2015

La tutela dei diritti dei minori e i Tribunali:

il diritto all’ascolto, tra teoria e prassi


Francesca Baraghini  
(Dottoranda di ricerca in Scienze giuridiche - Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia – svolge un'attività di collaborazione con l'Ufficio del Garante per l'infanzia e l'adolescenza della Regione Emilia Romagna)




PREMESSA

Una delle sfide principali contenute nella Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo è, “per le sue implicazioni in campo pedagogico giuridico e sociale, il diritto dei minori di età di esprimere liberamente la loro opinione sulle questioni che li riguardano, vale a dire il diritto all’ascolto”1. È certamente opportuno considerare il diritto all’ascolto, così come cristallizzato dall’art. 12 della Convenzione di New York, come una delle sfide principali della Convenzione, dal momento che la previsione dell’obbligo di ascolto del minore rappresenta, ad oggi, uno dei più significativi e rilevanti istituti finalizzati a garantire una effettiva tutela nei procedimenti di crisi della famiglia e idonei a concretizzare, di conseguenza, “il superiore interesse del bambino” (art. 3).

Il suddetto diritto muove dalla qualificazione dello status morale del minorenne, da cui discende l’esigenza che gli adulti, nelle decisioni che lo riguardano, abbandonino orientamenti intrinsecamente paternalistici incentrati unicamente sulla sua protezione e privi di spazi di autonomia per il minore2; il vero portato del diritto all’ascolto è da rinvenire nel paradigma interpretativo su cui esso si basa: il minore è considerato come un “soggetto attivamente coinvolto nel processo di costruzione della propria vita sociale e del mondo sociale che lo circonda”3. Il diritto del minore ad essere ascoltato, perciò, si deve declinare nello sforzo di decidere di recepire e di voler comprendere ciò che il minore vuole esprimere e comunicare, con il suono o anche con un’espressione del volto o del corpo4.



1. LA PRASSI DEI TRIBUNALI


Il diritto all’ascolto, così come sancito solennemente dall’articolo 12 della Convenzione, è stato recepito nel nostro ordinamento interno attraverso l’introduzione, con il decreto legislativo n. 154 del 2013, dell’articolo 336 bis c.c., rubricato precisamente “Ascolto del minore”: il sistema giudiziario italiano non può più, in conseguenza di ciò, sottrarsi dal garantire al minore l’efficace esercizio del diritto all’ascolto.

Sono tanti i profili sostanziali, elaborati sia dalla giurisprudenza, sia da esperti pedagogisti e psicologi, che devono essere rispettati per garantire con piena efficacia il diritto all’ascolto: il criterio della capacità di discernimento; il setting dell’audizione; la tempistica con cui procedere all’audizione; le modalità comunicative ed emotive relative alla conduzione dell’audizione nonché la fase preparatoria dell’audizione; si tratta di profili che impattano sulla prassi e l’esercizio del diritto all’ascolto e che, laddove non presi debitamente in considerazione, non permettono al soggetto minorenne di esercitare in pienezza il proprio diritto.

L’audizione, sebbene rappresenti certamente lo strumento processuale che offre al minore la possibilità di esercitare concretamente la sua posizione di soggetto di diritto, è senza dubbio l’istituto che presenta maggiori criticità e spesso comporta notevoli violazioni durante la fase di attuazione; la difficoltà dell’audizione del minore è da rinvenire, soprattutto, nel cambio di prospettive che si richiedono al giudice: egli non è più tenuto ad attribuire significato a quanto pronunciato dal minore, ma semplicemente a prenderne atto.

