trattamento delle minoranze (etniche, nazionali, linguistiche), dei gruppi più deboli, degli immigrati, affinché i buoni propositi della politica contro il razzismo vadano a cancellare quell'immagine della "fortezza Europa" (8), che anziché accogliere, si chiude nella difesa della propria identità.

Un'ultima osservazione che vorrei fare riguarda una recentissima risoluzione del Parlamento europeo, relativa all'intensificarsi della violenza razzista (9). In questa risoluzione il Parlamento, oltre a constatare il permanere ed il riacutizzarsi di atti a carattere razzista (ed un riferimento particolare viene fatto al rischio che manifestazioni di odio e di intolleranza emergano durante i mondiali di calcio, attualmente in corso!), invita a procedere più decisamente nella lotta a tali comportamenti. Tra gli ambiti ove occorre agire si sottolinea quello dei mezzi di comunicazione - in particolare per la presenza di contenuti razzisti e xenofobi in internet - e quello penale. Già con l'azione comune del 1996 (10) si erano sottolineati gli obiettivi di stabilire efficaci sanzioni penali per i reati a sfondo razzista e di sviluppare una cooperazione giudiziaria efficace fra gli stati membri ed il ravvicinamento delle loro legislazioni penali, affinché gli autori di reati a carattere razzista venissero efficacemente perseguiti e condannati all'interno del territorio europeo. Tale azione comune dovrebbe diventare presto una decisione-quadro, che implicherebbe un maggior impegno per gli stati membri in tal senso, ed in particolare una obbligatoria assimilazione dei comportamenti razzisti e xenofobi a reati penali (11). Tramite la risoluzione del 15 giugno scorso, si richiamano le istituzioni europee a procedere nell'elaborazione di tale decisione, dato che finora la proposta ad essa relativa è stata messa in un cassetto dal legislatore comunitario.

La volontà di procedere ad una penalizzazione dei reati a sfondo razzista, peraltro, è stata già dimostrata a livello nazionale. Recentemente più di un paese ha adottato norme in questo senso: Francia (12), Gran Bretagna (13), ed anche paesi europei non comunitari - ad esempio la Croazia - hanno modificato i loro codici penali, inasprendo le previsioni già in vigore o estendendole a nuove tipologie di reati. Si tratta, indubbiamente, di un altro settore nel quale la collaborazione all'interno dell'Unione europea può rappresentare un forte impulso verso forme più avanzate di lotta al razzismo.

Riferimenti bibliografici

  • AA.VV., The european institutions in the fight against racism: selected texts, Pubblicazione della Commissione europea, Luxembourg, 1997.
  • AA.VV., European strategies to combat Racism and Xenophobia as a crime, Bruxelles, ENAR publication, 2003.
  • AA. VV., Europa laica e puzzle religioso, a cura di K. Michalski e N. zu Fürstemberg, Venezia, Marsilio, 2005.
  • AA.VV. (E.U. Network of Independent Experts on Fundamental Rights), Combating Racism and Xenophobia through Criminal Legislation: the situation in the EU Member States, (Opinion nº 5-2005 del 28 novembre 2005).
  • Bell M., Antidiscrimination law and the European Union, Oxford, OUP, 2002.
  • Chopin I., Campaigning against racism and xenophobia: from a legislative perspective at european level, ENAR publication, Bruxelles 1999.
  • Chopin I. e Niessen J. (ed.), The Starting Line and the incorporation of the Racial Equality Directive into the national laws of the EU Member States and accession States, Bruxelles-London, Migration Policy Group Publication, 2001.
  • De Schutter O., The Prohibition of Discrimination under Human Rights Law, pubblicazione della Commissione europea, Luxembourg, 2005.
  • Facchi A., I diritti nell'Europa multicultrale, Roma-Bari, Laterza, 2004.
  • Favilli C., Uguaglianza e non discriminazione nella Carta dei diritti dell'Unione europea, in De Siervo U. (a cura di), La difficile costituzione europea, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 225-247.
  • Gearty C.A., The internal and external 'Other' in the Union legal order: Racism, Religious Intolerance and Xenophobia in Europe, in P. Alston et al. (ed.), The EU and the Human Rights, New York, OUP, 1999, pp. 327-358.
  • Guild E., EC Law and the Means to Combat Racism and Xenophobia, in A. Dashwood e S. O'Leary (ed.), The Principle of Equal Treatment in E.C. Law, London, Sweet & Maxwell, 1997.
  • Hervey T., Putting Europe's House in order: Racism, Race Discrimination and Xenophobia after the Treaty of Amsterdam, in O'Keeffe D. e Twomey P. (ed.), Legal issues of the Amsterdam Treaty, Oxford-Portland 1999, pp. 329-349.
  • Pagano E., I diritti fondamentali nella Comunità Europea dopo Maastricht, in "Il diritto dell'Unione europea", 1996, n. 1, pp. 163-203.
  • Shaw J., The EU Constitution and Racism: New Legal Tools, Bruxelles, ENAR Publication, 2005.
  • Weiler J. H. H., I diritti umani nello spazio giuridico europeo, in Beutler B. et al., L'Unione Europea. Istituzioni, ordinamento e politiche, Bologna, Il Mulino, 2001 (2ª ed. italiana), pp. 313-325.

