2015

Ordine sociale, gerarchie familiari e soggetti di diritto nella società globale.

I diritti dei minori e la sfida del pluralismo 



Serena Vantin

(Università di Pisa)




L’antico paradigma medioevale del dominium concepiva il cosmo come ordine gerarchico capace di comporre a unità le diseguaglianze assumendole in una prospettiva “verticalizzata” che, pur presupponendo la diversità ontologica e assiologica delle sue componenti, le prevedeva come necessarie e “solidalmente” collaborative. Esse erano concepite come le “membra” di un “corpo”, ovvero, come ha spiegato Pietro Costa, quale “unità ordinata in quanto tenuta in ordine e disposta secondo l’ordine naturale delle parti da una superiore istanza dominativa”1.

La medesima configurazione relazionale vigente nella dimensione pubblica e politica, espressa in una ben visibile “catena di obbedienze e gerarchie”, era riscontrabile, nel privato, all’interno dell’imperium domestico: alla autorità del princeps civitatis corrispondeva il dominium del pater familias nella domus. A quest’ultimo erano conferite esplicite funzioni “di comando” e “di ordinamento” (il pater familias come gubernator), e il relativo corredo di oneri, onori e privilegi.

Il microcosmo della casa era, dunque, sorretto da strutture potestative che, attribuendo ai diversi componenti un preciso ruolo, ne riconoscevano una specifica, “naturale”, visibilità: la moglie, i figli, gli schiavi-servi erano definibili, nonché distinguibili, in forza del particolare vincolo che li legava al “signore della casa”2. Viceversa, quest’ultimo era concepibile come dominus proprio grazie al gioco della reciproca interazione delle relazioni familiari.

Non deve sorprendere, pertanto, che, nel corso delle prime rivendicazioni sia “abolizioniste” sia “femministe” – immediatamente successive alla proclamazione della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789)e figlie del medesimo fervore intellettuale illuminista, che inaugurava la fine del “lungo medioevo” della logica degli status – venisse ribadita con decisione la “vicinanza strutturale” tra donne e schiavi. A questo riguardo, si pensi alla rivoluzione degli schiavi di Haiti e alle celebri opere di Olympe de Gouges e di Mary Wollstonecraft: in entrambi i casi la deminutio delle prerogative del “soggetto” (o del “non soggetto”) era concepita come causata da una comune subordinazione a un altro soggetto (questo sì, riconosciuto metonimicamente come tale) “eccellente” e “ipertrofico”.

Mary Wollstonecraft, in particolare, fa ampio uso dell’analogia tra donna e schiavo, denunciando il giogo dell’uomo-padrone non solo in Occidente ma anche in Oriente: ella, del resto, fu non solo una pioniera del femminismo ma anche una convinta abolizionista, come furono pure, negli stessi anni, Olympe de Gouges, Helen Mary Williams, Nicolas de Condorcet3.

Se tuttavia il nesso tra rappresentazione del soggetto e rivendicazione dei diritti, nonché tra differenze di genere e ordine familiare, da un lato, ed eguaglianza ontologica degli esseri umani e “razze”, dall’altro, comincia a prendere corpo ‒ si pensi, nel corso dell’Ottocento, alle opere di Charles Fourier, William Thompson, Pierre Leroux, Flora Tristan, Harriet Taylor e John Stuart Mill, nonché alla dichiarazione di Seneca Falls e agli esiti della Guerra di Secessione, la soggettività giuridica del minore resta invece decisamente in secondo piano, salvo alcune isolate eccezioni quale la riflessione di fine secolo della femminista svedese Ellen Key4.

I paradigmi argomentativi cinque-seicenteschi avevano variamente impiegato la metafora del minore nel contesto politico: si pensi, ad esempio, all’istituto romanistico della tutela impiegato da Johannes Althusius per giustificare l’intervento del sovrano “a tutela” dell’interesse della consociatio; o al paragone che fa Francisco de Vitoria tra i “selvaggi” e i minori, “inepti et hebetes” e perciò bisognosi di “cura”; o, ancora, al Patriarcha di Robert Filmer, vero e proprio bersaglio polemico del primo trattato di John Locke, che regge il governo come un re-proprietario-padre. Tale allegoria non è nemmeno estranea alla letteratura successiva: si veda la “formula trinitaria” che Luois de Bonald applica alla famiglia, e poi estende allo stato: il padre è detentore di un potere unitario, assoluto e perpetuo; la madre è un “homme-enfant” ovvero una figura di mediazione; il figlio non ha funzioni proprie se non quella di ascoltare e obbedire, anche se l’intera “società familiare” esiste in funzione della sua conservazione.