Le prassi giudiziarie mostrano una pervicace tendenza a non attribuire l’adeguato spazio all’ascolto del minore; sono emblematiche le risposte fornite nel 2001 da un campione di magistrati nell’ambito di un questionario dell’Associazione Nazionale Magistrati in una ricerca sulle prassi nelle cause di separazione e divorzio5. Nella fase presidenziale dei procedimenti di separazione, i figli minori vengono sentiti spesso soltanto dal 6% degli intervistati, raramente dal 74%; mai dal 16%; il residuo 4% si riferisce a mancate risposte. L’ascolto avviene sempre in maniera protetta nel 3,7% del campione; spesso nel 3,7%; raramente nel 14,8%; mai nel 77,8%. All’interno della fase di trattazione l’ascolto del minore avviene raramente da parte dell’88,6% del campione; mai da parte del 4,5%. I motivi per cui il giudice dispone l’ascolto sono vari: il motivo più ricorrente è rappresentato dall’opportunità ai fini della decisione sull’affidamento; solo il 4,3% indica come motivo quello di considerare il punto di vista del minore di età inferiore ai dodici anni. L’impatto della Convenzione di New York, sotto questo profilo, è stato pressoché nullo nelle prassi giudiziarie.

Particolari condizioni normative, ad oggi, si pongono di ostacolo ad un’applicazione corretta ed efficace dell’audizione del minore; innanzitutto, la disposizione normativa che disciplina l’ascolto del fanciullo, per quanto abbia il merito di aver finalmente previsto in maniera organica e sistematica l’applicazione di tale istituto, si dimostra sostanzialmente carente nel fornire indicazioni specifiche circa la conduzione dell’audizione: si tratta di una carenza tale da determinare una frequente e rilevante scorretta applicazione e conduzione dell’ascolto.

Da ultimo, dall’analisi dell’istituto dell’audizione del minore si evidenzia come sia stato completamente affidato agli operatori del diritto (magistrati, avvocati, cultori della materia e tutti coloro che con professionalità prestano il loro servizio nella gestione della giustizia minorile) il “compito di interpretare le norme e di tracciare dei criteri guida perché la partecipazione del minore al processo possa avvenire secondo un principio di minima offensività, nel pieno rispetto dei suoi diritti e della sua personalità e dei principi stabiliti nelle convenzioni internazionali”6.

Nonostante la sistematica violazione, sia per quanto concerne l’an sia il quomodo, continua ad essere evidenziata l’importanza dell’effettivo godimento del cosiddetto diritto all’ascolto - manifestazione, al contempo, della libertà di espressione e del diritto di partecipazione - che presuppone, da parte di tutti coloro che “in un modo o nell’altro agiscono per i bambini o in loro nome”, atteggiamenti volti a superare il timore sia di attribuire ai minori troppo potere, sia di trasferire “le responsabilità decisionali degli adulti ai bambini”7.



2. UNA PROSPETTIVA DI MIGLIORAMENTO


Così come inquadrato nella prospettiva sinora rappresentata, il diritto all’ascolto dell’opinione del minore acquista una pregnanza decisamente significativa nella relazione - “complicata”8 - tra diritti e bambini. La rilevanza nella teoria attiene alla soggettività del minore, considerato in grado di esprimere un’opinione che deve essere “debitamente” presa in considerazione; la rilevanza nella prassi e nell’esercizio attiene all’efficacia e all’attuazione del diritto.

Prendendo sul serio il profilo attuativo del diritto, si propone in questa sede una possibile prospettiva di miglioramento adattando l’applicazione della normativa ISO 9000, con particolare riferimento alla prevenzione del rischio giuridico. Il ricorso alla prevenzione e gestione del rischio, così come evidenziato in relazione all’esempio pratico dell’audizione del minore, può determinare un progresso nell’efficacia della tutela del minore attraverso una conoscenza preventiva e profonda dei profili di rischio, così da permettere all’autorità giudiziaria di evitare un danno per il minore.

In particolare, la gestione del rischio può essere definita come l’insieme di tutte quelle attività che permettono di prevenire errori o di gestire al meglio gli errori che avvengono; essa è composta sostanzialmente da due fasi: la prevenzione del rischio e la reazione all’evento, necessariamente finalizzate non solo a ridurre al minimo gli effetti negativi ma anche ad evitare che tale evento si ripeta.

