2015
“Diritto dei
diritti del minore” e giustizia riparativa.
Un dialogo aperto
Caterina
Pongiluppi
(Università di Modena e Reggio Emilia)
1.L’art. 29 della Convenzione di New York sui
diritti del fanciullo
Ben si inserisce, in un approfondimento dedicato
alla
Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, una riflessione
sugli strumenti della giustizia riparativa1
in ambito minorile: non come illustrazione tecnica di quali siano i
programmi di giustizia riparativa utilizzabili, o gli spazi normativi
entro i quali collocarli; bensì come individuazione del senso
del paradigma umanistico riparativo2 nell'ambito del diritto
dei diritti del minore3.
Partirei per queste brevi riflessioni dal testo
della
Convenzione, ed in particolare dall'art. 29, nel quale l'Assemblea
generale delle Nazioni Unite ci spiega che cosa debba intendersi per educazione,
quando se ne parli in chiave di diritto del minore da tutelare e
garantire.
E così, ci viene illustrato che la e-ducazione
deve essere diretta allo sviluppo della personalità del ragazzo, dei
suoi talenti e delle sue capacità fisiche e mentali fino al pieno
delle loro potenzialità.
Ciò include anche lo sviluppo del rispetto dei diritti umani e delle
libertà fondamentali; il rispetto per l'identità culturale del ragazzo,
per i valori della sua propria cultura e per i valori del paese nel
quale vive; la preparazione del ragazzo per una vita responsabile in
una società libera4.
È interessante e molto profonda la direzione in cui
si
muove la Convenzione. Non si tratta cioè, di additare un semplice
obbligo, o una serie di obblighi e doveri, rispetto ai quali il minore
sia posto nella situazione di soggetto obbligato, e che, in quanto
“educato”, obbedisce all’ordine. È, piuttosto, il contenuto stesso
dell’educazione ad includere il rispetto dei valori della società e il
principio della solidarietà sociale5.
Il minore vede sviluppare la propria personalità in tutte le sue
potenzialità, in una ricchezza di sfaccettature che include l’aspetto
della relazione e della socialità. È d’altronde l’idea che riecheggia
anche nell’art. 2 della nostra Costituzione, ed in generale
nell’impostazione personalistica che la pervade: l’uomo è colto nella
sua complessità di per-sona, cioè essere relazionale, che si costruisce
nella relazione, e quindi anche nella socialità6.
2. Il concetto di educazione tra “diritto dei diritti del
minore” e diritto penale
Il minore che commette un reato evidentemente
inciampa in
un ostacolo rispetto a questa sua crescita complessiva e in particolare
rispetto allo sviluppo di questa responsabilità sociale.
Rispetto al percorso che sta compiendo, c’è una
deviazione: quella “devianza” minorile, di cui spesso si parla, sul cui
senso si discute e riflette, potremmo evocarla qui - senza voler in
nessun modo intervenire nel dibattito sul concetto sociologico di
devianza, incentrato d’altra parte più sull’individuazione esplicativa
delle cause che sulla definizione dell’essenza del fenomeno7 -
come l’immagine di una deviazione dal percorso che si stava
tracciando, dal percorso evolutivo proprio di quella persona
minorenne, di quella persona “in formazione”.
Questa è l'ottica con la quale e dalla quale occorre
accostarsi al minore che ha commesso un reato. Anche nel diritto penale
degli adulti è vero che, come è stato scritto, “nessuna persona è
commisurabile a un fatto” 8; tanto meno ciò può
avvenire quando l'autore del reato è un minore.
Risulta sempre più evidente come il diritto penale
sia solo un'intersezione del diritto dei diritti del minore,
un'intersezione che si attua quando il minore, nel caso di specie, ha
commesso un reato o dei reati. Lo sguardo, la prospettiva, devono
rimanere gli stessi, anche nell’abbracciare questo spazio: quelli,
cioè, caratteristici di un diritto dei diritti dei minori, che ruota
attorno al criterio del “supremo interesse” del fanciullo (art. 3
UNCRC), legato a doppio filo all'idea cardine dello sviluppo pieno
della personalità del soggetto minorenne. Possiamo tradurre tali ultimi
poli significanti nel concetto di “e-ducazione”, come individuato dal
già citato art. 29 della Convenzione.
