2017

Matrimoni precoci e forzati. Un fenomeno di portata globale*.

Manuela Tagliani  
(ECPAT - Italia)




1. Inquadramento generale e fattori-causa


La Resolution n. 29/8, Strengthening efforts to prevent and eliminate child, early and forced marriage, adottata dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite il 2 luglio 2015, rappresenta un importante passo avanti nella lotta e prevenzione dei matrimoni precoci e forzati, riconosciuti ufficialmente nel preambolo come una “harmful practice that violates, abuses and impairs human rights”. Si tratta della prima risoluzione adottata dal Consiglio in materia e si inserisce nel progetto di sviluppo individuato dai nuovi Sustainable Development Goals[1] adottati dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 25 settembre 2015.

Nell’ottica di realizzazione dell’obiettivo n. 5 “achieve gender equality and empower all women and girls” viene per la prima volta individuata come necessità quella di “eliminate all harmful practices, such as child, early and forced marriage and female genital mutilation”. In ciò si denota un’acquisita consapevolezza da parte della comunità internazionale in merito alla necessità di intervenire in maniera più efficacie nel contrastare un fenomeno che continua ad avere una portata alquanto rilevante, seppur numericamente non quantificabile[2].

Benché il matrimonio precoce e forzato coinvolga anche bambini e ragazzi, il numero delle bambine e delle ragazze[3] risulta decisamente superiore e, soprattutto, il fenomeno le colpisce con maggiore intensità in quanto spesso espressione di una radicata discriminazione nei confronti della figura femminile. Per tale motivo deve essere contrastato tenendo in considerazione un’imprescindibile ottica di genere.

Pur essendovi la tendenza a identificare la presenza di tale fenomeno in specifiche aree del mondo, quali Medio Oriente, Est Europa, Africa e Asia, in realtà esso ha rivelato in più occasioni una natura globale.

Tenendo in considerazione i frequenti flussi migratori che implicano la necessità di confrontarsi con tradizioni e culture anche molto differenti dalle nostre, diventa dunque importante leggere tale fenomeno non solamente alla luce della cultura e della normativa esistente nel nostro contesto di appartenenza. Si vuole in tal modo evitare di rinchiudersi in una prospettiva esclusivamente “occidentocentrica” che non permetterebbe di cogliere la particolare complessità del fenomeno stesso. Ciò, tuttavia, non deve tradursi nel mancato rispetto di quei diritti di libertà e uguaglianza che, anche all’interno del rapporto matrimoniale, il nostro contesto di appartenenza riconosce come principi fondamentali che debbono guidare il comportamento dei singoli individui e degli Stati.

Uno dei principali fattori-causa dei matrimoni precoci e forzati è la povertà. In alcune aree il matrimonio precoce può essere visto come una strategia di sopravvivenza economica per le famiglie in condizioni di estrema povertà, che possono arrivare a percepire le loro figlie come un “onere” economico, se non addirittura come una vera e propria “entrata” in quei sistemi ove il matrimonio cela in realtà una condizione di effettivo sfruttamento sessuale commerciale minorile[4].

Tale fenomeno interessa anche le famiglie appartenenti alle classi socio-economiche più elevate, per le quali può rappresentare un mezzo di preservazione della ricchezza o di accrescimento delle risorse finanziarie.

In alcune aree viene altresì percepito come un modo per “proteggere” le bambine e le ragazze, nonché l’onore della stessa famiglia: in tali contesti culturali, la morale dominante vede una sessualità femminile strettamente connessa all’onore dell’uomo, detentore del controllo totale su tutte le donne della famiglia.

In alcuni paesi dell’Africa, il matrimonio precoce è stato addirittura utilizzato dagli uomini come una forma di protezione nei confronti dell’infezione da HIV, in quanto si pensava che le giovani vergini non fossero state contagiate dal virus.

Anche le situazioni di conflitto bellico e post-bellico contribuiscono fortemente ad incrementare il numero dei matrimoni forzati: le ragazze vengono reclutate o rapite dai gruppi armati e obbligate a contrarre matrimonio con i militari.

Un ulteriore fattore-causa dei matrimoni precoci e forzati può essere individuato nella mancanza o nell’inadeguatezza delle leggi di contrasto al fenomeno, che spesso, anche laddove esistono, rimangono inapplicate.