L’operazione di analisi del rischio ha l’obiettivo di individuare i pericoli, misurarli e trasformarli in rischi che è opportuno trattare e dei quali è necessario approfondire la conoscenza della dinamica degli eventi scatenanti, in modo da pervenire alle cause prime o più vere che hanno provocato il realizzarsi di un evento dannoso9.

L’approccio metodologico più diffuso e standardizzato è rappresentato dalla tecnica FMEA (Failure Mode and Effect Analysis)10, una tecnica di individuazione attiva degli incidenti potenziali e della loro classificazione per priorità e gravità: è una procedura che permette al professionista di “non sbagliare” attraverso l’elaborazione di un sistema organizzativo11 che mette in conto la possibilità dell’errore e utilizza molteplici strumenti di correzione e prevenzione12.

In generale, il risultato che ci si attende dall’applicazione della FMEA è l’abbassamento del numero di comportamenti inappropriati e la riduzione dei danni nel corso di un determinato procedimento; prendendo in considerazione preventivamente tutti i possibili rischi, la FMEA consente di valutare obiettivamente la prassi applicativa di un istituto e fornisce un riferimento circa il comportamento atteso.

Con riferimento all’Italia, preme evidenziare come in alcuni contesti siano già stati definiti protocolli, linee guida e indicazioni su come applicare, nella prassi giudiziaria, quanto previsto a livello normativo in materia di audizione del minore; si segnalano in particolare: il “Protocollo sull’interpretazione e applicazione legge 8 febbraio 2005, n. 54 in tema di ascolto del minore, articolo 155 sexies”,elaborato dall’osservatorio civile di Milano, gruppo famiglia, sulla base di una bozza provvisoria redatta dalle associazioni Camera Minorile Aiaf; il protocollo per l’audizione dei minori nei procedimenti giurisdizionali redatto nel 2011 dal tribunale di Varese; il protocollo per l’ascolto del minore redatto dal tribunale di Messina nel 2012; le linee guida per l’ascolto del minore nelle separazioni e divorzi, redatto dall’Ordine degli psicologi del Lazio nel 2011-2012.

Le analogie fra l’approccio seguito nella predisposizione di questi documenti e quello delineato dalla tecnica FMEA sono numerose, in particolar modo per quanto riguarda l’individuazione dei profili di criticità presenti nell’audizione del minore; la differenza è però da individuare soprattutto nella metodologia seguita e nel grado di dettaglio che essa richiede. La FMEA introduce un livello di metodologia certamente più definito e standardizzato e si potrebbe porre come momento di sintesi proprio a partire dai documenti indicati, recependo le indicazioni e gli aspetti più qualificanti; il risultato ottenuto potrebbe portare ad una omogeneizzazione dei comportamenti al più elevato livello identificato e, quindi, ad una maggiore efficacia nella tutela del minore.

Calando questa impostazione nell’istituto dell’audizione del minore, si può procedere con l’individuazione di un primo profilo di rischio: l’inidoneità del luogo in cui questa viene posta in essere. Successivamente, questo viene misurato in termini di gravità (G) e frequenza (F) dell’evento13; il valore del prodotto (GxF) che si ottiene definisce il livello di rischio della fase/attività sapendo che la gravità è oggetto di valutazioni che sono strettamente connesse al valore assegnato dagli essere umani a quanto viene messo in pericolo o danneggiato, nonché alla considerazione di più ampi outcome a distanza.

