2015
La Convenzione
sui diritti del fanciullo:
luci, ombre e
problemi di prospettiva
Marco
Gestri
(Professore ordinario di diritto internazionale,
Università di Modena e Reggio Emilia; Adjunct Professor of
International Law, Johns Hopkins University, SAIS Europe)
1. Quadro generale della Convenzione e suo
eccezionale successo
La Convenzione di New York sui diritti del
fanciullo, adottata il 20 novembre 1989 con risoluzione dell’Assemblea
generale dell’ONU, è entrata in vigore il 2 settembre 1990 (l’Italia ha
ratificato la Convenzione il 5 settembre 1991, a seguito della legge 27
maggio 1991 n. 176). Si tratta senza dubbio di un evento storico nel
processo volto a tutelare i diritti fondamentali della persona1.
La protezione accordata dalla Convenzione del 1989 è
stata
completata nel 2000 mediante l’adozione di due Protocolli facoltativi,
ambedue ratificati dal nostro Paese, il Protocollo concernente il
coinvolgimento dei fanciulli nei conflitti armati (in vigore dal 12
febbraio 2002) e il Protocollo contro il traffico di fanciulli, la
prostituzione e la pornografia infantile (in vigore dal 18 gennaio
2002). Il 19 dicembre 2011 l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato un
terzo Protocollo facoltativo che istituisce una procedura per le
comunicazioni individuali. Anche quest’ultimo è entrato in vigore il 14
aprile 2014, e conta oggi 17 Stati parte (ma non ancora l’Italia).
Il contributo apportato dalla Convenzione del 1989
alla
tutela dei diritti dei fanciulli non può certo esser negato. Se
guardiamo però - al di là dei principi e di frequenti retoriche
affermazioni - alla concreta realtà normativa, all’effettiva prassi
applicativa della Convenzione, il quadro che emerge continua a
presentare non solo luci ma anche diverse ombre. Scopo del mio
intervento è quello di evidenziare, in qualità di studioso del diritto
positivo e della realtà internazionale, le une ma anche le altre.
La Convenzione si applica in principio ai minori di
18
anni. In effetti, essa definisce “fanciullo” ogni essere umano avente
un’età inferiore a diciotto anni, salvo che abbia raggiunto prima la
maturità, in virtù della legislazione applicabile (art. 1). Essa
impegna gli Stati contraenti a rispettare e far rispettare i diritti
enunciati per ogni fanciullo che si trovi entro la loro giurisdizione,
“a prescindere da ogni considerazione di razza, colore, sesso, lingua,
religione, opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori
e rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o
sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità,
dalla loro nascita o da ogni altra circostanza” (art. 2). Elemento
caratterizzante la Convenzione di New York è quello di riconoscere ai
fanciulli diritti fondamentali autonomi, che risultano distinti da
quelli dei genitori. Così vengono riaffermati nella Convenzione, con
specifico riferimento ai fanciulli, i “classici” diritti alla vita
(art. 6), al nome e a una cittadinanza (art. 7), all’identità (art. 8),
alle libertà di espressione (art. 13), di pensiero, coscienza e
religione (art. 14), di associazione e di riunione (art. 15), nonché il
diritto al rispetto della vita privata (art. 16) e la protezione contro
la tortura o altri trattamenti inumani o degradanti (art. 37) e contro
ogni forma di violenza e sfruttamento sessuale (art. 35). Ampio è poi
il riferimento a diritti del fanciullo in materia economica, sociale e
culturale, quali, inter alia, il diritto alla salute e
all’assistenza sanitaria (art. 24), alla sicurezza sociale (art. 26),
all’educazione (art. 38). Per quanto riguarda i diritti economici,
sociali e culturali, l’art. 4 della Convenzione impegna peraltro gli
Stati parti ad adottare i relativi provvedimenti attuativi “entro i
limiti delle risorse di cui dispongono e, se del caso, nell'ambito
della cooperazione internazionale”.
L’aspetto di maggior interesse della Convenzione è
dato
dall’affermazione di alcuni principi fondamentali, espressamente
formulati a tutela dei minori. In primis, il principio del
supremo interesse del fanciullo, enunciato dall’art. 3(1), a’termini
del quale in tutte le azioni relative ai fanciulli, di competenza delle
istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali,
delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l'interesse
superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente2.
Di estrema importanza è poi il diritto dei fanciulli
a
essere ascoltati in tutti i processi decisionali che li riguardano, e
il corrispondente dovere, per gli adulti, di tenerne in adeguata
considerazione le opinioni (art. 12).
