2005

I diritti umani come politica e come ideale

Enrico Diciotti

Alla domanda «Che cosa sono i diritti umani?» si può rispondere in molti modi diversi e non necessariamente contrastanti. Una prima risposta di Ignatieff, che pienamente condivido, è che i diritti umani siano innanzitutto un linguaggio. Un linguaggio il cui uso è andato diffondendosi nella seconda parte del XX secolo - e che sperabilmente si diffonderà ancora -, con il quale possono essere formulate e giustificate richieste, affermazioni e obiezioni nei diversi campi della politica, della morale e del diritto (e anche in tutti questi campi nello stesso momento, considerando che il linguaggio dei diritti umani mette per l'appunto in discussione la separazione tra di essi).

Dire che i diritti umani costituiscono un linguaggio equivale a dire che per il tramite di essi possono essere formulate e giustificate richieste, affermazioni e obiezioni, relative a ciò che deve essere fatto o non deve essere fatto, con contenuti vari e contrastanti. E che queste stesse richieste, affermazioni e obiezioni potrebbero essere formulate e giustificate in altro modo: ad esempio, riferendosi ai comandi divini o al bene della comunità concepita come un organismo che trascende gli individui. E che i diritti umani possono trovare spazio tanto nell'invocazione del perseguitato che chiede giustizia, quanto nelle dichiarazioni dei potenti, cioè in discorsi provvisti di differente forza illocutoria e diversissimi effetti perlocutori. E, infine, che questi diritti possono essere richiamati a proposito e a sproposito, per fini nobili ed ignobili, in affermazioni che esprimono le effettive convinzioni del parlante o nelle affermazioni mendaci dell'ipocrita.

Il linguaggio dei diritti umani, in quanto serve per dire cose che potrebbero anche essere dette altrimenti, non è migliore né peggiore di altri possibili linguaggi della morale, del diritto e della politica. Ma questo linguaggio ha qualche caratteristica che lo rende diverso da altri e - almeno dal mio punto di vista - migliore di questi. Queste caratteristiche, messe in evidenza da Ignatieff, sono l'universalismo e l'individualismo. L'individualismo si presenta in varie forme (individualismo ontologico, metodologico, morale), ma di esso è qui interessante solo il seguente aspetto: l'aspetto per cui le comunità umane sono semplici aggregati di individui, tanto più buone quanto migliore è in esse la vita degli individui che le compongono, e che noi possiamo quindi avere doveri verso gli altri, ma non verso una società, una cultura o qualsiasi altra entità sovraindividuale. L'universalismo implica che i diritti, così come i doveri che ad essi corrispondono, appartengono non solo ai membri di una comunità, ma a tutti gli esseri umani (il fatto che l'altra faccia dell'universalità dei diritti sia l'universalità dei doveri che ad essi corrispondenti rimane spesso in ombra, ma è piuttosto rilevante).

L'affermazione che i diritti umani costituiscono un linguaggio, seppure di tipo particolare, consente però di cogliere solo una parte degli aspetti rilevanti. Non credo infatti che si possa sostenere che i diritti umani possono essere invocati per formulare richieste, affermazioni e obiezioni provviste di qualsivoglia contenuto. La famiglia dei diritti umani è ampia o non precisamente delimitata, ma non è possibile includere in essa qualunque cosa. Indubbiamente i testi costituzionali del diritto interno e i testi dei trattati internazionali in cui trovano riconoscimento i diritti umani sono spesso vaghi e sfuggenti, e provvisti di contenuti almeno in parte contraddittori; ma mi sembra difficile sostenere che siano tanto vaghi e sfuggenti, e tanto contraddittori, da poter essere intesi in qualsiasi modo e da poter giustificare qualsiasi conclusione. A ragione, dunque, Ignatieff sostiene che i diritti umani tracciano le linee di una società in cui tutti gli individui hanno quel minimo di capacità d'azione che consente ad essi di autodeterminarsi, di perseguire i propri progetti di vita e la propria concezione del bene.

Si tratta di una concezione dei diritti umani che, per almeno due ragioni, può essere detta "minimalista". La prima ragione è che in essa i diritti umani danno semplicemente forma a uno spazio pluralista, in cui gli individui possono vivere in un'ampia varietà di modi, conformemente ai propri desideri, alle proprie ideologie e alle proprie credenze religiose. La seconda ragione è che in essa i diritti umani, in quanto non si identificano in una particolare concezione della vita buona, ma realizzano i presupposti per il perseguimento di una grande varietà di concezioni della vita buona, possono costituire la base minima di un consenso che raccolga individui provvisti di differenti desideri, ideologie e credenze religiose.

