2014

Phil Zuckerman, Ateismo e laicità, Vol. I, Problemi concetti, definizioni, Ipermedium libri, Santa Maria Capua a Vetere, 2013, pp. 267.

Recensione di Nicola Fiorita


Il tanto celebrato ritorno della religione sulla scena pubblica ha avuto come suo imprevisto risvolto un rinnovato protagonismo dell’ateismo, realizzatosi sia nella forma tradizionale del rifiuto individuale di ogni credenza trascendente e soprannaturale sia nella più moderna forma organizzativa di associazioni battagliere, impegnate a contrastare anche con gli strumenti giuridici i vantaggi acquisiti dalle principali confessioni religiose.

Mentre il primo versante del fenomeno, “la rivincita di Dio”, è stato al centro di analisi e studi di ogni genere, il tema dell’ateismo è comparso con una certa frequenza sulle pagine dei giornali o nelle polemiche seguite a questo o quel provvedimento giudiziario, ma non sembra aver ricevuto adeguata considerazione da parte degli studiosi. E nemmeno quando alcune pubblicazioni sull’ateismo hanno conquistato una larghissima diffusione (si pensi a L’Illusione di Dio, di Richard Dawkins o a Dio non è grande. Come la religione avvelena ogni cosa, di Christopher Hitchens), al punto da far parlare diversi commentatori di “età dell’oro dell’ateismo”, la comunità scientifica ha avvertito l’esigenza di progettare delle ricerche teoriche e pratiche “sulla rilevanza nella nostra realtà sociale di chi affronta la propria biografia senza l’ausilio della religione” (così, Antonio Cavicchia Scalamonti, a pagina 7 del saggio introduttivo) e non in rari, quanto significativi, casi (in questo senso si veda, ad esempio, il numero 1/2011 della rivista Quaderni di diritto e politica ecclesiastica interamente dedicato all’Ateismo nei sistemi giuridici contemporanei).

A colmare questa lacuna, particolarmente avvertita in un Paese come l’Italia, vengono ora alcune pubblicazioni scientifiche di grande interesse (basterà qui citare il lavoro di Paul Cliteur, La visione laica del mondo, edito dalla casa editrice Nessun Dogma) che, per l’appunto, si propongono di aprire, con un approccio scientifico e rigoroso, una riflessione collettiva sulle caratteristiche dell’ateismo. In questo filone si collocano i due volumi curati da Phil Zuckerman su Ateismo e Laicità: il primo, già edito, dedicato a Problemi, concetti e definizioni, il secondo, di prossima pubblicazione, centrato sulle Espressioni globali del fenomeno.

Lo scopo che esplicitamente si prefigge il primo volume dell’opera di Zuckerman è quello di colmare la segnalata carenza di studi sociologici sul tema dell’ateismo, stimolando ricerche che non si limitino ad una perorazione della bontà dell’ateismo ma che, attraverso l’uso di dati empirici, possano esaminare le esigenze, i bisogni e i desideri di quella consistente parte dell’umanità che ha deciso di rinunciare alla religione.

Per poter operare in questa direzione, il passaggio da esperire preliminarmente è quello di una rigorosa definizione dell’ateismo, cui si dedica Jack David Eller nel primo dei saggi che compongono il volume in oggetto, confutando la possibilità di distinguere tra ateismo debole ed ateismo forte, ovvero negando ogni valenza alla distinzione tra “il non credere” e “il credere che non”. Quel che pare ad Eller è che l’assenza di una credenza, così come il rifiuto di una credenza o l’abbandono di una credenza, presuppongano sempre la mancanza del concetto di Dio e quindi debbano essere considerati unitariamente.

