2015
Le basi sociali
dei diritti dei bambini
Claudio
Baraldi
(Università di Modena e Reggio Emilia)
1. Le basi dei diritti dei bambini
Questo contributo propone un’interpretazione
sociologica delle basi dei diritti dei bambini. Secondo questa
interpretazione, nella dimensione sociale, le basi fondamentali dei
diritti sono di tre tipi: politica, giuridica e scientifica. La base
politica è data dalla decisione di emanare i diritti: la fondamentale
base politica dei diritti dei bambini è oggi la Convenzione sui Diritti
dell’Infanzia, varata dalle Nazioni Unite nel 1989, e ratificata in
quasi tutti i paesi del mondo.
La base giuridica dei diritti è volta a garantirne
l’attuazione: è fondamentale anzitutto perché permette di sanzionare la
violazione dei diritti, rendendo così possibile la loro rivendicazione.
Il sistema giuridico non può tuttavia garantire l’attuazione dei
diritti, sia perché la rivendicazione e la sanzione non impediscono,
bensì seguono, la violazione dei diritti, sia perché possono essere
troppo deboli per essere efficaci come deterrenti per la violazione dei
diritti.
La base dei diritti che più interessa in questo
contributo è quella scientifica. La base scientifica dei diritti dei
bambini è stata storicamente assicurata da tre discipline: la
psicologia, la pedagogia e la sociologia. La psicologia e la pedagogia
si sono occupate delle condizioni e degli obiettivi dello sviluppo e
della formazione del bambino, analizzando le basi individuali di
sviluppo e formazione e le condizioni dell’apprendimento che proiettano
il bambino in un futuro di individuo formato e competente. Per lungo
tempo, la sociologia ha adottato una prospettiva analoga, che si
rispecchia nel concetto di socializzazione (ad es., Parsons & Bales
1974), riguardante i condizionamenti sociali dello sviluppo e della
formazione del bambino: il concetto di socializzazione definisce quindi
le condizioni sociali dell’apprendimento individuale.
La sociologia dell’infanzia, apparsa negli anni
Ottanta del Ventesimo secolo (v. James et al. 1998; James & James
2008), ha cambiato il significato dell’analisi dell’infanzia: i bambini
non sono osservati per il loro sviluppo, la loro formazione o il loro
apprendimento, bensì come attori sociali capaci di assegnare
significati a ciò che li circonda, e come agenti sociali capaci di
modificare il contesto in cui agiscono. La sociologia dell’infanzia ha
così evidenziato l’importanza della partecipazione sociale dei bambini
(ad es. Baraldi & Iervese 2012; Clark & Percy-Smith 2006; Prout
et al. 2006; Shier 2001; Sinclair 2004; Wyness 2013).
È dunque possibile osservare importanti differenze
nella concezione dei diritti dei bambini nei diversi approcci.
Anzitutto, le basi dei diritti possono essere fissate nell’individuo
(psicologia e pedagogia), oppure nella società (sociologia). In secondo
luogo, le basi sociali dei diritti possono essere osservate
nella socializzazione, oppure nella partecipazione sociale. Queste
differenze sono inoltre attraversate da un’ulteriore differenza, che
riguarda la dimensione temporale legata all’infanzia. Nella tradizione
psicopedagogica e della sociologia classica, sono importanti i tempi e
i ritmi dello sviluppo e della formazione dei bambini: l’importanza
assegnata all’età del bambino è legata all’identificazione di compiti
evolutivi, influenzati da specifiche condizioni sociali. L’età
biologica è quindi considerata un fattore vincolante per la definizione
dell’infanzia e del bambino, un fondamento “naturale” dell’infanzia. La
sociologia dell’infanzia osserva invece le norme d’età come
costruzioni sociali, storicamente variabili: in questa prospettiva, il
significato dell’età e dell’infanzia è una costruzione sociale e
storica. È su quest’ultima prospettiva che si concentrerà l’attenzione
nelle sezioni che seguono.
2. La convenzione dei diritti dei bambini delle
Nazioni Unite
La differenziazione dei significati assegnati ai
diritti dei bambini può essere colta anche nella sopra citata
Convenzione dell’ONU. Questa Convenzione identifica una serie di
diritti dei bambini.