Più consueta, nel diritto
penale, è semmai l'idea di ri-educazione;
su questo piano, a volte, ci si muove anche con riferimento al minore
autore di reato: ci si interroga, ad es., sulla opportunità di dare
spazio più al bisogno di educazione o invece più a quello di punizione9,
e si pone una sorta di di dicotomia tra le due strade, come se si
trattasse di due opzioni possibili, di pari portata, tra le quali
scegliere. Pare, però, che il problema sia in questo modo mal posto, e
che si sconti una visione parziale della questione, una visione
strettamente penalistica: molto legata, cioè, alle tematiche della
teoria della pena, della risposta al reato e della ricerca di una legittimazione
a questa risposta, della giustificazione
della pena attraverso una finalità o una funzione; di qui, questa sorta
di contrapposizione tra la via della prevenzione attraverso la
rieducazione, e la via retributiva, della punizione. Si vuole qui
osservare come rispetto al minore autore di reato questa dialettica sia
parziale: parziale, perché l’idea centrale, nell’accostarci al minore
che ha commesso un reato deve essere (la stessa che anima colui che si
accosta al minore vittima, cioè) quella dell’interesse superiore del
minore
per lo sviluppo e la realizzazione pieni della sua personalità: in una
parola, la sua educazione. Il centro è l’educazione. Tutto il resto
viene dopo: declinazioni, applicazioni necessarie, anzi indispensabili.
Ma il centro è il minore, con la sua attesa di "educazione".
La ri-educazione è una cosa diversa. Lo scopo
rieducativo
della pena riguarda, in effetti, il soggetto adulto: è rispetto al
soggetto adulto che si parla di ri-educazione, con tutte le
interpretazioni del caso, come "reinserimento sociale". Si tratta di un
bisogno, meglio, del contenuto di un diritto, che scatta solo a
partire dalla commissione di un reato. Prima non esiste; non è
legittimo parlare di "rieducazione", di trattamento riabilitativo per
chi, ad es., sia in carcere in custodia preventiva, per esigenze
cautelari, quando il fatto, e la responsabilità per quel fatto, non
siano ancora stati accertati e resi oggetto di una sentenza di
condanna. La ri-educazione trova senso e legittimità solo dopo
la commissione di un reato ed anzi dopo la condanna per un
reato.
In ambito minorile, lo scopo è e rimane
quello educativo, potremmo dire senza soluzione di continuità10.
Gli interventi, le misure, gli istituti normativi cambiano e si
declinano; l'obiettivo di fondo no.
Il diritto e il processo penale non fanno che
partecipare allora di un senso che attiene all'ordinamento nel suo
complesso11,
o a quel "diritto dei diritti dei minori " che non coincide
con il diritto penale. È d'altronde, questa, la direzione già segnata
dalla Corte Costituzionale nella storica sentenza 168/1994 sulla
illegittimità dell'ergastolo per i minori12:
l’art. 31 Cost. “impone un mutamento di segno al principio rieducativo
immanente alla pena, attribuendo a quest’ultima, proprio perché
applicata nei confronti di un soggetto ancora in formazione e alla
ricerca della propria identità, una connotazione educativa più che
rieducativa, in funzione del suo inserimento maturo nel consorzio
sociale”.
3. Educazione e garanzie processuali
Qualche osservazione aggiuntiva sul punto si rende
peraltro indispensabile. Se è vero infatti che il decreto 448/1988, che
disciplina il processo penale a carico degli imputati minorenni, già in
apertura, all'art. 1, afferma che le disposizioni del decreto stesso
"sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze
educative
del minore” (tessendo una relazione tra personalità ed educazione che
riflette quanto già osservato), e al comma 2 dello stesso articolo
affida al giudice il compito di illustrare all'imputato non solo il
significato delle attività processuali che si vanno svolgendo, ma anche
"il contenuto e le ragioni anche etico- sociali delle
decisioni"; se è vero che gli istituti speciali che caratterizzano il
processo minorile sono orientati indiscutibilmente ad un principio
educativo13;
è altrettanto vero, come alcuni autori segnalano14,
che è difficile poter pensare al processo penale, alle norme che lo
disciplinano, e ai soggetti che lo abitano e governano come a luoghi e
soggetti “educativi” ed educanti. C’è un limite invalicabile al
perseguimento di finalità educative, ed è quello costituito dalle
garanzie processuali; il giudice non potrebbe per qualche bene o male
intesa esigenza educativa dimenticare le garanzie dell'imputato; questo
è evidente, se teniamo bene a mente che la sede processuale ha esiti
potenziali sanzionatori. Pur con le attenuazioni e le
specialità del processo minorile, si tratta pur sempre di un processo
che potenzialmente condanna e potenzialmente punisce.
