2011

B. Pastore, G. Zaccaria (a cura di), Norberto Bobbio. Gli anni padovani, Padova University Press, Padova 2010, ISBN 978-88-903541-0-6

Il volume Norberto Bobbio. Gli anni padovani, a cura di Baldassare Pastore e Giuseppe Zaccaria, va ad arricchire la già cospicua letteratura riguardante quello che da Luigi Ferrajoli è stato indicato come «il massimo teorico del diritto e il massimo filosofo della politica del nostro Paese nella seconda metà del Novecento» (L. Ferrajoli, L'itinerario di Norberto Bobbio: dalla teoria generale del diritto alla teoria della democrazia, "Teoria Politica", XX, n. 3, (2004), p. 127), colmando la lacuna relativa agli anni trascorsi da Bobbio nell'Ateneo patavino.

Si tratta del periodo che va dal 1940 al 1948, quando Bobbio insegna nella Facoltà di Giurisprudenza, termina lo straordinariato e matura, il primo gennaio 1942, la nomina a professore ordinario.

In quegli anni Bobbio affianca all'attività accademica una diretta presenza sul piano della vita pubblica: fa il proprio ingresso nell'antifascismo attivo unendosi a docenti quali Marchetti, Opocher e Meneghetti, che contribuiscono a fare dell'Università padovana uno dei fulcri della Resistenza veneta, e partecipa attivamente alla vita politica, seppur per un brevissimo lasso di tempo, candidandosi, per le elezioni, subito dopo la fine della guerra, nelle file del Partito d'Azione, ma con risultati assai modesti.

Si può dire che gli anni padovani - il periodo che Bobbio, in una lettera indirizzata a Fiorot nel 1999, definisce come «[...] quella straordinaria stagione della mia vita che furono gli anni trascorsi a Padova» (Norberto Bobbio. Gli anni padovani, cit., p. 52) - rappresentino, per lui, uno snodo cruciale sia sul versante intellettuale sia su quello della militanza politica attiva. D'altronde, non si può dimenticare che proprio in quel periodo la sua attività viene «monitorata» dai fascisti, ed alla sua coerenza di pensiero (il «coraggio civile» che Angelo Ventura ricorda assai suggestivamente nel suo saggio, dedicato a Bobbio e la Resistenza nel Veneto, p. 25) si deve l'avvio della procedura per la dispensa dal servizio, che per fortuna ha scarse conseguenze. Sempre in quegli anni Bobbio viene anche arrestato per mandato della Milizia di Verona: è il 6 dicembre 1943.

I contributi raccolti nel volume riproducono i testi delle relazioni presentate nella Giornata di Studi svoltasi presso l'Università di Padova il 20 ottobre 2009, nell'ambito delle celebrazioni del centenario della nascita di Bobbio. Essi muovono dalla convinzione che non sia possibile comprendere il complesso itinerario intellettuale del filosofo torinese astraendo dal contesto storico in cui questo si è sviluppato: l'esperienza padovana sarebbe, pertanto, un «periodo di incubazione» (p. III) di temi e problemi che sono stati una costante nella sua riflessione giusfilosofica. Al riguardo si pensi, ad esempio, alla rilettura di Kelsen portata avanti in quegli anni, che condurrà alla successiva conversione al kelsenismo.

Alfonso Catania, nella sua relazione, approfondisce proprio quest'aspetto concernente la teoria del diritto, evidenziando il punto di convergenza tra Bobbio e Kelsen, dato dal taglio metodologico descrittivistico del positivismo giuridico, ma altresì le «variazioni» apportate dal filosofo torinese al pensiero dello studioso austriaco per quanto concerne la riflessione sulla norma fondamentale ed il potere costituito, nonché quella su strutturalismo e struttural-funzionalismo.

Nel tracciare parallelismi e differenze, forse l'autore ha colto l'esortazione ad approfondire l'analisi degli anni padovani proveniente da Bobbio stesso (cfr. N. Bobbio, Autobiografia intellettuale, in Id., Etica e Politica. Scritti di impegno civile, Mondadori, Milano 2009, p. 6), il quale aveva affermato che la sua conversione al kelsenismo era rinvenibile nella difesa della teoria pura del diritto dal giudizio di Carnelutti e nelle lezioni padovane del 1940-41, dove egli aveva dedicato spazio anche alla costruzione a gradi dell'ordinamento giuridico.

