2015

“Diritto dei diritti del minore” e giustizia riparativa.

Un dialogo aperto 


Caterina Pongiluppi  
(Università di Modena e Reggio Emilia)



1.L’art. 29 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo


Ben si inserisce, in un approfondimento dedicato alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, una riflessione sugli strumenti della giustizia riparativa1 in ambito minorile: non come illustrazione tecnica di quali siano i programmi di giustizia riparativa utilizzabili, o gli spazi normativi entro i quali collocarli; bensì come individuazione del senso del paradigma umanistico riparativo2 nell'ambito del diritto dei diritti del minore3.

Partirei per queste brevi riflessioni dal testo della Convenzione, ed in particolare dall'art. 29, nel quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ci spiega che cosa debba intendersi per educazione, quando se ne parli in chiave di diritto del minore da tutelare e garantire.

E così, ci viene illustrato che la e-ducazione deve essere diretta allo sviluppo della personalità del ragazzo, dei suoi talenti e delle sue capacità fisiche e mentali fino al pieno delle loro potenzialità. Ciò include anche lo sviluppo del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali; il rispetto per l'identità culturale del ragazzo, per i valori della sua propria cultura e per i valori del paese nel quale vive; la preparazione del ragazzo per una vita responsabile in una società libera4.

È interessante e molto profonda la direzione in cui si muove la Convenzione. Non si tratta cioè, di additare un semplice obbligo, o una serie di obblighi e doveri, rispetto ai quali il minore sia posto nella situazione di soggetto obbligato, e che, in quanto “educato”, obbedisce all’ordine. È, piuttosto, il contenuto stesso dell’educazione ad includere il rispetto dei valori della società e il principio della solidarietà sociale5. Il minore vede sviluppare la propria personalità in tutte le sue potenzialità, in una ricchezza di sfaccettature che include l’aspetto della relazione e della socialità. È d’altronde l’idea che riecheggia anche nell’art. 2 della nostra Costituzione, ed in generale nell’impostazione personalistica che la pervade: l’uomo è colto nella sua complessità di per-sona, cioè essere relazionale, che si costruisce nella relazione, e quindi anche nella socialità6.



2. Il concetto di educazione tra “diritto dei diritti del minore” e diritto penale


Il minore che commette un reato evidentemente inciampa in un ostacolo rispetto a questa sua crescita complessiva e in particolare rispetto allo sviluppo di questa responsabilità sociale.

Rispetto al percorso che sta compiendo, c’è una deviazione: quella “devianza” minorile, di cui spesso si parla, sul cui senso si discute e riflette, potremmo evocarla qui - senza voler in nessun modo intervenire nel dibattito sul concetto sociologico di devianza, incentrato d’altra parte più sull’individuazione esplicativa delle cause che sulla definizione dell’essenza del fenomeno7 - come l’immagine di una deviazione dal percorso che si stava tracciando, dal percorso evolutivo proprio di quella persona minorenne, di quella persona “in formazione”.

Questa è l'ottica con la quale e dalla quale occorre accostarsi al minore che ha commesso un reato. Anche nel diritto penale degli adulti è vero che, come è stato scritto, “nessuna persona è commisurabile a un fatto” 8; tanto meno ciò può avvenire quando l'autore del reato è un minore.

Risulta sempre più evidente come il diritto penale sia solo un'intersezione del diritto dei diritti del minore, un'intersezione che si attua quando il minore, nel caso di specie, ha commesso un reato o dei reati. Lo sguardo, la prospettiva, devono rimanere gli stessi, anche nell’abbracciare questo spazio: quelli, cioè, caratteristici di un diritto dei diritti dei minori, che ruota attorno al criterio del “supremo interesse” del fanciullo (art. 3 UNCRC), legato a doppio filo all'idea cardine dello sviluppo pieno della personalità del soggetto minorenne. Possiamo tradurre tali ultimi poli significanti nel concetto di “e-ducazione”, come individuato dal già citato art. 29 della Convenzione.