Nei Paesi appartenenti al nostro contesto culturale, mutato negli ultimi a causa delle migrazioni, il matrimonio precoce diventa l’espressione di un tentativo di perpetuare quelle che sono considerate come tradizioni tipiche dei Paesi di provenienza dalle tradizioni del nuovo Stato e dalle trasformazioni dettate dalla contemporaneità.



2. Consenso ed età minima nei differenti contesti regionali


Il fenomeno dei matrimoni precoci e forzati si contraddistingue per l’assenza di confini chiari che possano delinearlo e quantificarlo con precisione. Si tratta infatti di una pratica che, a causa della concomitanza di una serie di fattori, sfugge alle statistiche ufficiali: gli studi e i dati raccolti a livello internazionale sono pochi e non sufficienti; molti matrimoni non vengono registrati e quindi non sono statisticamente rilevabili; le vittime non sono facilmente identificabili a causa dell’impossibilità o della difficoltà nel denunciare la loro condizione; la registrazione delle nascite in alcuni Paesi è talmente irregolare che a volte non si conosce l’età esatta degli sposi.

Il “consenso” è un ulteriore elemento che influisce negativamente su tale fenomeno e rappresenta una chiave di volta importante nella definizione dello stesso, tuttavia l’inesistenza di confini chiari che delimitino questo concetto porta con sé notevoli problematiche.

Il matrimonio deve essere il frutto di una libera scelta e non di un’imposizione, poiché negare il consenso significa violare un diritto umano universalmente riconosciuto.

La Universal Declaration of Human Rights del 1948, riconosce infatti, all’art. 16, che il matrimonio “shall be entered into only with the free and full consent of the intending spouses” e che tale scelta deve essere compiuta da persone in età adatta, dotate di eguali diritti all’interno del matrimonio.

Nonostante le critiche mosse a causa della sua forte impostazione “occidentocentrica”, tale Dichiarazione ha ispirato l’adozione di importanti documenti improntati a una tutela dei diritti umani maggiormente in linea con le tradizioni religiose e culturali delle diverse aree territoriali. In tali documenti si può riscontrare un pari riconoscimento del principio del libero consenso al matrimonio da parte di entrambi i coniugi, un’eguale protezione della donna e del suo diritto a non essere discriminata all’interno del rapporto coniugale e una pari necessità di introdurre un limite minimo di età per i matrimoni.

Ne sono un esempio: l’African Charter on Human and Peoples’ Rights[5] adottata dall’Organizzazione per l’Unità Africana[6] nel 1981, all’art. 18 e, nell’ottica di implementazione di tale articolo, il Protocol to the African Charter on Human and Peoples’ Rights on the Rights of Women in Africa[7] del 2003 (art. 6); la African Charter on the Rights and Welfare of the Child del 1990 (art. 21 par. 2); la Cairo Declaration on The Convention (CRC) and Islamic Jurisprudence adottata nel 2009 dall’Organizzazione della Conferenza islamica (OIC)[8]; la Arab Charter on Human Rights[9], adottata dalla Lega degli Stati Arabi[10] nel 1994 ed emendata nel 2004 (art. 33 par. 1); la American Convention on Human Rights, adottata dall’Organizzazione degli Stati Americani[11] nel 1969 (art. 17).

Nel contesto regionale asiatico non esiste uno strumento di tutela che vincoli tutti gli Stati, tuttavia è possibile individuare alcune iniziative circoscritte quali: la SAARC[12] Convention on Regional Arrangements for the Promotion of Child Welfare in South Asia[13] del 2002 (art. 4, par. 3, lett. d); il Regional Action Plan to End Child Marriage in South Asia (2015-2018) del 2014; la Kathmandu Call for Action to End Child Marriage in South Asia del 2014 (punti 1 e 3).

Nel contesto regionale europeo, grazie all’operato del Consiglio d’Europa e dell’Unione europea, sono state prodotte diverse disposizioni, vincolanti e non, in tema di matrimoni forzati e matrimoni precoci e forzati.