Anche il contributo di Giuseppe Zaccaria, più specificamente volto al Bobbio docente padovano, ripercorre il pensiero intellettuale del filosofo torinese approfondendo i temi trattati in quegli anni nei corsi di filosofia del diritto. Zaccaria non manca di sottolineare come «negli otto anni di insegnamento a Padova, Bobbio, caratterizzato fino ad allora del profilo tecnico del giurista, si "compromett[a]" sempre più con la politica, maturando il salto di qualità da un antifascismo ideale all'azione e alla cospirazione attiva» (Norberto Bobbio. Gli anni padovani, cit., p. 11), e contribuisce così ad offrirci la visione di un filosofo costantemente impegnato non solo nell'attività accademica, ma anche sul piano della vita pubblica. Nei corsi di lezione di quegli anni, che hanno alla propria base il dualismo metodologico che distingue «essere» e «dover essere», emerge compiutamente l'idea bobbiana di «filosofia militante».

Gli interventi di Baldassarre Pastore, Giorgio Carnevali ed Angelo d'Orsi, concentrati sul «Bobbio intellettuale italiano tra diritto e politica» (p. V), nonché quello di Gianfranco Pasquino, volto a puntualizzare importanti aspetti del Bobbio teorico della democrazia, si rivelano preziosi strumenti per ampliare la conoscenza del filosofo torinese nella sua veste intellettuale e creano, al contempo, un ponte con il Bobbio politico militante.

Agli anni padovani si deve infatti l'incontro con Campagnolo, il quale riveste un ruolo di primo piano in quello che Pastore definisce come «denso mondo umano» (p. 93) che si trova alle basi dell'«universo teorico e del discorso etico-politico» di Bobbio. Campagnolo, fondatore di quella Società europea di Cultura (SEC) che diventa realtà solo nel 1950 ma viene progettata già nel 1946, è stato per Bobbio una figura importantissima. L'inizio del loro dialogo intellettuale risale proprio agli anni padovani, e la loro amicizia nasce dal comune interesse per il federalismo e si concentra in seguito sul tema della «politica della cultura». Compito della SEC è raccogliere e far dialogare fra loro gli intellettuali europei appartenenti alle due sponde della «cortina di ferro», nella comune disponibilità a dare il proprio contributo all'azione politica da un punto di vista precipuamente culturale (p. 110). Campagnolo crede infatti, così come Bobbio, nella capacità trasformativa del dialogo, inteso come discorso pubblico ragionato.

Prima ancora della «politica della cultura» è però la visione del federalismo come antidoto alla guerra (e quindi l'immagine del pacifismo giuridico-federalistico) ad accomunare i due, seppure permane la diversità dei rispettivi orientamenti. Bobbio, del resto, è un federalista convinto (seppur più sul piano culturale che su quello politico), ed il federalismo fa parte integrante del programma del Partito d'Azione. Probabilmente a tale sensibilità si deve il particolare interesse da lui dimostrato, nella fase più matura della sua vita, per il pensiero del federalista Trentin.

Proprio Giuseppe Gangemi ricostruisce con precisione i rapporti tra i due - più di natura teorica che pratica - iniziati immediatamente dopo l'8 settembre 1943, nonché la determinante influenza esercitata da Bobbio sulla pubblicazione e diffusione in Italia della maggiore opera di Trentin, La crise du Droit et de l'Etat. Nonostante l'entusiasmo per una pubblicazione completa manifestato nel tempo da alcuni studiosi, che sottolineavano il merito scientifico di Trentin, l'autorevolezza del pensiero di Bobbio - che giudicò l'opera inadatta alla pubblicazione integrale in quanto il pensiero ivi espresso sarebbe stato inattuale ed anacronistico soprattutto dal punto di vista politico - porterà a far pubblicare in italiano La crise completa solo nel 2006, proprio sotto la curatela di Gangemi, che nel proprio saggio riporta il complicato ed interessante intreccio di eventi che hanno concorso a disegnare il destino dell'opera.

