2010

D. Della Ratta, A. Valeriani (a cura di), Un Hussein alla Casa Bianca - Cosa pensa il mondo arabo di Barack Obama, Odoya, Bologna 2009, ISBN 978-88-6288-027-5

Il volume raccoglie una serie di contributi sulla figura del neo-eletto Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e, segnatamente, su come i mezzi di comunicazione arabi tendono a rappresentarlo. Gli autori sono di origine italiana e araba e provengono da formazioni differenti, accomunate, tuttavia, dall'interesse per lo studio della comunicazione araba e in particolare dall'analisi - vieppiù sociologica - degli effetti prodotti e delle aspettative generate dal fenomeno Obama.

L'ex senatore dell'Illinois ha ottenuto grande spazio sui media arabi principalmente per la propria storia personale che, come è noto, è fortemente segnata da un passato migratorio avendo trascorso parte della propria giovinezza in un paese musulmano, l'Indonesia, ed essendo figlio di un keniota di confessione musulmana. Quest'ultima condizione è riflessa nel suo secondo nome, di chiara derivazione musulmana - quell'Hussein appunto che per gli arabi richiama alla memoria il nome del nipote del profeta Maometto - ma altresì a diventare per le minoranze arabe e per quelle musulmane nord-americane, il candidato ideale su cui puntare dopo anni di fallimentare amministrazione repubblicana. Il senno di poi, e soprattutto la conta dei risultati elettorali, conferma questa tesi dal momento che, se a livello nazionale Obama ha guadagnato il 4 novembre del 2008 il 53% delle preferenze contro il 46% dei consensi accordati al rivale Mc Cain, fra gli arabi americani il 64% ha optato a favore del candidato democratico, mentre solo il 27% ha scelto di affidarsi all'alternativa repubblicana (pag. 190). Si tratta di un risultato non scontato, se letto alla luce del fatto che gli arabi americani «per tradizione sono più inclini a votare e a identificarsi con i repubblicani: supportano valori familiari tradizionali, niente aborto, un governo che stia fuori dai loro affari e che sia contro la diffusione del virus gay con ogni mezzo necessario» (postato da Sandmonkey sul blog ..., pag. 83).

Tuttavia, mentre il fenomeno di obamization che ha investito gli arabi e i musulmani nord-americani presenta tratti definiti e, per di più, avallati da un risultato elettorale, il volume Un Hussein alla Casa Bianca presenta una panoramica più ampia e più articolata del soft power esercitato dai maggiori mezzi di comunicazione sull'opinione pubblica araba in occasione delle elezioni nord-americane e al contempo non manca di rilevare il grado di popolarità del candidato nero fra gli abitanti della regione panaraba. Centrale diventa allora la domanda riportata dalla curatrice a pagina 104 del volume: è sufficiente avere Hussein come nome di famiglia ed essere di colore nero per andare bene agli arabi? Per poter efficacemente rispondere a questa domanda gli autori registrano le opinioni confezionate e riportate tanto dalla grande stampa panaraba diffusa in Europa (Al Hayat, Al Sharq Al Awsat e Al Quds Al Arabi), quanto dagli schermi della più famosa emittente araba agli occhi degli occidentali, Al Jazeera e, in particolare, dei suoi talk show (Al Ittijah al moakis e Min Washington). Il distacco fra il popolo panarabo, nella sua generalità, e i cugini trapiantati negli Stati Uniti sul tema dell'adesione ad un'idea - tutta democratica - di cambiamento si misura anche in base all'opinione divulgata da alcuni media arabi secondo la quale il candidato democratico si sarebbe sottomesso ad una società ancora fortemente razzista, cui non è riuscito ad opporsi, tanto da aver consentito che la propria candidatura venisse riequilibrata dalla presenza al suo fianco di un "maschio bianco filo-sionista" quale John Biden (pag. 30).

Fondamentale risulta altresì essere il contributo offerto dalle opinioni della "gente", che si tratti di opinion leader o di giovani che vivono il mandato di Obama come portatore di un cambio di rotta nelle maggiori questioni arabe (soprattutto la guerra in Iraq e la questione palestinese). Ed è proprio su queste grandi questioni, che l'opinione pubblica panaraba si spacca ancora una volta fra coloro che sostengono il «partito dell'asino», riponendo in esso fiducia e sperando nel cambiamento promesso dal Presidente neoeletto, e coloro che sostengono che Obama non possa intervenire favorevolmente nelle questioni che interessano i Paesi arabi. Questi ultimi denunciano al contempo l'influenza delle lobby ebraiche e sioniste nel sistema nord-americano, gruppi di pressione che determinerebbero l'agenda politica del Paese. Si assiste, dunque, nonostante il forte consenso conquistato da Barack Obama, ad un processo di depersonalizzazione della politica statunitense laddove il singolo soccombe di fronte alla struttura e alle sue macchinazioni politiche tutte tese alla conservazione di valori e interessi privati (pag. 143). Come non ricordare a tal proposito il clamore che, in occasione della risposta bellica statunitense all'attacco dell'11 settembre, suscitò la notizia che nel consiglio di amministrazione di una grande società nord-americana a capitale privato - la Carlyle Group - sedevano allo stesso tavolo George W. Bush con suo padre insieme a Shafig Bin Laden figlio illustre e contemporaneamente ambasciatore saudita in USA (pag. 118)?

Luca Bizzarri