Più in specifico, nel quadro delle disposizioni emanate dal Consiglio d’Europa, figurano: la European Convention on Human Rights del 1950 (art. 12); la Recommendation Rec(2002)5, on the Protection of Women Against Violence del 2002 (punti 84 e 85); la Parliamentary Assembly Resolution 1468(2005), on Forced Marriages and Child Marriages del 2005 (punti 4 e 7); la Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence del 2011 (artt. 32, 37 e 49).

Quanto alle disposizioni emanate dall’Unione europea si possono individuare: la Directive 2003/86/EC, on the Right to Family Reunification del 2003 (art. 4 par. 5); le Guidelines on violence against women and girls and combating all forms of discrimination against them del 2008; la Directive 2012/29/EU, establishing minimum standards on the rights, support and protection of victims of crime del 2012 (preambolo).




3. La normativa internazionale applicabile: il ruolo centrale della CRC


Considerato dunque che il consenso è un elemento imprescindibile dei matrimoni e una tutela che deve essere garantita universalmente, il matrimonio forzato, e ancor di più il matrimonio precoce e forzato, diventa un fenomeno che deve essere globalmente contrastato.

Al di là delle ipotesi di palese costrizione, non può comunque considerarsi consenso quello prestato dal minore in età prepubere, o di poco successiva alla pubertà, poiché la condizione di immaturità nella quale si trova non lo rende capace di comprendere il significato del matrimonio e le gravi conseguenze che ne possono scaturire.

La problematica del consenso si pone invece in un’età più avanzata, più prossima al raggiungimento della maggiore età legale, in cui è più difficile distinguere se il matrimonio sia davvero il frutto di una scelta libera e consapevole[14]. Partendo comunque dalla considerazione che, nell’accezione della letteratura internazionale[15], il concetto di matrimonio forzato e di costrizione va allargato anche a quei casi in cui l’imposizione del rapporto matrimoniale è il frutto delle pressioni esercitate dall’ambiente familiare, culturale e sociale in cui si vive e che dunque non va limitato alle ipotesi di palese costrizione psico-fisica, esistono diverse convenzioni internazionali che impongono agli Stati parte di elevare l’età del consenso matrimoniale a 18 anni, condannando la pratica dei matrimoni forzati, e ancor più quella dei matrimoni precoci e forzati in quanto lesiva dei diritti umani dei bambini e delle bambine.

Tra queste figurano: la Supplementary Convention on the Abolition of Slavery, the Slave Trade, and Institutions and Practices Similar to Slavery, del 1956 (art. 1 lett. c) e art. 2); la Convention on Consent to Marriage, Minimum Age for Marriage and Registration of Marriages, del 1962; l’International Covenant on Economic, Social and Cultural Rights del 1966 (art. 10) e l’International Covenant on Civil and Political Rights del 1966 (art. 23); la Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women del 1979 (art. 16); la Convention on the Rights of Persons with Disabilities del 2006(art. 23 par. 1 lett. a)).

Nonostante le succitate convenzioni, il punto di riferimento più importante in materia di tutela internazionale dei diritti dei bambini e delle bambine rimane la Convention on the Rights of the Child (CRC)[16] del 1989.Il matrimonio precoce e forzato impedisce infatti il godimento e l’attuazione dei diritti in essa riconosciuti, causando profonde conseguenze negative che vanno a ripercuotersi sul percorso di crescita e maturazione degli individui minorenni coinvolti.

In linea generale, per le bambine e le ragazze l’esperienza risulta maggiormente traumatica poiché spesso accade che sia accompagnata da forme di violenza, sfruttamento, isolamento e oppressione.

Tutte le conseguenze negative che derivano da simili legami sono spesso l’espressione di un insieme di comportamenti, tradizioni e usanze per lo più orientate verso una discriminazione basata sul genere, posta in essere in violazione dell’art. 2 della CRC.

Talvolta la discriminazione si riflette anche nell’esistenza di normative nazionali che, fondate sull’erroneo presupposto che “women have a different rate of intellectual development from men, or that their stage of physical and intellectual development at marriage is immaterial[17], prevedono età legali diverse per il matrimonio.