Perciò, inevitabilmente, prima dell'esigenza educativa si impone
l'esigenza di tutelare le garanzie dell'imputato15.
Le due prospettive possono in molti casi convergere, sovrapporsi, o
comunque non essere in conflitto. Ma laddove un conflitto vi sia, o
appaia tale, è imposto al giudice di preferire l'istanza garantistica a
quella educativa.
Questa è la ragione per cui non può porsi come
obiettivo
primario, regolatore del processo penale a carico di un imputato
minorenne, quello di perseguire l'educazione del minore autore di
reato. L'ottica dovrà essere educativa, ma su tutte
dovranno prevalere le esigenze di garanzia processuale dell'imputato.
Le regole di Pechino del 1985, del resto16,
così attente ai profili dell'educazione e dello sviluppo della
personalità del minore, pongono tra i "principi guida per il giudizio e
la sentenza" di cui all'art. 17, quella per cui il criterio
determinante nella valutazione del caso deve essere (non l’educazione
ma) la tutela del minore; nell’ambito, peraltro, di
un’indicazione più generale per la quale il minore dovrebbe, per quanto
possibile, rimanere al di fuori del circuito processuale penale, o
uscirne prima possibile, secondo quanto suggerito dalla regola n. 11,
per la quale “dovrebbe essere considerata l'opportunità, ove possibile,
di trattare i casi dei giovani che delinquono senza ricorrere al
processo formale da parte dell'autorità competente”.
4. Il ruolo della giustizia riparativa
Ecco, allora, la questione di fondo: dove l'ordinamento
può perseguire lo scopo della educazione del minore, intesa come, da
parte dell'ordinamento, predisposizione, attuazione e garanzia delle
condizioni adeguate per uno sviluppo pieno della personalità del minore
- scopo che pure fa parte dei doveri dello Stato, specialmente se è uno
Stato parte della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo? Dove
esso può perseguire e declinare questo scopo, quando entriamo in
quell'ambito particolare che è quello in cui la persona minorenne incrocia
un fatto penalmente rilevante, e - restringendo ancora più lo sguardo -
quello in cui la persona minorenne commette un fatto penalmente
rilevante?
È qui che entra in gioco il ruolo della Giustizia
Riparativa. Non perché essa, preme chiarirlo, abbia come scopo primario
l'educazione, neppure intesa nel senso alto che abbiamo visto finora,
cioè come sviluppo della personalità del soggetto; non è il suo
obiettivo, ed è bene ricordarlo per evitare di travisarne il
significato riducendo la Giustizia Riparativa e i percorsi in cui essa
si attua ad un metodo pedagogico, o a strumenti trattamentali, appunto
rieducativi, ancora una volta nella logica e nelle categorie del
penale, o della esecuzione penale17.
L'obiettivo autentico della giustizia Riparativa non
ha
nulla a che fare con il diritto penale: è infatti un incontro, e un
riconoscimento dell'altro, un riconoscimento reciproco tra le parti di
un conflitto, anche quando questo conflitto è così grave da valicare la
soglia della rilevanza penale18.
È un obiettivo che si gioca sul piano umano, della umanità delle
persone coinvolte, sia come autori che come vittime, in un
riconoscimento che diventa anche rispecchiamento di se stessi
nell'altro, e attraverso l'altro.
Il raggiungimento di questo traguardo è
contemporaneamente un passaggio di costruzione della propria identità; uno
dei passaggi che compongono il percorso identitario continuo, della
storia di una persona; ma un passaggio che ha una sua
specificità, e che ha i requisiti per divenire decisivo, cruciale,
nella storia di quella persona.
In questo senso, un programma di giustizia
Riparativa riuscito è un programma inevitabilmente anche educativo19,
nel senso che è capace di dare impulso allo sviluppo pieno della
personalità di un soggetto, tanto più di un soggetto “ancora in
formazione, e alla ricerca della propria identità” (per usare le parole
della Corte Costituzionale nella citata sent. 168/1994), quale è il
soggetto minore, anche in quella dinamica relazionale e di
responsabilità sociale di cui all'art. 29 UNCRC.
È allora li, negli spazi in cui il processo penale a
carico di imputati minorenni può e potrà aprirsi ai percorsi di
giustizia Riparativa, che quella prospettiva, che abbiamo detto
fondamentale nell'accostarsi al minore autore di reato, può e potrà
trovare accoglienza ed attuazione20.