Più consueta, nel diritto penale, è semmai l'idea di ri-educazione; su questo piano, a volte, ci si muove anche con riferimento al minore autore di reato: ci si interroga, ad es., sulla opportunità di dare spazio più al bisogno di educazione o invece più a quello di punizione9, e si pone una sorta di di dicotomia tra le due strade, come se si trattasse di due opzioni possibili, di pari portata, tra le quali scegliere. Pare, però, che il problema sia in questo modo mal posto, e che si sconti una visione parziale della questione, una visione strettamente penalistica: molto legata, cioè, alle tematiche della teoria della pena, della risposta al reato e della ricerca di una legittimazione a questa risposta, della giustificazione della pena attraverso una finalità o una funzione; di qui, questa sorta di contrapposizione tra la via della prevenzione attraverso la rieducazione, e la via retributiva, della punizione. Si vuole qui osservare come rispetto al minore autore di reato questa dialettica sia parziale: parziale, perché l’idea centrale, nell’accostarci al minore che ha commesso un reato deve essere (la stessa che anima colui che si accosta al minore vittima, cioè) quella dell’interesse superiore del minore per lo sviluppo e la realizzazione pieni della sua personalità: in una parola, la sua educazione. Il centro è l’educazione. Tutto il resto viene dopo: declinazioni, applicazioni necessarie, anzi indispensabili. Ma il centro è il minore, con la sua attesa di "educazione".

La ri-educazione è una cosa diversa. Lo scopo rieducativo della pena riguarda, in effetti, il soggetto adulto: è rispetto al soggetto adulto che si parla di ri-educazione, con tutte le interpretazioni del caso, come "reinserimento sociale". Si tratta di un bisogno, meglio, del contenuto di un diritto, che scatta solo a partire dalla commissione di un reato. Prima non esiste; non è legittimo parlare di "rieducazione", di trattamento riabilitativo per chi, ad es., sia in carcere in custodia preventiva, per esigenze cautelari, quando il fatto, e la responsabilità per quel fatto, non siano ancora stati accertati e resi oggetto di una sentenza di condanna. La ri-educazione trova senso e legittimità solo dopo la commissione di un reato ed anzi dopo la condanna per un reato.

In ambito minorile, lo scopo è e rimane quello educativo, potremmo dire senza soluzione di continuità10. Gli interventi, le misure, gli istituti normativi cambiano e si declinano; l'obiettivo di fondo no.

Il diritto e il processo penale non fanno che partecipare allora di un senso che attiene all'ordinamento nel suo complesso11, o a quel "diritto dei diritti dei minori " che non coincide con il diritto penale. È d'altronde, questa, la direzione già segnata dalla Corte Costituzionale nella storica sentenza 168/1994 sulla illegittimità dell'ergastolo per i minori12: l’art. 31 Cost. “impone un mutamento di segno al principio rieducativo immanente alla pena, attribuendo a quest’ultima, proprio perché applicata nei confronti di un soggetto ancora in formazione e alla ricerca della propria identità, una connotazione educativa più che rieducativa, in funzione del suo inserimento maturo nel consorzio sociale”.



3. Educazione e garanzie processuali


Qualche osservazione aggiuntiva sul punto si rende peraltro indispensabile. Se è vero infatti che il decreto 448/1988, che disciplina il processo penale a carico degli imputati minorenni, già in apertura, all'art. 1, afferma che le disposizioni del decreto stesso "sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minore” (tessendo una relazione tra personalità ed educazione che riflette quanto già osservato), e al comma 2 dello stesso articolo affida al giudice il compito di illustrare all'imputato non solo il significato delle attività processuali che si vanno svolgendo, ma anche "il contenuto e le ragioni anche etico- sociali delle decisioni"; se è vero che gli istituti speciali che caratterizzano il processo minorile sono orientati indiscutibilmente ad un principio educativo13; è altrettanto vero, come alcuni autori segnalano14, che è difficile poter pensare al processo penale, alle norme che lo disciplinano, e ai soggetti che lo abitano e governano come a luoghi e soggetti “educativi” ed educanti. C’è un limite invalicabile al perseguimento di finalità educative, ed è quello costituito dalle garanzie processuali; il giudice non potrebbe per qualche bene o male intesa esigenza educativa dimenticare le garanzie dell'imputato; questo è evidente, se teniamo bene a mente che la sede processuale ha esiti potenziali sanzionatori. Pur con le attenuazioni e le specialità del processo minorile, si tratta pur sempre di un processo che potenzialmente condanna e potenzialmente punisce. Perciò, inevitabilmente, prima dell'esigenza educativa si impone l'esigenza di tutelare le garanzie dell'imputato15. Le due prospettive possono in molti casi convergere, sovrapporsi, o comunque non essere in conflitto. Ma laddove un conflitto vi sia, o appaia tale, è imposto al giudice di preferire l'istanza garantistica a quella educativa.