Il minore resta così, fino a tempi assai recenti, concepito unicamente come “figlio” e pertanto come “oggetto” di una “disciplina” stabilita e applicata dagli adulti che hanno potere su di lui (cfr., da ultimo, il contributo di Luigi Fadiga in questo stesso forum).

L’ordinamento italiano, in particolare, ha solo da poco introdotto una riforma che ha implicato la ri-concettualizzazione teorica della soggettività giuridica del minore: con l’entrata in vigore del d.lgs. 154/2013 (vale a dire dal 7 febbraio 2014) si è posta definitivamente fine alla logica medioevale degli status che ancora qualificava la persona minorenne esclusivamente come membro dello status filiationis e che, solo in tale appartenenza, trovava la legittimazione per conferirgli diritti e doveri.

In particolare, all’art. 316 c.c. è stata abolita ogni residua differenza tra figli nati nel matrimonio e fuori di esso, sostituendo al “matrimonio” la “generazione” quale fondamento della nozione di parentela (sebbene ancora residuino alcune differenze di diritto privato nella disciplina delle azioni per rimuovere la paternità e la maternità o per stabilirla in giudizio5); ai commi 1, 4 e 5 l’espressione «potestà genitoriale» è stata sostituita con «responsabilità genitoriale».

È stato inoltre introdotto l’art. 315-bis che attribuisce il diritto al mantenimento, all’educazione, all’istruzione a all’assistenza, nonché il diritto alle relazioni parentali e all’ascolto6, direttamente in capo al minore. A lui/lei è altresì imposto il dovere di rispettare i genitori e di contribuire economicamente alle sostanze della famiglia, in ragione delle proprie capacità, finché convive con questa.

Il diritto all’ascolto è poi ripreso dal nuovo art. 336-bis in cui è disciplinato l’obbligo giuridico di audire il minore in merito a procedimenti che lo riguardano.

Tali disposizioni valgono a delineare i contorni di una soggettività giuridica inedita. La figura del “fanciullo” è infatti presentata come indipendente dal rapporto di figliazione e come intrinsecamente dotata di diritti e doveri.

Questa riforma normativa, nel solco di un percorso anche internazionale inaugurato con la Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989)7 e supportato da una coraggiosa giurisprudenza (a titolo di esempio, si veda la nota sentenza 2002/1 della Corte Costituzionale sul riconoscimento del minore quale parte sostanziale dei procedimenti civili che lo riguardano), consente riflessioni significative circa la domanda se, e in che misura, il minore possa essere considerato un “soggetto di diritto” ovvero se, e in che misura, egli sia dotato di agency8.

Concetto odierno che potrebbe trovare alcune interessanti analogie con quello medioevale e moderno del dominium9, l’agency vale a indicare – come ha sottolineato Claudio Baraldi nel suo contributo in questo stesso forum – una partecipazione sociale attiva, fondata sulla azione-comprensione-informazione. Tale partecipazione sociale si sostanzia, in particolare, nella possibilità di compiere una scelta consapevole e libera, tra azioni possibili.

Per quanto la questione dell’attribuzione dell’agency al fanciullo sia ad oggi ancora al centro di importanti dibattiti teorici (si ricordano, tra le altre, le riflessioni di Hàvard Bjerke10, Allison James11, Kylie Valentine12 e, nel campo della sociologia generale, di Anthony Giddens13), non si può negare che, nel mondo del diritto, si stiano vagliando ipotesi vòlte a ridefinire, almeno in parte, l’“ordine generazionale”14 e la indiscussa autorità epistemica dell’adulto sul bambino, nonché i rapporti tra genitorialità e figliazione; ciò nei termini della revisione dei ruoli materni e paterni, del “diritto alla genitorialità”, del riconoscimento giuridico delle famiglie omogenitoriali15 e così via.