Il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ritiene espressamente tale comportamento una violazione del principio di non discriminazione e nelGeneral Comment No. 4, Adolescent health and development in the context of the Convention on the Rights of the Child, al punto 9,asserisce che gli Stati parte sono tenuti, in base all’art 4 della CRC ad adottare tutti i provvedimenti necessari ad attuare i diritti riconosciuti all’interno della Convenzione stessa, ivi compreso provvedere a stabilire un’età minima per il consenso al matrimonio, che sia “the same for boys and girls (article 2 of the Convention) and closely reflect the recognition of the status of human beings under 18 years of age as rights holders, in accordance with their evolving capacity, age and maturity (arts. 5 and 12 to 17)”.

Le bambine e le ragazze obbligate da un’unione coniugale imposta vengono private della loro libertà, costrette nella loro sfera sessuale e deprivate del diritto di scegliere liberamente se e quando avere rapporti e procreare.

Per le giovani madri e per i figli, i rischi connessi a una gravidanza e a un parto in età precoce sono molto elevati. Nelle giovani madri, inoltre, la capacità di prendersi cura dei neonati diminuisce fortemente a causa dell’immaturità, dell’inesperienza e della mancanza di istruzione. Il diritto alla salute delle madri e dei loro bambini, riconosciuto dalla CRC all’art. 24, risulta dunque gravemente compromesso e ciò anche a causa delle gravi violenze domestiche a cui le ragazze e le bambine sono spesso esposte. In violazione dell’art. 19 della CRC, le violenze fisiche e mentali, le violenze sessuali, i maltrattamenti e, a volte, addirittura lo sfruttamento sessuale[18], entrano spesso a far parte della vita quotidiana delle giovani mogli che non sempre trovano adeguata protezione nelle leggi dello Stato o nell’operato delle forze dell’ordine.

Le bambine e le ragazze a cui vengono imposti i compiti e le responsabilità della vita coniugale vengono spesso inevitabilmente private del diritto all’istruzione e all’educazione, così come previsti agli artt. 28 e 29 della CRC. Ciò che ne consegue è una grave limitazione della capacità di sviluppo intellettivo, personale e sociale: la riduzione della capacità di acquisire un’indipendenza identitaria di fatto priva le bambine e le ragazze della consapevolezza di sé, dei loro diritti e della capacità e possibilità di esprimere una loro autonoma e personale opinione su tutte le questioni che le riguardano (art. 12 CRC); la mancanza di autostima limita la capacità di reagire alla condizione che è stata loro imposta.

Il matrimonio precoce e forzato comporta la totale negazione dell’infanzia e dell’adolescenza: priva i minori del diritto “to rest and leisure, to engage in play and recreational activities appropriate to the age of the child and to participate freely in cultural life and the arts”, così come sancito all’art. 31 par. 1 della CRC; li priva del fondamentale diritto di esprimere liberamente la loro opinione ed il loro pensiero in merito a tutte le questioni che li riguardano, così come stabilito agli artt. 12, 13 e 14 della CRC; li defrauda di tutti quegli elementi necessari al raggiungimento di una piena ed effettiva maturazione e di un sano ed equilibrato sviluppo, in violazione di quanto sancito all’art. 6 della CRC. Gli effetti che ne conseguono influiscono sul benessere del minore in modo sottile ed insidioso e la valutazione degli stessi non risulta sempre facile.

La CRC, secondo l’interpretazione data dal Comitato al punto 29 lett. e) del General comment No. 13, The right of the child to freedom from all forms of violence, riconosce queste pratiche come “traditional practices prejudicial to the health of children[19] che gli Stati parte devono obbligatoriamente contrastare e abolire poiché non garantiscono uno standard di vita “adequate for the child's physical, mental, spiritual, moral and social development[20].

Tale pratica viola quello che risulta essere oramai un principio universalmente riconosciuto, ovverosia il principio sancito dalla CRC all’art. 3 e riproposto anche in successivi trattati internazionali e convenzioni regionali, il “best interest principle”, che deve essere una considerazione preminente in qualunque tipo di decisione che concerne il minore, comprese quelle assunte dai genitori (art. 18 CRC), entrambi ugualmente responsabili della crescita e dello sviluppo dei figli e dunque entrambi ugualmente responsabili per le conseguenze negative che una simile pratica comporta.