Considerando il rischio connesso all’inadeguatezza del luogo in cui viene posta in essere l’audizione, un setting normale piuttosto che un setting normativo consente di evitare un impatto emotivo negativo sul minore. Il comportamento proposto per prevenire questo rischio può richiedere che l’audizione si svolga presso l’Ufficio Giudiziario competente in una apposita stanza del tribunale idonea ad accogliere un minore e appositamente preparata per l’ascolto dello stesso; l’ambiente deve essere idoneo a garantire il contradditorio e, al contempo, a preservare l’esigenza di salvaguardia del minore. Se l’audizione si tiene nella stanza del giudice, deve essere contenuto il numero dei partecipanti, onde evitare che il minore possa avvertire un clima di tensione; durante l’audizione del minore, i partecipanti devono astenersi dall’interloquire con i genitori. È necessario identificare con precisione i requisiti che la stanza deve possedere, anche in termini di arredamento; un’indicazione puntuale permette di evitare che la valutazione di appropriatezza risulti autoreferenziale. Se non si trova una stanza idonea all’interno della sede del tribunale, è auspicabile/necessario identificare un’aula al di fuori della sede principale del tribunale; per poter controllare la conformità del luogo, può essere richiesto, ad esempio, che nel verbale il giudice dichiari esplicitamente e preventivamente che la stanza utilizzata risponde ai requisiti previsti.



3. L’AUDIZIONE PER UNA TUTELA GLOBALE DEL MINORE


L’audizione del bambino ha precisi e rilevanti scopi all’interno della dinamica processuale: rappresenta una fonte di conoscenza della condizione del bambino e un’occasione di verifica della sua adesione o piuttosto del suo dissenso al progetto che lo riguarda; in particolare, l’ascolto diretto consente di “sentire” l’abbandono o il disagio del bambino, per poi individuare progetti che meglio si addicono alla sua condizione. L’ascolto del fanciullo, se ben praticato e ben valutato, consente al giudice “una valutazione critica dei documenti sociali o di polizia e delle testimonianze; costituisce il modo per comprendere meglio e per procedere ad una valutazione critica dei documenti e delle testimonianze”14.

Parallelamente agli scopi dell’audizione per il giudice, è opportuno sottolineare gli scopi che tale istituto ha per il minore stesso: il minore diventa compartecipe, consapevole e, al tempo stesso, protagonista del progetto che lo riguarda e del processo in cui è coinvolto; da un punto di vista psicologico, l’ascolto consente anche di dare risposta ad un bisogno effettivo di comunicare tutto ciò che il minore stesso pensa. In certi casi, specie dinnanzi a situazione di grave violenza o di abuso, il fanciullo incontra sollievo davanti ad un interlocutore che ragiona e riflette insieme a lui sulla sua condizione; in linea con ciò, infatti, gli assistenti sociali riconoscono come un ascolto ben condotto dal giudice possa avere anche una valenza terapeutica15.

La carica innovativa e il grande portato dell’istituto dell’audizione rischiano di essere “bruciati” dall’incapacità concreta di provvedervi; a questo proposito, l’approccio proposto potrebbe portare alla definizione di linee guida applicative con un contestuale elenco dei rischi e dei comportamenti attesi, in conformità con quanto previsto a livello legislativo; il risultato ottenuto, messo a disposizione delle istituzioni pubbliche e private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative e degli organi amministrativi potrebbe portare a definire, a livello nazionale, un percorso di miglioramento dell’esercizio dei diritti dei minori proprio a partire dalla registrazione di eventi avversi.

Nonostante le criticità sin qui evidenziate, l’audizione del minore si impone come uno strumento decisivo e fondamentale per realizzare quella “tutela globale”16 del minore al quale il nostro ordinamento aspira: l’art. 12 della Convenzione di New York può divenire realmente lo strumento principe con cui garantire la partecipazione attiva del minore nonché considerare, in ogni contesto, il suo preminente interesse.

Tuttavia, lo scarso ricorso all’audizione del minore nelle prassi giudiziarie, i rischi che possono derivare al minore da una distorta conduzione dell’audizione e la difficoltà nel delineare concreti criteri applicativi di tale istituto sono un “segnale indiscusso del fatto che ancora lungo è il percorso da fare per arrivare, nelle nostre aule di giustizia, ad una completa attuazione delle norme internazionali in tema di ascolto del minore” 17.




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1 L. FADIGA, “Il diritto all’ascolto delle persone di minore età. Introduzione alla ricerca”,in Relazione annuale delle attività svolte, Garante per l’infanzia e l’adolescenza della regione Emilia - Romagna, Bologna. 2013, p. 106.