In questo contesto, che sta attraversando una fase grande trasformazione, una sfida ineludibile è quella rappresentata dal pluralismo16. In una dimensione necessariamente (e “realisticamente”) multiculturale e globale, una questione assai rilevante è se i diritti dei minori (in particolare: il diritto al mantenimento, educazione, istruzione, assistenza; alle relazioni parentali e all’ascolto) risultino “scalfiti” dal pluralismo culturale o siano piuttosto tutelabili quali “valori condivisi”.

A questo proposito occorre ricordare che la domanda è più insidiosa di quanto sembri, dal momento che l’accoglimento-condivisione di tali principi, potenzialmente sostenibile in astratto, risulta assai problematico laddove si giunga a declinarli in concreto (anche se, per certi versi, autori come John Finnis negano questa impasse17). La questione potrebbe dunque essere riformulata in questi termini: chiedendoci cioè se, a prescindere da un eventuale consenso, specifico, in merito al “contenuto effettivo” dei diritti del minore al mantenimento, educazione, istruzione, ecc.; sia almeno possibile utilizzare, trasversalmente, tali principi come categorie critiche, non fondative, tese a mettere sotto pressione la realtà sociale di riferimento.

A tal fine, uno strumento interpretativo utile è rappresentato dai criteri valutativi (normativi ma anche argomentativi) del “best interest of the child” e della “minimum core obligation” anche alla luce delle pronunce più recenti della Corte europea dei diritti dell’uomo, in forza delle quali essi paiono sempre più “giurisprudenzialmente definiti”18. Il superiore interesse del minore, in particolare, è ormai concepito come un «contro-limite» dell’ordine pubblico, nonché come principio autonomo rispetto all’interesse collettivo alla certezza dei vincoli familiari, ed è sovente posto in stretta correlazione con la tutela dell’identità personale e il riconoscimento di legami familiari di fatto, ai sensi delle tutele disposte dall’art. 8 CEDU (su questi profili è dirimente la sentenza Paradiso e Campanelli vs. Italia, ricorso 25358/1219).

In conclusione, una nuova sfida di cui l’agenda politica e istituzionale20 dovrà tenere conto sarà quella del “prendere sul serio” le istanze del pluralismo in relazione ai diritti di una “categoria” di “soggetti vulnerabili”21 di recente e ancora non ben definita connotazione. Se già Richard Rorty aveva affermato che le “credenze suggerite da un’altra cultura devono essere tenute assieme alle credenze che già possediamo”22, a seguito della recente riforma legislativa sulla soggettività giuridica dei minori, la domanda che si pone, riformulando il celebre interrogativo di Susan Moller Okin alla luce della sopra menzionata possibile analogia tra donne-(schiavi)-minori, è: Is multiculturalism bad for children?.

La futura azione politica non potrà prescindere dal valutare la “tenuta” teoretica dei “nuovi” diritti del minore secondo i due approcci che Luca Baccelli definisce dell’“universalismo dei titolari” e dell’“universalismo dei fondamenti”23: in primo luogo, cioè, essa dovrà comprendere in che modo la “titolarità” dei diritti dei fanciulli possa dirsi universale nella società globale e, in secondo luogo, dovrà indagare i possibili “contenuti condivisi” relativamente alle modalità di fruizione effettiva di tali diritti.

Sarà collateralmente indispensabile sviluppare alcune riflessioni sulle implicazioni personali e politiche delle “nuove relazioni” intergenerazionali, e in particolare sulla dialettica tra “nuove maternità” e “nuove paternità”, anche in relazione alla conciliazione paritaria delle attività “di cura” della prole, nonché sul rapporto, che spesso il diritto ha trascurato (pur con alcune eccezioni), tra madri-figli/madri-figlie e tra padri-figli/padri-figlie24.


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1P. Costa, Civitas. Storia della cittadinanza in Europa, Roma-Bari, Laterza, 1999, vol. 1, p. 13.


2Ivi, p. 38.


3Cfr. L. Hunt, La forza dell’empatia. Una storia dei diritti dell’uomo (2007), Roma-Bari, Laterza, 2010.