-
Il diritto alla protezione compare
subito (art. 3), attraverso un richiamo esplicito all’impegno degli
Stati nel garantirlo. Il diritto alla protezione, e l’impegno dello
Stato nel garantirlo, compaiono in seguito a proposito della violenza
sui bambini (art. 9), della mancanza di un ambiente familiare (art.
20), della sicurezza sociale (art. 26), dello sfruttamento economico
(art. 32), dell’uso di stupefacenti (art. 33), dello sfruttamento
sessuale (art. 34), della vendita e della tratta (art. 35), di ogni
altra forma di sfruttamento (art. 36), della privazione della libertà e
della tortura (art. 37). Il diritto alla protezione è inoltre
associabile anche ai vari diritti di bambini in situazioni di
particolari difficoltà: i bambini rifugiati (art. 22), disabili (art.
23), appartenenti a minoranze etniche (art. 30), coinvolti in conflitti
armati (art. 38), vittime di sfruttamenti o maltrattamenti (art. 39),
colpevoli di reati penali (art. 40).
-
Il diritto alla partecipazione include
la libertà di opinione e il diritto a essere ascoltati nelle pratiche
giudiziarie e amministrative (art. 12), il diritto alla libertà di
espressione (art. 13), il diritto alla libertà di pensiero (art. 14),
il diritto alla libertà di associazione (art. 15), il diritto alla
partecipazione alle attività ricreative, culturali e artistiche (art.
31). Possiamo inoltre associarvi il diritto all’informazione
(art. 17).
-
I diritti a condizioni di vita adeguate allo
sviluppo e all’educazione sono riassunti in un numero ridotto
di articoli (artt. 27, 28, 29), ma sono molto importanti.
-
Altri diritti importanti dei bambini riguardano
la salute (art. 24) e la terapia (art. 25).
-
Tutti questi diritti possono essere associati al
diritto ad ottenere servizi adeguati (art. 18).
L’impalcatura della Convenzione unisce (1) il
richiamo a una condizione di debolezza o pericolo dei bambini nel loro
presente, proiettando così il bambino in un futuro migliore
(protezione, sviluppo/educazione, salute/terapia) e (2) un’attenzione
inedita per la loro partecipazione nel presente. Questo secondo aspetto
della Convenzione è coerente con l’analisi della sociologia
dell’infanzia sulla partecipazione sociale dei bambini: l’analisi della
partecipazione può quindi proporsi come una base scientifica importante
per capire i diritti dei bambini.
3. La base sociale dei diritti: l’agency
La partecipazione sociale può essere intesa come
partecipazione alla comunicazione, con adulti e altri bambini (Baraldi
2015). La comunicazione è osservabile come combinazione di azione,
comprensione e informazione (Luhmann 1990). L’informazione è
costruita sulla base congiunta di azione e comprensione: l’informazione
non può essere soltanto prodotta attraverso un’azione, né può essere
soltanto compresa; sono necessarie sia l’azione, che produce
informazione, sia la comprensione che la rende “comunicata”. La
comprensione, inoltre, non riguarda soltanto l’informazione, ma anche i
motivi o le intenzioni dell’azione: la realizzazione della
comunicazione richiede che sia chiarito il significato dell’agire.
Senza comprensione, dunque, non si realizza la comunicazione: tuttavia,
la comprensione è resa visibile nella comunicazione soltanto attraverso
una nuova azione. Pertanto, l’azione, benché non realizzi da sola la
comunicazione, è altrettanto essenziale della comprensione perché si
abbia comunicazione.
