2009

Introduzione: esemplarità e politica
Discutendo La forza dell'esempio. Il paradigma del giudizio di Alessandro Ferrara

Leonardo Marchettoni

Con La forza dell'esempio (1) Alessandro Ferrara prosegue un percorso teorico iniziato con Modernità e autenticità e continuato con Autenticità riflessiva e con Giustizia e giudizio (2). È ovvio che nel corso dei quasi venti anni che separano questa ultima tappa dal primo tassello del percorso molte cose sono cambiate. Al tempo stesso, il progetto filosofico di Ferrara ha conservato un'invidiabile coerenza e unità di intenti. Il centro di questo progetto consiste in una riflessione sulle trasformazioni che l'avvento della modernità comporta sulle nozioni di autenticità e di validità normativa. Si tratta quindi di una tematica non solo profondamente attuale ma anche radicata nel dibattito contemporaneo europeo e nordamericano.

Il nucleo concettuale della proposta teorica di Ferrara viene sviluppato nel primo capitolo del libro. In queste pagine viene introdotta una teoria pluralista della validità normativa. Lo scenario di sfondo è il passaggio dal paradigma del giudizio determinante, caratterizzato dal triplice sigillo dell'oggettività, universalità e comunicabilità ma ormai screditato definitivamente dalla svolta linguistica, al paradigma del giudizio riflettente, basato sul modello della validità esemplare. Ferrara rintraccia il prototipo di questo paradigma nel Kant della terza Critica (3). Al tempo stesso, tuttavia, ritiene che il modello della validità esemplare necessiti di una fondazione più accurata di quella elaborata dal filosofo tedesco. A questo proposito, Ferrara delinea due strategie fondazionali: la prima consiste in un "ispessimento ermeneutico" della nozione di senso comune, vale a dire nella considerazione del rilievo essenziale dei contesti di valutazione nella formulazione dei giudizi di valore. Questa risposta è, però, più parte del problema che della sua soluzione. A essa si contrappone un secondo modello di risposta, in pratica, quello sviluppato da Kant nella sua "Deduzione dei giudizi estetici". Questa soluzione consiste in una naturalizzazione del senso comune, che diventa parte del corredo della nostra comune natura umana, di modo che l'aspettativa di uniformità dei giudizi riflettenti viene collegata al corretto funzionamento di una universale facoltà umana.

Questi due tentativi di risposta sono entrambi insoddisfacenti, per opposte ragioni, dal momento che il primo evita l'ipostatizzazione della natura umana al prezzo di una ricaduta nel contestualismo e della rinuncia a una genuina universalità, mentre il secondo assicura l'universalità dei giudizi ma solo come controparte di un resoconto sostantivo - come tale, non necessariamente condivisibile - della natura umana. Ferrara tratteggia, tuttavia, una terza strada che dovrebbe assicurare l'universalità senza abbracciare il naturalismo. Questa soluzione prende le mosse dalla constatazione che esiste un vasto orizzonte di credenze universalmente condivise riguardo a ciò che fa fiorire e ciò che mortifica le nostre umane esistenze. Sulla base di questa universale saggezza pratica è possibile, sostiene Ferrara, costruire le basi di una concezione autenticamente universale della giustizia politica. Si tratta di una concezione che riconduce "l'universalismo della giustizia a un giudizio riflettente orientato che verte sui requisiti della realizzazione di un'identità sovraordinata" (p. 62, corsivo nel testo), coincidente con l'intersezione delle prospettive degli attori in gioco. In questo modo l'ideale della giustizia viene a consistere in un "universale concreto" variabile storicamente in relazione ai sistemi concettuali adottati dai soggetti che di volta in volta si incontrano (si scontrano).

Nei capitoli successivi Ferrara mette alla prova questa concezione della normatività esemplare in una serie di contesti differenti. Nel secondo capitolo Ferrara la impiega per discutere la teoria del giudizio politico di Hannah Arendt e la nozione di esemplarità messa in campo dalla filosofa tedesca. Nel terzo, l'oggetto è la concezione rawlsiana di ragione pubblica. Ferrara riconosce nella nozione di ragionevole, messa in campo da Rawls a partire da Liberalismo politico (4), un'antesignana del proprio concetto di validità esemplare, sostenendo che la forza del ragionevole non è la forza di un'astratta legge morale ma è la forza di ciò che è esemplare, nel senso di ciò che è congruente con la propria identità situata. Il quarto capitolo, invece, è dedicato all'esplorazione del tema del male radicale come esemplarità negativa. In questa discussione Ferrara impiega anche la concezione durkheimiana del sacro, sostenendo che, mentre il sacro esemplifica il nostro meglio, il male radicale costituisce un'esemplificazione di noi al nostro peggio.