2 P. RONFANI, “Le buone ragioni a sostegno della pratica dell’ascolto”, Minorigiustizia, 3, 2006, pp. 144-147, p. 146.

3 R. BOSISIO, Bambini e agire morale. Rappresentazioni delle norme e dei diritti nell’infanzia e nell’adolescenza, Milano, Guerini,2010, p. 28.

4 L. FADIGA, “Problemi vecchi e nuovi in tema di ascolto del minore”, Minorigiustizia, 3, 2006, pp. 132-143, p. 133.

5 Questi dati furono raccolti durante il Convegno “Viaggio nei procedimenti di separazione e divorzio”, svoltosi a Roma il 3 giugno 2003 e organizzato dall’Associazione Nazionale Magistrati.

6 G. CESARO, “L’ascolto del minore nella separazione dei genitori: dalle convenzioni internazionali alla legge sull’affido condiviso”, Leg. e Giust., 1, 2006, pp. 267-290, p. 288.

7 M. LÜCHER-BABEL, “Il diritto ad esprimere opinioni e ad essere ascoltato”, in V. BELOTTI, R. RUGGIERO (a cura di), Vent’anni d’infanzia. Retorica e diritti dei bambini dopo la Convenzione dell’Ottantanove, Milano, Guerini, 2008, pp. 152-172, p. 171.

8 I. FANLO CORTÉS, Bambini e diritti: una relazione complicata, Torino, Giappichelli, 2009, p. 5.

9 R. CINOTTI, La gestione del rischio nelle organizzazioni sanitarie, Roma, Pensiero scientifico editore, 2004, p. 136.

10 La FMEA rappresenta una tecnica sistematica per identificare e prevenire problemi prima che essi sorgano. La FMEA è stata sviluppata dalle forze armate statunitensi nel 1949, con lo scopo di classificare i guasti in base all’impatto sul successo della missione e sulla sicurezza del personale e degli equipaggiamenti; successivamente il suo utilizzo è stato esteso, nel 1960, alle missioni spaziali Apollo risalenti e, nel 1980, dalla casa automobilistica Ford per ridurre i rischi di un particolare modello di automobile. Ad oggi, è applicata in maniera diffusa in ambito aeronautico ed automobilistico; in ambito sanitario è divenuta una prassi consolidata. Si segnala, a titolo esemplificativo, il sussidio elaborato nel 2002 dalla Regione Emilia-Romagna per la gestione del rischio; esso contiene, come modello, l’utilizzo della tecnica FMEA nella divisione di ostetricia e nel consultorio di Carpi, azienda AUSL di Modena.

11 In estrema sintesi le fasi metodologiche della FMEA sono: identificazione del processo oggetto di analisi (o parti degli stessi); identificazione, descrizione delle attività ad esso connesse; identificazione delle modalità di errore; valutazione quantitativa dei potenziali pericoli individuati e analisi e determinazione dell’indice di priorità del rischio; identificazione delle azioni (preventive, migliorative, correttive) e delle misure per evitare il manifestarsi degli errori. Cfr.: FMEA – FMECA, “Analisi dei modi di errore / guasto e dei loro effetti nelle organizzazioni sanitarie”, Dossier , 75, 2002.

12 R. CINOTTI, La gestione del rischio nelle organizzazioni sanitarie, cit., p. 134.

13 A titolo esemplificativo, si procede con la seguente misurazione del rischio: Gravità: 3; Frequenza: 2; Livello di Rischio: 6.

14 P. PAZE’, “L’ascolto del minore”, Psicoanalisi e metodo, esperienze legislative a confronto, IV, 2004, pp. 57-89, p. 80.

15 Ivi, p. 81.

16 F. TOMMASEO, “Processo civile e tutela globale del minore”, Fam. e Dir., 6, 1999, pp. 583-589, p. 583.

17 G. CESARO, “L’ascolto del minore nella separazione dei genitori: dalle convenzioni internazionali alla legge sull’affido condiviso”, cit., p. 290.