Questa è la ragione per cui non può porsi come obiettivo primario, regolatore del processo penale a carico di un imputato minorenne, quello di perseguire l'educazione del minore autore di reato. L'ottica dovrà essere educativa, ma su tutte dovranno prevalere le esigenze di garanzia processuale dell'imputato.

Le regole di Pechino del 1985, del resto16, così attente ai profili dell'educazione e dello sviluppo della personalità del minore, pongono tra i "principi guida per il giudizio e la sentenza" di cui all'art. 17, quella per cui il criterio determinante nella valutazione del caso deve essere (non l’educazione ma) la tutela del minore; nell’ambito, peraltro, di un’indicazione più generale per la quale il minore dovrebbe, per quanto possibile, rimanere al di fuori del circuito processuale penale, o uscirne prima possibile, secondo quanto suggerito dalla regola n. 11, per la quale “dovrebbe essere considerata l'opportunità, ove possibile, di trattare i casi dei giovani che delinquono senza ricorrere al processo formale da parte dell'autorità competente”.



4. Il ruolo della giustizia riparativa


Ecco, allora, la questione di fondo: dove l'ordinamento può perseguire lo scopo della educazione del minore, intesa come, da parte dell'ordinamento, predisposizione, attuazione e garanzia delle condizioni adeguate per uno sviluppo pieno della personalità del minore - scopo che pure fa parte dei doveri dello Stato, specialmente se è uno Stato parte della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo? Dove esso può perseguire e declinare questo scopo, quando entriamo in quell'ambito particolare che è quello in cui la persona minorenne incrocia un fatto penalmente rilevante, e - restringendo ancora più lo sguardo - quello in cui la persona minorenne commette un fatto penalmente rilevante?

È qui che entra in gioco il ruolo della Giustizia Riparativa. Non perché essa, preme chiarirlo, abbia come scopo primario l'educazione, neppure intesa nel senso alto che abbiamo visto finora, cioè come sviluppo della personalità del soggetto; non è il suo obiettivo, ed è bene ricordarlo per evitare di travisarne il significato riducendo la Giustizia Riparativa e i percorsi in cui essa si attua ad un metodo pedagogico, o a strumenti trattamentali, appunto rieducativi, ancora una volta nella logica e nelle categorie del penale, o della esecuzione penale17.

L'obiettivo autentico della giustizia Riparativa non ha nulla a che fare con il diritto penale: è infatti un incontro, e un riconoscimento dell'altro, un riconoscimento reciproco tra le parti di un conflitto, anche quando questo conflitto è così grave da valicare la soglia della rilevanza penale18. È un obiettivo che si gioca sul piano umano, della umanità delle persone coinvolte, sia come autori che come vittime, in un riconoscimento che diventa anche rispecchiamento di se stessi nell'altro, e attraverso l'altro.

Il raggiungimento di questo traguardo è contemporaneamente un passaggio di costruzione della propria identità; uno dei passaggi che compongono il percorso identitario continuo, della storia di una persona; ma un passaggio che ha una sua specificità, e che ha i requisiti per divenire decisivo, cruciale, nella storia di quella persona.

In questo senso, un programma di giustizia Riparativa riuscito è un programma inevitabilmente anche educativo19, nel senso che è capace di dare impulso allo sviluppo pieno della personalità di un soggetto, tanto più di un soggetto “ancora in formazione, e alla ricerca della propria identità” (per usare le parole della Corte Costituzionale nella citata sent. 168/1994), quale è il soggetto minore, anche in quella dinamica relazionale e di responsabilità sociale di cui all'art. 29 UNCRC.

È allora li, negli spazi in cui il processo penale a carico di imputati minorenni può e potrà aprirsi ai percorsi di giustizia Riparativa, che quella prospettiva, che abbiamo detto fondamentale nell'accostarsi al minore autore di reato, può e potrà trovare accoglienza ed attuazione20.