Un'ultima notazione, in chiusura, a proposito di
un'obiezione plausibile, ragionevole, a tutto il discorso fin qui
fatto; l'obiezione potrebbe riguardare la necessità di non cadere in
tentazioni paternalistiche o eccessivamente paternalistiche21,
pur quando si tratti di un minore, per non rischiare di rivalicare il
confine - come in una spirale nella quale con l'intenzione di avanzare
in realtà si torna indietro - e tornare ad una considerazione del
minore non come soggetto autonomo di diritti, e persona in senso pieno22,
ma come soggetto incapace e dunque bisognoso di interventi pressoché
sostitutivi della sua libertà.
Contro questo rischio, ancora una volta, il rimedio
pare
insito nel senso profondo e primo della Giustizia Riparativa, che non
è, si ripete, quello della ri-educazione, e neppure quello della
educazione, ma quello del riconoscimento reciproco della propria e
altrui umanità, del proprio e altrui essere, come per-sona, anche, ed
anzi in primo luogo, nella propria e altrui dimensione relazionale, che
è dimensione costitutiva, identitaria dell'essere umano23.
E il riconoscimento (a differenza di un trattamento
rieducativo o di un'attività di reinserimento sociale) è
necessariamente, per definizione, autonomo, libero, e personale.
____________________________________
1
Nell’imponente letteratura internazionale sui temi della Restorative
Justice si segnala solo qualche titolo: J. Braithwaite, Restorative
Justice and Responsive Regulation, Oxford, Oxford University Press,
2002; M.S. Umbreit, The handbook of victim offender mediation: an
essential guide to practice and research, San Francisco,
Jossey-Bass, 2001 J. Faget, La mediation. Essai de politique pénale,
Paris, Éres, 1997; J.-P. Bonafè-Schmitt, La médiation: une justice
douce, Paris, Syros Alternatives, 1992; H. Zehr, Changing
lenses: a new focus for crime and justice, Scottsdale, Herald
Press, 1990. Sulle origini dell’idea della “giustizia riparativa”, una
sintesi efficace in G. Mannozzi, La giustizia senza spada. Uno
studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale,
Giuffrè, Milano, 2003, pp. 23 ss. (e bibl. ivi cit.)
2
Sul senso “umanistico” della RJ, J. Morineau, Lo spirito
della mediazione, Milano, Franco Angeli, 2003; Ead., Il
mediatore dell’anima: la battaglia di una vita per raggiungere la pace
interiore,
ed. it. a cura di L. Lenzi, Milano, Servitium,2010; fondamentali
inoltre gli studi e l’esperienza che fanno capo a M.S. Umbreit.; cfr.
il sito http://www.cehd.umn.edu/ssw/RJP/default.asp, e in part.:
http://www.cehd.umn.edu/ssw/RJP/Resources/default.asp. Tra i numerosi
scritti, M.S. Umbreit, The handbook of victim offender mediation,
cit.. Si vedano inoltre A. Ceretti, “Vita offesa, lotta per il
riconoscimento e mediazione”, in F. Scaparro (a cura di), Il
coraggio di mediare. Contesti, teorie e pratiche di risoluzioni
alternative delle controversie, Guerini, Milano, 2001, pp. 55 ss.;
Id., “Mediazione penale e giustizia. In-contrare una norma”, in Scritti
in ricordo di GianDomenico Pisapia,
Giuffrè, Milano, 2000, vol. III, pp. 713 ss.; G. Mazzucato, “Mediazione
e giustizia riparativa in ambito penale. Spunti di riflessione tratti
dall’esperienza e dalle linee guida internazionali”, in L. Picotti, G.
Spangher (a cura di), Verso una giustizia penale “conciliativa”: il
volto delineato dalla legge sulla competenza penale del giudice di pace,
Giuffrè, Milano, 2001, pp. 85 ss.; Ead., “Oltre la bilancia e la spada:
alla ricerca di una giustizia della “reliance”. Scenari giuridici per
le pratiche di mediazione dei conflitti”, in E. Scabini, G. Rossi, Rigenerare
i legami: la mediazione nelle relazioni familiari e comunitarie,
Milano, Vita e Pensiero, 2003, pp. 149 ss.
3
L’efficace espressione risale ad un lavoro di M. Bessone, P.