4Ampiamente tradotta anche in Italia, Ellen Key fu un’autrice femminista svedese (1849-1926). Per Key la donna “compie” sé stessa attraverso l’esperienza della maternità, che le conferisce un “primato morale e sociale”. «La maternità è la più perfetta realizzazione dell’ideale a cui la specie umana sia arrivata fino ad ora» (E. Key, L’amore e il matrimonio (1904), Torino, Bocca, 1909, p. 123): è dunque necessario, da un lato, riconoscere a tutte le donne un “diritto alla maternità” (conferendo loro il pieno godimento dei diritti civili e un’assistenza economica garantita affinché possano prendersi cura dei loro figli piccoli); dall’altro lato, occorre “femminilizzare” lo Stato, esaltando la “maternità sociale” e il “carattere bisessuale” della società. Key ha inoltre teorizzato l’eliminazione di ogni distinzione tra figli naturali e legittimi, la potestà genitoriale materna, nonché l’auspicio di una vera e propria “dichiarazione dei diritti dei fanciulli” che ponga fine ai maltrattamenti cui sono sottoposti e conferisca loro il diritto di voto, nonché il diritto di eleggere i propri rappresentanti e difensori (E. Key, L’amore e il matrimonio, cit., p. 187; cfr. anche E. Key, Il secolo dei fanciulli (1900), Torino, Bocca, 1921).


5A questo proposito si veda G. Ferrando, “La filiazione dopo la riforma”, Bioetica, 4 (2013), pp. 563-574.


6Si veda a questo proposito il contributo di Francesca Baraghini in questo stesso forum.


7Su limiti e prospettive della Convenzione si veda il contributo di Marco Gestri in questo stesso forum.


8Cfr. I. Fanlo Còrtes, “I diritti politici del minore. Alcune considerazioni sull’idea del bambino cittadino”, Materiali per una storia della cultura giuridica, 1 (1999), pp. 169-188 e P. Ronfani, I diritti del minore. Cultura giuridica e rappresentazioni sociali, Milano, Guerini scientifica, 2001.


9Sebbene con una fondamentale differenza: l’assenza di alcuna componente “volontaristica” nel concetto odierno di agency. Il dominium, quale momento dell’ordine e diretto fondamento di potestats, facultas e ius, è infatti inteso come elemento di continuità analogica tra Dio e la creatura umana. Nell’ottica medioevale, il potere dell’uomo non è che un riflesso del potere di Dio.


10Cfr. H. Bjerke, “It’s the way to do it. Expressions of agency in child-adult relations at home and school, Children & Society, 25 (2011), pp. 93-103.


11Cfr. James, A., “Agency”, in J. Qvortrup, G. Valentine, W. Corsaro, M.S. Honig (eds.), The Palgrave Handbook of Childhood Studies, Basingstoke, Palgrave, 2009, pp. 34-45.


12Cfr. K. Valentine, “Accounting for agency”, Children & Society, 25 (2011), pp. 347-358.


13Cfr. A. Giddens, The Constitution of Society, Cambridge, Polity Press, 1984.


14L. Alanen, “Generational Order”, in J. Qvortrup, G. Valentine, W. Corsaro & M.S. Honig (eds.), The Palgrave Handbook of Childhood Studies, Basingstoke, Palgrave, 2009, pp. 159-174.


15Su cui si veda il contributo di Luca Giacomelli in questo stesso forum.


16Si vedano inoltre, nel contesto della società pluralista, le questioni relative ai “minori non accompagnati”, al rapporto tra “minori e clima”, alle “nuove insidie della rete” di cui trattano rispettivamente i contributi di Giorgio Pighi, Raffaele K. Salinari e Malaika Bianchi in questo stesso forum.


17Cfr. J. Finnis, Natural Law and Natural Rights (1980), Oxford, Oxford University Press, 19979. L’autore, nel solco della tradizione tomistica, nega l’“illecito passaggio dall’essere al dover essere”: i principi primi della legge naturale sono per se nota e indimostrabili, non vengono dedotti dalla natura dell’uomo o da principi speculativi (cfr. Gf. Zanetti, “John M. Finnis e la nuova dottrina del diritto naturale”, in Id. (a cura di), Filosofi del diritto contemporanei, Milano, Raffaello Cortina, 1999, p. 41).