Un'ultima notazione, in chiusura, a proposito di un'obiezione plausibile, ragionevole, a tutto il discorso fin qui fatto; l'obiezione potrebbe riguardare la necessità di non cadere in tentazioni paternalistiche o eccessivamente paternalistiche21, pur quando si tratti di un minore, per non rischiare di rivalicare il confine - come in una spirale nella quale con l'intenzione di avanzare in realtà si torna indietro - e tornare ad una considerazione del minore non come soggetto autonomo di diritti, e persona in senso pieno22, ma come soggetto incapace e dunque bisognoso di interventi pressoché sostitutivi della sua libertà.

Contro questo rischio, ancora una volta, il rimedio pare insito nel senso profondo e primo della Giustizia Riparativa, che non è, si ripete, quello della ri-educazione, e neppure quello della educazione, ma quello del riconoscimento reciproco della propria e altrui umanità, del proprio e altrui essere, come per-sona, anche, ed anzi in primo luogo, nella propria e altrui dimensione relazionale, che è dimensione costitutiva, identitaria dell'essere umano23.

E il riconoscimento (a differenza di un trattamento rieducativo o di un'attività di reinserimento sociale) è necessariamente, per definizione, autonomo, libero, e personale.




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1 Nell’imponente letteratura internazionale sui temi della Restorative Justice si segnala solo qualche titolo: J. Braithwaite, Restorative Justice and Responsive Regulation, Oxford, Oxford University Press, 2002; M.S. Umbreit, The handbook of victim offender mediation: an essential guide to practice and research, San Francisco, Jossey-Bass, 2001 J. Faget, La mediation. Essai de politique pénale, Paris, Éres, 1997; J.-P. Bonafè-Schmitt, La médiation: une justice douce, Paris, Syros Alternatives, 1992; H. Zehr, Changing lenses: a new focus for crime and justice, Scottsdale, Herald Press, 1990. Sulle origini dell’idea della “giustizia riparativa”, una sintesi efficace in G. Mannozzi, La giustizia senza spada. Uno studio comparato su giustizia riparativa e mediazione penale, Giuffrè, Milano, 2003, pp. 23 ss. (e bibl. ivi cit.)

2 Sul senso “umanistico” della RJ, J. Morineau, Lo spirito della mediazione, Milano, Franco Angeli, 2003; Ead., Il mediatore dell’anima: la battaglia di una vita per raggiungere la pace interiore, ed. it. a cura di L. Lenzi, Milano, Servitium,2010; fondamentali inoltre gli studi e l’esperienza che fanno capo a M.S. Umbreit.; cfr. il sito http://www.cehd.umn.edu/ssw/RJP/default.asp, e in part.: http://www.cehd.umn.edu/ssw/RJP/Resources/default.asp. Tra i numerosi scritti, M.S. Umbreit, The handbook of victim offender mediation, cit.. Si vedano inoltre A. Ceretti, “Vita offesa, lotta per il riconoscimento e mediazione”, in F. Scaparro (a cura di), Il coraggio di mediare. Contesti, teorie e pratiche di risoluzioni alternative delle controversie, Guerini, Milano, 2001, pp. 55 ss.; Id., “Mediazione penale e giustizia. In-contrare una norma”, in Scritti in ricordo di GianDomenico Pisapia, Giuffrè, Milano, 2000, vol. III, pp. 713 ss.; G. Mazzucato, “Mediazione e giustizia riparativa in ambito penale. Spunti di riflessione tratti dall’esperienza e dalle linee guida internazionali”, in L. Picotti, G. Spangher (a cura di), Verso una giustizia penale “conciliativa”: il volto delineato dalla legge sulla competenza penale del giudice di pace, Giuffrè, Milano, 2001, pp. 85 ss.; Ead., “Oltre la bilancia e la spada: alla ricerca di una giustizia della “reliance”. Scenari giuridici per le pratiche di mediazione dei conflitti”, in E. Scabini, G. Rossi, Rigenerare i legami: la mediazione nelle relazioni familiari e comunitarie, Milano, Vita e Pensiero, 2003, pp. 149 ss.