Il consenso sui diritti umani, peraltro, può essere soltanto un consenso in linea di massima. Come infatti nota lo stesso Ignatieff, la vaghezza di questi diritti e il loro carattere spesso contraddittorio può dar luogo a disaccordi su ciò che essi davvero richiedano. Nessun diritto è precisamente determinato, con la conseguenza che possono sorgere - e spesso sorgono - controversie sulla sua esatta estensione. Nessun diritto, inoltre, è assoluto, poiché ciascuno deve armonizzarsi con altri diritti concorrenti, con la conseguenza che possono sorgere - e spesso sorgono - controversie sui casi in cui esso deve o non deve essere rispettato. E non si deve poi dimenticare che tanto più controversi possono essere i modi in cui, in concreto, la politica e il diritto dovrebbero atteggiarsi per garantire effettivamente i diritti umani.

Dunque, così come condivido l'immagine parzialmente realista dei diritti come linguaggio tipico di un'epoca, condivido anche l'immagine liberale e rawlsiana dei diritti come insieme di requisiti minimi per la convivenza in una società pluralista. Mi sembra però che vi sia anche un'altra dimensione dei diritti umani che meriti di essere messa in luce: si tratta della dimensione in cui i diritti umani prefigurano una società ideale di liberi ed eguali.

Se i diritti umani indicano le condizioni in cui gli individui hanno la possibilità di autodeterminarsi, individualmente e collettivamente, indicano allora i beni essenziali di cui tutti dovrebbero godere in una società giusta, o nella migliore delle società. Da questa prospettiva, sebbene appaiano ancora come un "minimo" in relazione alle differenti concezioni del bene di una società pluralista, possono essere concepiti come un "massimo" dal punto di vista di ciò che può essere ottenuto tramite la politica e il diritto.

Si potrebbe dire che porre un'enfasi eccessiva su questo "massimo" delle prestazioni che i diritti umani richiedono alla politica e al diritto è piuttosto rischioso, perché potrebbe far sì che i diritti umani divenissero, da terreno di consenso e di intesa, terreno di aspri conflitti politici. Data la vaghezza e la contraddittorietà dei diritti umani, essi sembrano infatti poter essere piegati a fornire un sostegno alle più diverse dottrine politiche. Sembra cioè che la società in cui i diritti umani sono pienamente, o al meglio, garantiti a tutti gli individui possa apparire nelle forme più svariate a coloro che aderiscono a ideologie politiche differenti. Tre sono però le osservazioni da fare a questo riguardo.

La prima osservazione è che le controversie che possono accompagnarsi alla configurazione della società ideale dei diritti sono semplicemente un'estensione delle controversie che si accompagnano ad ogni uso dei diritti umani. Lo stesso Ignatieff ammette, come ho già ricordato, la possibilità di profondi disaccordi quando si tratti di precisare l'estensione dei diritti, di risolvere le antinomie tra di essi e di individuare gli strumenti politici e giuridici adeguati per la loro tutela. Compiere queste operazioni, d'altra parte, comporta già prefigurare in qualche misura i caratteri e le linee di una società in cui i diritti umani siano tutelati pienamente, o nel miglior modo possibile.

La seconda osservazione è che i caratteri di una società ideale dei diritti divengono tanto più precisi quando non si restringa arbitrariamente, così come sembra fare Ignatieff, l'insieme dei diritti umani ai soli diritti di libertà. In effetti Ignatieff in alcuni passi del suo libro afferma che i diritti umani non sono necessariamente coerenti con il progetto neoliberista che in questo momento sta cercando di imporsi su scala pianetaria, poiché possono costituire valide risorse per opporsi alle politiche dell'ambiente e della manodopera delle grandi imprese multinazionali. Ma esprime poi abbastanza chiaramente l'idea che i diritti umani consistano in libertà negative, alla maniera in cui queste sono state rappresentate da Isaiah Berlin. Ebbene, vi è più di una ragione per considerare del tutto arbitraria una posizione di questo genere. Una prima ragione è che tra i diritti umani presenti nelle costituzioni statali e nei trattati internazionali hanno largo spazio anche i cosiddetti diritti sociali, che potrebbero essere complessivamente considerati come diritti a un'equa distribuzione delle risorse necessarie per ottenere o mantenere beni primari come l'istruzione, la salute e la vita stessa. Un'altra ragione è che conferire diritti di libertà a individui ai quali non sono garantiti questi beni primari è poco più di una beffa. Un'altra ragione ancora è che le stesse idee che sono in genere poste a fondamento dei diritti umani rendono poco ragionevole l'esclusione dei diritti sociali dal novero dei diritti umani: ciò vale sia in riferimento a idee non condivise da Ignatieff, come ad esempio quella della sacralità degli esseri umani o della loro eguale dignità, sia in riferimento a idee che Ignatieff si mostra maggiormente propenso ad accettare, come quelle che forniscono ai diritti umani una giustificazione prudenziale. Infatti, tanto per fare un esempio, non sembrerebbero molto prudenti quegli individui che garantissero a se stessi alcuni diritti di libertà per il fatto che - come dice Ignatieff - dove questi vengano a mancare la vita stessa può essere in pericolo, senza però garantirsi un accesso alle cure mediche o ai medicinali che possono risultare necessari per conservare la vita.