A Carnevali si devono alcune acute riflessioni sulla nozione di egemonia nel pensiero di Bobbio. Questo tema è stato affrontato dal filosofo torinese in primo luogo in riferimento a Gramsci, da lui rivalutato come interprete originale nell'ambito della tradizione di pensiero marxista, tant'è che lo scritto La società civile in Gramsci è stato tra i più noti, celebrati e tradotti della produzione del filosofo torinese. Ma tale concetto è stato utilizzato da Bobbio per criticare anche la democrazia contemporanea, manifestando la propria perplessità circa la natura dei costituendi partiti personali e denunciando in modo deciso il rischio della perdita della libertà per mano di un regime volto alla demagogia.

D'Orsi traccia invece il profilo del Bobbio chierico, «papa laico della cultura giuridica» (p. 139), intellettuale tra gli intellettuali che riflette sulla superfluità del ceto dei colti, e che, a partire dagli anni Cinquanta, medita sulla categoria nella quale egli stesso si colloca.

Egli ritiene che alla base di tali riflessioni bobbiane e della decisione di orientarsi verso l'engagement siano state le esperienze anche dure vissute nel periodo della seconda guerra mondiale, ed che il periodo padovano sia stato, in questo, decisivo (p. 138). Non manca inoltre di sottolineare come il filosofo torinese non sia appartenuto alla schiera degli intellettuali «eroi», ma abbia piuttosto saputo riconoscere il proprio debito di riconoscenza nei confronti di coloro che aveva incontrato, in particolare, tra gli altri, Leone Ginzburg ed Antonio Giuriolo. Ed in effetti, a scorgere le pagine dedicate da Bobbio a questi compagni e maestri (Cfr. N. Bobbio, Etica e politica, cit., pp. 345-371, 544-558), non si può non respirare l'ammirazione e l'affetto nutrito per questi amici che ebbero il coraggio di morire per le proprie idee, comportandosi sempre con estrema coerenza e con rispetto degli uomini, anche se avversari.

Nelle pagine dedicate a Toni Giuriolo, ad esempio, Bobbio afferma che questi era un «capitano senza galloni e senza stellette. [...] Egli fu insieme comandante e maestro, e comandante solo perché insieme maestro. La sua banda fu una scuola di uomini, non di soldati, di soldati in quanto, prima di tutto, uomini» (N. Bobbio, Etica e politica, cit., p. 548). Questo compagno e maestro, fautore dell'etica della nonviolenza, era colui che, tra gli altri gesti rivelatori di una profonda umanità, durante la Resistenza aveva impedito ai propri uomini, bagnati fradici, di appropriarsi delle calze che avevano trovato in una casa deserta, perché loro non avevano diritto di appropriarsi di qualcosa che non era loro. Ancora, Giuriolo era quell'uomo (quel ragazzo) che Bobbio aveva conosciuto durante la Resistenza e che era stato ucciso con un colpo improvviso mentre aveva (come sempre) il fucile a tracolla in sicura, perché non aveva mai sparato. Era un «eroe senza gesti» dall'animo incorrotto e dalle frasi solenni (N. Bobbio, Etica e politica, cit., p. 555), così come Leone Ginzburg era il compagno di classe di poche parole, ma che trovava sempre quelle più idonee ad esprimere un concetto, aveva il culto dell'amicizia ed era un esempio di vita moralmente impegnata. Alla sua frequentazione Bobbio ha collegato la propria fuoriuscita dal filo-fascismo familiare.

Il sogno di entrambi, più o meno manifesto, era quello di fare gli scrittori.

Bobbio è stato un intellettuale a tutto tondo. Egli ha condiviso quell'impegno e quella forza morale nel proprio campo di studi e nel proprio impegno civile, mettendo nella sua professione quello stesso rigore e quella stessa coerenza che tanto ha ammirato nei propri compagni ed amici. Ecco perché, tra le relazioni più coinvolgenti del volume, non si possono non citare quelle di Angelo Ventura e Dino Fiorot, che ci raccontano il Bobbio della Resistenza veneta.