Allo stesso modo, Eller non pare convinto della opportunità, e direi della fondatezza, di quelle posizioni ateistiche che mirano a denunciare la pericolosità della religione o la violenza dei movimenti fondamentalisti, dovendosi al contrario assumere più correttamente come impegno prioritario la costruzione di un immaginario laico. Quel che ad Eller interessa non è la confutazione di Dio, e tanto meno la polemica con le componenti più integraliste delle singole religioni, ma dimostrare la capacità di prescindere da Dio e di fondare nuove prassi e nuovi modi di vivere del tutto indipendenti dall’orizzonte teistico. Obiettivo evidentemente, di lunga durata cui l’Autore immagina di dedicarsi nel futuro della propria attività. Molto più immediata è invece la critica, cui abbiamo appena accennato, rivolta alle nuove organizzazioni ateistiche in ragione del loro eccesso di polemica e di aggressività nei confronti delle religioni. Vi è qui la sottolineatura di un tratto che caratterizza, come già detto, il presente dell’ateismo, sempre più impegnato ad assicurare la possibilità di assicurare rifugio in una nuova casa (se non in un nuovo tempio) a chi lascia Dio. Se risulta del tutto comprensibile l’esigenza degli atei di darsi un’organizzazione capace di rappresentare i propri interessi e di contrastare l’egemonia confessionale quando essa pretenda di tradursi in vantaggi, privilegi e occupazione delle istituzioni pubbliche, nondimeno si deve sottolineare il rischio che tali organizzazioni si presentino all’opinione pubblica, alla stessa stregua delle realtà confessionali che criticano, come minoranze assediate desiderose di strappare terreno e anime agli avversari più che come associazioni capaci di indicare una via verso il raggiungimento della felicità e verso la ricerca di una vita giusta.

I contributi successivi a quello di Eller si concentrano sull’impatto dell’ateismo in alcuni campi specifici: la sessualità, la moralità, le questioni di genere, l’educazione dei figli.

Dalla famosa sentenza del Tribunale di Ferrara dei primi anni repubblicani che dichiarava gli atei incapaci di educare correttamente la prole fino alla recente sentenza con cui la Corte di Cassazione ha vietato ad un genitore di condurre le proprie figlie cresciute in ambito cattolico alle celebrazioni religiose geoviste per non esporle ad un cambiamento troppo brusco in relazione alla loro giovane età, il tema dell’appartenenza religiosa ha sempre suscitato dubbi e polemiche quando è entrato nella aule giudiziarie insieme a quello dell’educazione della prole. E’ in questi casi, peraltro, che i pregiudizi nei confronti degli atei emergono compiutamente anche laddove, come negli Stati Uniti d’America, la loro presenza ha assunto una dimensione quantitativa di tutto rispetto.

Proprio in ragione di ciò, Christel Manning si sforza di dimostrare come l’educazione dei bambini possa agevolmente prescindere dalla presenza di Dio e come i supposti vantaggi che spingono anche molti genitori non credenti ad affidare una parte dell’educazione dei propri figli alle chiese risultino strettamente connessi ad una dimensione comunitaria che le organizzazioni ateistiche possono riprodurre senza eccessiva difficoltà. L’ateismo, dunque, non rappresenterebbe un rischio per i bambini, perché dotato di una propria etica positiva, che anzi apparirebbe, come si premurano di dimostrare i contributi successivi, maggiormente idonea ed efficace rispetto a quelle tradizionali a matrice religiosa.

Si avverte, in questi ultimi contributi, il condizionamento di un forte orgoglio dei non credenti che sfocia nella volontà di ribadire con vigore il diritto degli atei di partecipare su un piano di assoluta parità alla vita pubblica, conferendo la propria peculiare visione del mondo a quella piattaforma morale comune della società in cui essi vivono e agiscono. Una rivendicazione dura, non priva di spigoli e forzature, che può essere compresa solo se si tiene conto del contesto in cui essa trova origine, ovvero quella società americana che continua ad essere fortemente condizionata dalla presenza di Dio, dal compimento di pratiche e cerimonie religiose, da posizione creazioniste e da un linguaggio politico incapace di prendere le distanze dal lessico e dall’immaginario religioso. Che poi quella americana rappresenti un’anomalia nel mondo progredito, come sostenuto nel volume, o al contrario la conferma di un atteggiamento universale a cui si sottrarrebbe solo l’eccezione rappresentata dall’Europa Occidentale, come sostenuto da molti studiosi della secolarizzazione, è questione qui poco rilevante, dovendosi semmai ribadire che la contrazione dell’appartenenza religiosa che per lungo tempo è stato un fenomeno silenzioso ed invisibile ha assunto ormai caratteristiche diverse (si pensi al fenomeno dello sbattezzo, diffusosi negli ultimi anni nel nostro Paese), rendendo così non più rinviabile una riflessione sulle prospettive dell’ateismo e, per quel che riguarda i giuristi, sulla condizione giuridica delle organizzazioni ateistiche e dei singoli non credenti.