Note

*. Università Cattolica di Milano.

1. Una selezione di documenti si trova in The european institutions in the fight against racism: selected texts, Pubblicazione della Commissione europea, Luxembourg 1997.

2. Evidenziano questo aspetto, tra gli altri documenti, la proposta per la direttiva 2000/43 (COM/1999/566 def.), che afferma "La discriminazione basata sulla razza o sull'origine etnica può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del trattato, in particolare il raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale e la solidarietà. Essa può anche compromettere l'obiettivo di sviluppare l'Unione europea in direzione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia"; inoltre il preambolo della direttiva 2000/78, al n. 11.

3. Su questo punto si può certamente concordare con quanto afferma Gaia Giuliani nel contributo a questo forum, ovvero sul fatto che si avverte in Europa un "forte scetticismo politico-istituzionale nei confronti di ogni diritto specifico e policy formulati in virtù della specificità culturale e razziale".

4. Risoluzione del Consiglio del 23 luglio 1996, in GUCE n. C 237 del 15/8/1996, p. 1.

5. Ad esempio nel 1998, dando seguito alle iniziative dell'Anno europeo contro il razzismo, è stato creato l'ENAR (European Network Against Racism), una rete di ONG che operano a livello europeo per combattere il razzismo, la xenofobia, l'antisemitismo, l'islamofobia.

6. Regolamento del Consiglio n. 1035/97 che istituisce un Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia, in GUCE n. L 151 del 10/6/1997, p. 1. L'Osservatorio ha pubblicato un gran numero di rapporti e documenti sulla situazione europea relativa a casi di razzismo, antisemitismo, xenofobia e islamofobia. È previsto anche che l'Osservatorio collabori con la Commissione contro il Razzismo operante nel Consiglio d'Europa (ECRI).

7. Molti documenti delle istituzioni europee sottolineano il ruolo della società civile per quanto attiene alla lotta al razzismo e alla xenofobia, soprattutto quelle adottate in occasione dell'Anno europeo contro il razzismo, che ha visto un'ampia partecipazione di organizzazioni ed associazioni alle iniziative previste (campagne di sensibilizzazione, ecc.). Si può vedere, ad esempio, la Risoluzione sul razzismo, la xenofobia e l'antisemitismo e sull'anno europeo contro il razzismo (in GUCE n. C 55 del 24/2/1997, p. 17) ed il Report from the Commission on the implementation of the European Year Against Racism (1997) (COM/1999/268 def.).

8. È questa, come è noto, l'efficace espressione introdotta da Saskia Sassen: Migranti, coloni rifugiati. Dall'emigrazione di massa alla fortezza Europa, Milano, Feltrinelli, 1999.

9. "Intensificarsi della violenza razzista e omofoba in Europa", risoluzione del 15 giugno 2006 (OLIR).

10. 96/443/GAI: Azione comune del 15 luglio 1996 adottata dal Consiglio a norma dell'articolo K.3 del trattato sull'Unione europea, nell'ambito dell'azione intesa a combattere il razzismo e la xenofobia, GU L 185 del 24.7.1996, pag. 5.

11. La proposta della Commissione per tale decisione è datata 28 novembre 2001 (Proposta di Decisione-quadro del Consiglio sulla lotta contro il razzismo e la xenofobia, COM/2001/664).

12. V. il contributo di Isabelle Mansuy in questo forum.

13. Lo scorso febbraio è stato approvato il "Racial and Religious Hatred Act 2006" (OLIR).