Ai fini dell’interpretazione dei diritti e dei
principi
enunciati nella Convenzione (e nei Protocolli addizionali) rivestono un
notevole rilievo i commenti generali adottati dal Comitato sui diritti
del fanciullo (si segnalano il Commento n. 12 del 2009 sul diritto del
fanciullo a esser ascoltato e il n. 14 del 2013 sul superiore interesse
del fanciullo).
Un primo dato da sottolineare è che, fra gli accordi
adottati nel quadro dell’ONU in materia di diritti umani, la
Convenzione sui diritti del fanciullo è lo strumento che vanta il
maggior numero di ratifiche. Ben 194 Stati ne sono parti. Si tratta di
un dato impressionante, se comparato a altre situazioni. Anche i due
Protocolli conclusi nel 2000 vantano una notevole partecipazione: il
Protocollo sul coinvolgimento dei fanciulli nei conflitti armati conta
159 Stati parti; quello contro il traffico di fanciulli 169.
Tra gli Stati membri dell’ONU che non hanno
ratificato o
aderito alla Convenzione del 1989 troviamo solo gli Stati Uniti (che
sono però parti ai protocolli del 2000) e il Sudan del Sud. L’ultimo
caso non stupisce, trattandosi di uno Stato che solo da poco si è
affacciato sulla scena internazionale.
2. La mancata ratifica degli USA. Le riserve alla
Convenzione: una partecipazione à la carte?
L’assenza degli Stati Uniti tra i Paesi contraenti
della Convenzione suscita, ovviamente, molto scalpore. Nel 1995, il
Presidente Clinton decise di firmare la Convenzione ma, dopo di ciò,
nessuna amministrazione ha deciso di presentare e sostenere la proposta
di ratifica della Convenzione al Senato. Lo stesso Presidente Obama,
pur avendo talora definito imbarazzante la mancata partecipazione al
sistema della Convenzione, non ha agito con decisione a favore della
ratifica.
Ma quali sono le ragioni di questo atteggiamento?
Vi sono innanzi tutto delle motivazioni di ordine
generale. In primis,
si tratta di un riflesso particolare della generale cautela che gli
Stati Uniti mostrano nei confronti dell’affermazione, sul piano
internazionale, dei diritti “economici, sociali e culturali” (basti
ricordare che gli Stati Uniti non hanno mai ratificato il relativo
Patto delle Nazioni Unite del 1966). In effetti, buona parte delle
norme della Convenzione di New York prevedono diritti di tale natura.
Un secondo ordine di motivi riguarda
specificatamente il
regime delineato dalla Convenzione sui diritti del fanciullo. Da un
lato, l’ordinamento degli Stati Uniti contempla ancora delle
disposizioni che non sono in linea con previsioni della Convenzione,
anche se le maggiori disarmonie sono venute meno. Nel 2005 è stata
eliminata, colla sentenza della Corte Suprema sul caso Roper v
Simmons,
la situazione di contrasto più eclatante, relativa alla possibilità di
condannare a morte persone che al momento della commissione del reato
erano minori di età. Possibilità che era riconosciuta nella
legislazione di alcuni Stati della federazione ma espressamente
esclusa, per gli Stati parti, dall’art. 37 della Convenzione. Si noti
che la Corte Suprema degli Stati Uniti ha dichiarato dette legislazioni
incostituzionali per contrasto coll’ottavo emendamento alla
Costituzione; ha però avuto cura di precisare cha la correttezza di
tale decisione è rafforzata dalla considerazione del quadro giuridico
internazionale, inclusa la Convenzione di New York (in merito alla
quale sottolinea come abbia avuto un larghissimo numero di ratifiche),
che appare contrario all’imposizione della pena di morte ai minori.
Inoltre, grazie ad una serie di sentenze della Corte Suprema, culminate
nella decisione Miller v. Alabama, sono in corso di progressiva
eliminazione le legislazioni degli Stati che prevedono, per determinati
reati, la condanna all’ergastolo, senza parole, nei confronti
di minori, parimenti vietata dall’art. 37 della Convenzione.
