2005

J. Tully, Strange multiplicity. Constitutionalism in an age of diversity, Cambridge University Press, Cambridge 1995, pp. 253, ISBN 0-521-47117-6

Capita spesso, soprattutto da bambini, di rimanere affascinati da quei libri che non sono solo "tutti scritti" ma recano all'interno anche disegni, figure, immagini o foto che contribuiscono a rendere un libro decisamente meno pesante. Ugualmente capita, una volta che si è un pò più grandi, di rimanere incuriositi da un libro come quello di James Tully che contiene una pagina non "scritta" ma "disegnata" e di riscoprire così una traccia della nostra perduta capacità di stupirsi di fronte a un certo tipo di libri. Soprattutto, poi, se si scopre che quella disegnata è la pagina più importante di tutto il libro, quella fondamentale per capire tutti quei minuscoli caratteri scritti che affollano le pagine successive. Il "disegno", allora, si fissa nella nostra mente ed il suo significato può diventare un'efficace sintesi sostitutiva di tutto il contenuto del libro. La pagina in questione riproduce una scultura bronzea raffigurante una canoa con a bordo delle strane figure mitologiche: si tratta dell'opera d'arte The spirit of Haida Gwaii di Bill Reid, un artista contemporaneo appartenente al popolo aborigeno Haida (stanziato sulle attuali Queen Charlotte Islands).

Gli Haida, insieme agli altri popoli aborigeni delle coste settentrionali del Pacifico, dopo aver subito le conseguenze disastrose del colonialismo europeo (sino al fallito assimilazionismo e alla realtà delle riserve), hanno cercato, a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, di cambiare il proprio destino interagendo tra di loro e ricostruendo le proprie culture. In quest'ottica, rileva Tully, The spirit of Haida Gwaii «è insieme un simbolo e un'ispirazione di questa rinascita e di un "world reversal", come lo chiamano gli Aborigeni: rifiutarsi di considerare le culture aborigene come oggetti passivi nell'ambito di uno sviluppo storico eurocentrico e considerarle invece dal punto di vista aborigeno, nell'interazione con gli Europei e le altre culture» (p. 21). Queste interazioni e questi incontri con le altre culture divengono fondamentali nella strategia del mutuo riconoscimento che Tully pone al centro della sua opera: in un'epoca come questa, caratterizzata dalle diversità culturali che si trovano a dover coesistere tra loro, la domanda più urgente da porsi è «se [e in che modo] una costituzione possa dare un riconoscimento alle legittime richieste dei membri delle differenti culture in una maniera che renda a ciascuno il suo, cosicchè tutti vogliano liberamente acconsentire alla conseguente forma di associazione costituzionale» (p. 7). La risposta che Tully cercherà di fornire è tutta lì, in quella canoa, nella quale egli immagina lo svolgersi incessante di un «constitutional dialogue» che rimane sempre aperto, condotto con strumenti linguistici nuovi e diversi rispetto al passato e volto a garantire quel processo di commistione e interscambio culturale, l'unico che possa permettere alla canoa di non ribaltarsi a causa del peso mal distribuito e di procedere stabile, poichè al suo interno la diversità non è intesa in termini radicali di alterità e tolleranza di ciò che è estraneo, bensì è «un intricato labirinto di differenze e somiglianze culturali che si intrecciano». Tutte le diversità, perciò, hanno egual peso e sono espressione del fenomeno "cultura" globalmente inteso. Dalle diversità alla Diversità, intesa come valore da tutelare immanente alla costituzione, semplicemente perchè la costituzione stessa è "interculturalismo", e addirittura una stessa cultura, per quanto la si creda unica e omogenea, è in realtà variegata e composita al suo interno, secondo la ben nota prospettiva di Derrida che Tully avalla in pieno.

Egli non esita a prendere le mosse da quel costituzionalismo antico al quale McIlwain aveva contrapposto un costituzionalismo moderno basato sul contrattualismo e sulla sovranità popolare che Tully invece intende criticare. E tale critica è svolta essenzialmente sul piano linguistico: sulla scia di Wittgenstein si può notare come i concetti del costituzionalismo moderno non siano affatto universali ma riflettano il particolare contesto delle "forme di vita" occidentali. La modern constitution non si è mai preoccupata di realizzare un sostanziale «accordo sulle opinioni» ma solo di controllare che l'istanza per il riconoscimento della propria specificità culturale fosse posta secondo il "linguaggio" del costituzionalismo occidentale. Tramite la pretesa universalità di tale linguaggio si è di fatto imposta surrettiziamente una cultura dominante a livello globale e una prassi costituzionale che ha legittimato per secoli l'imperialismo europeo e ha condizionato anche la fase post-coloniale (le ex-colonie ragionano ormai solo in termini di "Stato", "nazione", "popolo"). È qui che Tully ci regala delle pagine lucidissime che ripercorrono la formazione di ciò che egli chiama «the empire of uniformity»: un impero originatosi dalla conquista europea dell'America e legittimato di volta in volta dai maggiori filosofi delle libertà occidentali. L'A. si sofferma in particolare su Locke e il suo pensiero sugli Aborigeni (su cui si veda anche J. Tully, An approach to political philosophy: Locke in contexts, Cambridge University Press, Cambridge 1993, in part. cap. 5) e passa in rassegna autori come Vattel, Pufendorf, Kant, Paine per arrivare a mettere in luce le moderne tecniche di assimilazione, di incasellamento, di omogeneizzazione che mirano a perpetuare quell'"impero dell'uniformità" che ancora adesso impedisce di dar voce ai diritti di tante minoranze. La ancient constitution, invece, è una strategia costituzionale che parte dal basso, registrando il «modo in cui i cittadini sono già organizzati mediante l'assemblaggio delle loro leggi, istituzioni e consuetudini fondamentali» (p. 60), a differenza della modern constitution che viene calata dall'alto con l'espediente della sovranità popolare e che si irradia da un unico centro in cui risiede autorità e sovranità. Tully vuole recuperare un senso di costituzione come «accomodamento delle diversità» e una certa idea di sovranità popolare intesa come realizzazione delle pretese di autogoverno di ogni popolo in conformità con le proprie consuetudini. Solo così si può realizzare un «costituzionalismo dei trattati» basato su veri e propri «negoziati interculturali» che realizzino un'autentica prassi dialogica e che consentano al popolo sovrano di modificare periodicamente la costituzione (periodical review) mediante la tecnica del groping towards, ovvero per tentativi ed errori. La sacralità e la venerazione, così come la immodificabilità di una costituzione ne risulteranno in tal modo attenuate, ma ciò consentirà il mutuo riconoscimento e la convivenza di un popolo dalle tante anime secondo quell'autentico spirito che si respira a bordo della canoa di Bill Reid.

Pur limitando l'analisi all'esperienza costituzionale canadese e alle attuali problematiche multiculturali che emergono da quell'esperienza, il volume è estremamente ricco e interessante. Un affascinante percorso storico-teorico e l'armamentario mitologico e figurativo usato da Tully completano quest'opera, non recentissima ma estremamente attuale per il dibattito contemporaneo sul multiculturalismo.

Ilario Belloni