4. Conclusioni


Infanzia e adolescenza sono periodi della vita che richiedono particolare sostegno e protezione, ma allo stesso tempo necessitano anche di adeguato riconoscimento e supporto. Bambini e ragazzi, vivono in una condizione di crescente maturazione e di progressiva evoluzione intellettiva e personale; si tratta infatti di soggetti che non hanno ancora raggiunto il completo sviluppo fisico e mentale.

Considerato che il matrimonio richiede l’assunzione di importanti responsabilità e di una piena ed effettiva comprensione del significato che sta alla base di una simile scelta e delle conseguenze che da essa derivano, tale istituto si va dunque a scontrare con il concetto stesso di bambino, un soggetto che, pur essendo pienamente dotato di personali diritti, ivi compreso il diritto di compiere proprie libere scelte, deve allo stesso tempo essere tutelato nei confronti di quelle pratiche che potrebbero risultare per esso altamente nocive, oltreché a lui non pienamente comprensibili.

Il matrimonio in età precoce, ancorché non forzato, può comunque comportare gravi conseguenze fisiche, emotive, intellettive e morali nella vita presente e futura dei giovani sposi e proprio per tale motivo la normativa internazionale e “regionale” invita gli Stati ad aumentare il limite di età previsto sino a 18 anni e considera univocamente i matrimoni precoci e forzati come gravi forme di violazione dei diritti umani e, in particolare, dei diritti e delle libertà fondamentali delle bambine e delle ragazze.

Pur essendo difficile distinguere l’elemento del consenso da quello della costrizione e pur dovendo differenziare il concetto di matrimonio precoce e forzato da quello di matrimonio precoce, che non sempre presenta i caratteri della costrizione, bisogna comunque tenere in considerazione il fatto che il diritto al consenso deve essere libero, pieno e consapevole e tale non può essere “when one of the parties involved is not sufficiently mature to make an informed decision about a life partner[21], soprattutto considerate le profonde conseguenze negative che il benessere fisico, psicologico ed emotivo del minore può subire.

Ciò detto, non si può che concordare sul fatto che tali pratiche debbano essere universalmente vietate e contrastate, intervenendo a livello politico, legislativo, sociale ed educativo: aumentando il limite minimo di età ove questo risulti inferiore rispetto alle prescrizioni internazionali; applicando effettivamente la normativa di contrasto laddove questa esista o creandola laddove non esista; formando e informando adeguatamente in merito al fenomeno le forze dell’ordine, l’autorità giudiziaria e gli operatori sociali; creando campagne di informazione che rendano edotta l’intera società, sia gli adulti che i minori, delle conseguenze negative che tali pratiche comportano; dando vita a politiche mirate di prevenzione; garantendo adeguata assistenza alle vittime; monitorando il fenomeno attraverso la raccolta dei dati e indagandolo approfonditamente tramite l’ausilio della ricerca; ma soprattutto riducendo la discriminazione di genere, educando alla parità dei diritti e al rispetto della donna e garantendo a quest’ultima l’emancipazione attraverso l’istruzione e l’educazione, in modo tale da rendere le bambine e le ragazze meno vulnerabili nei confronti di tali pratiche dannose e maggiormente capaci di reagire alle imposizioni e alle violenze.



* Il presente articolo scaturisce dal lavoro conclusivo presentato nell’ambito del “Master interdisciplinare sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza” [www.midia.name; midia@unimib.it], a.a. 2014/2015, Università degli Studi di Milano-Bicocca e UNICEF Italia. Ringrazio per il dialogo su questi temi e i suggerimenti le mie relatrici: Dott.ssa Alessandra D. Borsato e Dott.ssa Chiara Zanetti.

[1] Si tratta di 17 obiettivi che gli Stati membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) si sono impegnati a realizzare entro il 2030.

[2] Per maggiori approfondimenti sul tema trattato si vedano: A. Hawke (a cura di), Innocenti Digest n.7 - Il matrimonio precoce, UNICEF Centro di ricerca Innocenti, Firenze, 2001; E. Rude-Antoine, Forced marriages in Council of Europe member states. A comparative study of legislation and political initiatives, Council of Europe, Directorate General of Human Rights, Strasbourg, 2005; R. De Silva-de-Alwis, Child marriage and the law. Legislative reform initiative paper series, UNICEF, New York, 2008; UNICEF (a cura di), Early Marriage: A Harmful Traditional Practice, 2005; Women Living Under Muslim Laws, Child, Early and Forced Marriage: A Multi Country Study. A Submission to the UN Office of the High Commissioner on Human Rights (OCHCR), 2013.