Martinelli, A. Sansa, “Per una ricerca sul “diritto minorile”: rilievi
di metodo”, Giur. Mer., IV, 1975, pp. 249 ss., che in chiusura
del breve ma fondamentale saggio auspicano che la ricerca dei giuristi
“riesca a trasformare il diritto minorile (…) da “diritto dei minori” a
“diritto dei diritti dei minori”: p. 255. Cfr. anche M. Dogliotti, “Sul
concetto di diritto minorile: autonomia, favor minoris,
principi costituzionali”, Dir.Fam. Pers., 3, 1977, pp. 954 ss.
4
C.A. Moro, “La convenzione ONU sui diritti dei bambini oggi in Italia”,
in L. Fadiga (a cura di), Una nuova cultura dell’infanzia e
dell’adolescenza. Scritti di Alfredo Carlo Moro, Milano,
Puer/Franco Angeli, 2006, pp. 129 ss.
5
M. Bessone, P. Martinelli, A. Sansa, “Per una ricerca sul “diritto
minorile”: rilievi di metodo”, cit., p. 250.
6
Solo
alcune suggestioni su temi che non possono qui essere affrontati: C.
Vigna, “Sostanza e relazione. Una aporetica della persona”, in V.
Melchiorre, L’idea di persona, Milano, Vita e Pensiero, 1996,
pp. 175 ss., in part. Pp. 182 ss., 189 s.; L. Palazzani, Il
concetto di persona tra bioetica e diritto, Giappichelli, Torino,
1996, in part. pp. 16-25; V. Melchiorre, Essere e parola: idee per
una antropologia metafisica, Milano, Vita e Pensiero, 2001, in
part. pp. 57 ss. N. Occhiocupo, Liberazione e promozione umana
nella Costituzione. Unità di valori nella pluralità di posizioni,
Milano, Giuffrè, 1984, pp. 59 ss., in part. p. 60; M. Bessone, P.
Martinelli, A. Sansa, “Per una ricerca sul “diritto minorile”: rilievi
di metodo”, cit., p. 251 e passim.
7
M. Leonardi, “Le cause e i processi della devianza minorile”, in A.
Pennisi (a cura di), La giustizia penale minorile: formazione,
devianza, diritto e processo,
2° ed., Milano, Giuffrè, 2012, pp. 51 ss.; G. Scardaccione,
“L’intervento psicosociale sul minore autore di reato”, in Ead. (a cura
di), Il minore autore e vittima di reato. Competenze professionali,
principi di tutela e nuovi spazi operativi, Milano, Franco Angeli,
2003, pp. 50 ss.; G. De Leo, P. Patrizi, E. De Gregorio, L’analisi
dell’azione deviante. Contributi teorici e proposte di metodo,
Bologna, Il Mulino, 2004; G. De Leo, M. Malagoli Togliatti, “Recenti
prospettive di ricerca-intervento sulla prevenzione della devianza
minorile”, Min.Giust., 2, 2000, pp. 96 ss.; G. De Leo, La
devianza minorile. Il dibattito teorico, le ricerche, i nuovi modelli
di trattamento, Roma, Carocci, 2° ed., 1998; C.A. MORO, Manuale
di diritto minorile, 5° ed., Bologna, Zanichelli, 2104, pp. 535 ss.
8
M. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia tra
differenziazione e sussidiarietà, Milano, Giuffrè, 2004, p. 228;
Id., “Le logiche del pentimento e del perdono nel sistema penale
vigente”, in Studi in onore di Franco Coppi,
Torino, Giappichelli, 2011, vol. II, (p. 889), p. 897; L. Eusebi, “La
privazione della libertà nel diritto penale e la Costituzione
(sull’esigenza di un ripensamento della strategia preventiva)”, Quest.
Giust., 2004, (p. 473), p. 475.
9
S. Larizza, “Bisogno di punizione o bisogno di educazione? Il perenne
dilemma della giustizia minorile”, Cass. Pen., XLVI, 9, 2006,
pp. 2975 ss.
10
M. Bouchard, Il concetto di educazione nella giustizia penale
minorile, in F. Mazzucchelli, L. Sartori (a cura di), Emergenza
educazione. Costituzione e diritto formativo, Milano, Franco
Angeli, 2009, (pp. 81 ss.), p. 92.
11
G. Mazzucato, Consenso alle norme e prevenzione dei reati. Studi
sul sistema sanzionatorio penale, Roma, Aracne, 2005, p. 214
(corsivi nel testo).