Su questo sfondo, partecipazione sociale può
significare sia azione, sia comprensione: tuttavia, soltanto la
partecipazione come azione è visibile nella comunicazione, e può essere
osservata come partecipazione “attiva”. La partecipazione attiva si
realizza nei diversi sistemi sociali che coinvolgono i bambini: è però
evidente che partecipare attivamente non significa di per sé avere un
peso importante nella comunicazione. Il concetto di “agency” (ad
es., Bjerke 2011; James 2009; Valentine 2011), adattato dalla
sociologia generale (Giddens 1984) indica una forma di particolare
partecipazione che manifesta autonomia nell’azione, cioè una scelta
tra azioni possibili, che promuove un cambiamento sociale (Baraldi
2015). In tal senso, il diritto alla partecipazione non è sufficiente a
garantire importanza all’azione dei bambini: soltanto il diritto all’agency
può essere considerato una base sociale fondamentale dei diritti dei
bambini perché consente loro di partecipare attivamente alla scelta e
al cambiamento delle condizioni sociali delle loro azioni ed esperienze
(Baraldi & Iervese 2015).
Il diritto all’agency combina scelta e
conoscenza: il diritto alla scelta richiede il riconoscimento di una
responsabilità nella produzione di conoscenza. L’attribuzione di un
diritto alla scelta è dunque subordinata all’attribuzione di diritti e
responsabilità nella produzione di una conoscenza autonoma. Per questo
motivo, l’agency si manifesta anzitutto come autorità
epistemica, cioè come diritto e responsabilità nell’accesso e nella
produzione di conoscenza (Heritage & Raymond 2005): il diritto
all’accesso e alla produzione di conoscenza precede e condiziona il
diritto alla scelta.
4. Il sistema educativo e il diritto all’agency
Il diritto all’agency rende evidente un
paradosso fondamentale (Baraldi 2015): il diritto all’agency dei
bambini può affermarsi soltanto in base ad azioni degli adulti che
riconoscano il significato e l’importanza delle produzioni di
conoscenza e delle scelte dei bambini. La strutturazione della società,
basata sulle norme di età, non permette infatti ai bambini di acquisire
da soli il diritto all’agency: hanno bisogno che
gli adulti lo promuovano (v. anche Wyness 2013). Nei sistemi sociali,
il diritto all’agency deve quindi essere promosso attraverso le
azioni degli adulti.
I sistemi sociali, ad esempio, il sistema giuridico,
il sistema educativo, il sistema politico, le famiglie, sono
determinati dai processi di comunicazione (Luhmann 1990). I sistemi
sociali sono basati su strutture specifiche, che fissano le condizioni
(o la mancanza di condizioni) dell’agency nella comunicazione.
In generale, nei sistemi sociali, la struttura della comunicazione tra
adulti e bambini è gerarchica, perché basata sulle norme di età e
sull’importanza assegnata allo sviluppo e alla socializzazione. Si
tratta del cosiddetto “ordine generazionale” (Alanen 2009), che
caratterizza le relazioni tra adulti e bambini: in base a questa
struttura gerarchica della comunicazione, il diritto all’agency
è attribuito all’adulto, per la sua superiore autorità epistemica.
L’esempio più importante di costruzione di un ordine
generazionale è dato dal sistema educativo. Nel sistema educativo, si è
prodotta storicamente una struttura gerarchica che si basa
sull’attribuzione di una diversa autorità epistemica a insegnanti e
studenti. Questa struttura gerarchica si manifesta: 1) nella
distinzione fondamentale tra azione corretta e azione sbagliata dello
studente, e nella corrispondente valutazione da parte dell’insegnante;
2) nella distinzione tra ruoli di prestazione come insegnamento e
valutazione e ruoli di prestazione come dimostrazione
dell’apprendimento; 3) nelle aspettative di apprendimento riferite
esclusivamente allo studente (aspettative cognitive), sostenute
all’occorrenza da aspettative di normazione del suo comportamento
(aspettative normative).
Questa struttura gerarchica è il presupposto della
realizzazione di interazioni in classe, che sono state osservate in
numerose ricerche come caratterizzate da una sequenza di tre azioni: 1)
avvio dell’interazione da parte dell’insegnante (spesso attraverso una
domanda); 2) risposta dello studente; 3) valutazione dell’insegnante
(ad es. Mehan 1979; Walsh 2011).