Il quinto capitolo tratta della specificità del modello di governo repubblicano. Ferrara sostiene che ciò che distingue la tradizione repubblicana da quella liberale non è collegato a una differenza tra libertà positiva e negativa, come argomentato, fra gli altri, da Philip Pettit (5), ma consiste nel concetto di normatività situata cui fanno riferimento i teorici repubblicani, in contrasto con la tendenza liberale a fare ricorso a principi generali e astratti. Particolarmente importanti, a mio avviso, sono i successivi capitoli sesto e settimo, in cui Ferrara tenta di applicare la propria teoria giudizialista della giustizia all'ambito dei diritti umani. In questo campo, il discorso di Ferrara muove da una critica alle teorie di Rawls e Habermas per approdare a un'originale rilettura delle categorie della filosofia del diritto hegeliana. Il nucleo fondamentale della sua proposta teorica consiste nell'idea che il "punto di vista dell'umanità" funziona come un presupposto logico che permette il confronto tra diverse culture e diverse concezioni del valore. Entro questa prospettiva i diritti umani detengono una posizione cardine proprio in forza del loro carattere esemplare di lessico minimo sulla base del quale vengono articolate le attribuzioni di valore. Questa centralità si coniuga all'espansione attualmente in corso dell'identità globale attraverso fenomeni come la globalizzazione dei mercati e dell'industria culturale. Congiuntamente, questi due fenomeni definiscono i due versanti, ideologico e istituzionale, di un percorso in atto verso la definizione di un ordine cosmopolitico in nuce. Tuttavia, Ferrara sottolinea come non sia verosimile assumere come riferimento l'intero catalogo dei diritti contenuti nella Dichiarazione Universale del 1948, dal momento che tale documento contiene anche norme particolarmente "esigenti", che attribuiscono diritti (come il diritto alle ferie retribuite) che possono essere soddisfatti solo quando il sistema sociale supera un certo livello di benessere. Questo limite potrebbe essere superato da nuova dichiarazione universale emanata da un'apposita Convenzione mondiale che definisse l'insieme dei diritti fondamentali che legittimano l'intervento oltre i confini della sovranità nazionale.

Gli ultimi due capitoli, per quanto maggiormente distanti dei precedenti sotto il profilo dell'approccio teorico adottato dal modello giudizialista delineato nelle prime pagine del libro, aggiungono nondimeno alcuni elementi di grande interesse all'immagine tracciata da Ferrara. L'ottavo è dedicato alla critica dei tentativi di elaborare un'idea astratta di Europa e alla definizione dell'istituzione europea come spazio privilegiato della speranza umana. Attraverso una rapida analisi di alcune delle più significative previsioni del Trattato costituzionale e una stimolante comparazione tra contesto statunitense ed europeo, Ferrara perviene all'identificazione delle specificità dell'Unione europea nel tentativo di affermare nel modo più compiuto la protezione della dignità umana. L'ultimo capitolo, poi, ha come tema il ruolo della religione all'interno della sfera pubblica e si sviluppa attraverso un serrato confronto con alcuni dei teorici - Rawls, Habermas, Taylor, Dworkin - che, negli anni più recenti, si sono impegnati a ripensare la posizione di credenti e non credenti nell'arena pubblica. Ferrara discute anche il differenziale di velocità evolutiva che separa i codici normativi di laici e credenti e le differenze nella separazione tra Stato e chiesa nel contesto italiano e in altri contesti statuali.

Questa sommaria presentazione non può certamente restituire la ricchezza argomentativa de La forza dell'esempio. Una ricchezza che ripaga senza dubbio una lettura attenta e simpatetica ma che non può lasciare indifferente nemmeno chi non condivida l'impostazione teorica adottata da Ferrara.


Note

1. La forza dell'esempio. Il paradigma del giudizio, Milano, Feltrinelli, 2008. Contemporaneamente a quella italiana è uscita anche l'edizione americana, The Force of the Example, New York, Columbia University Press, 2008..

2. Rispettivamente: Modernità e autenticità. Saggio sul pensiero sociale ed etico di Jean-Jacques Rousseau, Roma, Armando, 1989; Autenticità riflessiva. Il progetto della modernità dopo la svolta linguistica, Milano, Feltrinelli, 1999; Giustizia e giudizio. Ascesa e prospettive del modello giudizialista nella filosofia politica contemporanea, Roma-Bari, Laterza, 2000. Come La forza dell'esempio, tutti questi lavori nascono in inglese. In questa lingua sono apparsi come: Modernity and Authenticity, New York, State University of New York Press, 1993; Reflective Authenticity: Rethinking the Project of Modernity, London, Routledge, 1998; Justice and Judgment: The Rise and Prospect of the Judgment Model in Contemporary Political Philosophy, London, Sage, 1999.

3. I. Kant, Kritik der Urteilskraft (1790), in Kant's gesammelte Schriften, vol. VIII, Berlin und Leipzig, de Gruyter, 1913, trad. it. Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. Garroni e H. Hohenegger, Torino, Einaudi, 1999.

4. J. Rawls, Political Liberalism, New York, Columbia University Press, 1996, trad. it. Liberalismo politico, Torino, Edizioni di Comunità, 1999.

5. Cfr. P. Pettit, Republicanism: A Theory of Freedom and Government, Oxford, Oxford University Press, 1997, trad. it. Repubblicanesimo. Una teoria della libertà e del governo, Milano, Feltrinelli, 2000.