Quest’ultimo proibisce anche la tortura, nonché pene e trattamenti
crudeli, inumani e degradanti. Si ritiene che tale previsione sia
suscettibile di portare ad una assoluta proibizione delle punizioni
corporali nei confronti dei minori. Sennonché, un terzo degli Stati
membri degli USA consente le punizioni corporali nelle scuole e nessuno
Stato le proibisce tra le mura di casa. Più in generale, negli Stati
Uniti è diffuso il timore che la ratifica e esecuzione della
Convenzione nell’ordinamento americano possa determinare compressioni
dell’autorità dei genitori nell’educazione dei figli.
Infine, la posizione degli Stati Uniti deriva dalla
convinzione che il testo della Convenzione sui diritti del fanciullo
presenti, sotto alcuni profili, elementi di eccessiva vaghezza e si
presti a esser interpretato in maniera “abusiva” dall’organo
internazionale deputato alla supervisione sulla sua applicazione (il
Comitato internazionale sui diritti del fanciullo), formato da
“esperti” senza alcuna legittimazione democratica e, si teme,
potenzialmente inclini ad atteggiamenti ideologici. Si sottolinea poi
che, mentre negli USA i trattati internazionali sarebbero presi “sul
serio”, ciò non avverrebbe in buona parte degli Stati che già sono
parti alla Convenzione.
A questo proposito, già è stata sottolineata
l’amplissima
partecipazione, da parte degli Stati membri della comunità
internazionale, alla Convenzione di New York. Va però anche ricordato
che la Convenzione prevede, all’art. 51, il diritto degli Stati
contraenti di formulare riserve, ad esclusione di quelle incompatibili
coll’oggetto e lo scopo. Facoltà cui gli Stati hanno fatto ricorso in
maniera alquanto significativa, e in molti casi mediante la
formulazione di riserve molto ampie. A questo riguardo, vanno
menzionate le numerose riserve formulate da Stati di religione
ufficiale islamica, esemplificate da quella dell’Iran, che si riserva
“the right not to apply any provisions or articles of the Convention
that are incompatible with Islamic Laws and the international
legislation in effect”. Riserve di questo tipo svuotano largamente la
portata degli obblighi assunti dagli Stati interessati. Con la
conseguenza che il numero degli Stati parti, spesso trionfalmente
evocato, andrebbe per così dire “tarato”. Ma vi è un aspetto ancor più
inquietante: tra le parti della Convenzione di New York troviamo paesi
nei quali è notorio che i diritti dei fanciulli sono oggetto di gravi e
diffuse violazioni, in diretta conseguenza di comportamenti di organi
statali o almeno colla tolleranza di questi ultimi. Basti pensare agli
Stati meta del c.d. “turismo sessuale”. Ciò rafforza l’idea di una
partecipazione soltanto “sulla carta”, o à la carte, da parte
di alcuni Stati al regime convenzionale.
3. I meccanismi di controllo: il Comitato sui
diritti del fanciullo
Ma quali sono i meccanismi che la Convenzione
prevede ai fini di garantire la sua osservanza?
La Convenzione ha istituito un apposito organo di
supervisione, il Comitato sui diritti del fanciullo, incaricato di
esaminare i progressi compiuti nell’esecuzione degli obblighi
contratti. Il Comitato è composto da 18 membri “di alta statura morale
e competenza riconosciuta nella materia trattata dalla Convenzione”,
eletti dalle parti. I membri del Comitato operano “a titolo personale”:
dovrebbero cioè agire in piena indipendenza rispetto ai governi
nazionali. Va però sottolineato che non si tratta di un organo
giurisdizionale. Il Comitato è competente a ricevere rapporti periodici
da parte degli Stati contraenti (art. 44), elaborati sulla base di
linee guida predisposte dal Comitato stesso sin dalla sua prima
sessione. Sulla base dei rapporti, il Comitato adotta “osservazioni
conclusive”, rivolte specificatamente ad uno Sato, nelle quali formula
suggerimenti e raccomandazioni.
Un rafforzamento del meccanismo di tutela relativo
alla
Convenzione sui diritti del fanciullo è stato introdotto coll’adozione
nel 2011 del Protocollo facoltativo sulle comunicazioni individuali.
Limitatamente ai (pochi) Stati che sono divenuti parti di questo
protocollo è ora possibile per gli individui o gruppi di individui
vittime di violazioni di loro diritti sulla base della Convenzione, e
dei due protocolli opzionali, trasmettere “comunicazioni” al Comitato
sui diritti del fanciullo.