3 L’efficace espressione risale ad un lavoro di M. Bessone, P. Martinelli, A. Sansa, “Per una ricerca sul “diritto minorile”: rilievi di metodo”, Giur. Mer., IV, 1975, pp. 249 ss., che in chiusura del breve ma fondamentale saggio auspicano che la ricerca dei giuristi “riesca a trasformare il diritto minorile (…) da “diritto dei minori” a “diritto dei diritti dei minori”: p. 255. Cfr. anche M. Dogliotti, “Sul concetto di diritto minorile: autonomia, favor minoris, principi costituzionali”, Dir.Fam. Pers., 3, 1977, pp. 954 ss.

4 C.A. Moro, “La convenzione ONU sui diritti dei bambini oggi in Italia”, in L. Fadiga (a cura di), Una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza. Scritti di Alfredo Carlo Moro, Milano, Puer/Franco Angeli, 2006, pp. 129 ss.

5 M. Bessone, P. Martinelli, A. Sansa, “Per una ricerca sul “diritto minorile”: rilievi di metodo”, cit., p. 250.

6 Solo alcune suggestioni su temi che non possono qui essere affrontati: C. Vigna, “Sostanza e relazione. Una aporetica della persona”, in V. Melchiorre, L’idea di persona, Milano, Vita e Pensiero, 1996, pp. 175 ss., in part. Pp. 182 ss., 189 s.; L. Palazzani, Il concetto di persona tra bioetica e diritto, Giappichelli, Torino, 1996, in part. pp. 16-25; V. Melchiorre, Essere e parola: idee per una antropologia metafisica, Milano, Vita e Pensiero, 2001, in part. pp. 57 ss. N. Occhiocupo, Liberazione e promozione umana nella Costituzione. Unità di valori nella pluralità di posizioni, Milano, Giuffrè, 1984, pp. 59 ss., in part. p. 60; M. Bessone, P. Martinelli, A. Sansa, “Per una ricerca sul “diritto minorile”: rilievi di metodo”, cit., p. 251 e passim.

7 M. Leonardi, “Le cause e i processi della devianza minorile”, in A. Pennisi (a cura di), La giustizia penale minorile: formazione, devianza, diritto e processo, 2° ed., Milano, Giuffrè, 2012, pp. 51 ss.; G. Scardaccione, “L’intervento psicosociale sul minore autore di reato”, in Ead. (a cura di), Il minore autore e vittima di reato. Competenze professionali, principi di tutela e nuovi spazi operativi, Milano, Franco Angeli, 2003, pp. 50 ss.; G. De Leo, P. Patrizi, E. De Gregorio, L’analisi dell’azione deviante. Contributi teorici e proposte di metodo, Bologna, Il Mulino, 2004; G. De Leo, M. Malagoli Togliatti, “Recenti prospettive di ricerca-intervento sulla prevenzione della devianza minorile”, Min.Giust., 2, 2000, pp. 96 ss.; G. De Leo, La devianza minorile. Il dibattito teorico, le ricerche, i nuovi modelli di trattamento, Roma, Carocci, 2° ed., 1998; C.A. MORO, Manuale di diritto minorile, 5° ed., Bologna, Zanichelli, 2104, pp. 535 ss.

8 M. Donini, Il volto attuale dell’illecito penale. La democrazia tra differenziazione e sussidiarietà, Milano, Giuffrè, 2004, p. 228; Id., “Le logiche del pentimento e del perdono nel sistema penale vigente”, in Studi in onore di Franco Coppi, Torino, Giappichelli, 2011, vol. II, (p. 889), p. 897; L. Eusebi, “La privazione della libertà nel diritto penale e la Costituzione (sull’esigenza di un ripensamento della strategia preventiva)”, Quest. Giust., 2004, (p. 473), p. 475.

9 S. Larizza, “Bisogno di punizione o bisogno di educazione? Il perenne dilemma della giustizia minorile”, Cass. Pen., XLVI, 9, 2006, pp. 2975 ss.

10 M. Bouchard, Il concetto di educazione nella giustizia penale minorile, in F. Mazzucchelli, L. Sartori (a cura di), Emergenza educazione. Costituzione e diritto formativo, Milano, Franco Angeli, 2009, (pp. 81 ss.), p. 92.

11 G. Mazzucato, Consenso alle norme e prevenzione dei reati. Studi sul sistema sanzionatorio penale, Roma, Aracne, 2005, p. 214 (corsivi nel testo).