Fiorot, studente di Bobbio negli anni 1943-1945, rende ancora più viva e lucida l'immagine di un intellettuale impegnato, pronto ad esercitare la libertas philosophandi concessa dal regime (Norberto Bobbio. Gli anni padovani, cit., p. 42) ed a diffondere il proprio messaggio democratico e pacifista attraverso la riflessione filosofica su temi quali la persona, la giustizia, il personalismo e la democrazia, il federalismo.

Ventura ricostruisce invece la militanza politica attiva del filosofo torinese, che nell'estate del 1941 partecipa, assieme ad un ristretto gruppo di giovani professori, alla stesura del programma politico del movimento liberalsocialista, avviato a divenire Partito d'Azione nel 1942, mentre già precedentemente frequentava attivamente un circolo di amici che costituivano il centro clandestino torinese di «Giustizia e Libertà», tant'è che nel 1935 veniva arrestato per la prima volta e gli veniva impedito, tramite una grave sanzione amministrativa, di accettare l'incarico universitario a Camerino. È in quest'occasione che Bobbio scrive una lettera a Mussolini, da lui stesso definita «servile» (N. Bobbio, Autobiografia, a cura di A. Papuzzi, Laterza, Roma-Bari 1997, pp. 29-39), ottenendo che l'ammonizione gli sia revocata.

Egli non perde tuttavia una successiva possibilità di riscatto da quella che in seguito ricorderà essere un'azione vergognosa (Norberto Bobbio. Gli anni padovani, cit., p. 20). È nel periodo padovano, infatti, che diviene direttore dell'Istituto di Filosofia del diritto (uno dei maggiori centri di riunione e collegamento tra antifascisti veneti) e rinuncia, l'8 febbraio 1943, ad aderire all'offerta di una lampada propiziatoria di vittoria nel Sacrario dei Caduti Fascisti; egli è l'unico docente a non ritrattare, in quanto antifascista militante. Incorre così in una procedura amministrativa per la sospensione dal servizio, ma il provvedimento non viene applicato; così Bobbio continua ad insegnare a Padova.

Ventura non manca poi di ricordare gli avvenimenti successivi: la ripresa dell'attività clandestina dell'Istituto di Filosofia del diritto, lo storico «Appello agli studenti» di Marchesi, l'arresto di Bobbio (che viene catturato perché si era trattenuto a Padova per eliminare documenti compromettenti, tra cui una relazione di Giuriolo), la permanenza a Torino, il successivo rientro a Padova e la prolusione per l'apertura del 724° anno accademico, il 12 novembre 1945, sul tema «La persona e lo stato», come implicita e radicale critica allo stato totalitario fascista (pp. 35-36).

Ed è in questa «lectio magistralis» che Bobbio esplicita con assoluta chiarezza sul piano intellettuale ciò per cui aveva attivamente operato, durante la Resistenza, con il suo impegno deciso di militanza antifascista, proclamando la centralità della persona, dei diritti dell'uomo e della democrazia, ed ammonendo circa la necessità di riconoscere l'ineliminabile realtà sia della libertà, sia della organizzazione sociale. Emerge qui il liberalsocialismo bobbiano, inteso «non come una formula filosofica ma come il programma di un compromesso politico che avrebbe dovuto trovare la sua attuazione [...] nei diritti sociali [...] come precondizione del pieno esercizio dei diritti di libertà, richiesti dalla tradizione liberale» (p. 37). Lo stato, allora, è un'espressione dell'uomo, la realizzazione dell'uomo sociale, che necessariamente si vincola agli altri; questa consapevolezza non può non indurre a partecipare attivamente allo stato, come lui stesso afferma nella propria autobiografia (N. Bobbio, Autobiografia, cit., p. 92). E Bobbio, filosofo militante ed impegnato, attivo in prima persona per realizzare gli ideali in cui credeva, nobile esempio di coraggio civile e rigore etico, ha dimostrato, soprattutto negli anni padovani dell'antifascismo militante e del Partito d'Azione, di aver creduto realmente nei valori che professava, facendo della filosofia una missione civile.

Maria Giulia Bernardini