12
C. Cost., 28 aprile 1994, n. 168.
13
S. Larizza, “Le “nuove” risposte istituzionali alla criminalità
minorile”,in P. Zatti, Trattato di diritto di famiglia, vol. V,
Diritto e procedura minorile, a
cura di E. Palermo Fabris, A. Presutti, Milano, Giuffrè, 2011, pp. 237
ss; C. Cesari, “Sub artt. 27, 28, 29”, in G. Giostra (a cura di), Il
processo penale minorile. Commento al D.P.R. 448/1988, Milano,
Giuffrè,3° ed., 2009.
14
G. Giostra, “sub Art. 1”, in Id. (a cura di) Il processo penale
minorile, cit.,
pp. 13 ss. Su una posizione pienamente condivisa in questo scritto, M.
Bouchard, “Il concetto di educazione nella giustizia penale minorile”,
cit., in part. 90; richiama ad un “gioco di interazione elastica tra
misure processuali ed esigenze pedagogiche”; C. Iasevoli, Diritto
all’educazione e processo penale minorile, Napoli, ESI, 2012, p.
44, e passim;
cfr. anche G. Mazzucato, “Le misure cautelari per i minorenni: il primo
‘biglietto da visita’ della cultura giuridica per l’infanzia nel
sistema penale minorile”, Min Giust., 1, 2007, pp. 23 ss., p.
31; M. Colamussi, “L’abitazione familiare quale sede di esecuzione
della misura cautelare: educare senza punire o punire senza educare?”, Min.
Giust. 1, 2013,pp. 69 ss., p. 71.
15
Sulle garanzie del “giusto processo” nel procedimento penale minorile,
S. Astarita, “Procedimento penale a carico di imputati minorenni”, in
C. Santoriello (a cura di), La giustizia penale differenziata,
tomo II, Torino, Giappichelli,2010, pp. 411 ss.
16
A/RES/40/33, 29 november 1985, United Nation Standard Minimum Rules
For The Administration of the Juvenile Justice,
http://www.un.org/documents/ga/res/40/a40r033.htm
17
Sul rischio che la mediazione venga attratta dalla “retorica
correzionale-riabilitativa”, come “nuova modalità trattamentale”, M.
Pavarini, “Decarcerizzazione e mediazione nel sistema penale minorile”,
in L. Picotti (a cura di) La mediazione nel sistema penale minorile,
Padova, Cedam,1998, pp. 7 ss.
Sull’autonomia filosofico-giuridica della giustizia
riparativa, cfr. G. Mannozzi, G.A. Lodigiani, “Formare aldiritto e alla
giustizia: per un’autonomia scientifico-didattica della giustizia
riparativa in ambito universitario”, RIDPP, 2014, (pp. 133
ss.), pp. 149 ss.
18
Sul tema del riconoscimento si veda M. Bouchard, G. Mierolo, Offesa
e riparazione. Per una nuova giustizia attraverso la mediazione,
Milano, Mondadori, 2005.
19
Cfr. G. Pighi, “Le disposizioni sul reato commesso dal minorenne”, in
G. Flora, P. Tonini, Diritto penale per operatori sociali,
Milano, Giuffrè, 2013, Vol. I (pp. 173 ss.), p. 205.
20
Cfr. "The Beijing Rules", cit., n. 11; art. 13 Convenzione Europea
sull'esercizio dei diritti dei minori (Consiglio d'Europa, Strasburgo,
25 gennaio 1996),
http://www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/convenzione_Strasburgo.pdf
(http://conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/Html/160.htm).
21
Sul c.d. “paternalismo” nel diritto penale, di recente: A. Spena,
“Esiste il paternalismo penale? Un contributo al dibattito sui principi
di criminalizzazione”, RDPP, 2014, pp. 1209 ss.; L. Cornacchia,
La vittima nel diritto penale contemporaneo. Tra paternalismo
e legittimazione del potere coercitivo, Roma, Aracne, 2012; D.
Pulitanò, “Paternalismo penale”, in Studi in onore di Mario Romano,
2011; A. Cadoppi, Laicità, valori e diritto penale. The Moral
Limits of the Criminla Law, in ricordo di Joel Feinberg, Milano,
Giuffrè, 2010, in part. pp. 103 ss.
22
Come da ultimo ribadito nella Dir. 2012/29/UE, del 25 ottobre 2012, che
istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione
delle vittime di reato, 14° Considerando
(http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2012:315:0057:0073:IT:PDF)
23
V. Melchiorre, Essere e parola, cit., p. 70.