In attesa di valutare la prassi applicativa del
nuovo
Protocollo sulle comunicazioni individuali, occorre chiedersi che tipo
di impatto possono avere le “osservazioni conclusive” che il Comitato
sui diritti del fanciullo rivolge agli Stati parti. Può essere utile
consultare l’ultimo documento di questo tipo adottato nei riguardi
dell’Italia, in particolare nel 2011. Un esame delle osservazioni
rivela come si tratti di uno strumento piuttosto analitico, nel quale
sono contenute critiche precise e dettagliate sulla legislazione e
sulla prassi dello Stato interessato. Ad esempio, si evidenziano
supposte difficoltà che incontrerebbero gli alunni delle scuola
italiane ad optare per insegnamenti alternativi alla religione
cattolica. Ancora, si lamenta lo scarso livello di manutenzione delle
strutture scolastiche. Critiche sono poi rivolte ai media italiani, nei
quali sarebbe frequente la rappresentazione delle donne (e addirittura
dei minori) come oggetto sessuale. È evidente che osservazioni di
questo tipo, talora forse discutibili, possono avere un certo impatto
sul comportamento degli Stati nei quali siano rispettati i principi di
democrazia e garantite le libertà fondamentali. Pur non risultando
vincolanti, le osservazioni di un Comitato ONU, specie se riprese dagli
organi di comunicazione, finiscono infatti per esercitare un certo peso
sul piano politico o morale e per orientare le scelte del legislatore.
Ma che dire dei Paesi nei quali le libertà
democratiche
sono negate o garantite in forma attenuata, che sono evidentemente
quelli nei quali i diritti dei fanciulli sono maggiormente in pericolo?
Per essi le osservazioni del Comitato assumono generalmente il valore
di mero flatus vocis, di discorsi privi di reale impatto. Basta
guardare all’effettivo grado di osservanza di diritti realmente
basilari in molti degli Stati contraenti. Quindi, non è del tutto
infondata la posizione di alcuni di coloro che contestano il sistema
della Convenzione, che appare muoversi in due dimensioni distinte. Da
un lato, il Comitato procede a critiche serrate, se non talora
eccessive, nei riguardi di Stati nei quali i diritti dei fanciulli
comunque ricevono ampia attuazione, critiche che vengono amplificate
dai media. Dall’altro lato, tutto l’apparato non sembra produrre alcun
effetto nei confronti delle situazioni veramente critiche. In
definitiva, le luci o le ombre nell’applicazione della Convenzione
dipenderebbero molto dalla prospettiva nella quale si pone ogni Stato
parte.
Non sembra neppure infondato il timore che gli
esperti del
Comitato possano essere mossi da posizioni ideologiche precostituite, e
che le prospettive possano dunque esser addirittura “falsate”. Si
tratta di critica che è stata di recente formulata riguardo alla
pubblicazione, nel 2014, di osservazioni conclusive relative alla Santa
Sede. Il documento ha suscitato scalpore, non soltanto per aver
censurato la Santa Sede riguardo ad una inefficace prevenzione e
repressione di comportamenti integranti abusi sessuali nei confronti
dei minori da parte di appartenenti al clero, ma anche per i richiami
che esso rivolge alla Santa Sede in materia di aborto e contraccezione.
Su questi punti, come è stato da più parti osservato, il Comitato
sembra, da un lato, avere interpretato la Convenzione in maniera non
rispondente al suo testo (nessuna disposizione prevede il diritto
all’aborto) e, dall’altro lato, non aver tenuto conto della riserva
formulata dalla Santa Sede con riferimento all’articolo 24, par. 2
f),che domanda agli Stati di sviluppare servizi per la pianificazione
familiare: riserva nella quale si specifica che per la Santa Sede la
norma riguarda unicamente i metodi naturali di pianificazione
familiare. A questo proposito, il comunicato ufficiale emanato dalla
Santa Sede in riferimento al documento si è limitato ad esprimere
rammarico riguardo a “un tentativo di interferire nell’insegnamento
della Chiesa Cattolica sulla dignità della persona umana e
nell’esercizio della libertà religiosa”. Ma in una più articolata
dichiarazione del direttore della sala stampa vaticana si è giunti ad
affermare che il Comitato non avrebbe tenuto conto delle informazioni e
delle osservazioni presentate dalla Santa Sede su diversi punti, così
da far pensare che il documento finale “fosse praticamente già
scritto”.
1
Si veda al riguardo il contributo di Luigi Fadiga.
2
Si
veda, in questo forum, il contributo di Francesca Baraghini sul diritto
all’ascolto con particolare riferimento ai Tribunali.