La crescente importanza della partecipazione dei
bambini nella società ha prodotto cambiamenti importanti nel sistema
educativo. Un cambiamento particolarmente importante è rappresentato
dall’affermarsi di metodi di facilitazione della partecipazione dei
bambini alla comunicazione. Il concetto di facilitazione è stato
introdotto nel sistema educativo dallo psicologo statunitense Carl
Rogers (1969), con l’obiettivo di promuovere la democrazia in classe e
i diritti degli studenti a partecipare attivamente alla propria
formazione. La facilitazione della partecipazione alla comunicazione si
è successivamente diffusa sia come metodo didattico (Walsh 2011), sia
per il trattamento dei problemi relazionali nelle classi scolastiche
(Graham & Fitzgerald 2010; Hendry 2009). In queste prospettive,
tuttavia, il rapporto tra facilitazione della partecipazione e
facilitazione dell’apprendimento rimane ambiguo.
La facilitazione può essere considerata uno sviluppo
importante nella promozione del diritto all’agency, quindi anche
nella realizzazione del paradosso di un’azione dell’adulto che rende
possibile l’agency dei bambini. Tuttavia, la facilitazione può
promuovere il diritto all’agency soltanto se sostituisce:
1) la valutazione della correttezza della prestazione del bambino con
la promozione di una partecipazione attiva equamente distribuita in
classe; 2) la priorità dei ruoli di prestazione con la priorità delle
espressioni personali; 3) la priorità delle aspettative cognitive (di
apprendimento) con la priorità delle aspettative affettive (di
espressione personale).
Sulla base di queste condizioni, la facilitazione
può essere una metodologia di promozione del diritto all’agency,
poiché promuove: 1) una partecipazione attiva equamente distribuita tra
adulti e bambini; 2) l’empowerment dell’espressione personale
dei bambini; 3) la manifestazione di sensibilità per l’espressione
personale dei bambini; 4) le narrazioni dei bambini, che possono anche
“interrompere” e contraddire le narrazioni avviate e impostate dagli
adulti.
La facilitazione così intesa può quindi incrementare
l’autorità epistemica attribuita ai bambini in due modi: da una parte,
il coordinamento del processo comunicativo da parte del facilitatore
può creare opportunità di partecipazione attiva dei bambini; dall’altra
parte la promozione della comunicazione tra bambini, da parte del
facilitatore, può spostare l’autorità epistemica verso i bambini, che
diventano agenti della scelta e del cambiamento. In questa sede, si
rinvia ad altri saggi per un’analisi empirica di metodi di
facilitazione (Baraldi 2014a, 2014b, 2014c, 2015; Baraldi & Farini
2014; Baraldi & Iervese 2015)
5. Conclusioni: sociologia dell’infanzia e
diritti dei bambini
In sintesi, la sociologia dell’infanzia, in modo
particolare se e quando viene applicata all’analisi della comunicazione
tra adulti e bambini nei sistemi sociali, produce alcuni risultati
interessanti per l’analisi dei diritti dei bambini. In estrema sintesi
i risultati sono i seguenti.
-
Il cambiamento della dimensione temporale in cui
sono collocate le basi dei diritti dei bambini: dalla proiezione nel
futuro alla partecipazione nel presente.
-
La definizione delle condizioni sociali dei
diritti dei bambini nella partecipazione e nella comunicazione.
-
La definizione dell’agency come
fondamento dei diritti dei bambini, in quanto forma specifica di
partecipazione che manifesta scelte e produce cambiamenti nei processi
di comunicazione, e il corrispondente diritto all’agency come
fondamento sociale dei diritti dei bambini.
-
La descrizione delle strutture gerarchiche di
comunicazione, basate sulle norme di età, come vincolo dei diritti dei
bambini, in quanto limitano il diritto all’agency (ordine
generazionale).
-
La descrizione dei modi (paradossali) in cui gli
adulti possono promuovere il diritto all’agency, anzitutto
attraverso metodi di facilitazione della partecipazione alla
comunicazione.
-
L’analisi empirica della metodologia della
facilitazione.
Su questo sfondo, due domande importanti attendono
ancora risposte significative e convincenti. Quali sono i limiti del
diritto all’agency nei diversi sistemi sociali e nella società
in generale? Il diritto all’agency, oltre che una condizione
necessaria, è anche una condizione sufficiente per assicurare in ogni
circostanza sociale (ad es. in condizioni di particolare difficoltà) i
diritti dei bambini?
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