12 C. Cost., 28 aprile 1994, n. 168.

13 S. Larizza, “Le “nuove” risposte istituzionali alla criminalità minorile”,in P. Zatti, Trattato di diritto di famiglia, vol. V, Diritto e procedura minorile, a cura di E. Palermo Fabris, A. Presutti, Milano, Giuffrè, 2011, pp. 237 ss; C. Cesari, “Sub artt. 27, 28, 29”, in G. Giostra (a cura di), Il processo penale minorile. Commento al D.P.R. 448/1988, Milano, Giuffrè,3° ed., 2009.

14 G. Giostra, “sub Art. 1”, in Id. (a cura di) Il processo penale minorile, cit., pp. 13 ss. Su una posizione pienamente condivisa in questo scritto, M. Bouchard, “Il concetto di educazione nella giustizia penale minorile”, cit., in part. 90; richiama ad un “gioco di interazione elastica tra misure processuali ed esigenze pedagogiche”; C. Iasevoli, Diritto all’educazione e processo penale minorile, Napoli, ESI, 2012, p. 44, e passim; cfr. anche G. Mazzucato, “Le misure cautelari per i minorenni: il primo ‘biglietto da visita’ della cultura giuridica per l’infanzia nel sistema penale minorile”, Min Giust., 1, 2007, pp. 23 ss., p. 31; M. Colamussi, “L’abitazione familiare quale sede di esecuzione della misura cautelare: educare senza punire o punire senza educare?”, Min. Giust. 1, 2013,pp. 69 ss., p. 71.

15 Sulle garanzie del “giusto processo” nel procedimento penale minorile, S. Astarita, “Procedimento penale a carico di imputati minorenni”, in C. Santoriello (a cura di), La giustizia penale differenziata, tomo II, Torino, Giappichelli,2010, pp. 411 ss.

16 A/RES/40/33, 29 november 1985, United Nation Standard Minimum Rules For The Administration of the Juvenile Justice, http://www.un.org/documents/ga/res/40/a40r033.htm

17 Sul rischio che la mediazione venga attratta dalla “retorica correzionale-riabilitativa”, come “nuova modalità trattamentale”, M. Pavarini, “Decarcerizzazione e mediazione nel sistema penale minorile”, in L. Picotti (a cura di) La mediazione nel sistema penale minorile, Padova, Cedam,1998, pp. 7 ss.

Sull’autonomia filosofico-giuridica della giustizia riparativa, cfr. G. Mannozzi, G.A. Lodigiani, “Formare aldiritto e alla giustizia: per un’autonomia scientifico-didattica della giustizia riparativa in ambito universitario”, RIDPP, 2014, (pp. 133 ss.), pp. 149 ss.

18 Sul tema del riconoscimento si veda M. Bouchard, G. Mierolo, Offesa e riparazione. Per una nuova giustizia attraverso la mediazione, Milano, Mondadori, 2005.

19 Cfr. G. Pighi, “Le disposizioni sul reato commesso dal minorenne”, in G. Flora, P. Tonini, Diritto penale per operatori sociali, Milano, Giuffrè, 2013, Vol. I (pp. 173 ss.), p. 205.

20 Cfr. "The Beijing Rules", cit., n. 11; art. 13 Convenzione Europea sull'esercizio dei diritti dei minori (Consiglio d'Europa, Strasburgo, 25 gennaio 1996), http://www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/convenzione_Strasburgo.pdf (http://conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/Html/160.htm).

21 Sul c.d. “paternalismo” nel diritto penale, di recente: A. Spena, “Esiste il paternalismo penale? Un contributo al dibattito sui principi di criminalizzazione”, RDPP, 2014, pp. 1209 ss.; L. Cornacchia, La vittima nel diritto penale contemporaneo. Tra paternalismo e legittimazione del potere coercitivo, Roma, Aracne, 2012; D. Pulitanò, “Paternalismo penale”, in Studi in onore di Mario Romano, 2011; A. Cadoppi, Laicità, valori e diritto penale. The Moral Limits of the Criminla Law, in ricordo di Joel Feinberg, Milano, Giuffrè, 2010, in part. pp. 103 ss.

22 Come da ultimo ribadito nella Dir. 2012/29/UE, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, 14° Considerando (http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2012:315:0057:0073:IT:PDF)

23 V. Melchiorre, Essere e parola, cit., p. 70.