[3] “According to the United Nations Children’s Fund, approximately 15 million girls are married every year before the age of 18, and more than 700 million women and girls alive today were married before their eighteenth birthday”: tratto da Human Rights Council Resolution n. 29/8, Strengthening efforts to prevent and eliminate child, early and forced marriage (Prologo).

[4] Per maggiori approfondimenti sul tema si veda: S.L. Mikhail, “Child marriage and child prostitution: two forms of sexual exploitation”, Gender & Development, 10 (2002), 1, pp. 43-49.

[5] Sono 53 gli Stati che hanno ratificato la Carta, tutti ad eccezione del South Sudan.

[6] Organizzazione nata nel 1963 con la finalità di promuovere l’unità e la solidarietà tra le nazioni africane, rendere migliori le condizioni di vita della popolazione e difendere la sovranità, l’integrità e l’indipendenza degli Stati membri. Venne sostituita nel 2002 dall’Unione Africana, composta da 54 Stati africani.

[7] Gli Stati che hanno ratificato il protocollo sono 36.

[8] Organizzazione intergovernativa composta da 57 Stati membri che ha come intento quello di promuovere la pace e l’armonia a livello internazionale. Non si tratta di una vera e propria organizzazione di stampo regionale, dato che prende piuttosto in considerazione la religione come fattore d’aggregazione.

[9] Gli Stati che hanno ratificato la Carta sono 13.

[10] Organizzazione a carattere regionale impegnata nella cooperazione politica, economica e culturale, che opera nell’area della penisola arabica, fino al Maghreb. Si compone di 21 Stati membri.

[11] Organizzazione a carattere regionale formata da 35 Stati membri e attiva nella promozione e tutela dei diritti umani.

[12] La South Asian Association for Regional Cooperation, è un’organizzazione intergovernativa fondata allo scopo di creare una cooperazione tra gli 8 Stati membri dell’Asia meridionale.

[13] La Convenzione è stata ratificata da tutti gli Stati membri della SAARC.

[14] Un maggior approfondimento relativo alla problematica del consenso è contenuto in E. Rude-Antoine, op. cit., pp. 18-21.

[15] In letteratura la definizione più utilizzata è quella proposta dalla Forced Marriage Unit UK, che descrive il matrimonio forzato come “un matrimonio in cui uno o entrambi gli sposi non consentono (o, nel caso di adulti con disabilità cognitive o fisiche, non possono consentire) al matrimonio e viene esercitata una costrizione. La costrizione può includere la pressione fisica, psicologica, finanziaria, sessuale ed emotiva”: Forced Marriage Unit UK, Multi-agency practice guidelines: Handling cases of Forced Marriage, 2009, cit., p. 8.

[16] La CRC rappresenta, ad oggi, la convenzione più ratificata al mondo (195 Stati parte), oltreché la più importante in tema di tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Difatti, per prima riconosce i bambini e le bambine quali soggetti di diritto, ovverosia – come spiega bene Luigi Fadiga in questo stesso Forum – quali individui non più solamente bisognosi di protezione e tutela, ma anche effettivi titolari di propri personali diritti. Essa ha fornito all’art. 1 una chiara spiegazione di cosa si debba intendere per child: “a child means every human being below the age of eighteen years unless under the law applicable to the child, majority is attained earlier”.

[17] United Nations Committee on the Elimination of Discrimination against Women, General Recommendation No. 21, Equality in marriage and family relations, art. 16 (2) punto 38.

[18] Nei casi in cui dietro al matrimonio forzato si celi in realtà una forma di sfruttamento sessuale, devono trovare applicazione le tutele previste agli artt. 34, 35 e 36 della CRC e quelle previste all’interno dell’Optional Protocol to the Convention on the Rights of the Child on the sale of children, child prostitution and child pornography.

[19] Convention on the Rights of the Child, 20 November 1989, art. 24 par. 3.

[20] Ivi, art. 27.

[21] UNICEF (a cura di), op. cit., p. 1.