La terza osservazione è che i conflitti tra i diritti umani sono indubbiamente considerevoli, ma minori di quanto spesso si mostri di credere. In particolare, si deve ritenere priva di qualsiasi fondamento, almeno se ci poniamo sul piano concettuale, l'idea spesso presente sullo sfondo delle discussioni sui diritti umani secondo cui vi sarebbe un'incompatibilità tra i diritti di libertà e i diritti sociali. Volendo mettere in evidenza un aspetto solitamente ignorato, si può infatti affermare che i diritti di libertà e i diritti sociali sono, almeno sotto un certo profilo, dello stesso genere, in quanto consistono essenzialmente in diritti all'uso o al consumo di beni, o di una certa quota della ricchezza sociale. Che lo siano i diritti sociali è considerato ovvio, perché è palese che sono necessarie risorse per assicurare, a tutti o ai meno abbienti, in forma gratuita o a un prezzo più basso di quello di mercato, un'istruzione o determinate cure mediche. Ma diviene evidente che lo siano anche i diritti di libertà quando si noti che un soggetto può essere libero di compiere una qualsiasi azione soltanto se è libero di utilizzare i beni necessari per compierla: beni che possono consistere, a seconda del tipo di azione, unicamente nello spazio fisico necessario per compierla, o anche negli strumenti necessari per questo stesso fine. Gli spazi e i beni necessari per garantire i diritti di libertà e i diritti sociali devono essere sottratti alla proprietà privata e al libero mercato, in modo da essere resi disponibili a tutti in una qualche forma adeguata, cioè come beni pubblici o come beni assicurati separatamente a ogni singolo individuo. Pertanto, sia i diritti di libertà sia i diritti sociali concordemente richiedono un trasferimento di risorse dal mercato alla dimensione del pubblico o del comune; i contrasti che si danno tra questi diritti sono essenzialmente contrasti che si danno, quando i beni siano scarsi, tra esigenze diverse di impiego di risorse limitate. Le sole libertà che si oppongono a questa dimensione pubblica o comune sono la proprietà privata e la libertà di iniziativa economica, cioè le libertà economiche connaturate al libero mercato.

Pertanto, i diritti umani, comprensivi sia dei diritti di libertà sia dei diritti sociali, suggeriscono l'idea di una società in cui il mercato sia sottoposto a drastici limiti, o sia addirittura assente, e in cui tutti gli individui abbiano l'effettiva possibilità di progettare la propria esistenza, godendo delle stesse libertà fondamentali e di una base di risorse materiali sufficienti per l'effettiva titolarità di tali libertà e per la soddisfazione di altre esigenze primarie, come la salute e l'istruzione. Una società tendenzialmente libera ed egualitaria.

Se si mette in rilievo che l'universalità dei diritti umani implica una società libera ed egualitaria a livello planetario, diviene evidente che seguire i diritti umani nella loro dimensione ideale conduce nel regno dell'utopia. Si può infatti ragionevolmente ritenere che la società dei diritti umani pienamente tutelati sia irrealizzabile, o almeno che la possibilità della sua realizzazione sia estremamente remota. Tuttavia, un'utopia indica un obiettivo forse irraggiungibile, ma che può orientare l'azione politica quotidiana e, di fatto, l'azione politica quotidiana orientata dei diritti umani è già orientata da tale utopia.

Non si tratta peraltro di un'utopia in senso proprio. Perché i diritti umani di per sé non indicano un preciso progetto di costruzione sociale, non forniscono un'immagine minimamente nitida della società ideale. Una cosa mi sembra però evidente: deve trattarsi di una società in cui il potere è soggetto a forti vincoli o si dissolve completamente, si tratti del potere politico di un'aristocrazia o di una maggioranza o del potere economico che ogni privato può acquisire nel libero mercato.