18S. Tonolo, “Identità personale, maternità surrogata e superiore interesse del minore nella più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo”, Diritti umani e diritto internazionale, 1 (2015), pp. 202-209. Cfr. anche M. Sales Jardì, “L’intérêt supérieur de l’enfant dans les arrêts de la Cedh concernant les familles alternatives”, Rivista di Studi Politici Internazionali, 1 (2015), pp. 103-119.


19Nel caso Paradiso e Campanelli vs. Italia, una coppia di coniugi italiani aveva concluso un contratto di surroga di maternità con una società russa. Alla nascita del minore, un certificato di nascita russo, regolarmente apostillato ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1961, attestò la nascita di Teodoro Campanelli il 27 febbraio 2011 ma non venne registrato dall’ufficio di stato civile nel comune di residenza. Venne aperto un procedimento per alterazione di stato civile (tutt’ora pendente), nonché una procedura di adottabilità del minore dinnanzi al tribunale dei minori di Campobasso. Quest’ultimo accertò che non sussistevano legami biologici tra il minore e i presunti genitori e che, a causa della deliberata elusione della disciplina sull’adozione, la coppia era inidonea alla cura del minore: il bambino fu collocato prima presso una casa famiglia, poi presso una famiglia affidataria. Al minore fu anche attribuita una nuova identità convenzionale per consentirne l’iscrizione a scuola e l’utilizzazione dei servizi sanitari. A seguito della pronuncia della Corte d’Appello di Campobasso, fu formato un nuovo atto di nascita nel quale egli fu indicato come figlio di ignoti: esso gli attribuì anche un nuovo nome. I coniugi Campanelli si rivolsero allora alla Corte di Strasburgo che, considerando gli aspetti dell’interesse del minore e della tutela dell’identità personale dello stesso, censurò in maniera molto netta l’allontanamento disposto dalle autorità italiane, ritenendolo contrario all’art. 8 CEDU per le conseguenze pregiudizievoli rispetto all’identità personale del minore (rimasto di fatto, per più di due anni, privo di identità). Ribadendo la rilevanza dei legami di fatto nell’ambito delle tutele familiari disposte dall’art. 8 CEDU («la notion de “famille” visée par l’article 8 ne se borne pas aux seules relations fondées sur le mariage, mais peut englober d’autres liens “familieux” de facto», Sentenza Corte EDU, Paradiso e Campanelli vs. Italia, par. 67), la Corte tuttavia non ritenne di obbligare l’Italia a revocare il provvedimento di affido, per i legami affettivi nel frattempo sviluppati tra il minore e la famiglia affidataria (egli trascorse i suoi primi 6 mesi di vita presso i coniugi Campanelli, seguiti da 1 anno presso la casa famiglia e 2 anni con i genitori affidatari).


20In merito ai profili istituzionali, si vedano i contributi di Sandra Zampa e Caterina Pongiluppi in questo stesso forum.


21Th. Casadei (a cura di), Diritti umani e soggetti vulnerabili. Violazioni, trasformazioni, aporie, Torino, Giappichelli, 2012.


22R. Rorty, “Objectivity, Relativism and Truth” in Id. Philosophical Papers, Cambridge, Cambridge University Press, 1991, vol. 1; trad. it. “Oggettività, relativismo e verità”, in Scritti filosofici, Roma-Bari, Laterza, 1994, vol. 1, p. 35 citato in L. Baccelli, “Dieci anni dopo. Il particolarismo dei diritti”, in S. Vida (a cura di), Diritti umani. Trasformazioni e reazioni, Bologna, Bononia University Press, 2008, p. 76.


23Ivi, pp. 63-65.


24Si vedano a questo proposito, a titolo esemplificativo, M.G. Bernardini, O. Giolo (a cura di), Critiche di genere. Percorsi su norme, corpi, e identità nel pensiero femminista, Roma, Aracne, 2015 e G. Maggioni (a cura di), Padri dei nostri tempi. Ruoli, identità, esperienze, Roma, Donzelli, 2000.